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SCRITTURA.
È necessario ricordare che l’emigrazione ha colpito soprattutto le regioni e le classi in cui l’uso del
dialetto era molto diffuso. L’emigrazione interessò varie categorie professionali e varie classi di
reddito, oltre che i due sessi: le donne erano culturalmente inferiori ai padri, mariti, fratelli.
Dall’indagine di Coletti, possiamo trarre dei dati interessanti circa la composizione sociale e
professionale degli immigrati:
1. soprattutto ceti rurali;
2. ad essi vanno aggiunte persone di condizioni ignota e casalinghe;
3. manodopera non qualificata che abbandonava le campagne.
Secondo quanto analizzato sino a questo momento, possiamo affermare che l’emigrazione ha inciso
soprattutto sugli analfabeti dialettofoni; d’altra parte, risulta che gli emigrati italiani erano
sostanzialmente analfabeti. Per l’analfabetismo esiste una controprova: dopo la prima guerra
mondiale - con l’emanazione della Literacy Act, che chiedeva agli immigrati di essere non analfabeti
- si constatò una lenta diminuzione dell’emigrazione italiana.
L’analisi della situazione ci permette di fare delle constatazioni a proposito della situazione
linguistica dell’emigrazione italiana; innanzitutto essa può essere studiata secondo tre fattori:
I. come causa della diminuzione della popolazione;
II. come causa dell’incremento delle risorse nazionali;
III. come accrescimento della condizione intellettuale e professionale dell’immigrato.
L’emigrazione andò a diradare la popolazione dei ceti e delle regioni con un più alto numero di
analfabeti e di dialettofoni; questo provocò: Pagina 16
- diminuzione della massa dei dialettofoni;
- si ridussero i fanciulli di famiglia analfabeta;
- vennero agevolate le deboli strutture della scuola nel loro compito di insegnare la lingua
italiana.
Chiaramente, le conseguenze altrettanto importanti avvennero sul piano economico, perché la
crescita spinse a: AUMENTO DEI SALARI
MIGLIORAMENTO DEI PATTI AGRARI
RISTRUTTURAZIONE DELLA PROPRIETÀ
SOMMOVIMENTO DELLE VECCHIE COMUNITÀ RURALI AVVIATE VERSO VITA MIGLIORE E
ISTRUZIONE, CON CONSEGUENTE USO DELLA LINGUA NAZIONALE
Importante fu anche l’influenza dei emigrati su tutti coloro che invece sceglievano di rimanere nelle
proprie terre, perché in primo luogo arrivano ingenti quantità di denaro, in secondo luogo,
influivano in modo massiccio dal punto di vista linguistico. Al ritorno dall’estero, l’emigrante si
inseriva in queste piccole comunità rurali come elemento di progresso, perché egli tornava con il
proprio dialetto - non scalfito da anni di lingua straniera - ma portava con sé la capacità di ritenere
importante l’uso delle “lettere”.
La correlazione tra emigrazione e progresso nell’istruzione dei primi decenni di vita unitaria
è piuttosto evidente. IL Coletti - autore di un’indagine molto interessante - palesò come il calo
dell’analfabetismo si potesse considerare più elevato in tutte quelle zone che avevano subito
maggiormente il fenomeno dell’immigrazione, come Abruzzi, Basilicata e Lombardia.
Rispetto all’emigrazione estera, ha avuto sicuramente più rilievo la migrazione interna al paese.
5
Per comprendere nel modo migliore questo fenomeno non si può prescindere dall’analizzare la
grande trasformazione economica italiana nel periodo successivo all’unificazione del Paese.
Possiamo affermare che l’Italia fosse un paese prettamente agricolo e che al momento
dell’unificazione non fosse così alta la percentuale degli addetti ad attività industriali; tuttavia già
alla metà degli anni ’50 la percentuale di chi si dedica all’industria è nettamente aumentata.
Nel secondo dopoguerra, l’aumento del reddito e del tempo libero
permetteranno alla scuola, radio e televisione di incrementare lo sviluppo
della lingua comune.
5 Questo fenomeno è stato molto studiato soprattutto per quanto riguarda le sedi di partenza.
Meno numerosi sono invece gli studi sullo sviluppo dei grandi centri urbani e sulle sedi di arrivo
degli emigranti. Pagina 17
La povertà e mancanza di mezzi spingeva l’emigrazione, non solo verso paesi stranieri, ma anche in
altre zone del Paese - verso città più ricche - in cui industrie e servizi i n e r e n t i
QUESTO FENOMENO HA CONTRIBUITO A
RINNOVARE IL VOCABOLARIO DELLA LINGUA
ITALIANA E DEI DIALETTI CON L’IMMISSIONE IN
VARI AMBITI LAVORATIVI E DELLA VITA
QUOTIDIANA DI OGGETTI CHE HANNO LA
STESSA DENOMINAZIONE IN DIVERSE ZONE
DEL TERRITORIO ITALIANO. SI CREA UNA
NOMENCLATURA AGRICOLA E DOMESTICA, CHE
RISULTA UNITARIA IN TUTTO IL TERRITORIO.
avevano la tendenza ad insediarsi più facilmente.
L’URBANESIMO è stato il fenomeno più palese e quello con maggiori conseguenze dal punto di
vista linguistico ed economico.
L’industrializzazione introduce nuovi elementi costituiti
da: elementi estranei
A. basi lessicali diverse dall’italiano; all’italiano, ma che lo
B. prefissazione; avvicinarono a lingue
europee di strutture
C. suffissazione. diverse.
Per comprendere le conseguenze dal punto di vista linguistico, è indispensabile analizzare i centri
urbani a seconda della loro dimensione.
esistevano 52 centri che 4 regioni non avevano esistevano 20 grandi città
1861 superavano i 20.000 centri di queste concentrate soprattutto
abitanti proporzioni: Venezia nell’Italia centro -
Tridentina; Umbria; settentrionale, ma in
Abruzzi; Basilicata. particolare settentrionale
(Trieste; Venezia; Verona;
Lucca; Livorno; Roma,..)
il numero di centri sale a
1951 287
il numero sale a 325
1961 centri.
Questo fenomeno riguarda la situazione linguistica per due aspetti:
l’indebolimento degli idiomi dialettali locali; Pagina 18
la nascita di centri in cui l’azione delle forze che spingono per la diffusione dell’italiano
sono molto concentrate.
Questa analisi interessa maggiormente se ci fermiamo a considerare solo i centri maggiori (96).
Sul piano linguistico, la situazione degli idiomi locali ebbe un rilievo ancora maggiore, perché è
stato doppio:
• gli idiomi dialettali delle località di emigrazione hanno perduto un sesto dei loro parlanti;
• gli idiomi delle 96 città si sono indeboliti, perché i parlanti si sono dovuti integrare con gli
immigrati, che nel giro di poche generazioni li hanno superati.
L’effetto di questo fenomeno non ha interessato solo chi risiedeva in città, ma anche chi arrivava,
perché gli idiomi locali hanno perduto un certo numero di parlanti ed è venuta a mancare la base
tradizionale, proprio perché i locali sono dovuti venire in accordi con gli immigrati.
È proprio questo scambio che incentiva l’adozione di varietà regionali dell’italiano, ossia l’adozione
di un sistema linguistico che funzionasse attraverso norme più o meno intrise di caratteristiche
foniche e di vocaboli dialettali.
Visto che buona parte degli immigrati proviene in buona parte dalla stessa provincia o regione della
città di immigrazione, si può concludere che metà degli immigrati parla un idioma dialettale molto
affine a quello dei locali; questi ultimi si trovano in una posizione di forza rispetto agli immigrati,
per due motivazioni:
erano un gruppo omogeneo rispetto a quello disomogeneo degli immigrati;
✤ immigrati parlano un dialetto affine a quello locale.
✤gli
Esiste un altro dato che ha rallentato il processo di indebolimento dei dialetti: il pareggio tra
immigrati e nativi.
Le 96 città possono dividersi in tre gruppi:
PRIMO GRUPPO SECONDO GRUPPO TERZO GRUPPO
(6 città) (58 città) (32 città)
Alessandria; Novara; Milano;
Faenza; Como; Varese;
Livorno; Udine; Bologna;
Lucca; Venezia; Firenze;
Pisa; Ravenna; San Remo;
Caserta. Siena; Torino;
Perugia; Busto Arsizio.
Marsala;
Sassari.
qui se non fossero intervenuti mezzi qui alcune città si segnalano per una le correnti immigratorie sono
esterni, come scuola, radio, etc intensa immigrazione; altre, invece, riuscite in queste città a svolgere
avremmo avuto un’alta presentano un numero di immigrati pienamente la loro azione.
concentrazione di dialettofoni. nettamente inferiore a quello dei
nativi. Pagina 19
In una grande fetta di città italiane, la forte osmosi tra la popolazione immigrata e quella locale è
stata la giusta spinta verso un indebolimento dei dialetti locali; in Veneto e in Friuli - Venezia -
Giulia - in cui sono incorse motivazioni anche di carattere politico - il dialetto aveva e ha tuttora
6
una grande forza di sopravvivenza.
È GIUSTO CONCLUDERE CHE L’URBANESIMO NON HA SEMPRE PRODOTTO OVUNQUE LE
INTENSE CORRENTI IMMIGRATORIE NECESSARIE A SCALZARE LE TRADIZIONI DIALETTALI
PREESISTENTI, SEBBENE SIA STATO IL FENOMENO PIÙ INFLUENTE A LIVELLO LINGUISTICO.
Se tali concetti possono andare bene per queste grandi città, già nel corso del 1936 la situazione si
andava diversificando e questo viene testimoniato dal Giusti in “Sviluppo dei centri urbani 162”.
Alcuni fattori come:
- cambiamento delle tecniche belliche grazie alla meccanizzazione;
- seconda rivoluzione industriale relativa al trasporto di energia;
- il nuovo modo di trasmissione delle informazioni;
sono stati in grado di offrire la possibilità di un’urbanizzazione senza città ed estendere una rete di
servizi - tipica delle città tradizionali - a vaste zone di territorio.
IL GIUSTI SEGNALA IL NUMERO DI COMUNI IN
CUI SI VERIFICANO TALI CONDIZIONI SIA
INTORNO A 200; TUTTAVIA MENTRE EGLI
CONDUCE LA SUA INDAGINE SI STIMA CHE IL
NUMERO FOSSE AUMENTATO A 450, PER POI
C I S O N O D U E FAT TO R I C H E ARRIVARE A 500 NEL 1951 E SCENDERE A 488
CONTRIBUISCONO A QUESTO CALO: NEL 1961.
molte città sono passate a una classe
superiore nel 1961 e questo aumento non è
stato interessato a promozioni dalla classe
inferiore, visto lo spopolamento che ha colpito
i centri sotto i 10.000 abitanti;
accanto a zona agricole che si sviluppavano
su maglie larghe, si formano vasti
comprensori di riforma agraria.
Per concludere, possiamo affermare che alcuni fattori - osmosi demografica e concentrazione
delle forze divulgatrici della lingua comune - abbiano reso palesi gli effetti dell’urbanesimo in
vaste zone del territorio agricolo italiano. In questo contesto, la staticità demografica di una
parte delle grandi città è stata compensata da uno sviluppo seppure tardivo delle zone
6 Fenomeno analogo si segnala anche per la Campania e la Sicil