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IMMORTALITA’ DEGLI DEI E IMMORTALITA’ DEGLI UOMINI: IL NETTARE E L’AMBROSIA E LA NOZIONE INDOEUROPEA
DELLA MORTE*: Thieme ha corroborato con elementi persuasivi l’ipotesi che il nome greco del nettare sia composto dal
nome della morte *nek e dal grado ridotto della base indoeuropea *ter- “attraversare”. Schmitt ha aggiunto una prova
fondamentale: nell’Atharva Veda “tarati” ha per oggetto proprio la morte. Questa etimologia è ineccepibile sul piano del
contenuto.
- l’esempio atharvavedico in cui si invoca di “attraversare la morte” è isolato. Nel mondo indiano la stessa nozione è
āyus pra tr- tr-
espressa più spesso in termini positivi, nominando, anziché la morte, la vita. La formula vedica con
transitivo, significa “portare la vita al i là degli ostacoli”. Solo muovendo da questo significato la formula può tradursi
con “prolungare la vita”. Le attestazioni sono molte. amhas-.
Nel pensiero vedico ogni entità dannosa è rappresentata come una strettoia, Di contro, ogni entità benefica è
uru-.
rappresentata come uno slargo, “Prolungare la vita” e “attraversare la strettoia”sono immagini collegate. Dunque,
se l’etimologia di ‘nettare’ è giusta, è chiaro che l’immagine della vittoria sul male e sulla morte come
“attraversamento” di una strettoia è indoeuropea. Non altrimenti può motivarsi la presenza in greco del frammento di
un sistema ideologico che nel sanscrito vedico è coerente e articolato.
Solo la morte prematura, in vedico, è vista come una “strettoia”. Solo questa è un male da scongiurare. L’antitesi della
morte naturale è la giovinezza eterna: ciò che è immortale è senza vecchiaia. Gli dei immortali sono giovani e non
invecchiano. Anche la gloria è immortale e senza vecchiaia. Il sistema è dunque indoeuropeo. Lo dimostrano gli epiteti
della gloria comuni al greco e al vedico, e in particolare la formula “esente da morte e da vecchiaia” che è chiara
espressione della stessa etimologia.
mors Nex
Veniamo al latino: indica la morte in generale, senza riguardo alla causa che la provoca. diventa sinonimo di
mors sono il epoca imperiale. In età classica, invece, indica la morte violenta:
-per uccisione in genere -per suicidio -per condanna -per disposizione.
Come significante della morte per malattia “nex” è raro, e si trova solo un esempio nelle Georgiche di Virgilio dove “nex”
nex
indica una pestilenza del bestiame. Dunque: nel latino classico e arcaico tutti i valori di hanno un tratto comune:
mors
l’indicazione della morte prematura; invece indica la morte naturale.
Nella rappresentazione della morte prematura, il pensiero greco-latino diferisce dal pensiero vedico. Nel mondo vedico
sono premature tutte le morti non prodotte dalla vecchiaia e, dunque, anche la morte per malattia. In latino, invece,
nex
solo eccezionalmente indica la morte per malattia. Dunque solo eccezionalmente la morte per malattia è
considerata prematura. Prematura è invece la morte violenta. La ragione della differenza è da individuarsi nel fatto che
il mondo classico conosce la nozione di ‘fato’. La morte per malattia è prodotta dal fato; e nella tassonomia greco-latina,
la morte prodotta dal fato appartiene alla stessa classe della morte prodotta dalla natura. L’idea che i mortali abbiano
un tempo di vita predeterminato dal fato è già in Omero, ed è ripresa dalle iscrizioni funerarie. La stessa nozione è
corrente nel mondo romano. Per Andronico la morte verrà il giorno stabilito dalla Parca. La morte per malattia è
predestinata dal fato e perciò improrogabile. Ma non tutte le morti dipendono dalla natura e dal destino: innaturale e
non prodotta dal fato è la morte violenta. Nel mondo classico, dunque, le morti per vecchiaia e per malattia, pur
distinguendosi perché prodotte dalla natura e dal fato, sono entrambe classificate come eventi naturali, non rinviabili.
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Infatti natura e fato talvolta si identificano. Insomma, nella tassonomia indiana il carattere prematura della morte è
definito sulla base dell’età: è prematura ogni morte che non sia per vecchiaia; nella tassonomia greco-romana è, invece,
prevalente il criterio della casualità: la morte violenta è prematura, le altre morti non sono tali perché sono prodotte
dalla natura o dal fato.
Questa tassonomia genera talora delle contraddizioni, che però sono comprensibili dal momento che la morte in tenera
età genera emozioni e sentimenti incoerenti. In ogni società coesistono più tassonomie, talora in conflitto con la
nex
tassonomia dominante. Il raro uso di per indicare la morte per malattia è espressione di questa contraddizione. Del
resto non sarà casuale che l’unica attestazione sicura riguardi non gli uomini, ma il bestiame.
*nek-
- Anche il greco ha conosciuto il nome della morte, ma non siamo in grado di dire se anche il sanscrito abbia
conosciuto e poi perduto il doppio nome della morte. Se cosi fosse, il greco e il latino conserverebbero (fossilizzato il
greco, vivo il latino) un tratto dell’organizzazione del lessico indoeuropeo. In ogni modo, è certamente indoeuropea la
distinzione che sta alla base dei nomi latini della morte. Il nome della morte sta sia nell’ambrosia che nel nettare, perché
il nettare protegge la vita sconfiggendo la morte prematura, mentre l’ambrosia assicura la giovinezza eterna eliminando
la vecchiaia e perciò la morte naturale. Lo riprova il fatto che nel mondo vedico e omerico la nozione di esenzione dalla
morte naturale non include la nozione di esenzione dalla morte prematura. Anche chi, come gli dei, è per natura
predisposto all’immortalità non sfugge al pericolo della morte innaturale. E, di contro, chi per natura è mortale, può
proteggersi con un talismano dal rischio di non raggiungere la fine naturale della vita. Un dio immortale può rischiare la
morte violenta anche per mano umana. Solo la morte prematura è provocata da forze maligne, quella naturale è una
*mrto-
necessità. Anche in vedico il significato dei composti privati di sarebbe riportabile alla doppia nozione di
“immortalità e vitalità”, dunque l’immortalità consiste nello scampare alla morte prematura.
- Riassumiamo e concludiamo:
1. La rappresentazione della morte e del male come una strettoia e della vittoria sulla morta e sul male come un
“attraversamento” della strettoia, corrente nel pensiero vedico, è indoeuropea. Il significato del greco ‘nettare’ si
motiva in questa rappresentazione.
2. La distinzione tra morte prematura e morte naturale è indoeuropea: solo la prima può essere “attraversata”. Il nome
del nettare contiene, nel suo primo membro, il nome della morte prematura.
3. Il nome della morte naturale è invece contenuto nel nome dell’ambrosia. Il suo ricorrere in coppia col nome del
nettare si motiva nella differente funzione dei due alimenti divini. Nella nozione indoeuropea dell’immortalità
l’esenzione di una non include la protezione dell’altra.
4. Nella tassonomia vedica la morte naturale è soltanto quella per vecchiaia; nella tassonomia greco-latina è naturale
anche la morte per malattia. Nel pensiero greco-latino viene introdotto il concetto di fato che restringe la categoria della
morte prematura alla morte violenta. Una serie di formule comuni al greco e al sanscrito vedico mostra che il greco
preistorico ha conosciuto la tassonomia vedica: essa, dunque, è più antica di quella greca.
- Belardi ah mostrato che una caratteristica tipologica essenziale dell’indoeuropea preistorico è la trasparenza del segno.
“ Le lingue indoeuropee potrebbero essere sistemate ciascuna in un punto diverso di una scala diciamo così di
trasparenza formale interna delle parole.” Il sanscrito vedico e il greco si collocano all’estremo di massima trasparenza
di questa scala. Essi, in misura maggiore di ogni altra lingua, hanno conservato i procedimenti di derivazione radicale
interna o esterna rispetto alla struttura internamente articolata del vocabolo indoeuropeo.” La conservità è, tuttavia, un
incidente storico.
IL FILGIO COME IL PADRE. EPITETI E INVERSIONE DEI RUOLI IN UN PASSO DI OMERO*: Il passo omerico è riferito a
Iliade,1, 401. Potremmo intendere il passo : “che gli uomini danno a Briabreo l’epiteto proprio del padre perché è più
forte del padre”. Dunque in questo passo il figlio sostituisce il proprio nome con quello del padre perché lo supera in
una qualità. La preminenza del figlio sul padre come criterio che provoca lo scambio delle rispettive posizioni è un
principio ben conosciuto nel mondo indiano. Il principio è codificato nelle leggi di Manu, dove è riferita la leggenda di
Sisu con l’esplicita indicazione della preminenza del figlio quale causa della sua sostituzione al padre. Il passo omerico e
quelli indiani contengono la stessa idea ispiratrice: il figlio che supera il padre si sostituisce a lui negli onori che gli
spettano, diventando padre egli stesso con uno scambio di posizioni che si manifesta, innanzitutto, nella trasposizione
delle denominazioni: gli uomini chiamano Briabreo con l’epiteto proprio del padre perché lo supera nella forza, Sisu
chiama padre se stessi e figli i suoi ascendenti naturali perché li supera nella sapienza. La supremazia per gli Indiani è
basata sulla conoscenza, mentre in greco sulla forza.
I casi in cui il greco adatta e reinterpreta elementi che meglio sono conservati nella cultura indiana non sono limitati a
questo.
FRA MONDI INDIANO E MONDO GERMANICO. LA MADRE DI VRTRA E LA LOTTA DI BEOWULF: L’inno I,32 del Rig Veda
è quello che evoca la lotta di Idra contro Vrtra con maggiore dovizia di particolare ed è l’unico inno che ricorda
l’uccisione della madre di Vrtra. Per questo la si considera una strofa interpolata. Si crede, comunque, che l’uccisione
della madre del mostro, nonostante l’attestazione isolata, appartenga a una versione isolata del mito. L’uccisione è
rappresentata con i termini di un esorcismo: così come veniva fatto per i demoni, anche Vrtra è fatto a pezzi da Indra
che lo riduce come i rami di un albero tagliati con l’ascia. Anche lui, come i demoni, è stritolato. Indra lo ricaccia nella
tenebra e, negli esorcismi, Indra e Soma sono sempre invocati con questa funzione. Gli epiteti di Vrtra sono “senza piedi
e senza mani” e sono spiegabili dal momento che si tratta di un serpente, ma anche da “senza membra e senza spalle&rdq