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Sebbene la pubblica amministrazione sia tenuta ad eseguire le decisioni del
giudice, può avvenire che essa, attraverso comportamenti omissivi,
ostruzionistici, elusivi, dilatori ecc., si astenga dall’ottemperare alla pronuncia.
L’inesecuzione di quest’ultima finisce col vanificare lo scopo della tutela
giurisdizionale costituzionalmente garantita, ossia viola l’art. 111 Cost. ove esso
tutela il principio di effettività. L’ordinamento, pertanto, appresta dei rimedi per
assicurare in concreto la fruttuosità della pronuncia giudiziale rimasta ineseguita
dall’amministrazione soccombente.
Per le sentenze passate in giudicato è ammesso il rimedio del ricorso in
ottemperanza, esperibile anche per le sentenze esecutive ancora soggette ad
impugnazione ordinaria. Analoga previsione vale per le ordinanze decisorie
rimaste ineseguite .
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Il ricorso in ottemperanza attualmente è disciplinato dagli artt. 112 e ss. c.p.a.
nonché dalla giurisprudenza. In forza di tale complesso normativo sono
attualmente assistiti dal ricorso in ottemperanza:
a) le decisioni dei giudici amministrativi (Tribunali regionali, Consiglio di
Stato, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana);
b) le decisioni dei giudici ordinari;
c) le decisioni di alcuni giudici speciali, che non siano essi per legge giudici
dell’ottemperanza quanto alle proprie decisioni (come i giudici tributari);
d) i lodi arbitrali.
Il fatto che a seguito di una sentenza civile di condanna possa esperirsi il rimedio
dell’esecuzione forzata, secondo le norme del c.p.c., non esclude la proponibilità
del giudizio di ottemperanza quale misura alternativa concorrente.
Nel dettaglio, l’art. 112 c.p.a. prevede che l’azione di ottemperanza possa essere
proposta per conseguire l’attuazione:
a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;
b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice
amministrativo;
c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse
equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento
dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto
riguarda il caso deciso, al giudicato;
d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse
equiparati di giudici speciali, privi del potere di assicurare l’ottemperanza
delle proprie decisioni, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della
pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;
e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili, al fine di ottenere
l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi,
per quanto riguarda il caso deciso, ai lodi medesimi.
9 Sulle ordinanze cautelari si veda quanto detto prima sull’art. 59 c.p.a.
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Presupposto del giudizio di ottemperanza è l’inadempimento da parte
dell’amministrazione dell’obbligo di conformarsi alla statuizione del giudice. Per
inadempimento deve ormai intendersi non solo l’inosservanza palese e completa
del giudicato, ma anche l’inesecuzione parziale elusiva o implicita. Pertanto,
l’oggetto proprio del giudizio di ottemperanza è costituito dalla verifica se la
pubblica amministrazione abbia o meno adempiuto all’obbligo nascente dal
giudicato e abbia attribuito alla parte vittoriosa del processo concluso quell’utilità
concreta ha riconosciuto come dovuta.
L’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla
pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla
sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta (art. 114 c.p.a.). Unitamente
al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede
l’ottemperanza con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato. L’azione si
prescrive con il decorso di 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Legittimate a proporre ricorso sono, per regola, le parti risultate vittoriose nel
giudizio di cognizione conclusosi con la sentenza di cui si chiede l’esecuzione.
Legittimata passiva è l’amministrazione inadempiente, che fu parte nel giudizio
pregresso.
Si accennava poco prima alla circostanza per cui l’attività amministrativa di
adeguamento al giudicato può incontrare limiti dovuti a sopravvenienze di fatto o
sopravvenienze di diritto.
Facciamo qualche esempio di sopravvenienza di fatto: illegittima soppressione di
un reparto ospedaliero, il cui dirigente abbisognava di un periodo continuativo di
servizio per beneficiare di una sanatoria al fine dell’avanzamento in carriera, e
sopravvenuta impossibilità di ricostituzione del reparto per assenza di malati, nel
frattempo ricoverati in altre strutture sanitarie; costruzione di opera pubblica su
terreno illegittimamente espropriato, che rende impossibile la restituzione ecc. Le
sopravvenienze di fatto, qualora irreversibili, comportano l’inevitabile
impossibilità di eseguire il giudicato.
Delle sopravvenienze di diritto occorre fornire un’analisi più approfondita, poiché
danno luogo ad una problematica molto complessa, addirittura fondata sul
corretto articolarsi di rapporti costituzionali, a causa della reciproca interferenza
fra potere legislativo e potere giudiziario, con ricaduta sul potere amministrativo,
il quale è soggetto al potere legislativo in forza del principio di legalità e a quello
giudiziario in forza dell’art. 113 Cost.
Sopravvenienza di diritto è quella consistente in un mutamento di disciplina
giuridica intervenuto fra il momento in cui, da parte di una pubblica
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amministrazione, fu operata la lesione di situazione protette ed il momento in cui
la pronuncia giudiziale, accertante l’avvenuta lesione, deve essere eseguita dalla
pubblica amministrazione. La sopravvenienza, quindi, può cadere sia prima che
dopo la formazione della regiudicata. Il problema cui si accennava poc’anzi
consiste in ciò: si tratta di vedere se – in caso di contrasto fra giudicato e
10 Per cambiamento di disciplina giuridica si intende tanto quello discendente da norma di legge o di
regolamento, quanto quello provocato da atti amministrativi generali (come gli strumenti di pianificazione
urbanistica o commerciale) costituenti parametro per provvedimenti amministrativi singolari (ad esempio,
concessioni e autorizzazioni rilasciabili alla stregua delle previsioni di piano).
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disciplina giuridica sopravvenuta – la pubblica amministrazione debba dare la
prevalenza al primo oppure alla seconda. Entrambe le soluzioni rispondono a due
esigenze ugualmente apprezzabili, eppure fra loro apparentemente inconciliabili.
La prima esigenza, fondata su un principio di civiltà giuridica, comporta che la
durata del processo non debba risolversi in danno di chi ha ragione . L’altra
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esigenza, invece, deriva dal fatto che il potere normativo e quello di conformazione
dell’attività di privati – quale il potere di pianificazione urbanistica – sono
esercitati in vista del perseguimento di interessi pubblici, svincolati dalla singola
situazione soggettiva dedotta in uno specifico processo e dagli stessi tempi
processuali. Pertanto, se è vero che il rispetto del giudicato costituisce
l’imprescindibile conseguenza del principio di azionabilità delle pretese, è pur
vero che la soddisfazione dell’interesse privato, riconosciuto in sentenza, non
dovrebbe prevalere sull’interesse pubblico, come interpretato dal legislatore e
dall’amministrazione cui è affidata la funzione di curarlo e realizzarlo. Ai fini
dell’ottemperanza è importante individuare il momento dopo il quale alla pubblica
amministrazione, titolare del potere di modificare la disciplina giuridica, è inibita
la possibilità di incidere su questa. Secondo una tesi la normativa applicabile
sarebbe quella vigente al momento della pubblicazione della sentenza da
eseguire; secondo altra tesi, che si direbbe prevalente, tale momento è da
ravvisare in quello coincidente con la notificazione della sentenza medesima.
Naturalmente, nei casi in cui si configurasse un’elusione di giudicato per eccesso
di potere legislativo vi è la possibilità di rimettere la questione alla Corte
costituzionale. Se poi, si ravvisa la dolosa volontà della pubblica amministrazione
di inottemperare al giudicato per ragioni estranee alla tutela dell’interesse
pubblico, ricorrendo, fra l’altro, a surrettizie modifiche di disciplina giuridica (per
esempio, modifiche artificiose degli strumenti di pianificazione), è dato l’intervento
del giudice penale.
L’art. 113 c.p.a. distribuisce la competenza a decidere i ricorsi per l’esecuzione
del giudicato fra il Tribunale amministrativo regionale e il Consiglio di Stato . La
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distribuzione di competenza si articola come segue.
a) Se la sentenza rimasta ineseguita è del Tribunale amministrativo regionale,
il ricorso per l’esecuzione va proposto di fronte allo stesso Tribunale
amministrativo regionale.
b) Se la sentenza da eseguire è del Consiglio di Stato, il ricorso va proposto di
fronte al Consiglio di Stato, soltanto nell’ipotesi in cui essa abbia accolto
l’appello avverso l