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C VI: LAPITOLO A GIURISDIZIONE ORDINARIA NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
§1. I criteri accolti per il riparto fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa.
Il c.d. criterio del petitum. In base alla elaborazione più elementare di questo criterio, il dato caratterizzante della giurisdizione amministrativa era rappresentato dal potere di annullamento degli atti impugnati. Formulazione più raffinata, il criterio in esame comportava la possibilità per il cittadino di far valere come "interessi" i diritti soggettivi ed implicava una sorta di relazione di 'continenza' fra diritti soggettivi e interessi legittimi: i diritti soggettivi sono posizioni soggettive più garantite degli interessi legittimi e, quindi, possono essere fatti valere anche come "interessi" per ottenere di fruire della relativa tutela.
Una volta respinte, anche in seguito alla legge del 1907 (cfr. supra III, 2), le proposte di fondare la
giurisdizione amministrativa sul, potere di annullamento, il criterio in esame perse spessore. Le critiche formulate nei suoi confronti sono state principalmente di due ordini: in primo luogo è stato rilevato che interessi legittimi e diritti soggettivi sono posizioni distinte "qualitativamente" e non in termini di minore o maggiore tutela, in secondo luogo è stato rilevato che la tesi del petitum finiva con l'aprire la strada a una doppia tutela, nel senso che la medesima posizione soggettiva poteva essere fatta valere alternativamente o cumulativamente, a scelta del ricorrente, avanti a ciascuno dei due giudici. Oggi, frequentemente, l'espressione "doppia tutela" viene richiamata in tutt'altro senso, per designare alcune ipotesi particolari in cui il cittadino, in una stessa situazione materiale, può agire davanti al giudice ordinario per far valere un proprio diritto, oppure può agire davanti al giudice amministrativo per.è che spesso non è facile distinguere tra interesse legittimo e diritto soggettivo. La legge non fornisce una definizione chiara di entrambi i concetti, lasciando spazio a interpretazioni diverse. L'interesse legittimo è generalmente inteso come un interesse che va oltre l'interesse personale del singolo individuo e che riguarda l'interesse della collettività o di un gruppo di persone. Ad esempio, un cittadino potrebbe avere un interesse legittimo nel contestare una concessione edilizia che potrebbe danneggiare l'ambiente o alterare il paesaggio urbano. Il diritto soggettivo, d'altra parte, è un diritto che spetta a una persona in base alla legge. È un diritto che può essere fatto valere in tribunale e che può essere protetto legalmente. Ad esempio, un proprietario di un terreno potrebbe avere un diritto soggettivo a opporsi alla costruzione di un edificio che viola le norme di distanza o che interferisce con il suo diritto di godimento della proprietà. La distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo è importante perché determina quale giudice ha competenza per decidere sulla controversia. Se viene fatto valere un interesse legittimo, la competenza spetta al giudice amministrativo. Se viene fatto valere un diritto soggettivo, la competenza spetta al giudice ordinario. In conclusione, la distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo è fondamentale per determinare la competenza del giudice e per far valere i propri diritti in modo efficace.In questo modo non è completamente risolto: si deve ancora capire alla stregua di quali circostanze si possa stabilire se sia fatto valere un diritto soggettivo o un interesse legittimo. Se l'attore allega di essere titolare di un interesse legittimo, la tutela spetta al giudice amministrativo; se, invece, si presenta come titolare di un diritto soggettivo, è competente il giudice ordinario. Ciò che rileva non è la realtà effettiva della posizione giuridica di cui sia titolare il cittadino, ma è la situazione soggettiva che viene fatta valere, così come 'prospettata' dal cittadino nelle sue difese.
La Cassazione ha respinto la tesi della prospettazione fin dal 1897 (Cass. Roma, sez. un., 24 giugno 1897, n. 428, c.d. caso Trezza), rilevando come essa conducesse a una incertezza di fondo nel riparto delle giurisdizioni, proprio perché assumeva come dato fisiologico che la decisione ultima sull'individuazione
del giudice competente potesse dipendere da valutazioni o da scelte di convenienza della parte. La tesi accolta dalla Cassazione è stata designata più di recente come tesi del petitum sostanziale: ciò che rileva ai fini del riparto di giurisdizione non è la prospettazione ad opera della parte della situazione giuridica fatta valere in giudizio, ma è l'effettiva natura di questa posizione e la sua oggettiva qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo. Il giudice non può fermarsi alla qualificazione della posizione soggettiva come enunciata da una parte, ma deve verificare d'ufficio l'esattezza di tale qualificazione. Questa conclusione pone peraltro ulteriori problemi. In primo luogo la valutazione sulla sussistenza della giurisdizione si presenta, di regola, come valutazione preliminare rispetto alla decisione sul merito. In secondo luogo si è consolidato un atteggiamento diverso, rispetto al tema della giurisdizione.Da parte del giudice ordinario e da parte del giudice amministrativo. Infatti l'insussistenza di una posizione di diritto soggettivo comporta, per il giudice ordinario che sia stato adito, una pronuncia di rigetto della domanda per infondatezza, mentre il giudice amministrativo, ove rilevi l'insussistenza di un interesse legittimo, è solito dichiarare inammissibile il ricorso (per difetto di giurisdizione).
§ 2. Il riparto della giurisdizione nelle vertenze risarcitorie per danni a interessi legittimi.
Si è già accennato come la Corte di Cassazione, con la sentenza delle sezioni unite n. 500/1999, avesse finalmente ammesso la risarcibilità dei danni ad interessi legittimi (cfr. supra IV, § 8). Poco tempo dopo, la legge n. 205/2000 (art. 7), nel sostituire l'art. 35 del d.lgs. n. 80/1998, assegnava con ampiezza al giudice amministrativo le vertenze per il risarcimento dei danni nel caso di lesione di interessi legittimi (cfr. supra III, § 5).
Nel testo dell'art. 35, 4° comma, così, sostituito, era infatti disposto, a modifica dell'art. 7 legge TAR, che "il tribunale amministrativo, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno ... e agli altri diritti patrimoniali consequenziali". Questa disposizione era riferita particolarmente alla giurisdizione amministrativa sugli interessi legittimi. Per la giurisdizione esclusiva: "Il tribunale amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone risarcimento del danno ingiusto". Nicola Prati 36 Le vertenze per il risarcimento dei danni hanno per oggetto un diritto soggettivo, il diritto al risarcimento. Di conseguenza la loro assegnazione al giudice amministrativo comporta uno spostamento nella giurisdizione rispetto al criterio generale fondato sulla distinzione di situazioni soggettive. L'assegnazione al giudice amministrativodelle vertenze risarcitorie, pur riguardando un intero settore di vertenze concernenti diritti soggettivi e non una "particolare" materia, secondo Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, non violerebbe i principi sanciti dall'art. 103, 1° comma, Cost. sul riparto di giurisdizione. Infatti l'assegnazione al giudice amministrativo della competenza per le vertenze risarcitorie sarebbe coerente col fatto che queste vertenze riguardano sempre il potere amministrativo: la pretesa risarcitoria ha come presupposto l'illegittimità del provvedimento (cfr. supra IV, 5 8). La tutela risarcitoria costituirebbe, insomma, una 'modalità' della tutela giurisdizionale nei confronti del potere amministrativo: resterebbe pertanto fermo il riferimento, fondamentale al potere amministrativo. § 3. I limiti interni della giurisdizione ordinaria nel processo di cognizione. Il tema dei 'limiti interni' della giurisdizione ordinaria coinvolgeparticolarmente, come si è già accennato (cfr. supra II, § 3), l'interpretazione dell'art. 4 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo. Ciò vale non solo perché questa norma vieta al giudice ordinario di "revocare o modificare" "l'atto amministrativo", ma anche perché il divieto di revoca e di modifica è stato interpretato estensivamente, fino a considerare oggetto di protezione qualsiasi espressione di attività amministrativa che non fosse riducibile al mero diritto privato. In definitiva il divieto di revocare o modificare "l'atto amministrativo" è stato interpretato come impossibilità per il giudice di assumere qualsiasi decisione che potesse avere un'incidenza effettiva sull'attività amministrativa. XI. Una riflessione critica su questi sviluppi porta, in primo luogo, a considerare la nozione di "atto amministrativo" (o di«atto dell'autorità amministrativa». Una prima interpretazione portava a identificare tale nozione con qualsiasi atto dell'Amministrazione posto in essere nell'interesse pubblico: Accettando questa interpretazione, si deve concludere che oggetto di protezione ne non possono essere solo i provvedimenti amministrativi, ma devono essere anche i comportamenti materiali dell'Amministrazione di per sé non regolari. Fu sostenuto che questi comportamenti materiali dell'Amministrazione sarebbero in realtà provvedimenti amministrativi taciti, ossia espressioni di volontà dell'Amministrazione desumibili da un comportamento. Il giudice civile, pertanto, non potrebbe mai interferire su di essi. Questa interpretazione è stata accolta a lungo con favore dalla Cassazione. Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, come è stato fatto rilevare giustamente dalla dottrina più attenta (in particolare da NIGRO), questa
in-terpretazione non ha più alcuna ragion d'essere. Oggetto di protezione non può essere una qualsiasi modalità con cui l'Amministrazione persegua l'interesse pubblico, ma può essere solo ciò che già in base alla legge è soggetto a un regime differenziato. La garanzia non può riguardare l'Amministrazione in quanto tale, ma può riguardare solo l'atto amministrativo, come espressione del 'potere' dell'Amministrazione (cfr. art. 113, 3° comma, Cost.); pertanto là dove l'Amministrazione non esercita un potere conferitole dalla legge, non si può ammettere alcuna limitazione ai poteri del giudice. La garanzia dell'atto amministrativo in definitiva, trova la sua ragione e la definizione del suo ambito nel principio di legalità. Analogamente, l'atto che, per un grave vizio, risulti inefficace non può essere considerato espressione di un
potere dell'Ammini