Riassunto esame Giustizia Amministrativa, prof. Juso, libro consigliato Lineamenti di Giustizia Amministrativa
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Tale ricorso ha carattere eccezionale; è ammesso solo nei casi tassativi previsti dalla legge; la
procedura è differente da caso a caso.
3.2. Natura del ricorso gerarchico.
Non è certamente quella di sostituzione amministrativa, né quella di tutela individuale dell’interesse
del ricorrente: sta a metà strada, posto in essere nell’interesse dell’amministrazione, ma solo nei limiti
in cui il provvedimento amministrativo incida su posizioni giuridiche soggettive di un privato; è il
privato a portare a conoscenza del superiore gerarchico il provvedimento prospettando i soli motivi
di merito che la interessano.
Quindi il ricorso gerarchico è nel contempo strumento nell’interesse pubblico dell’amministrazione
e del privato; ricordiamo che oggetto di tale gravame sono solo i provvedimenti non definiti in senso
processuale, ma con il D.P.R 1199/71 e con la Legge 1034/71 (istituzione dei TAR) è stato consentito
il ricorso giurisdizionale anche nei confronti di provvedimenti non definitivi, rendendo facoltativo
l’esperimento del ricorso. Ma allora perché si mantiene tale tipo di gravame? Per due motivi:
Perché un eventuale provvedimento decisorio e satisfattivo per il ricorrente chiuderebbe il
caso, gli garantirebbe ogni tutela e sarebbe rafforzato l’interesse pubblico ad un
provvedimento legittimo;
Mentre l’organo giurisdizionale può sindacare solo la legittimità dell’azione amministrativa,
nella sede amministrativa possono essere dedotti anche vizi di merito, offrendo maggiori
possibilità di difesa per la posizione di vantaggio dell’interessato.
Con il ricorso gerarchico sono tutelabili sia gli interessi legittimi che i diritti soggettivi, ma in realtà
il ricorso non è strumento di tutela, ma di riesame: laddove venga accolto garantisce anche la tutela
dei diritti.
3.3. Fasi del procedimento.
Il ricorso gerarchico è ammesso in un’unica istanza: quindi anche in caso di pluralità di gradi di
gerarchia, il ricorso va proposto una sola volta: il provvedimento messo in seguito al primo ricorso è
definitivo.
Il ricorso deve essere presentato entro 30 gg dalla notifica o dalla conoscenza legale dell’atto.
Il ricorso contenente l’indicazione del provvedimento impugnato, dei motivi del ricorso e la
sottoscrizione del ricorrente può essere presentato:
Direttamente all’autorità competente, mediante consegna all’ufficio, che ne rilascia ricevuta;
Mediante notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario;
Raccomandata con ricevuta di ritorno.
Se il ricorso è stato presentato nei termini ad un organo diverso da quello competente, ma
appartenente alla medesima amministrazione, il ricorso stesso non è più dichiarato irricevibile ma
viene trasmesso, d’ufficio, dall’organo cui è stato presentato all’organo competente. Se, invece,
l’organo a cui è stato presentato il ricorso non appartiene alla stessa amministrazione di quella
competente, il soggetto, ove ne ricorrano i presupposti, potrà invocare la sospensione del termine per
errore scusabile.
Nel ricorso gerarchico non vi è una garanzia piena del contraddittorio, come invece è prescritto per
il procedimento giurisdizionale: il ricorrente non è tenuto a dare notizia del ricorso né all’organo che
ha emesso l’atto di primo grado, né ai c.d. controinteressati.
Rispetto all’organo di 1° grado non è prevista alcuna forma di contraddittorio: nel ricorso gerarchico
l’interesse istituzionale dell’amministrazione è già garantito dal fatto che il ricorso sia diretto
all’organo sopraordinato a quello che ha emanato l’atto impugnato. 14
Per quanto riguarda i controinteressati, si impone all’organo adito con il ricorso di comunicarlo ai
controinteressati stessi, per consentire ad essi di presentare memorie scritte e documenti entro 20 gg
dalla comunicazione del ricorso; non possono però addurre motivi avverso l’atto impugnato.
I poteri istruttori di cui dispone l’organo competente a decidere il ricorso gerarchico sono
sommariamente definiti nell’art. 4 D.P.R. 119/71, secondo cui l’amministrazione può disporre tutti
gli accertamenti utili ai fini della decisione; dunque il contenuto dei mezzi istruttori non è definito
dalla norma che ha portata generale (non sono ammessi mezzi istruttori incidenti su diritti
costituzionalmente garantiti, ad esempio perquisizione generale, ispezioni personali).
Pertanto, si ritiene che l’amministrazione possa disporre di ogni mezzo istruttorio opportuno.
La presentazione del ricorso non ha efficacia sospensiva del provvedimento impugnato.
L’autorità procedente d’ufficio o ad istanza del soggetto interessato può sospendere, per gravi motivi,
l’esecuzione dell’atto impugnato. L’istanza per la sospensione del provvedimento può essere
contenuta nello stesso ricorso, o può essere presentata in seguito, negli stessi modi previsti per la
presentazione del ricorso.
In conseguenza della sospensione restano paralizzati gli effetti giuridici dell’atto e non possono essere
compiuti atti di esecuzione o che, comunque, presuppongono l’efficacia del provvedimento.
3.4. La decisione. Problematiche relative al silenzio della P.A.
L’obbligo della pronuncia in capo all’Autorità adita è imposto per il ricorso gerarchico, attraverso la
previsione di un congruo termine entro il quale la P.A. adita deve decidere: in caso di inerzia la P.A.
è formalmente messa in mora.
La diffida a decidere potrà essere notificata solo se trascorso un certo lasso di tempo.
Il privato ha diritto ad ottenere una decisione. Con la riforma, il D.P.R. 1199/71 ha stabilito che
“decorso il termine di 90 gg (termine sia per decidere che per notificare) dalla data di presentazione
del ricorso senza che l’organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a
tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all’autorità giudiziaria
competente o quello straordinario del Presidente della Repubblica”. Nel termine di 90 gg la decisione
deve essere sia emessa che notificata all’interessato. È sparito, allora, l’onere della diffida, ed il
gravame giurisdizionale va indirizzato non contro il silenzio dell’amministrazione, ma verso il
provvedimento originariamente impugnato in via gerarchica.
Che succede se l’Autorità amministrativa decide il ricorso dopo la scadenza del termine legale?
Decorso inutilmente il termine di 90 gg senza che l’organo adito abbia comunicato la decisione, si
forma il c.d. silenzio rigetto. Al ricorso non può essere attributo effetto sostanziale, ma solo
processuale, abilitando il ricorrente all’immediata proposizione del ricorso giurisdizionale o di quello
straordinario del Presidente della Repubblica.
Decisione: il ricorso gerarchico viene risolto con una decisione amministrativa in senso stretto: deve
essere motivata e deve contenere tutti gli elementi posti a base del provvedimento per mettere in
condizione sia il destinatario che gli interessati di conoscere le ragioni di fatto ed i motivi di diritto
che abbiano indotto l’amministrazione ad adottare quelle conclusioni.
L’organo decidente può adottare questi provvedimenti:
Dichiara inammissibile il ricorso se non poteva essere proposto;
Se ravvisa una irregolarità sanabile, assegna un termine per la regolarizzazione, e se questi
non vi provvede dichiara improcedibile il ricorso;
Respinge il ricorso se lo ritiene infondato;
Se accoglie il ricorso per incompetenza, annulla l’atto e rimette l’affare all’organo
competente;
Se accoglie il ricorso per altri motivi di legittimità o di merito, annulla/riforma l’atto.
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Le decisioni favorevoli al ricorrente hanno per contenuto tre possibili atti:
a) L’annullamento del provvedimento impugnato (sia per motivi di legittimità che di opportunità)
con eliminazione del provvedimento conseguente alla sua declaratoria d’invalidità;
b) La riforma del provvedimento, che si inserisce in un procedimento di revisione, non di riesame;
c) Conferma del procedimento impugnato: in realtà non si ha conferma del provvedimento ma il
rigetto del gravame, perché l’Autorità decidente dichiara che i motivi del ricorso non sono fondati.
L’effetto della decisione è di chiudere il procedimento amministrativo in ordine ad un
provvedimento: quando è l’Autorità gerarchicamente superiore che ha deciso il ricorso, non è più
strumento di ulteriore riesame delle medesime situazioni.
Questo costituisce il c.d. effetto di definitività dell’atto amministrativo che può essere sia sostanziale
che processuale.
Altro effetto della decisione è l’applicazione del principio di costitutività che essa ha in quanto
provvedimento amministrativo.
Ulteriore effetto è la sua accessività al provvedimento originariamente impugnato: va inteso come
determinazione che si aggiunge al provvedimento originario.
4. I ricorsi atipici.
I ricorsi atipici sono gravami previsti per l’impugnativa di determinati atti o da norme speciali. Sono
atipici perché:
Possono essere proposti solo nei confronti di determinazioni indicate tassativamente da norme
positive;
Sono decisi da autorità create ad hoc, ovvero da organi che si trovino in posizione sui generis
rispetto alla gerarchia (propria o impropria) e che, sulla vicenda sottoposta alla loro
cognizione, consumano i loro poteri sulla pronuncia;
A volte sono configurati come strumenti di riesame, altre come ricorsi di revisione.
Le due categorie di ricorsi atipici sono: il ricorso gerarchico improprio (visto prima) e la opposizione:
è previsto dall’art. 7 D.P.R. 1199/71. Nella legislazione positiva indica due atti:
Opposizione-ricorso: gravame rivolto alla stessa autorità che ha emanato il provvedimento
impugnato. Ricorso atipico, in deroga al principio generale secondo cui verso ogni atto di
un’autorità subordinata è ammesso ricorso amministrativo all’autorità superiore. Non è un
rimedio di carattere generale ma eccezionale, utilizzabile solo nei casi tassativi previsti dalla
legge. L’opposizione, ove prevista, apre una fase semicontenziosa di 2° grado, alla quale
all’opponente è riconosciuto diritto ad ottenere comunque una risposta. Va instaurato il
contraddittorio poiché l’opposizione è finalizzata alla revisione quasi immediata dell’atto
impugnato al fine di eliminare le incertezze.
La pronuncia sul ricorso è emanata dalla stessa autorità che ha emanato l’atto: si apre un
procedimento contenzioso di 2° grado. Può essere proposto sia per motivi di legittimità che
di merito ed a tutela d’interessi legittimi o semplici, oltre che di diritti soggettivi. Il termine
per la sua proposizione è quello generale di 30 gg dalla notifica o dall’emanazione dell’atto
impugnato, ma la legge può prevedere, nei singoli casi, termini diversi.
Opposizione rimostranze (opposizione-deduzione): controdeduzioni ad un atto preliminare di
un procedimento, proposto da un soggetto che dal provvedimento finale possa essere leso e
chiede il ritiro dell’atto. Sono atti emanati da chi, coinvolto in un procedimento
amministrativo in itinere, intenda tutelare i propri interessi. 16
Tale opposizione si inserisce in un procedimento come atto della fase istruttoria, potendo
provocare la paralisi del procedimento. Si instaura un contraddittorio tra soggetti opponenti
che chiedono il provvedimento ed altri soggetti portatori di interessi diversi o opposti.
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Capitolo 5 – Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
1. Generalità.
Il ricorso straordinario è un rimedio amministrativo di carattere generale consistente nell’impugnativa
di un atto amministrativo definitivo, proposta dal soggetto interessato direttamente al Capo dello
Stato. Esso è ammesso solo per motivi di legittimità (art. 8 D.P.R 1199/71), mai per vizi di merito, e
può essere proposto sia per la tutela di interessi legittimi che di diritti soggettivi.
Il ricorso trae origine dal vecchio ricorso al Re, riconosciuto nello Stato Assoluto.
Oggi è il ministro competente che adotta le decisioni sul ricorso, previo parere obbligatorio e
vincolante del Consiglio di Stato, ed è lui a predisporre il decreto che sarà sottoposto alla firma del
Capo di Stato, il quale non ha potere di controllo. Il decreto conclusivo è poi controfirmato dal
ministro, che se ne assume tutte le responsabilità, a dimostrazione del fatto che si tratta di materia del
tutto amministrativa, nel quale il Presidente della Repubblica ha solo la funzione simbolica di firma.
Il ricorso è inammissibile in sede elettorale ed in materia di appalti.
2. Rapporti con il ricorso al TAR.
Il ricorso straordinario è alternativo a quello giurisdizionale amministrativo (electa una via, non datur
recursus ad alteram). Pertanto, secondo il principio di alternatività:
Se l’atto è impugnato con ricorso giurisdizionale al TAR, è inammissibile il ricorso
straordinario avverso lo stesso atto;
Se l’atto è stato impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, non è
impugnabile con ricorso al TAR.
La regola dell’alternatività ha la funzione di evitare che sullo stesso atto amministrativo intervengano
due pronunce giudiziali diverse (divieto del ne bis in idem) e che il Consiglio di Stato si pronunci due
volte sullo stesso atto (attraverso parere obbligatorio e vincolante in sede di ricorso straordinario e
come giudice d’appello in sede di ricorso giurisdizionale).
La preclusione della tutela giurisdizionale non lede i diritti costituzionali del ricorrente, in quanto è
riconducibile ad una scelta, quella di agire in via straordinaria.
2.1. Trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale.
La trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale è un istituto previsto a tutela dei
controinteressati intimati (ai quali cioè sia stato notificato il ricorso).
Poiché il ricorso offre maggiori garanzie rispetto a quello straordinario, deve essere consentita la
scelta fra le due forme di tutela non solo al ricorrente ma anche al controinteressato che non può
subire passivamente una scelta altrui ed è legittimato a chiedere che il ricorso sia trasposto in sede
giurisdizionale.
Impugnato l’atto con ricorso straordinario il ricorrente, avendo fatto la sua scelta, non può ricorrere
in sede giurisdizionale; invece i controinteressati al ricorso possono ancora scegliere, e quindi:
Aderire alla via scelta dal primo ricorrente;
Chiedere con opposizione (notificata al ricorrente ed all’autorità che ha emanato l’atto),
proposta entro 60 gg dalla notifica del ricorso straordinario, che il ricorso sia deciso in sede
giurisdizionale innanzi al TAR. In caso di inammissibilità dell’opposizione, il giudice adito
dispone la restituzione del fascicolo per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria.
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3. Natura del ricorso ed oneri processuali dei ricorrenti.
Il ricorso straordinario è inquadrato tra i ricorsi amministrativi.
1° onere del ricorrente: notifica dell’atto introduttivo all’autorità che ha emanato l’atto e ad almeno
uno dei controinteressati (portatore di una posizione opposta rispetto al petitum di annullamento) e
deve inoltre essere depositato con la prova della notifica; l’organo che ha emanato l’atto lo trasmetterà
al Ministero.
La notifica ed il deposito dell’atto introduttivo può avvenire a mezzo di ufficiale giudiziario o con
spedizione diretta di raccomandata con ricevuta di ritorno.
2° onere: è di fornire la prova rigorosa della notifica entro 120 gg dalla data di
notificazione/comunicazione del provvedimento impugnato o da quando l’interessato ne abbia avuto
piena conoscenza.
Il contraddittorio deve essere instaurato dallo stesso ricorrente: se egli, nel termine di 120 gg ha
notificato ad uno solo dei controinteressati, il ministro competente gli assegna un ulteriore termine
per l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti degli altri soggetti, i quali entro 60 gg
possono presentare deduzioni e documenti o un ricorso incidentale (impugnare l’atto anche per motivi
diversi da quelli dedotti) o fare opposizione e chiedere la trasposizione del ricorso in sede
giurisdizionale.
3° onere: il ricorso straordinario può essere esperito solo dopo la proposizione del ricorso gerarchico.
4. Istruttoria.
Il ricorso va presentato al ministro competente che sovraintende alla materia alla quale si riconduce
l’atto impugnato, che provvede all’istruttoria e decide sul ricorso, sentito il parere del Consiglio di
Stato.
Se il soggetto emanante sia sprovvisto di personalità giuridica, legittimato a ricevere e ad istruire il
ricorso sarà il ministro titolare della struttura presso cui è incardinata tale autorità.
Se si tratta invece di atti di enti pubblici diversi dallo Stato, dotati di personalità giuridica, in materie
non collegate ad alcuna competenza ministeriale, il ricorso andrà presentato alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri che ne cura l’istruttoria. Si è così stabilita una competenza suppletiva a
carattere generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In ogni caso, la notifica a tali soggetti non è indispensabile per l’ammissibilità del gravame, in quanto
spetta al ministero istruttore e referente l’onere di integrare d’ufficio il contraddittorio.
L’istruttoria deve concludersi entro 120 gg dalla scadenza del termine assegnato ai controinteressati
per la presentazione delle loro deduzioni; trascorso il termine, il ricorrente può chiedere se è stato
trasmesso il ricorso per il parere.
5. Motivi del ricorso.
I motivi del ricorso devono essere limitati alle sole censure di legittimità del provvedimento
impugnato, con esclusione dei motivi sul merito (opportunità/convenienza dell’azione
amministrativa). Poiché non è prevista una forma tassativa di redazione dell’atto introduttivo, si
ritiene applicabile il criterio dell’interpretazione della sua argomentazione in senso più possibilmente
aderente alla sua presumibile volontà.
Tale ricorso è regolato dal principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per cui sono da
considerarsi inammissibili i motivi che non sono stati introdotti in via diretta ed autonoma dal
ricorrente.
Non sono deducibili eccezioni di legittimità costituzionale. Sono proponibili:
Censure di violazione o falsa applicazione di legge: in caso di atti che involgono la posizione
di diritto soggettivo, con esclusione dei vizi di eccesso di potere; 19
Motivi aggiunti di gravame: se l’interessato viene a conoscenza di ulteriori vizi dell’atto,
impugnato successivamente alla presentazione del ricorso, e ciò entro 120 gg da tale
sopravvenuta conoscenza. Tali motivi vanno notificati, oltre che ai controinteressati,
all’amministrazione emanante, che li trasmette alla sezione competente del Consiglio di Stato
per il parere.
I controinteressati possono chiedere entro il termine perentorio di 60 gg dalla sua notifica la
devoluzione o la trasposizione del ricorso nella sede giurisdizionale (la c.d. “opposizione dei
controinteressati”), ciò in ossequio al principio secondo cui la facoltà di scelta tra le due tutele deve
essere assicurata a tutte le parti, mentre per il ricorrente, una volta scelto lo straordinario, non può più
ricorrere in sede giurisdizionale.
I controinteressati abilitati sono quei soggetti che pur non direttamente contemplati dall’atto siano
comunque portatori di una situazione di vantaggio.
Il ricorrente, entro 60 gg dalla notifica dell’atto di trasposizione, deve depositare, a pena di
improcedibilità, presso la segreteria del TAR, copia dell’atto di costituzione, comunicandolo
all’amministrazione emanante e agli eventuali controinteressati, insieme all’istanza al giudice adito
perché avochi a sé il ricorso straordinario. Se il giudice lo rigetta, gli atti vanno rimessi al Ministero
competente per l’istruzione dell’affare.
6. Trasmissione e parere del Consiglio di Stato.
Conclusa l’istruttoria, il Ministero trasmette tutta la documentazione al Consiglio di Stato per il
prescritto parere, obbligatorio e vincolante, entro 120 gg dalla scadenza dei 60 gg previsti a favore
dei controinteressati per produrre documenti, memorie o eventuali motivi aggiunti o per proporre
ricorso incidentale.
L’amministrazione ha l’obbligo di comunicare le risultanze istruttorie e le proprie controdeduzioni al
ricorrente, questo per assicurare le garanzie tipiche giurisdizionali.
L’onere dell’amministrazione di consentire agli interessarsi la visione di tutti gli atti del procedimento
non segreti è subordinato ad una specifica richiesta di accesso agli atti da parte dell’interessato, la cui
violazione è deducibile in sede giurisdizionale, e che può influire sulla formazione del parere. Se
l’amministrazione non dà seguito ad una rituale richiesta di accesso agli atti, il Consiglio di Stato
deve sospendere la pronuncia in attesa della comunicazione.
Il parere è oggi reso da una sezione consultiva del Consiglio di Stato ovvero da una commissione
speciale su determinazione del Presidente del Consiglio di Stato, il quale può rimettere la questione
dell’adunanza generale del Consiglio, laddove le controversie vertono su questioni di massima
importanza.
Dal momento che il parere può essere espresso solo dopo che l’istruttoria sia esecutiva, in caso
contrario può la sezione chiedere mai chiarimenti, ovvero ordinare all’amministrazione competente
una nuova verifica.
Il Consiglio di Stato esprime il parere a seconda dei casi:
Declaratoria di inammissibilità del ricorso (non poteva essere proposto): se l’interessato non
provvede nel termine alle irregolarità è dichiarata l’improcedibilità del ricorso.
Infondatezza del ricorso nel merito: il provvedimento impugnato resterà rafforzato dal decreto
di reiezione, in quanto riconosciuto immune dai vizi denunciati. Ci sono poi due casi di parere
favorevole all’interessato (accoglimento);
Annullamento del provvedimento impugnato per vizio d’incompetenza: la competenza sarà
rimessa agli organi competenti;
Annullamento del provvedimento impugnato per altri vizi: il provvedimento scompare ex tunc
ed è fatto divieto all’amministrazione emanante di reiterarlo. 20
7. La decisione.
Il ricorso è deciso con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del ministro competente,
conforme al parere del Consiglio di Stato.
Sulla base del parere, il ministro competente pronuncia la decisione, oggi ritenuta atto amministrativo
vero e proprio.
Prima del decreto del 2009, la questione veniva prima rinviata al Consiglio dei Ministri: se questo
deliberava negativamente, la decisione sarà conforme al parere, altrimenti la controversia si risolveva
decidendo secundum legem, con l’onere di motivare giuridicamente le ragioni del dissenso.
Avendo la decisione carattere amministrativo l’amministrazione potrebbe, in caso di decisione ad
essa sfavorevole, annullarla (revocarla) o modificarla con un provvedimento di 2° grado.
Effetti della decisione: l’unico effetto di annullamento che può prodursi è quello della scomparsa dal
mondo del diritto e con effetto ex tunc del provvedimento impugnato.
Se è stato annullato un regolamento, la decisione deve essere pubblicata con le stesse modalità
previste per la pubblicazione dell’atto annullato, a cura dell’amministrazione; in mancanza provvede
il privato a spese della P.A.
7.1. Controllo della Corte dei Conti sulla decisione.
Avendo natura di atto amministrativo vero e proprio, la decisione sul ricorso straordinario deve
soggiacere al riscontro della sua legittimità da parte della Corte dei Conti, in quanto costituisce attività
susseguente ed estranea al procedimento decisorio.
Le parti hanno comunque diritto ad ottenere una risposta: obbligatorietà della pronuncia.
7.2. Esecuzione della decisione.
La decisione non acquista efficacia di cosa giudicata, per cui non è ammissibile l’esecuzione coattiva
tramite giudizio di ottemperanza, ma riveste comunque carattere cogente e determina in capo
all’autorità amministrativa l’obbligo di eseguirla, anche vincolandola ad attenersi, nella eventuale
rimozione dell’atto, alla norma agendi in essa enunciata.
Per l’esecuzione è necessario diffidare la P.A. ad adempiere ed in caso di inerzia ricorrere verso il
silenzio.
Quando la pronuncia è autoesecutiva, cioè ha efficacia ripristinatoria della posizione giuridica
preesistente all’atto lesivo annullato, non è richiesto altro adempimento alla P.A. in quanto la decisone
è già idonea ad attribuire utilità effettiva al ricorrente con il semplice effetto demolitorio.
Potrebbe verificarsi l’ipotesi di caducazione che comporti per la P.A. la necessità di ulteriori
determinazioni, per rendere concreti gli effetti dell’annullamento. In tal caso l’interessato, constatato
il comportamento illegittimo dell’amministrazione, dovrà impugnare con ricorso giurisdizionale
ordinario il silenzio-rifiuto per reagire all’ingiustificata inerzia dell’amministrazione (previa diffida
a provvedere): ordine di esecuzione.
Se invece l’interessato sia destinatario di un atto elusivo o contrastante con la decisione presidenziale
(di accoglimento del ricorso) dovrà impugnare l’atto per ottenere l’annullamento, perché invalido per
eccesso di potere.
La decisione del ricorso al Presidente della Repubblica consiste solo in un provvedimento
amministrativo a contenuto eliminatorio, privo della forza di giudicato. 21
8. Impugnative della decisione.
Avverso il decreto presidenziale che chiude il ricorso, sono ammessi due mezzi d’impugnazione:
Revocazione: il termine è di 60 gg e decorre dalla notifica o dalla comunicazione della
decisione, nei casi previsti dai n° 4-5 dell’art. 395 cpc, o dalla scoperta del vizio negli altri
casi.
Impugnazione innanzi al G.A. (TAR): essendo la decisione atto amministrativo e non
essendoci alcuna norma che vieti la sua impugnabilità, non c’è ragione di escludere
l’impugnativa normale:
- L’interessato può proporre ricorso contro la decisione che deve essere necessariamente
limitata ai soli vizi di forma e del procedimento, esclusi quelli sostanziali;
- I controinteressati, non intimati, possono scegliere la trasposizione del ricorso nella
sede giurisdizionale; il mancato esercizio della facoltà di scelta dei controinteressati
preclude loro ogni impugnativa al G.A., salvo che per vizi di forma o di procedimento.
9. La sospensione dell’esecuzione.
L’interessato, se ritiene che dalla esecuzione del provvedimento impugnato possono verificarsi
situazioni irreversibili, ha l’onere di chiedere all’amministrazione la sospensione cautelare
dell’esecuzione del provvedimento impugnato, che può essere concessa con tali presupposti:
Danno grave ed irreparabile;
Fumus boni juris in ordine alla richiesta di annullamento del provvedimento impugnato.
L’inibitoria è disposta con atto motivato dal ministro competente su conforme parere vincolante del
Consiglio di Stato.
10. Ricorso al Presidente della Regione siciliana.
Il ricorso verso provvedimenti emanati da organi regionali viene istruito e deciso dal Presidente della
Giunta regionale su proposta dell’assessore competente e previo parere del Consiglio di Giustizia
Amministrativa; se il Presidente si discosta da questo, della questione sarà investita la Giunta
Regionale, nell’analogo ruolo del Consiglio dei Ministri. 22
Parte III – La giurisdizione del Giudice Ordinario.
Capitolo 6 – La materia della giurisdizione ordinaria.
1. Le controversie di competenza del G.O.
Vicende in cui la P.A. si presenta come soggetto che agisce sulla base di un diritto comune e non
come soggetto investito di autorità, ad esempio le controversie sui negozi giuridici posti in essere
dalla P.A.: attività jure privatorum.
Obbligazioni di carattere pubblico: nella quale il debitore può essere sia il privato che la P.A.; tuttavia
le obbligazioni non devono nascere da un atto discrezionale (di fronte ad esso non sussisterebbe
diritto, ma interesse legittimo). Possono riguardare atti ablatori (esempio espropriazione,
requisizione, vendite coattive) dai quali derivi un diritto di credito del privato all’indennità.
Controversie aventi ad oggetto l’illecito civile della P.A.: che ponga in essere un’azione materiale
(esempio azioni negligenti con evento dannoso). Oggi si ritiene che:
Se nel corso di un’opera pubblica l’amministrazione agisce violando le regole di comune
diligenza, provocando un danno eccedente la tollerabilità, si concretizza un vero e proprio
illecito civile;
Se l’amministrazione abbia agito con diligenza ed in modo rispettoso delle regole, si
materializza una sorta di responsabilità a titolo di riparazione del danno da fatto legittimo
(esempio la P.A. per aprire una strada fa chiudere l’accesso ad una proprietà privata; l’azione
è legittima ma deve corrispondere un indennizzo).
Controversie su un illecito che costituisce il risultato di una determinazione discrezionale da parte
della P.A.: possono essere emanati provvedimenti idonei a ledere diritti riconosciuti al privato da
norme di diritto comune o dalla Costituzione. Il provvedimento discrezionale della P.A. degrada
sempre il diritto soggetto ad interesse legittimo.
Non tutte le controversie che possono essere instaurate con la P.A. sfuggono alla giurisdizione del
G.O., sicuramente non quelli che incidono su libertà civili e/ politiche del cittadino.
La giurisdizione amministrativa ha competenza nei casi in cui:
L’autorità amministrativa s’impadronisce di un bene ed impone una prestazione con
provvedimento a carattere discrezionale;
Quando il provvedimento dell’amministrazione abbia raggiunto un tale grado di infondatezza
rilevabile “prima facie” ed appaia invalido.
La giurisdizione ordinaria nei confronti del provvedimento amministrativo viziato, è prevista:
Quando il provvedimento sia del tutto vincolato;
Quando sia stato emesso in assoluta carenza di potere. In tal caso non c’è un provvedimento
amministrativo in senso proprio, ma solo un mero comportamento della P.A., lesivo di diritti.
Non si produce la degradazione ad interesse legittimo, perché un provvedimento adottato
senza potere è giuridicamente inesistente, per cui la giurisdizione resta al G.O.
Quindi:
Carenza di potere: giurisdizione ordinaria.
Cattivo esercizio di un potere attribuito dalla legge all’amministrazione: giurisdizione
amministrativa. 23
Controversie in cui l’interessato assumi che la fattispecie, pur in presenza di provvedimento
amministrativo, concretizzi altresì un illecito della P.A.: esempio viene disposta l’occupazione
d’urgenza di un fondo che sarà espropriato legittimamente, ma l’occupazione è illegittima. Il privato
in tal caso dovrà prima ottenere l’annullamento del provvedimento al G.A. e poi potrà adire il G.O.
per chiedere il risarcimento dei danni.
Una volta dichiarato illegittimo l’atto è annullato ex tunc, il diritto soggettivo non è mai venuto meno
e l’attività dell’amministrazione andrà qualificata ex post come lesivo di un diritto, quindi illecita.
La determinazione del criterio per l’individuazione della giurisdizione ordinaria partì dalla formula
“causa petendi e petitum”. Quando per effetto di un atto dell’autorità amministrativa viene leso un
diritto soggettivo scatta la causa petendi, per cui l’interessato può chiedere al G.O. la tutela della sua
situazione giuridica di vantaggio lesa (petitum), nella specie di:
Azione per risarcimento danni;
Azione declaratoria di nullità nei casi di atti giuridici inesistenti;
Azione di acclaramento dell’illegittimità di atti illegittimi.
1.1. Segue. Teoria della “doppia tutela”.
Le norme che disciplinano l’azione della P.A. si dividono in:
Norme di azione: prescrivono un determinato comportamento della P.A. (esempio un organo
collegiale è validamente riunito con 5 membri presenti); in caso di violazione da parte della
P.A., questa incide al massimo su un interesse materiale del privato (non riferendosi a
situazioni giuridiche soggettive).
Norme di relazione: disciplinano i rapporti tra P.A. e soggetti diversi da essa. In caso di
violazione, questa altera direttamente le situazioni giuridiche soggettive del governato.
Il provvedimento amministrativo emanato in difformità di norme imperative si atteggia come:
- Determinazione illecita: se viola norme di relazione a tutela di un dritto soggettivo (G.O.);
- Provvedimento illegittimo: quindi invalido, se viola norme di azione (G.A.);
- Provvedimento illegittimo ed illecito: invalido, se viola norme di azione e relazione.
Per quest’ultimo vi è la duplice tutela: il privato può rivolgersi sia al G.O. che al G.A.
Criticità: non esiste nel nostro ordinamento un complesso di norme da cui sia dato dedurre che il
provvedimento illecito sia diverso dall’atto illecito del codice civile.
Non è vero che la giurisdizione del G.O. postuli sempre un atto illecito da parte della P.A.: vi sono
casi in cui il suo comportamento è fattispecie diversa dall’illecito. Esempio: scaduto il temine per la
requisizione di un bene previsto da un provvedimento, la P.A. non lo derequisisce; il privato chiederà
la riconsegna al G.O. senza attivare azione di risarcimento da illecito (per accertare l’illecito).
2. Giurisdizione ordinaria e discrezionalità.
Si distingue tra:
Attività discrezionale pura o discrezionalità amministrativa: costituita dallo spazio di scelta
che residua quando la normativa non predetermina esaustivamente tutti i comportamenti
dell’amministrazione. Tuttavia:
- A volte la norma sull’esercizio del potere discrezionale, disciplina tutta la materia: si
ha atto vincolato, al fine della tutela del pubblico interesse, sindacabile solo dal G.O.;
- A volte il legislatore lascia margini di intervento all’amministrazione, che si
concretizzano in atti tipici per gli effetti che produce nella sfera giuridica dei governati:
24
si ha provvedimento discrezionale, sindacabile da parte del G.A. soprattutto sotto il
profilo dell’eccesso di potere, definito oggi da Cerulli-Irelli come “sindacato sulla
ragionevolezza”, poiché ogni scelta deve essere conseguenza logica alla premessa
costituita da dati di fatto e di diritto.
Discrezionalità tecnica: costituita dalla possibile scelta che ricorre quando la P.A. sia chiamata
a qualificare fatti suscettibili di varia valutazione e che si riduce ad un’attività di giudizio
scientifico. In tal caso la P.A. non esercita atto discrezionale ma si limita, tramite le sue
conoscenze tecniche, a prendere atto di una realtà fattuale che si verserà in un atto produttivo
di effetti ex lege. Da qui la giurisdizione del G.O. in quanto peritus peritorum: anche quando
non abbia conoscenze personali per valutare eventi di carattere tecnico, potrà munirsi di pareri
adeguati di un consulente tecnico. Peraltro, gli accertamenti tecnici spettano alla P.A.: sono
sindacabili in modo ristretto dall’autorità giuridica, la quale non può rivalutarli quanto a
veridicità, ma può solo riscontrare la completezza e la ragionevolezza degli accertamenti già
effettuati.
2.1. Discrezionalità mista.
È quando l’attività dell’amministrazione si concretizza nell’emanazione di un provvedimento
amministrativo, cioè quando l’amministrazione agisce in qualità di autorità e deve quindi applicare i
criteri di normale diligenza. È difficile in tali casi separare la valutazione tecnica da quella più
strettamente amministrativa.
Esempio: per far fronte ad un’epidemia di bestiame le autorità sanitarie ammettono che l’unica misura
sia la distruzione di tutto il bestiame della zona; però è solo l’autorità amministrativa che ha il potere
di provvedere e disporre l’abbattimento del solo bestiame infetto. Se viene adito il G.O. questi
imporrà una consulenza tecnica per acclarare la realtà fattuale e se il provvedimento sia conforme alle
regole scientifiche ed ai criteri di diligenza, ma non il suo contenuto discrezionale.
25
Capitolo 7 – Le azioni proponibili avanti il Giudice ordinario.
1. Profili processuali della Legge 2248/1865.
Le azioni proponibili davanti al G.O. verso la P.A. sono due: di condanna e dichiarative. Il G.O. limita
la propria giurisdizione alle questioni concernenti i diritti, non potendo sindacare gli atti
amministrativi con oggetto interessi legittimi. Egli può comunque imporre un obbligo di facere alla
P.A. (esempio consegnare un bene alla scadenza dell’occupazione).
Vi sono casi che riguardano interessi legittimi per cui il giudice non può condannare
l’amministrazione ad un facere specifico.
Oggi dottrina e giurisprudenza ritengono ammissibili anche le azioni costitutive quando non incidono
sui poteri pubblici della P.A. in veste privata.
2. Tipologie delle sentenze del G.O.
Il G.O. ha giurisdizione sugli atti amministrativi vincolanti: materia disciplinata dalla legge e per la
quale non residua alcun margine di discrezionalità.
Il G.O. ha giurisdizione sulla tutela dei diritti aventi particolare valore costituzionale: alla salute,
all’ambiente, alle libertà fondamentali, che per loro natura non subiscono l’effetto della degradazione.
Sentenze meramente dichiarative (o di mero accertamento): accertano uno stato di fatto o di diritto in
ordine all’acclaramento dell’illiceità di un atto (comportamento), al fine di eliminare l’incertezza ivi
contenuta e di provocare una prova pubblica ed incontestabile della situazione. In realtà è solo
riscontrata l’esistenza o meno di una situazione giuridica protetta dall’ordinamento o uno stato di
fatto incerto/controverso; per la tutela di diritti di fronte ad un atto amministrativo nullo invece il
giudice deve acclarare la nullità e condannare l’amministrazione al risarcimento danni da esecuzione
dell’atto nullo, ove non sia possibile rinnovare gli effetti di questa.
Sentenze di condanna: al pagamento di somme di denaro (a titolo di risarcimento, di cui
l’amministrazione sia comunque debitrice a qualsiasi titolo) ed al risarcimento danni da lesioni
d’interessi legittimi.
L’amministrazione può invece essere condannata ad un dare, facere specifico, non facere (divieto ex
art. 4 Legge 1865).
3. La giurisdizione piena e le controversie attribuite ex lege al G.O.
In alcuni casi, in deroga al generale divieto di sostituirsi all’autorità amministrativa, il G.O. può
annullare o modificare il provvedimento amministrativo, possiede cioè giurisdizione piena verso la
P.A.:
Controversie su atti amministrativi produttivi di certezze pubbliche: non è atto amministrativo
proprio, ma un atto vincolato che crea certezza pubblica. Il giudice può ricostruire i fatti,
ordinare alla P.A. la riproduzione di documenti, può annullarlo o sostituirlo con altro
contenente il proprio acclaramento. L’autorità amministrativa deve eseguire interamente la
pronuncia.
Controversie sul rifiuto opposto dall’Ufficiale dello Stato Civile alla celebrazione del
matrimonio: che non può avvenire se non per causa di legge. L’interessato può adire il
tribunale civile, che provvederà in Camera di Consiglio, sentito il P.M., per richiedere un
ordine all’Ufficiale di celebrare il matrimonio.
Altre materie attribuite per legge: ascrivibile al genus di diritti assoluti non degradabili ad
interessi legittimi.
Riparto di giurisdizione nel pubblico impiego dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro
dei dipendenti pubblici. 26
Capitolo 8 – I limiti dell’attività del Giudice ordinario.
1. Introduzione.
Gli artt. 4-5 Legge 1865 prevedono dei limiti interni al potere del G.O. verso la P.A. nel caso di
sindacato dei provvedimenti amministrativi: solo quando esso sia chiamato a conoscere di un atto
amministrativo della P.A.
La Legge 1865 si basava sulla regola della divisione dei poteri: si ammette il controllo giurisdizionale
sull’operato della P.A. in quanto si risolverebbe una tutela dei diritti soggettivi ma il giudice ha il
divieto di sostituirsi alla P.A. nell’emanare provvedimenti amministrativi.
Il legislatore del 1865, in realtà, temeva l’attività del G.O. e volle conservare alla P.A. una serie di
privilegi, uno dei quali vietare al G.O. di esercitare il potere di annullamento di un atto, non attuando
così il principio di sottoposizione al G.O. di tutte le controversie relative ai diritti soggettivi.
2. Ipotesi prospettabili.
Quando la contestazione cade su un diritto che si pretende leso da un atto della P.A. i tribunali si
limiteranno a conoscere gli effetti dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giuridico (art. 4) ed
applicano i provvedimenti ed i regolamenti in quanto essi siano conformi alle leggi (art. 5 Legge
1865).
Ci si trova di fronte dunque a tre limiti al potere del G.O.:
L’efficacia del giudicato ordinario è limitata al rapporto giuridico oggetto della controversia:
la sentenza del G.O. fa stato solo tra le parti in causa e può riguardare solo l’oggetto dedotto
in giudizio da esse. Gli effetti della sua decisione (declaratoria di legittimità (illegittimità del
provvedimento)) vanno circoscritti all’atto in relazione ai suoi risvolti dannosi, per i quali
l’azione è stata instaurata (poteri di cognizione).
Divieto di annullamento e riforma: ogni atto della P.A. non può essere annullato o modificato
dal G.O. ma solo dalle Autorità competenti. A tal proposito si sono succedute due
interpretazioni:
- 1° interpretazione: quando il G.O. si trova di fronte ad un provvedimento
amministrativo illegittimo, non può emettere pronuncia in ordine al vizio dedotto, ma
deve limitare la sua indagine alla conoscenza di ciò che riguarda gli effetti del
medesimo. Il giudice non può prescindere dalla disamina della conformità del
provvedimento alla legge, ma tutto rimane una sorta di accertamento preliminare. La
disamina deve essere ex necesse limitata ai vizi di incompetenza e di violazione di
legge, ma non rientra l’eccesso di potere, non potendo la sentenza entrare sul potere
discrezionale dell’amministrazione.
- 2° interpretazione: il G.O. ha il potere di accertare il vizio dei provvedimenti
amministrativi, ma non può rimuovere l’atto invalido, quindi rimane una mera
enunciazione dichiarativa d’invalidità; qui però il potere del G.O. è più ampio, perché
ogni vizio dell’atto è sindacabile dal giudice.
La disapplicazione: anche per essa abbiamo due interpretazioni:
- 1° interpretazione: il giudice dichiara non avverati gli effetti prodotti in relazione alla
lesione del diritto soggettivo (c.d. declaratoria d’improduttività di effetti).
- 2° interpretazione: il giudice, accertata l’esistenza del provvedimento invalido,
dovrebbe condannare la P.A. al solo ristoro dei danni.
La prassi giurisprudenziale è per la 1° tesi, che appare più conforme agli artt. 4-5 Legge 1865.
27
La disapplicazione dell’atto amministrativo è inibita se la legittimazione dell’atto è stata acclarata dal
G.A: con sentenza passata in giudicato: impossibilità di far valere davanti al G.O. i vizi
dedotti/deducibili davanti al G.A.
In quei pochi casi nei quali possono essere portati alla cognizione del giudice provvedimenti
amministrativi, bisogna limitare l’ambito di giurisdizione ordinaria di chi la può solo contemplare,
perché nulla può disporre se non pagare un compenso.
L’inapplicabilità costituisce una situazione oggettiva in cui si trova il provvedimento viziato, il quale
assume rilievo solo davanti la giurisdizione ordinaria, e che lo priva degli effetti giuridici che esso
produce, sui diritti soggettivi, pur mantenendolo in vita.
L’invalidità del provvedimento, costituita dall’inapplicabilità, soggiace al potere di annullamento del
G.A. nei confronti del provvedimento stesso perché produttivi di effetti che colpiscono interessi
legittimi, quindi viziato. Ciò non è rilevante per il G.O. perché quest’ultimo di essi non può conoscere.
Le due situazioni soggettive invalidità-inapplicabilità ed invalidità-annullabilità sono in una sorta di
relazione disgiuntiva: o sussiste l’una o l’altra, e ricalca la vecchia formulazione “petitum-causa
petendi”.
In realtà vi è una sola tutela che si individua tramite il carattere del provvedimento, e non come si
diceva una doppia tutela (G.O. per atto vincolato; G.A. per atto discrezionale).
3. Impugnativa dei regolamenti.
L’art. 5 Legge 1865 dispone che le Autorità giudiziarie “applicano i regolamenti generali e locali in
quanto conformi alle leggi”. Si ha una disapplicazione del regolamento distinta dalla disapplicazione
del provvedimento.
Quando si chiede la disapplicazione di una situazione contenuta in un regolamento, la censura deve
ex necesse dirigersi contro la singola norma e non contro tutto il regolamento nel suo insieme.
Regolamenti generali: dello Stato e degli Enti Nazionali, che hanno efficacia verso tutta la comunità
statale.
Regolamenti locali: delle autorità amministrative locali.
Regolamento in senso proprio: atto amministrativo con efficacia normativa esterna e con carattere
generale; non contiene norme incidenti su diritti soggettivi, perciò non sindacabile dal G.O.
Disapplicazione: al privato non è consentita l’impugnativa diretta della norma regolamentare (perché
non lede un suo diritto soggettivo), ma solo una sorta di impugnativa indiretta. Il G.O. può solo
disapplicare la norma regolamentare per il caso dedotto in giudizio, ma non ha il potere di annullare
la medesima e dichiarare il regolamento viziato e quindi inapplicabile nei confronti della generalità
dei governati.
La pronuncia del giudice si limita a dichiarare che la norma regolamentare è viziata per non
conformità alla norma primaria e quindi non dà ad essa applicazione per il caso concreto.
Nei confronti degli altri soggetti ai quali l’amministrazione intendeva applicare quella norma
regolamentare, la pronuncia del giudice viene ad avere l’efficacia della Auctoritas rerum similiter
iudicatur, rischiando la P.A. una nuova azione contro di essa. 28
Capitolo 9 – Cenni sul processo esecutivo.
1. Generalità.
Non è consentito al G.O. l’annullamento o la modifica di un provvedimento amministrativo se non
per ciò che concerne le sentenze costitutive in cui ha giurisdizione piena. Pertanto quando l’effetto
caducatorio non si produce, non esistono preclusioni ad ammettere sentenze di condanna al
pagamento verso il debitore, come misura esecutiva prevista dalla legge per l’obbligazione non
compiuta.
Laddove l’amministrazione sia stata condannata a pagare somme di denaro, incombe su di essa il solo
onere di predisporre gli atti interni di contabilità, per adempiere alla obbligazione di pagamento
scaturita dalla sentenza. Dunque:
È sempre proponibile un’azione esecutiva verso la P.A. inadempiente, solo su quei beni che
possiede come soggetto di diritto comune (e non sui beni pubblici) quindi sui beni patrimoniali
disponibili;
L’azione esecutiva non è proponibile quando la P.A. deve porre in essere un diverso
adempimento, come restituire un bene, ripristinare lo stato dei luoghi. In questo caso la
pronuncia del giudice comporterebbe la modifica/annullamento dell’atto amministrativo.
2. L’esecuzione delle sentenze di condanna.
L’esecuzione delle sentenze di condanna può avvenire attraverso i normali strumenti esecutivi
previsti dal cpc, anche se il numero di beni patrimoniali disponibili sui quali agire è limitatissima. In
alternativa l’interessato può promuovere, davanti il G.A., il giudizio di ottemperanza, che consente al
G.A. di sostituirsi alla P.A., tramite la nomina di un commissario ad acta che emette gli opportuni
provvedimenti.
3. L’inerzia della P.A.; i danni all’immagine; il danno erariale.
Laddove l’inadempimento, o anche il ritardo, consegue da un comportamento colposo del funzionario
titolare dell’ufficio legittimato ad emettere il mandato di pagamento e laddove da tale situazione
scaturisca danno erariale, è stato previsto che l’amministrazione ha l’obbligo di denunziare il
funzionario alla Corte dei Conti.
È vero che dell’inerzia risponde l’amministrazione stessa nei confronti del privato, ma è anche vero
che l’inerzia può essere riportata al comportamento di quei funzionari che avrebbero dovuto
materialmente predisporre il procedimento contabile per l’emissione del titolo di spesa.
Alla Corte dei Conti spetta, attraverso il Procuratore Genarle, l’azione di risarcimento sia del danno
erariale (con carattere economico), sia del danno morale per lesione all’immagine ed alla credibilità
della P.A.
Danno erariale: l’istituto della responsabilità amministrativa-contabile dei pubblici dipendenti riporta
danni peculiari rispetto alla responsabilità civile. Questo sia per la posizione di amministratore
chiamato a rispondere del proprio operato in ragione del rapporto d’ufficio instaurato con la P.A., sia
per l’attribuzione della sua cognizione ad un giudice speciale.
Ciò che deve prevalere è il c.d. effetto economico determinato dall’evento lesivo ingiusto nella sfera
patrimoniale del soggetto pubblico danneggiato.
Il danno erariale va inteso come danno patrimoniale in senso ampio, comprensivo di ogni forma di
lesione ad utilità economicamente apprezzabile a carico della P.A.
La giurisdizione della Corte dei Conti è preordinata alla tutela dell’interesse pubblico generale, alla
conservazione e corretta gestione dei “mezzi economici dell’azione amministrativa” (mezzi
economici: tutte le attività e risorse quali denaro, beni fisici…). 29
Danno all’immagine ed al prestigio della P.A.: si configura come danno ingiusto e lesivo di uno dei
mezzi fondamentali dello Stato e degli enti pubblici che, anche se inidoneo ad essere oggetto di
scambio e quantificazione pecuniaria, costituisce sempre situazione giuridica soggettiva direttamente
protetta dall’ordinamento.
È interesse rivestito di valore economico alla stregua degli altri beni immateriali tutelati. Il danno
all’immagine, rientrando nel danno patrimoniale in senso ampio ex art. 2043 cc, non deve per forza
correlarsi ad un reato, ma può discendere anche da un comportamento gravemente illegittimo o
illecito.
Tale figura di danno comporta sempre una diminuzione patrimoniale da configurarsi come danno
evento (e non come danno conseguenza) e dunque viene quantificato in via equitativa ex art. 1226
cc. Danno ampliato dalla diffusione dei non-media.
Tale tipo di violazione è economicamente valutabile perché si risolve in un onere finanziario che si
ripercuote sull’intera collettività, dando luogo a costi aggiuntivi per correggere gli effetti negativi che
si riflettono nella P.A. in termini di minore credibilità. Non rientra nell’ambito di applicazione
dell’art. 2059 cc ma costituisce un danno esistenziale, inteso quale tutela della propria identità,
reputazione e credibilità. 30
Capitolo 10 – Cenni sulla legittimazione processuale.
1. Rappresentanza e difesa della P.A. davanti il G.O.
Tale tema comporta una serie di deroghe al cpc. La persona giuridica pubblica va chiamata in giudizio
attraverso la persona fisica di cui ne ha la legale rappresentanza.
Non è necessario indicare il nome della persona, ma solo l’ufficio.
Per gli enti pubblici diversi dallo Stato: esso va individuato nel soggetto che ne ha la rappresentanza
(comune: sindaco; ASL: direttore generale).
Per le amministrazioni statali: il Ministro pro tempore. La vocatio in jus va effettuata sempre nei
confronti del ministro, qualunque sia il soggetto che ha emanato il provvedimento da impugnare e
l’atto introduttivo del giudizio deve essere notificato non alla sede del ministero ma in quella legale,
presso cioè l’Avvocatura distrettuale dello Stato competente per territorio.
Laddove si sia verificato un errore nell’individuazione della persona legittimata e ciò non sia stato
eccepito in limen litis dalla P.A., il vizio resta automaticamente sanato. Ci si trova di fronte alla regola
del c.d. foro erariale: la competenza spetta al giudice del luogo ove ha sede l’Avvocatura dello Stato.
2. Autorizzazione a stare in giudizio.
Nel caso in cui il soggetto titolare del potere di rappresentanza processuale non sia quello che può
determinare la lite è necessaria un’autorizzazione a stare in giudizio (cioè intraprendere una lite o
resistere), in mancanza della quale si determina irritualità (o nullità) della resistenza in giudizio; nel
frattempo tutti gli atti processuali già posti in essere risultano inefficaci e non può, per difetto di
legittimazione, porre in essere alcun atto del giudizio successivamente al rifiuto. 31
Parte IV – Giurisdizione del Giudice amministrativo.
Capitolo 11 – Gli organi della giurisdizione amministrativa.
1. Premessa.
Il criterio fondamentale che definisce la giurisdizione amministrativa rispetto ad una controversia è
la configurabilità di un interesse legittimo; la Costituzione consegna agli organi della giurisdizione
amministrativa (TAR e Consiglio di Stato) la tutela degli interessi legittimi nei confronti della P.A.
(art. 103 Cost.). Tuttavia la tutela di tali interessi è devoluta al G.A. anche quando non sia possibile
l’impugnazione di un provvedimento amministrativo proprio per soddisfare questa esigenza di rango
costituzionale.
La dottrina distingue il giudizio che ha ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti (c.d. giudizio
su atti) dal giudizio che, invece, verte sulla fondatezza di una pretesa autonoma da essa (c.d. giudizio
su rapporti).
Altra fondamentale distinzione è quella tra:
Giurisdizione amministrativa ordinaria: liti concernenti interessi legittimi fatti valere nei
confronti di atti amministrativi ed in determinate materie, questioni attinenti sia ad interessi
legittimi che diritti soggettivi.
Giurisdizioni amministrative speciali: sono quelle costituite per “somministrare giustizia” in
certe materie. Esse sono da considerarsi speciali rispetto alla giurisdizione ordinaria se oggetto
del loro giudicato è un diritto soggettivo, e speciali rispetto alla giurisdizione amministrativa
se oggetto del loro giudicato è un interesse legittimo. La più importante delle legislazioni
speciali è quella della Corte dei Conti.
Sistema della doppia giurisdizione: nel nostro ordinamento con tale sistema la cognizione in materia
di diritti soggettivi spetta al G.O., mentre quella degli interessi legittimi al G.A.; quest’ultima è
attribuita al TAR (1° grado) ed al Consiglio di Stato (2° grado). Tali organi, con il Consiglio di
Giustizia Amministrativa per la regione siciliana, costituiscono un unico ordine giurisdizionale, come
ordinamento della giurisdizione amministrativa.
I due ordini di giudici, ordinario ed ammnistrativo, si trovano su un piano di assoluta parità.
Principio di effettività: viene garantita uguale tutela processuale a diritti ed interessi. L’effettività del
processo è la capacità del processo di conseguire risultati nella sfera sostanziale degli interessati: l’art.
1 cpa prevede che la giurisdizione amministrativa assicuri una tutela piena ed effettiva, nel senso che
per tutte le posizioni giuridiche soggettive azionabili innanzi al G.A. sono esperibili tutti gli strumenti
di tutela, compresa quella risarcitoria.
Il legislatore ha voluto accostare il processo amministrativo a quello ordinario, attribuendo al G.A.
poteri e prerogative che possono garantire al privato una tutela effettiva contro la mala
amministrazione.
Se nel passato il giudizio amministrativo è stato prevalentemente un giudizio sulla legittimità
dell’atto, dalle nuove disposizioni emerge un ruolo diverso, preordinato alla piena tutela del cittadino.
2. L’oggetto della tutela giurisdizionale amministrativa.
La giurisdizione amministrativa è esercitata dal TAR e dal Consiglio di Stato.
L’art. 7 cpa individua le tipologie di controversie che possono essere conosciute dal G.A.: si tratta di
quelle nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e nelle particolari materie indicate dalla
legge, di diritti soggettivi concernenti “l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo
ed aventi oggetto provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente
all’esercizio di tale potere”. 32
Altro requisito richiesto dal legislatore perché si possa chiedere tutela al G.A. è che i provvedimenti,
gli atti, gli accordi, o i comportamenti in relazione ai quali è sorta una contestazione siano stati posti
in essere dalla P.A. ovvero da soggetti ad essa equiparati o comunque tenuti al rispetto del
procedimento amministrativo.
Peculiarità rispetto alla giurisdizione ordinaria è che la P.A. è parte necessaria nei giudizi davanti il
G.A., perché quelle che si svolgono davanti a questi riguardano P.A. e privato o due pubbliche
amministrazioni. Secondo la dottrina, il processo amministrativo può avere come parte anche un
soggetto che non sia necessariamente pubblico e che eserciti funzione esecutiva.
3. Gli organi della giustizia amministrativa: TAR e Consiglio di Stato.
TAR: i TAR ed il TAR per la regione autonoma del Trentino-Alto Adige sono organi di giustizia
amministrativa di 2° grado, ai sensi dell’art. 5 cpc.
Essi sono stati istituiti con la Legge 1034/1971 (c.d. Legge TAR), in attuazione dell’art. 125 Cost,
come organi locali di giustizia amministrativa, su base regionale, al fine di colmare il vuoto legislativo
dovuto alla dichiarazione d’incostituzionalità della funzione giurisdizionale svolta dalle Giunte
Provinciali Amministrative. La Corte Costituzionale con la sentenza del 1967 ha ritenuto che la
composizione della Giunta Provinciale Amministrativa in sede giurisdizionale non corrispondesse ai
dettami costituzionali in tema di indipendenza dei giudici e di soggezione degli stessi solo dinanzi
alla legge.
L’inserimento di tali tribunali nell’ordo iudiciorum ha comportato l’automatico inserimento nel
sistema della giustizia amministrativa del principio del doppio grado di giurisdizione.
Tali TAR sono 20: uno per ogni regione, con sede nel capoluogo regionale, oltre le sezioni staccate.
Essi esercitano (hanno competenze):
Giurisdizione generale di legittimità;
Giurisdizione di merito per materie tassativamente determinate;
Giurisdizione esecutiva, anch’essa per materie determinate.
Inoltre è riconosciuta la competenza a conoscere dei ricorsi in materia di operazioni elettorali relativo
al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, provincie, regioni e dei membri del Parlamento Europeo
spettanti all’Italia.
Il TAR decide con l’intervento di tre magistrati (nomina ispirata al c.d. “criterio di professionalità”),
compreso il Presidente; in mancanza del Presidente, il collegio è presieduto dal magistrato con
maggiore anzianità nel ruolo.
Consiglio di Stato (art. 6): organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa. La prima
direttiva sul suo ordinamento risale al 1865.
Può definirsi come organo complesso con funzioni consultive generali in materia giuridico-
amministrativa e funzioni giurisdizionali amministrative di 2° grado e, per determinate materie,
esclusive.
L’art. 100 Cost inserisce il Consiglio di Stato tra gli organi ausiliari del Governo (consulenza giuridica
amministrativa).
Il Consiglio di Stato non è subordinato ad altri organi e gode di quella autonomia ed indipendenza
propria degli organi giurisdizionali.
Sono organi interni al Consiglio di Stato:
Consiglio di Presidenza;
Presidente;
Presidente aggiunto;
Segretario Generale; 33
Adunanza Generale;
Adunanza Plenaria.
Il Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 1 Legge 186/82, è composto dal Presidente, dai presidenti di
sezioni e dai consiglieri di stato. Esso si articola in 6 sezioni, alle quali si aggiunge una sezione
consultiva (istituita ex lege 125/97). Secondo tale norma (186/82) le funzioni erano così ripartite: le
prime tre consultive, le altre giurisdizionali.
L’art. 54 Legge 2008 ha modificato la Legge 186/82 rafforzando i poteri organizzativi interni: è stato
previsto che il Consiglio di Stato sia composto da sei sezioni con funzioni consultive o giurisdizionali,
oltre alla sezione normativa. Scompare quindi la rigida previsione: è il Presidente che ogni anno
individua, con proprio provvedimento, le sezioni che svolgono le suddette funzioni.
In sede giurisdizionale il Consiglio di Stato decide con l’intervento di cinque magistrati, di cui un
Presidente di sezione e quattro consiglieri.
L’Adunanza Plenaria risolve eventuali contrasti tra sezioni giudicanti. È composta dal Presidente del
Consiglio di Stato che la presiede e da dodici magistrati del Consiglio stesso, assegnati alle sezioni
giurisdizionali.
Per il reclutamento dei magistrati nel Consiglio di Sato, la selezione avviene:
Un quarto per nomina governativa;
Un quarto per concorso pubblico per titoli ed esami;
Un mezzo dai magistrati dei TAR con almeno quattro anni di servizio.
Gli appelli avverso le pronunce del TAR della Sicilia sono proposti dal Consiglio di Giustizia
Amministrativa per la regione siciliana, nel rispetto delle disposizioni dello Statuto speciale.
4. Le articolazioni della giurisdizione amministrativa e le tipologie di giudizio.
L’art. 7 cpa individua il contenuto di tre diverse tipologie in cui la stessa possa articolarsi.
In sede di giurisdizione generale d’illegittimità, il giudice valuta la sola legittimità dell’atto
amministrativo, cioè verifica la conformità dello stesso ai principi dell’ordinamento giuridico e la sua
immunità dai tre vizi di legittimità. Si parla anche di giudizio di annullamento perché il giudice può
disporre l’annullamento dell’atto giudicato illegittimo; in tali ipotesi il giudice conosce solo di
interessi legittimi.
Per quanto riguarda la giurisdizione esclusiva e di merito le ipotesi in cui si realizzano sono
tassativamente indicate dalla legge. Mentre nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva ha cognizione
anche di diritti soggettivi, nella giurisdizione di merito il giudice può non solo annullare l’atto
amministrativo, ma sindacare anche l’opportunità o la convenienza dello stesso e sostituirsi
all’amministrazione.
Il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al G.A. di ogni forma di
tutela degli interessi legittimi e, nelle materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi.
Tipologie di giudizio: il giudizio innanzi al G.A. può essere:
Cognizione: volto a stabilire la fondatezza della pretesa vantata dal ricorrente. Si presenta
prevalentemente come giudizio di impugnazione di un atto amministrativo finalizzato alla sua
eliminazione.
Cautelare: funzione accessoria e strumentale rispetto al processo di cognizione, poiché teso
all’adozione di misure preventive volte a preservare le utilità fornite dalla sentenza favorevole
di cognizione da eventi che possono manifestarsi durante il processo. In tale ipotesi il G.A.
conosce dell’atto impugnato limitatamente agli effetti dannosi che dallo stesso possono
scaturire per il ricorrente. 34
Esecuzione: funzione di assicurare anche coattivamente l’attuazione concreta della pronuncia
di cognizione. Tale tipologia di giudizio, definito giudizio di ottemperanza, è trattato dal
legislatore all’art. 112 ss. cpa.
5. Giurisdizione generale di legittimità dei TAR.
Ai sensi dell’art. 7 cpa il G.A. in sede di giurisdizione di legittimità conosce delle controversie relative
ad atti, provvedimenti o omissioni delle P.A. comprese quelle relative al risarcimento del danno per
lesione di interessi legittimi ed altri diritti patrimoniali conseguenziali, pure se introdotte in via
autonoma. Tale giurisdizione è:
Generale: riguarda ogni controversia relativa alla legittimità di un atto amministrativo che
abbia leso un interesse legittimo;
Simmetrica: con la giurisdizione spettante per i diritti soggettivi al G.O.; come il G.O. è il
giudice dei diritti, così il TAR è il giudice degli interessi legittimi;
Limitata, quanto ai poteri di cognizione: all’accertamento dei soli tre vizi di competenza; il
giudice non può sostituirsi all’amministrazione nella valutazione della opportunità o della
convenienza dell’atto adottato, ma solo accertare il vizio eccepito;
Limitata, quanto al potere di decisione: i TAR possono solo annullare l’atto illegittimo, non
possono riformarlo né sostituirlo. Tali poteri sono riconosciuti al G.A. quando è chiamato a
decidere su di un ricorso per vizi di merito nei casi espressamente previsti.
Quanto alla proponibilità dell’azione di risarcimento del danno, il legislatore da un lato riprende
quanto già previsto dall’art. 7 sancendone la probabilità, dall’altro risolve la questione mediante
l’inciso “pure se introdotte in via autonoma”.
Oggetto del ricorso: può essere esperito contro:
Atto amministrativo esistete: il ricorso è improponibile se l’atto non esiste, per mancanza di
oggetto;
Consistente in una manifestazione di volontà: sono impugnabili i provvedimenti in senso
stretto e cioè gli atti consistenti in una manifestazione di volontà, lesivi per il loro destinatario;
Formalmente e materialmente amministrativo: nei casi in cui la P.A., pur dovendo emanare
un atto, omette di farlo e l’interessato dovrà impugnare l’illegittimo silenzio. Il relativo
procedimento è disciplinato dall’art. 117 cpa da leggersi in combinato disposto con l’art. 31,
disciplinante l’azione avverso il silenzio.
Anche se non definitivo: il riferimento agli atti ed ai provvedimenti amministrativi quali
oggetti della tutela giurisdizionale del G.A., inducono a ritenere possibile il ricorso ovvero un
atto non definitivo ma immediatamente lesivo per il ricorrente.
Vi sono casi in cui il G.A., pur non avendo giurisdizione esclusiva, conosce di diritti soggettivi,
secondo l’art. 8 cpa, può conoscere di questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti soggettivi
quando la soluzione delle stesse è presupposto necessario per la decisione della questione principale,
relativa ad un interesse. Si tratta di una decisione pronunciata incidenter tantum, cioè con valore nel
solo ambito del giudizio amministrativo in cui si inserisce, e non ha efficacia di giudicato.
Tale principio vale sia nel caso di legittimità che di merito. Tuttavia, alcune questioni di diritto civile,
per la loro delicatezza, sono riservate in ogni caso al G.O., e sono:
Questioni sullo stato e capacità delle persone fisiche, esclusa quella di stare in giudizio;
Questioni su falsità di atti e documenti (c.d. incidente di falso). 35
6. La giurisdizione di merito.
L’art. 7 cpa definisce la giurisdizione di merito del G.A., affermando che questi può sostituirsi
all’amministrazione, ciò perché è tenuto ad esaminare l’atto impugnato oltre che dal profilo della
legittimità, anche dell’opportunità, e quindi della conformità al principio di buona amministrazione
ex art. 97 Cost.
Questo potere sostitutivo consiste nell’adottare un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello
impugnato (art. 34 cpa).
Tale giurisdizione si pone come un limite al potere discrezionale della P.A., perché secondo parte
della dottrina ciò implica un’attribuzione di poteri di amministrazione attiva al giudice stesso, che
vengono esercitati con le garanzie del contraddittorio.
In ipotesi di sostituzione, il G.A. può direttamente agire o nominare come proprio ausiliare un
commissario ad acta.
La giurisdizione di merito mira all’esame dell’atto, oltre che sotto il profilo della legittimità, anche
della convenienza. Tale diverso modus operandi giustifica la sostituzione, a differenza della
giurisdizione di legittimità che mira solo ad accertare la legittimità dell’atto in relazione ai motivi
dedotti dal ricorrente, senza preclusione dell’accertamento del fatto.
La giurisdizione di merito del TAR è:
Eccezionale: perché in deroga al principio del sindacato giurisdizionale di sola legittimità;
Tassativa: ammessa nei soli casi previsti dalla legge;
Aggiuntiva: in quanto non si esclude, ma si aggiunge alla giurisdizione di legittimità. Infatti
si parla di “cognizione estesa al merito”.
Le controversie oggetto di giurisdizione estesa al merito riguardano (art. 124 cpa):
L’attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato nell’ambito del giudizio
di ottemperanza;
Gli atti e le operazioni in materia elettorale, attribuiti al G.A.;
Sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta al G.A.;
Contestazione sui confini degli enti territoriali;
Diniego di rilascio di nulla osta cinematografico.
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria giurisdizione, sia in senso formale che sostanziale: ha
come caratteristica l’aggiuntività: non ha una vita propria, ma si aggiunge a quella generale di
legittimità; spetterà al giudice la disamina delle censure relative alla opportunità.
7. La giurisdizione esclusiva.
Secondo l’art. 7 cpa al G.A. è attribuita la cognizione, in via principale, sia di diritti soggettivi che di
interessi legittimi. Le materie rientranti in tale giurisdizione sono previste dall’art. 133 cpa.
La sua previsione è frutto della riforma amministrativa del 1923: essa è antecedente alla Costituzione,
sebbene poi quest’ultima la abbia disciplinata all’art. 102 Cost, il quale prevede la tutela degli
interessi legittimi nei confronti della P.A. e, in particolari materie, di diritti soggettivi.
L’intera materia viene rivista ex novo:
Art. 63 D.Lgs. 165/2001 (D.Lgs. 29/93): il G.O. in qualità di giudice del lavoro è competente
in quasi tutte le materie riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A. riguardo il pubblico
impiego;
D.Lgs. 80/98: aveva conferito al G.A. la giurisdizione esclusiva su altre materie;
Artt. 7-8 Legge 205/2000: da un lato aveva sostituito il D.Lgs. 80/98, dall’altro aveva stabilito
nuove regole sulla giurisdizione esclusiva. 36
La giurisdizione presenta i seguenti caratteri:
Eccezionale: limitata ai soli casi indicati dalla legge;
Non ammette concorrenza con altre giurisdizioni: sia ordinaria che amministrativa, quindi in
tal caso non ha ragione la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi;
Soggetta ai principi generali, che regolano la giurisdizione amministrativa;
Se oggetto del ricorso è la violazione di diritti soggettivi, il ricorrente può esperire oltre
l’azione di annullamento anche autonoma azione di condanna; per le controversie aventi ad
oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, deve segnalarsi l’art. 118 cpa che prevede
l’applicazione delle norme civilistiche relative al procedimento d’ingiunzione. Oggetto
dell’impugnativa è un atto amministrativo, ma l’azione può avere ad oggetto anche un
rapporto.
7.1. Sentenza 500/99 Cassazione.
Il legislatore delegato aveva attribuito al G.A. nell’ambito della giurisdizione esclusiva non solo la
cognizione delle controversie in tema di diritti patrimoniali conseguenziali, ma altresì il risarcimento
del danno ingiusto, anche sotto forma di reintegrazione in forma specifica. Erano state evidenziate
due problematiche:
- Questioni riguardanti l’eccesso di delega,
- Questioni più processuali, specie nell’ambito di applicazione dell’art. 35, che aveva attribuito
al G.A. la cognizione piena sui diritti soggettivi a contenuto patrimoniale e rientranti
nell’ambito degli atti paritetici. Non richiamava le norme del cpc, la cui integrale applicazione
in tale materia avrebbe consentito all’interessato una tutela più esaustiva.
Era intervenuta sulla questione la Corte Costituzionale con la nota sentenza delle Sezioni Unite
500/99, ribaltando la sua precedente giurisprudenza orientata sulla non risarcibilità degli interessi
legittimi, perché ciò era da ostacolo alla formula dell’art. 2043 cc.
La Corte partì dalla considerazione che:
- Ai fini della responsabilità dell’art. 2043 cc non assume rilievo la qualificazione formale della
posizione giuridica vantata, essendo la tutela risarcitoria assicurata solo con riferimento alla
ingiustizia del danno;
- Non è possibile, in ragione della atipicità dell’atto illecito, stabilire a priori quali siano gli
interessi meritevoli di tutela, per cui spetta al giudice la selezione degli interessi rilevanti;
- La lesione dell’interesse legittimo costituisce ex se condizione necessaria ma non sufficiente
per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043, dovendo subordinare ad essa la presenza di
un interesse ad un bene della vita;
- Tale bene sia stato leso dall’attività della P.A.
Laddove avanti al G.O. fosse stata introdotta una domanda risarcitoria ex art. 2043 cc nei confronti
della P.A. per illegittimo esercizio della funzione pubblica, quest’ultimo avrebbe potuto
autonomamente procedere all’accertamento della prospettata illegittimità al fine di ritenere o meno
sussistente l’illecito, senza attendere che la stessa illegittimità sia preventivamente accertata dal G.A.,
e ciò perché essa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 cc.
Secondo la Cassazione, alla pronuncia il giudice avrebbe potuto accedere solo dopo avere accertato
che:
Esiste un evento dannoso;
Che il danno sia ingiusto, in relazione ad un interesse giuridicamente rilevante, a prescindere
che sia diritto soggettivo o interesse legittimo. 37
Tale valutazione va riferita non alla colpa del funzionario agente, ma alla P.A. configurabile come
apparato laddove l’atto sia adottato in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona
amministrazione.
7.2. Legge n° 205/2000.
Contiene la nuova regolamentazione della giurisdizione esclusiva del G.A. che alla materia aveva
dedicato tre norme (artt. 6-7-8).
Art. 6: aveva introdotto una nuova fattispecie di giurisdizione amministrativa esclusiva per le
controversie relative a procedimenti contrattuali di evidenza pubblica relativi a procedure di
affidamento di lavori, servizi e forniture svolti da soggetti tenuti all’applicazione della normativa
comunitaria.
Era superato l’originario modulo procedimentale dell’evidenza pubblica strutturato su due
procedimenti: formazione di volontà contrattuale regolato dal diritto privato; l’altro è il procedimento
amministrativo nella fase di conclusione del contratto, applicando la normativa europea.
Il tutto precisando che le controversie concernenti i diritti soggettivi devolute alla sua giurisdizione
possono essere risolte attraverso l’arbitrato rituale di diritto. Prima dell’approvazione della Legge
205/2000 la giurisprudenza era costante nel ritenere non esperibile il giudizio arbitrale e ciò perché
l’arbitrato, poiché alternativo alla giurisdizione arbitrale, poteva essere ammesso solo nelle
controversie devolute al G.O.
Quindi la Legge 205/2000:
Ammetteva l’utilizzazione dell’arbitrato quando si controverteva su diritti soggettivi;
Vietava l’arbitrato per le controversie su interessi legittimi.
L’impugnazione del lodo avveniva in Corte d’Appello.
Art. 7: devolveva al G.A. nella giurisdizione esclusiva le controversie aventi ad oggetto gli atti, i
provvedimenti ed i comportamenti della P.A. in materia edilizia ed urbanistica includendo tutti gli
aspetti dell’uso del territorio. Rientravano i piani urbanistici e la tutela dell’ambiente, nonché i ricorsi
di rilascio o diniego di concessioni di costruzione.
Un discorso a parte per le prestazioni sanitarie, costituendo il diritto alla salute una posizione protetta
di carattere primario, costituzionalmente garantita all’art. 32 Cost.
Laddove le controversie avevano ad oggetto situazioni rientranti direttamente nella sfera dei sinoli
utenti, era indubbio che esse non fossero riconducibili al servizio pubblico, per cui rientrava nella
giurisdizione del G.O.
Per il resto, il Servizio Sanitario Nazionale va qualificato come esercente un pubblico servizio, con
l’attribuzione delle controversie al G.A.
L’art. 7 non conteneva una definizione di servizio pubblico, ma in via generale si riteneva:
Un’attività imprenditoriale non autorizzata dalla P.A.;
Erogazione di prestazioni continue e periodiche;
Offerta indifferenziata al pubblico;
Vigilanza esercitata dalla P.A.
Art. 8: regolamentava le questioni processuali. Per le controversie devolute al G.A. aventi ad oggetto
diritti soggettivi di natura patrimoniale, si applicavano le norme del cpc per l’ingiunzione, e
l’opposizione si proponeva con ricorso.
7.3. Materie oggetto di giurisdizione esclusiva.
Le materie in cui il G.A. esercita giurisdizione esclusiva sono elencate all’art. 133 cpa, disciplinando
organicamente sia ipotesi contemplate in precedenza che casi nuovi. 38
Tra le tante si ricordano:
Risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa
del termine di conclusione del procedimento amministrativo;
Formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di
provvedimento ed accordi tra le pubbliche amministrazioni;
D.I.A.;
Contratti pubblici;
Accesso ai documenti amministrativi;
Urbanistica ed edilizia;
Espropriazione per pubblica utilità;
Servizi pubblici;
Concessione di beni pubblici.
L’elencazione di tale articolo non è esaustiva; si fanno solo ulteriori previsioni di legge, tra queste il
D.Lgs. 198/09 relative alle controversie in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e
dei concessionari dei servizi pubblici.
Nella giurisdizione esclusiva il G.A. poteva conoscere di tutte le questioni relative a diritti
pregiudizievoli e/o principali. Restavano comunque riservate le questioni di stato delle persone e la
querela di falso alla giurisdizione ordinaria.
Querela di falso: artt. 77-78 cpa. “Chi decide la falsità di un documento deve provare che sia stata già
proposta la querela di falso o domandare la fissazione di un termine entro cui possa proporla al
tribunale ordinario competente.
Proposta la querela, e depositata entro 30 gg, il collegio sospende la decisione fino alla definizione
del giudizio di falso. Definito il giudizio di falso, la parte che ha dedotto la falsità deposita copia
autentica in segreteria entro 90 gg dal suo passaggio in giudicato, altrimenti il ricorso è dichiarato
estinto.
7.4. Risarcibilità degli interessi legittimi.
Sulla questione la giurisprudenza aveva tenuto ferma la questione della non risarcibilità, e ciò fino
all’inizio di questo decennio, quando il legislatore è costretto ad intervenire, specie sotto le direttive
comunitarie in tema di pubblici appalti.
“I soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario
in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o delle norme interne di recepimento, possono
chiedere all’amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno”.
La domanda è proponibile dinanzi al G.O. o da chi ha ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo con
sentenza del G.A.
8. Le azioni di cognizione esperibili innanzi all’autorità giurisdizionale.
Quando alle azioni esperibili innanzi il G.A. si ricalca il sistema delle tradizionali azioni di cognizione
(costituzione, di accertamento e di condanna).
Prima della recente riforma, il quadro delle azioni amministrative era incentrato sulla richiesta di
annullamento del provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo.
Il giudizio amministrativo di cognizione è un giudizio di parte (non è consentito procedere d’ufficio)
e si propone con ricorso.
Azione di annullamento: art. 29 cpa. Costituisce l’espressione più tipica del processo amministrativo,
poiché tesa a realizzare la c.d. tutela di tipo demolitorio. Essa si propone per violazione di legge,
incompetenza ed eccesso di potere nel termine di decadenza di 60 gg. La norma permette di precisare
il dies a quo dal quale far decorrere i 60 gg, e questo vuoto lo possiamo colmare con l’art. 41 cpa.
39
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Giustizia Amministrativa, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Lineamenti di Giustizia Amministrativa, Juso. Nello specifico sono trattati: diritto soggettivo ed interesse legittimo, le varie forme di ricorso, giurisdizione ordinaria e giurisdizione esclusiva, gli organi della giurisdizione amministrativa, il processo, i riti speciali.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher diehard1987 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Giustizia Amministrativa e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Juso Raffaele.
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