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D) L’aumento del petitum
L’estensione del petitum è stata a lungo ritenuta inconfigurabile. Questa
dovrebbe riguardare in astratto o atti ulteriori o il passaggio dalla richiesta di
annullamento parziale alla richiesta di annullamento totale. Tuttavia, in tali casi,
o si tratta di provvedimenti già conosciuti quando fu proposto il ricorso
introduttivo – e allora bisognava proporre l’impugnativa completa o anche quella
avverso gli atti diversi da quello già impugnato, pena la decadenza per decorso del
termine – oppure il termine non è tuttora scaduto e, perciò, è possibile proporre
un nuovo ricorso. Fino all’emanazione della l. 205/2000 non si consentiva di
incrementare il petitum mediante aggiunta di nuove domande a quelle già
formulate nel ricorso introduttivo. Pertanto, chi, in corso di giudizio, volesse
impugnare un provvedimento sopraggiunto, ancorché connesso a quello già
impugnato, doveva utilizzare la forma del ricorso autonomo. A maggior ragione
tale via era l’unica praticabile se il ricorrente avesse inteso proporre un’azione di
condanna connessa a quella di annullamento già radicata. Con la legge 205/2000
è stato reso possibile l’aumento del petitum. Perciò, se in corso di causa il
ricorrente viene a conoscenza di un atto sopravvenuto, connesso a quello
impugnato e riguardante le stesse parti, può dar luogo ad un cumulo omogeneo
sopravvenuto. Quindi, non è più necessario notificare un ricorso autonomo, ma è
sufficiente notificare (entro 60 gg) e depositare (nei 30 gg successivi) un atto
integrativo, chiedendo l’annullamento dell’atto sopravvenuto. Tuttavia, il
legislatore del 200 chiama questo fenomeno motivi aggiunti, sebbene si tratti di
aumento del petitum, e non della causa petendi. Tale linguaggio normativo
impreciso è rinvenibile anche nel codice del processo amministrativo . Ne deriva
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che è compito dell’interprete il dover distinguere, volta per volta, se in una
disposizione sui motivi aggiunti è l’incremento della causa petendi (motivi
aggiunti in senso proprio) o l’incremento del petitum, oppure ambedue gli istituti.
Vediamo ora le modalità previste per modificare la domanda giudiziale. Qualora la
riduzione consista nella rinuncia a qualcuna delle molteplici ragioni poste a
fondamento della domanda, sembra che la disciplina elaborata in passato dal
diritto giurisprudenziale sia rimasta immutata. Il codice, infatti, non disciplina la
riduzione della causa petendi. Pertanto, la rinuncia a singoli motivi può essere
contenuta in una dichiarazione del difensore in udienza, documentata a verbale,
oppure in un atto scritto, sebbene non notificato, inserito nel fascicolo di causa.
Abbiamo detto che la riduzione del petitum può consistere nel passaggio dalla
richiesta di annullamento totale a quella di annullamento parziale, oppure nella
dismissione di una delle azioni congiuntamente esercitate. In materia di riduzione
del petitum, relativamente a questa seconda ipotesi, sembra applicabile l’art. 84
32 In ogni caso, ancora prima del codice del processo amministrativo, la regola dei motivi aggiunti in senso
proprio era accettata come diritto vivente.
33 Si vedano al riguardo gli artt. 43 e 104 c.p.a.
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c.p.a., il quale, letteralmente, disciplina la rinuncia al ricorso, salva la differenza
fra rinuncia all’azione e rinuncia alla pretesa – dal punto di vista sostanziale – le
due figure sono assimilabili quanto alle modalità rituali, perciò occorre seguire le
formalità indicate nell’art. 84 citato, anche se una parte della domanda giudiziale
e della pretesa sostanziale rimane in vita: dichiarazione resa in udienza e
verbalizzata oppure dichiarazione notificata alle controparti almeno 10 gg prima
dell’udienza e poi depositata in segreteria. In sostanza, l’art. 84 parrebbe
applicabile non solo nel caso di rinuncia al ricorso, ma anche, per analogia, nel
caso di rinuncia ad una delle azioni inserite nel ricorso cumulativo. Nell’ipotesi di
passaggio dalla richiesta di annullamento totale alla richiesta di annullamento
parziale, l’art. 84 non pare invece invocabile.
Per aumentare le ragioni di doglianza (proposizione di motivi aggiunti in senso
proprio) o il petitum, gli adempimenti rituali sono quelli stabiliti per la
proposizione del ricorso introduttivo, stante il disposto dell’art. 43 c. 1 c.p.a.
Inoltre, la procura al difensore si intende conferita anche per l’ampliamento sia
della causa petendi sia del peitum (art. 24 c.p.a.). L’atto che contiene i motivi
aggiunti deve essere notificato alle altri parti nel domicilio eletto – se esse siano
già costituite – altrimenti nel domicilio reale, entro il termine perentorio di 60 gg
decorrenti dalla conoscenza dei nuovi profili di invalidità. Alla notifica segue il
deposito in segreteria, nel termine altrettanto perentorio di 30 gg. La redazione
dell’atto deve rispettare le forme già viste per la redazione del ricorso, ma, come
detto, non occorre nuovo mandato al difensore. L’addizione di motivi è consentita
alle condizioni di cui sopra non solo per il ricorso principale, ma anche per il
ricorso incidentale.
Alla trattazione della causa, ossia all’udienza di trattazione di fronte al collegio, si
perviene soltanto se una delle parti – di solito, il ricorrente – ha presentato
l’istanza di fissazione dell’udienza, indirizzata al presidente . Se la presentazione
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di tale istanza non ha luogo entro un anno dal deposito del ricorso o dalla
cancellazione della causa dal ruolo, la causa si estingue per perenzione (il ricorso
è perento). In presenza dell’istanza di trattazione, il presidente con proprio
decreto nomina il giudice relatore e fissa la data dell’udienza di discussione,
decorso il termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. La parte
può segnalare l’urgenza del ricorso depositando istanza di prelievo . Talora la
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legge prescrive la trattazione con priorità (art. 72 c.p.a.). In particolare, se al fine
di decidere la controversia occorre risolvere una singola questione di diritto, e se
34 Sono fatte salve quelle ipotesi in cui l’udienza di trattazione è fissata d’ufficio o quei riti speciali che non
contemplano l’udienza di discussione.
35 L’istanza di prelievo nasce come istanza volta a sollecitare la trattazione del ricorso. Occorre segnalare che,
dopo il decorso di 5 anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito
avviso, in virtù del quale è fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza,
sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura e dal suo difensore, entro 180 gg dalla data di ricezione
dell’avviso. In difetto di tale nuova istanza il ricorso è dichiarato perento. Se, in assenza dell’avviso appena
menzionato, è comunicato alle parti l’avviso di fissazione dell’udienza di discussione del merito, il ricorso è
deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in udienza a mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla
decisione, altrimenti è dichiarato perento dal presidente del collegio con decreto.
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le parti concordano sui fatti di causa, il presidente fissa con priorità l’udienza di
discussione. Il collegio, se rileva l’insussistenza dei presupposti menzionati,
dispone con ordinanza che la trattazione della causa prosegua con modalità
ordinaria .
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Una volta che la data dell’udienza sia stata fissata con decreto, la segreteria ne dà
comunicazione al ricorrente e alle parti costituite, almeno 60 gg prima. Il termine
è ridotto a 45 gg, su accordo delle parti, se l’udienza di merito è fissata a seguito
di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare. Le parti possono:
a) produrre documenti fino a 40 gg liberi prima dell’udienza;
b) produrre memorie fino a 30 gg;
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c) presentare repliche fino a 20 gg liberi;
d) discutere sinteticamente nell’udienza.
Alla data stabilita ha normalmente luogo l’udienza di trattazione, salvi eventuali
impedimenti. Questa, si svolge davanti al collegio, è diretta dal presidente e