Giustizia amministrativa
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Questo vuoto di tutela è riempito dalla legge del 1889, che fa nascere la giurisdizione amministrativa e
affida l'annullamento dei provvedimenti amministrativi per i vizi tipici e tassativi previsti dalla legge alla IV
Sezione del Consiglio di Stato (più o meno quelli elencati all'art.21octies l.n.241/1990).
Si prevedono anche casi in cui il Consiglio di Stato può sindacare il merito, definendo dunque il contenuto
del provvedimento (è il caso del giudizio di ottemperanza, tuttora presente nell'ordinamento, che serve a
chiedere al giudice amministrativo di imporre alla pa di conformarsi ad una sentenza. Nasce come rimedio
per costringere la pa a conformarsi alle sentenze del giudice civile, ed è un giudizio di merito perché
consente al giudice di dire all'amministrazione come ottemperare, eventualmente sostituendosi ad essa e
nominando un commissario).
La legge del 1889 regola anche il rapporto tra ricorso gerarchico (che è un ricorso giustiziale) e ricorso al
Consiglio di stato (che è un ricorso giurisdizionale). Il primo è ammesso per motivi di merito, anzi è il
presupposto necessario per tutti gli atti non definitivi (ovvero quelli emanati da un'amministrazione
subordinata a qualche altra autorità, e dunque non emanato da un'autorità di ultima istanza) per adire il
Consiglio di Stato. Questo presupposto del previo ricorso gerarchico prima di adire il giudice
amministrativo resiste nel nostro ordinamento fino al 1971, quando vengono istituiti i TAR.
Il ricorso straordinario al re è considerato un rimedio esperibile in via alternativa al ricorso in Consiglio di
Stato. Il ricorso straordinario al capo dello stato ha mantenuto l'alternatività rispetto al ricorso davanti al
giudice amministrativo (ed è preferibile quando sono scaduti i termini per adire un giudice, perché ha dei
termini più lunghi, perché ha un costo inferiore e perché è più veloce).
Nel 1907 si istituisce la Quinta sezione del Consiglio di Stato, alla quale si attribuisce competenza
funzionale ed esclusiva per i giudizi di merito. L'adunanza plenaria prende il compito di risolvere i conflitti
di competenza fra IV e V sezione.
Viene espressamente prevista l'impugnabilità in Cassazione delle sentenze della IV e della V sezione per
motivi di giurisdizione. È qui che viene affermata nero su bianco la natura giurisdizionale di queste due
sezioni del consiglio di stato e delle loro decisioni (si parla di “decisioni” e non di “sentenze” proprio perché
originariamente il Consiglio di stato non era organo giurisdizionale).
Le sezioni I-II-III hanno funzione consultiva del Governo.
Le due funzioni sono divise dal punto di vista organizzativo delle sezioni, ma si tratta pur sempre di
un'unica istituzione, e questo genera qualche dibattito. Ora le sezioni I e II sono consultive, le altre quattro
sono giurisdizionali.
Nel 1923 si elimina la distinzione di competenze tra IV e V sezione, si introduce la possibilità di esercitare
una cognizione incidentale sui diritti (tranne questioni di stato, capacità delle persone e querele di falso), si
stabiliscono i casi di giurisdizione amministrativa esclusiva (in particolare in materia di pubblico impiego,
perché sono gli anni del passaggio da un sistema privatistico ad un sistema pubblicistico, con atto di
nomina come provvedimento unilaterale). Fino al 1998 il pubblico impiego è sottoposto alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo; ora questa sottoposizione è valida solo per il personale non
privatizzato (magistrati, personale militare, professori universitari).
Il regio decreto del 1924 resta in piedi come regolamento di procedura davanti al Consiglio di stato resta in
piedi per moltissimo tempo.
La Costituzione inserisce norme molto importanti di garanzia del cittadino davanti alla pa, come la piena
ed effettiva tutela giurisdizionale del cittadino davanti alla pa per il danno causato dal dipendente.
Quanto al sistema di giustizia amministrativa però, c'è una cristallizzazione del sistema vigente senza
novità (riparto della competenza, duplice funzione del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti). Evita però
la creazione di tribunali speciali.
L'art.108 sancisce la parità della giurisdizione amministrativa e di quella ordinaria. L'art.111 codifica la
ricorribilità in Cassazione delle sentenze del Consiglio di stato e della Corte dei conti solo per motivi di
giurisdizione.
L'art.113 ammette la tutela giurisdizionale avverso tutti gli atti della pubblica amministrazione, davanti al
giudice ordinario o amministrativo a seconda del diritto o dell'interesse in gioco. Tuttavia l'annullamento
dell'atto (e dunque la possibilità di emettere sentenze costitutive) è concesso solo per gli atti
specificamente individuati dalla legge.
L'art.125 prevede l'istituzione di tribunali amministrativi di primo grado in ogni regione. Da questa scelta
organizzativa, nasce il doppio grado di giurisdizione e dunque un innalzamento del livello di tutela.
La strutturazione normativa della procedura amministrativa è comunque stata molto lenta, e per molto
tempo c'è stata solo la normativa del 1923-24 e le sentenze della Corte costituzionale che hanno
progressivamente adattato ai principi costituzionali la normativa e la prassi esistenti.
Il d.lgs. 654/1948 istituisce il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, che ha le stesse
funzioni giurisdizionali e consultive del Consiglio di Stato, anche se limitate per territorio.
Nel 1971 vengono istituiti i TAR. A questo punto cambia la funzione del Consiglio di stato, che diventa
giudice d'appello, a parte per alcuni casi eccezionali che vengono risolte dal Consiglio di stato in ultimo
grado. Nel 1971 viene anche superata la pregiudizialità del ricorso gerarchico rispetto al ricorso
giurisdizionale al TAR ed ampliati i casi di giurisdizione esclusiva (in materia di canoni, concessione di beni
demaniali, espropriazione, ora elencati esaustivamente all'art.133 c.p.a.). Questa novità richiede la
revisione dei rimedi giustiziali (dpr 1199/1971).
Nel 1990 vengono introdotti dei riti speciali (come quello per l'accesso agli atti); nel 1998 è stato
privatizzato il pubblico impiego ed estesa ulteriormente l'area della giurisdizione esclusiva.
La s.n.500/1999 Cass. S.U., poi recepita nella l.n.205/2000, stabilisce la risarcibilità della lesione degli
interessi legittimi pretensivi. Con la 205/2000 si inseriscono altri istituti processuali amministrativi e si
riconduce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la materia delle domande risarcitorie (e ci
sono state delle oscillazioni giurisprudenziali sulla pregiudizialità o meno della domanda di annullamento
dell'atto rispetto alla domanda risarcitoria). Vengono inseriti altri riti speciali e riti accelerati, spesso
derivati dal recepimento di direttive comunitarie (come quello in materia di appalti, per favorire la
concorrenza e la partecipazione di tutti gli operatori economici europei e togliere l'effetto deterrente nel
timore di finire in una causa lunghissima) e altri mezzi istruttori disponibili nel processo amministrativo.
La Corte costituzionale ha messo delle condizioni alle quali la giurisdizione esclusiva è possibile senza
minare l'impianto dualistico.
Con la s.n.204/2004 la Corte costituzionale interviene sulla giurisdizione esclusiva. La causa petendi
diventa un criterio per individuare gli ambiti di giurisdizione esclusiva: ci deve essere stato esercizio di un
potere, espresso nella forma di un provvedimento o di qualunque altra attività autoritativa unilaterale
della pubblica amministrazione.
Le leggi 15 e 80/2005 inseriscono nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva.
Il codice del processo amministrativo (d.lgs.104/2010) raccoglie le disposizioni della legge tar (ora
abrogato) e delle leggi del 1923-24, innovando però anche la materia su numerose questioni (come la
questione della pregiudizialità amministrativa, la derogabilità della competenza territoriale del tar, i mezzi
istruttori etc). Il codice nasce da una legge delega, che istituisce una commissione presso il consiglio di
stato; alcune delle novità proposte dalla commissione però non sono state recepite o sono state recepite
in parte dal legislatore.
La struttura del cpa è ispirata a quella del cpc (e anche questa è una novità nel diritto amministrativo).
Principi costituzionali
Art 24
Fa parte dei principi sull'azione, che non riguardano l'assetto della giustizia ma le modalità con cui nel
processo amministrativo è tutelato l'interesse della parte. L'art. 24 fissa il diritto di azione e il principio di
completezza della tutela. La difesa è diritto inviolabile.
I principi del contraddittorio e della parità processuale delle parti sono il frutto del combinato disposto
degli artt. 24 e 111 come riformato. Ne conseguono diverse applicazioni: [1] il giudice si può pronunciare
solo se la citazione della parte in giudizio è regolare, perché il contraddittorio è necessario per la
prosecuzione del processo; [2] ciascuna delle parti possa interloquire sia con l'altra parte che col giudice su
ogni questione oggetto del giudizio; [3] la parte deve poter conoscere pienamente gli atti e i fatti che si
intendono contestare in giudizio, e per questo la pa ha obbligo di deposito. Queste disposizioni tentano di
superare l'asimmetria ineliminabile nel rapporto fra privato e amministrazione (che conosce il processo, ha
molti più dati e ha acquisito pareri e informazioni che il privato non ha).
Sulla scorta dell'art.24, il superamento dello squilibrio fra le parti è richiesto dalla Corte anche quando la
disciplina processuale non assicura la necessaria presenza della pa (c'è una violazione del contraddittorio).
L'art.24 viene invocato anche in materia di pubblico impiego. L'impostazione originaria prevedeva che tutti
i dipendenti fossero tutelati dal giudice ordinario; dal 1923 viene affermata la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo. La Corte ha spesso sindacato il potere del giudice amministrativo nelle
controversie del pubblico impiego; ora la questione è definita perché si va quasi sempre davanti al giudice
ordinario. Tuttavia le pronunce della Corte danno l'occasione al legislatore per riconoscere particolari
mezzi istruttori che non erano previsti in origine: non era legittimo che uno stesso dipendente avesse un
trattamento diverso a seconda che fosse dipendente pubblico o privato [art.3 Cost]. Similmente viene
estesa ai rapporti di pubblico impiego la tutela cautelare ora il giudice amministrativo ha la possibilità di
adottare ex 700cpc qualsiasi decisione cautelare necessaria per tutelare gli interessi della parte lesa,
secondo un principio di atipicità delle misure cautelari. L'estensione del potere del giudice è giustificata
dalla necessità di garantire tutela effettiva anche nel processo amministrativo.
Il principio di pienezza o indefettibilità della tutela giurisdizionale implica necessariamente la possibilità di
avere anche la tutela cautelare. Quando il legislatore è intervenuto per escludere la tutela cautelare in
procedimenti amministrativi, la Corte è stata chiamata a sindacare i suddetti casi (cf. legge sulla casa
865/1971).
L'ordinamento è sempre favorevole all'esecuzione del provvedimento amministrativo anche se illegittimo:
il provvedimento illegittimo deve essere impugnato entro 60 gg, altrimenti è consolidato e inoppugnabile:
dimostra come l'ordinamento è a favore dell'esecuzione delle decisioni amministrative anche se
illegittime.
Prima era necessario un procedimento amministrativo oltre che giustiziale (volto a ottenere annullamento
o riforma della decisione) per proporre ricorso al giudice amministrativo. La Corte costituzionale però non
vede bene la tutela giurisdizionale condizionata. Fino all'istituzione dei TAR per ricorrere al Consiglio di
Stato occorreva usare un ricorso gerarchico o usare un altro tipo di ricorso sempre previsto dalla legge. La
legge TAR elimina questo presupposto fino ad allora considerato compatibile col principio di
indefettibilità. Oggi ci sono ancora casi di giurisdizione condizionata, come l'ordinamento militare (esiste
una condizione di procedibilità per il ricorso ai tribunali militari).
Si cercano rimedi alternativi: dove il legislatore fissa dei rimedi alternativi questi non devono essere
impeditivi (comunque devono essere concludersi in termini ragionevoli e non devono essere strumenti per
impedire l'accesso del singolo al giudice). Se si protrae diventa un limite alla pienezza della tutela
giurisdizionale: la corte considera questa tutela condizionata incompatibile con l'art. 24 cost.
Per evitare la contestazione immediata del provvedimento di esproprio, si consigliava al privato si valutare
prima se l'indennità fosse buona: ma per la Corte costituzionale è illegittimo subordinare l'esperibilità
della richiesta di esproprio alla preventiva quantificazione dell'indennità da parte della pa.
Nel sistema del diritto civile le parti possono decidere che una sentenza sia decisa da arbitri, e il cc non
pone limiti particolari in questi casi al fatto che una delle parti sia la pa. Si riscontra un problema recente
dopo la legge 205/2000 dove si prevede che nella giurisdizione esclusiva si possa risolvere con l'arbitrato:
ammesso solo quello di diritto. L'arbitrato presuppone un accordo fra le parti ma l'idea che la pa possa
contrattare la decisione col privato stride. Per la corte cost sono illegittime. Oggi nel codice del processo
amministrativo all'art 12 l'arbitrato è ammesso, ma nella sola forma di quello di diritto (?).
L'art. 24 permette di introdurre anche nel sistema amministrativo l'opposizione di terzo. È un mezzo di
impugnazione previsto all'art 404cpc che prevede casi particolari in cui una sentenza già passata in
giudicato può essere impugnata per garantire il contraddittorio. Prima della modifica dell'art. 111 cost la
Corte aveva affermato l'illegittimità dell'art.36 legge TAR, che non permetteva di impugnare le sentenze
del Consiglio di Stato per il terzo che non aveva partecipato.
Art.100
L'indipendenza è assicurata da organi di autodichìa (autogoverno) per ciascuna delle magistrature, anche
quella amministrativa e quella contabile, con funzioni simili a quelli del csm.
L'integrazione del consiglio di presidenza, regolato nel 1982 per la prima volta, con alcuni componenti laici
eletti dal parlamento inizia con la l.n.205/2000.
Art.102
Vieta di istituire giudici speciali o straordinari. Una disposizione transitoria prevedeva che tutti i giudici
speciali o straordinari diversi da quelli espressamente previsti dalla Costituzione dovessero essere aboliti
entro cinque anni, ad eccezione della giustizia amministrativa e della Corte dei Conti che sono
espressamente previste in Costituzione. Il termine di cinque anni però non è stato considerato come
perentorio e quindi per molto tempo sono rimasti in vista comitati e commissioni con funzioni anche
giurisdizionali e che sono stati via via colpiti da sentenze della Corte costituzionale che applicavano il
principio di unicità della giurisdizionale (si trattava di commissioni con competenze in materia elettorale, in
materia tributaria etc).
La tendenza è stata quella ad attribuire tutte le funzioni giurisdizionali al giudice ordinario. Questa
tendenza, che è anche della Corte costituzionale, è motivata dall'art.104 che in modo velato esprime una
maggiore forza e indipendenza della magistratura ordinaria [?].
Art.111
È stato oggetto di una riforma costituzionale (l.n.2/1999). Individua tre caratteri fondamentali:
contraddittorio tra le parti
parità tra le parti
giudice terzo e imparziale.
Al comma 5 prevede una riserva di legge rinforzata per la deroga al contraddittorio.
Il processo amministrativo vede lo squilibrio originario di una parte (la pa) rispetto all'altra (il privato), e
quindi è particolarmente coinvolto da questo articolo.
La ragionevole durata comporta il diritto della parte di avere una risposta in tempi rapidi. La parte può
sempre rinunciare nel corso di un processo a prerogative (come i termini interni al giudizio) che le
permettono di esercitare il diritto al contraddittorio, poiché il consenso della parte permette
un'accelerazione del giudizio. I riti accelerati sono stati considerati legittimi dalla Corte proprio perché
presuppongono la volontà della parte.
La Corte ha riscritto la disciplina del giudizio di ottemperanza. Eseguibile nei casi di: violazione+
elusione del giudicato. In origine non era prevista come necessaria la presenza della pa nel giudizio: era
scontato che la pa fosse soggetto passivo della destinazione del giudizio di ottemperanza. La corte cost
ritiene necessaria però la sua presenza e perciò ordinare la notifica del ricorso alla pa.
Art.113
Comma 1 – La pienezza della tutela riguarda indistintamente interessi legittimi e diritti soggettivi, per
tutte le tipologie di atti e di vizi. Il giudice amministrativo dunque può sindacare i provvedimenti
discrezionali sulle modalità di esercizio del potere; è un sindacato esterno ma sempre più penetrante
perché permette un giudizio sull'esercizio dell'attività. Il sindacato sul merito deve essere un'eccezione
perché implica la possibilità del giudice di sostituirsi all'amministrazione e modificare una decisione già
presa; dunque il giudice può farlo solo nei casi in cui la sua legittimità è estesa al merito e non è più solo di
legittimità, cioè solo nei casi espressamente previsti dalla legge. La differenza fra giurisdizione di
legittimità e di merito non pone problemi interpretativi perché è il legislatore a prevedere espressamente
i casi.
Comma 2 – L'art.113 parla di “atti della pubblica amministrazione”. Pubblica amministrazione potrebbe
essere in teoria anche un organo politico, ma il principio di separazione dei poteri esclude la possibilità per
il giudice amministrativo di sindacare gli atti politici. Non si possono impugnare:
atti politici: sono per natura arbitrari e perciò insindacabili (per es, concessione della grazia). La categoria è
stata intesa in senso sempre più restrittivo;
atti di alta amministrazione: è una categoria di formazione giurisprudenziale. Possono essere sindacati dal
giudice solo per manifesta illogicità o irragionevolezza, perché sono espressione di massima discrezionalità
(per es, nomine di soggetti al vertice dell'amministrazione come sottosegretari e capi di dipartimento).
Comma 3 – La decisione sul giudice competente ad annullare atti amministrativi è rimessa al legislatore,
ma di fatto il potere di annullamento appare in capo solo al giudice amministrativo.
Art.125
Il principio del doppio grado di giurisdizione è stato concretizzato solo nel 1971 con l'istituzione dei TAR.
Questo principio è stato esteso dalla Corte costituzionale al processo amministrativo: è grazie ad una
sentenza della Corte, poi recepita dal legislatore, che anche le ordinanze cautelari dei TAR sono state
considerate appellabili davanti al Consiglio di Stato (al quale ci si può rivolgere appellando non solo la
decisione sul merito ma anche quella sulla domanda cautelare).
Nel momento in cui si impugna il provvedimento, l'impugnazione non determina automaticamente la
sospensione; da qui l'esigenza di dare alla parte la possibilità di chiedere, a certe condizioni, al giudice
amministrativo la sospensione dell'efficacia del provvedimento in via cautelare.
È quindi normale che il processo amministrativo inizi con una domanda cautelare.
Ci sono limiti alla ricorribilità in Cassazione: solo per motivi di giurisdizione è ammesso il terzo grado (per
evitare che il giudice ordinario abbia sempre l'ultima parole su controversie di diritto amministrativo).
Il giudice amministrativo è troppo condizionato dall'intesse della parte pubblica in quanto il governo può
nominare alcuni consiglieri di stato: se ne è parlato davanti alla corte costituzionale con il ddl del 73(?)-> la
corte si è espressa sulla compatibilità con il pr di imparzialità del g. L'intervento è precedente alla riforma
dell'art.111 cost: la corte ritiene questo modello compatibile con la costituzione sul presupposto che la
norma impone una valutazione della idoneità del soggetto da nominare. La nomina deve essere motivata
sulla base della competenza a ricoprire l'incarico: è diverso dal tema della sua assoluta imparzialità.
Ricorsi amministrativi
Sono una lamentela che il privato avanza nei confronti dell'amministrazione contestando la legittimità (ma
anche il merito a volte) di un provvedimento amministrativo.
Il privato può adire il giudice amministrativo, ma può anche chiedere all'amministrazione che ha emanato il
provvedimento di farsi giudice del provvedimento stesso. È chiaro che sorgono grossi dubbi
sull'imparzialità dell'amministrazione.
In passato sono stati disciplinati anche da fonti normative piuttosto antiche, come la l.2248/1865
sull'abolizione del contenzioso amministrativo (prevedeva il ricorso gerarchico, il ricorso al re etc). Oggi il
dpr 1199/1971 disciplina i ricorsi (la legge 69/2009 ha apportato parziali modifiche). Esistono quattro tipi
di ricorsi:
1. ricorso gerarchico proprio
2. ricorso gerarchico improprio
3. ricorso in opposizione
4. ricorso straordinario al presidente della repubblica: viene deciso con un dpr, ma non dal presidente della
repubblica, che lo firma soltanto.
L'amministrazione adotta il provvedimento e viene chiamata a giudicare lo stesso, quindi difficilmente
cambierà idea: questo è il principale svantaggio. Invece i vantaggi del ricorso sul giudizio stanno
nella velocità del procedimento (pochi mesi, spesso con un termine prefissato oltre il quale non si può
andare)
nei costi minori (anche perché non c'è obbligo di rappresentanza, assistenza e difesa)
nel fatto che si può contestare sia il merito che la legittimità dell'azione amministrativa (tranne nel caso del
ricorso straordinario, che può essere proposto solo per vizi di legittimità). Il giudice amministrativo non può
sindacare il merito! Nel caso dei ricorsi, non essendoci terzietà tra organo decidente e organo giudicante, non
ci sono pericoli di commistione di poteri. Siccome il ricorso gerarchico improprio è un modello ibrido, di solito
sono ammesse solo contestazioni di legittimità e solo eccezionalmente di merito.
Deve essere indicato
l'organo che ha emanato il provvedimento
l'organo al quale il ricorso è rivolto
il petitum (l'annullamento, la riforma, la modifica, la sostituzione del provvedimento etc); se il privato
contesta solo vizi di legittimità, può chiedere soltanto l'annullamento. Se contesta anche vizi di merito, può
anche chiedere per esempio la riforma del provvedimento
data, sottoscrizione del ricorrente e dell'eventuale difensore.
I ricorsi amministrativi sono facoltativi: si può chiedere il ricorso amministrativo o quello giurisdizionale o
entrambi (ma non in contemporanea). Il ricorso straordinario invece è alternativo: o l'uno o l'altro.
Possono essere
rimedi generali: ricorso gerarchico proprio e ricorso straordinario. Possono essere sempre promossi a
prescindere da un'apposita fonte legislativa che di volta in volta li autorizzi
rimedi tassativi: ricorso gerarchico improprio e ricorso in opposizione. Ci deve essere un'apposita previsione
legislativa o regolamentare che li autorizzi
a carattere eliminatorio [solo vizi di legittimità]: ricorso straordinario e, in via generale, ricorso gerarchico
improprio. Il ricorso può essere utilizzato solo per annullare il provvedimento amministrativo (e dunque
possono essere contestati solo vizi di legittimità)
a carattere rinnovatorio [anche vizi di merito]: ricorso gerarchico proprio e ricorso in opposizione. Si può
chiedere la riforma e/o la modifica del provvedimento impugnato
ricorsi ordinari: ricorso gerarchico proprio, ricorso gerarchico improprio e ricorso in opposizione. Possono
essere rivolti solo nei confronti di provvedimenti non definitivi.
ricorsi straordinari: ricorso straordinario al presidente della repubblica. Può essere rivolto solo avverso
provvedimenti definitivi, ovvero quando il privato ha già proposto ricorso amministrativo (in un solo grado)
Prima del dpr 1199/1971 il provvedimento amministrativo diventava definitivo quando il privato per
contestarlo promuoveva ricorso innanzi a tutti gli uffici della scala gerarchica sino al ministro. Il problema
in questo caso era che spesso le amministrazioni non rispondevano. Il ricorso davanti al giudice
amministrativo poteva essere promosso fino al 1971 solo quando il provvedimento diventava definitivo, e
dunque quando il privato aveva percorso tutti i gradini della scala gerarchica dell'amministrazione,
proponendo ricorso davanti a ciascuno di essi. Dal 1971 il provvedimento diviene definitivo quando il
privato ha promosso ricorso amministrativo in un solo grado.
Ricorso gerarchico
Può essere presentato all'organo che deve decidere o all'organo che ha emanato il provvedimento (e che
provvederà a trasmettere gli atti all'organo che dovrà decidere). È competente a decidere l'organo
immediatamente superiore (non necessariamente quello di vertice) a quello di emanazione dell'atto. Si
prende in considerazione a questi fini la gerarchia a rilevanza esterna, e non quella fra organi o fra persone
dello stesso ufficio.
È generale, rinnovatorio e ordinario. È onere dell'amministrazione resistente informare eventuali
controinteressati, in modo che questi possano presentare deduzioni, memorie, documenti. Il termine entro
il quale ricorrere è 30 giorni.
È possibile chiedere una sospensione dell'efficacia del provvedimento per gravi motivi, che dovranno
essere dimostrati dal ricorrente. La procedura deve concludersi a termine fisso (90 giorni); non sono
ammesse deroghe né proroghe.
Il contraddittorio non è tutelato pienamente perché
non c'è obbligo di notifica alle parti; l'organo decidente può disporre d'ufficio le notifiche, se le ritiene
necessarie
l'intera procedura si conclude a termine fisso indipendentemente dal fatto che ci sono memorie e documenti
ancora da presentare
non sono ammesse repliche
le memorie e i documenti non sono rivolti alla controparte, ma direttamente all'organo decidente; non c'è
scambio, non c'è agone processuale
l'organo decidente ha signoria assoluta sulla conformazione dell'istruttoria. Nell'istruttoria non possono
essere usati quegli strumenti che incidono sulla libertà dell'individuo (perquisizioni, sequestri etc).
L'organo può assumere
una decisione di rito, se c'è un problema procedurale, o il ricorso è stato presentato fuori termine etc
una decisione di merito: l'amministrazione accoglie o rifiuta la richiesta del privato, entrando nel merito del
provvedimento.
Vige il principio di prevalenza: non possono pendere un ricorso gerarchico e uno giudiziale con medesime
parti ed oggetto in contemporanea. Se si verifica questa circostanza, prevale quello giudiziale perché è
quello che dà più tutele. A questo punto il ricorso gerarchico diventa improcedibile. Se invece viene
proposto prima il ricorso gerarchico poi quello giudiziale, quello giudiziale diventa inammissibile e procede
quello gerarchico. Nel caso in cui siano diversi i vizi di diritto e di fatto dedotti, i due rimedi possono
pendere contemporaneamente.
Contro la decisione che definisce il ricorso gerarchico sono ammessi
1. ricorso straordinario
2. ricorso al TAR
3. per i diritti esclusi dalla giurisdizione amministrativa, tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario
In materia di vizi deducibili nel giudizio di impugnazione, ci sono due orientamenti:
1. sono deducibili gli stessi vizi già dedotti nel ricorso amministrativo, e dunque è possibile la decisione con
rinvio all'organo decidente nel ricorso amministrativo
2. sono deducibili anche vizi diversi, e dunque non è ammessa la decisione con rinvio all'organo decidente nel
ricorso amministrativo.
Sulla questione del silenzio, ci sono due disposizione normative:
l'art.6 dpr 1199/1971: “decorso il termine di 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo
adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto e contro il provvedimento impugnato è
esperibile il ricorso all'autorità giurisdizionale competente e quello straordinario al Presidente della Repubblica”
l'art.20 legge TAR, abrogato dal d.lgs. 104/2010 (Cpa): “nei casi in cui contro gli atti emessi da organi periferici
dello Stato o di enti pubblici a carattere ultraregionale sia presentato ricorso in via gerarchica, il ricorso al TAR è
proponibile contro la decisione sul ricorso gerarchico ed in mancanza, contro il provvedimento impugnato, se la
pubblica amministrazione non abbia comunicato e notificato la decisione agli interessati”.
Queste due disposizioni indicano chiaramente che il ricorso deve essere deciso entro 90 giorni,ma la
giurisprudenza ha oscillato nel qualificare la situazione che si determina quando il ricorso non viene
definito entro tale termine:
1. [prima giurisprudenza della IV Sez. Cons. Stato] quando è spirato il termine di 90 giorni e l'ulteriore termine
indicato in apposita diffida, il silenzio è da intendersi come decisione negativa;
2. [Adunanza Plenaria del 1978] il silenzio è mero inadempimento. Decorsi i 90 giorni, si può impugnare dinanzi al
giudice il provvedimento già impugnato con il ricorso amministrativo. Dopo la decisione giurisdizionale, la pa
non può più definire il ricorso amministrativo;
3. [Adunanza Plenaria del 1989] la pubblica amministrazione può sempre decidere di definire il ricorso
amministrativo, ma – decorsi i 90 giorni – il ricorrente può impugnare i sede giurisdizionale o straordinaria
l'atto già impugnato con il ricorso amministrativo. Il ricorrente allo scadere dei 90 giorni può anche decidere
di notificare alla pa competente una diffida ad adempiere; in caso di ulteriore inerzia, il silenzio è da
intendersi come decisione negativa.
Ricorso gerarchico improprio
È un rimedio tassativo, ammesso non in via generalizzata, ma nei soli casi espressamente previsti, come:
atti emanati da organi di vertice della pa
atti emanati da organi collegiali
atti emanati da pa solo funzionalmente collegata ad altra pa
Viene presentato ad un organo diverso da quello che ha adottato il provvedimento, ma non a questo
superiore. Dal punto di vista procedurale funziona come il ricorso gerarchico proprio. Salvo casi
eccezionali, consente di chiedere solo l'annullamento.
Nel caso siano coinvolte amministrazioni autonome secondo la Costituzione (Stato, regioni, enti locali etc),
dottrina e giurisprudenza si dividono sull'ammissibilità del ricorso gerarchico improprio:
la dottrina non lo ammette (soltanto se pa giudicante e pa resistente sono collegate da rapporto funzionale,
di dipendenza o di vigilanza)
la giurisprudenza lo ammette, perché la definizione del ricorso non è l'esercizio di una funzione
amministrativa di controllo, ma una funzione giustiziale neutra, meramente strumentale alla garanzia del
cittadino nei confronti della pa
Ricorso in opposizione
È un rimedio tassativo, che viene presentato davanti all'organo che ha adottato il provvedimento. Ci sono
poche speranze di vittoria per la scarsissima imparzialità che lo caratterizza, ma consente di eccepire anche
vizi di merito.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
È deciso sostanzialmente dalle sezioni consultive del Consiglio di Stato che esprimono un parere. È
ammesso solo nei confronti di provvedimenti definitivi. Possono essere contestati solo vizi di legittimità e
si può chiedere solo l'annullamento del provvedimento contestato. Il ricorrente deve presentare il ricorso
all'amministrazione che ha adottato il provvedimento contestato e al ministro competente per materia,
che curerà l'istruttoria, nominando eventualmente un responsabile del procedimento.
Il ricorso deve essere notificato ad opera del ricorrente ai controinteressati, o perlomeno ad uno, pena
l'irricevibilità del ricorso. Se il ministro competente rileva che il ricorso non è stato notificato dal ricorrente
a tutti i controinteressati, il ministro stesso dispone l'integrazione del contraddittorio, fissando un termine
perché il ricorrente notifichi il ricorso a tutti i controinteressati (davanti al giudice amministrativo funziona
allo stesso modo). Questo accade perché il ricorso straordinario prevede un'effettiva tutela del
contraddittorio, un vero e proprio scambio di memorie e documenti tra ricorrente, resistente e
controinteressati entro 60 giorni. Si ritiene che anche le amministrazioni non statali possano produrre
documenti e scambiarli, mentre le amministrazioni statali non possono farlo perché sono già
rappresentate dal ministro che presiede l'istruttoria [questo è vero fino al 2009]. L'istruttoria va
completata in 120 giorni.
Una volta completata l'istruttoria, gli atti vengono trasmessi ad una delle sezioni consultive del Consiglio
di Stato. Il parere del Consiglio di Stato è obbligatorio. Fino al 2009 questo parere non era del tutto
vincolante, perché il ministro attraverso una deliberazione del Consiglio dei Ministri poteva discostarsi dal
parere e di fatto avere il potere decisorio (questa cosa nella prassi non succedeva, ma tecnicamente il
parere del Consiglio di Stato non era vincolante). L'art.69 l.n.69/2009 stabilisce però che il parere del
Consiglio di Stato è vincolante. Il Presidente della Repubblica firmerà il dpr con cui viene deciso il ricorso.
Alternatività. Il rapporto tra ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e il ricorso al giudice
amministrativo è alternativo: o l'uno o l'altro. La ratio è che nel ricorso straordinario il soggetto decidente
è il Consiglio di Stato con parere vincolante; nelle vertenze amministrative il Consiglio di Stato è giudice
d'appello. Si vuole evitare dunque un contrasto giurisprudenziale tra sentenza delle sezioni giurisdizionali
e parere delle sezioni consultive.
L'unica eccezione al principio di alternatività è il caso di errores in procedendo. Se c'è un errore nella
procedura del ricorso straordinario, il privato può contestarlo davanti al giudice amministrativo.
Impugnazione. L'unico altro strumento per impugnare il dpr è la revocazione, che è strumento di
impugnazione processual-civilistico, per cui si rimanda al cpc.
Giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario. Si ritengono ammissibili nella procedura del ricorso
straordinario sia questioni di legittimità costituzionale (grazie alla l.n.69/2009) sia il giudizio di
ottemperanza (per giurisprudenza del Consiglio di stato). Dunque il ricorso straordinario rimane un ricorso
amministrativo ma negli anni è costante la tendenza ad inserire elementi di stampo giurisdizionale.
Il ricorrente rinuncia ad adire il giudice amministrativo quando propone ricorso straordinario, in virtù del
principio di alternatività. Ci possono essere problemi di rango costituzionale per i controinteressati: il
ricorrente priva i controinteressati della possibilità di avere tutela davanti al giudice amministrativo, e
quindi si contrastano gli art.24 e 113 Cost. La questione è stata risolta dal dpr 1109/1971, che dice che
entro 60 giorni dalla notifica del ricorso straordinario, i controinteressati possono proporre opposizione
da notificare alle parti. Chiedono in questo modo che la questione venga trasferita davanti al giudice
amministrativo. A questo punto il ricorrente, pena l'improcedibilità del ricorso, deve adire il giudice
amministrativo. In questo modo è salvaguardato il diritto alla tutela giurisdizionale per i controinteressati.
Può fruire anche l'amministrazione dell'opposizione? Prima del 2009 si diceva che solo quelle non statali
potevano opporsi, perché quelle statali erano già rappresentate dal ministro (che allora aveva potere
decisorio anche in contrasto con il parere del consiglio di stato). Dal 2009 quindi anche le amministrazioni
statali, dato che il ministro non ha più potere decisorio, possano presentare opposizione entro 60 giorni
per portare il ricorso in sede giurisdizionale.
Giurisdizione nel processo amministrativo
Il giudizio può essere
sull'atto o sul rapporto
sull'atto e sul rapporto
su interessi legittimi e diritti soggettivi
su interessi legittimi o diritti soggettivi
generale di legittimità, di merito, esclusiva
Sono comuni a tutte le giurisdizioni le norme sul rapporto fra il giudice e le parti, sulla introduzione del
giudizio, sulla instaurazione del contraddittorio, sulla istruttoria e sulla esecuzione della sentenza.
[1] Giurisdizione generale di legittimità
Non richiede alcuna autorizzazione legislativa, perché è affidata in via generale al giudice amministrativo.
Il rapporto tra giudice amministrativo e giudici speciali (Corte dei Conti, Tribunale delle Acque,
Commissioni tributarie etc) è di prevalenza del giudice amministrativo, che copre tutte le materie non
espressamente affidate ai giudici speciali.
Il Consiglio di stato è organo di ultimo grado (il secondo e l'ultimo). In sede giurisdizionale decide con
l'intervento di cinque magistrati (il TAR invece tre). L'adunanza plenaria viene convocata quando la
controversia ha già generato contrasti interpretativi tra le Sezioni o quando la questione è particolarmente
complessa e si ritiene necessaria una pronuncia congiunta.
Riguarda controversie relative ad atti, provvedimenti od omissioni delle pubbliche amministrazioni,
comprese quelle relative al risarcimento danni per la lesione di interessi legittimi e degli altri diritti
patrimoniali conseguenti [introdotta con l'art. 7 l. n. 205/2000], anche se introdotte in via autonoma.
Il legislatore in virtù del principio di effettività ha fatto in modo che quando un privato si rivolge ad un
giudice, possa ottenere da questo tutte le risposte alle lesioni subite, compresa la rimozione degli effetti
di un provvedimento illegittimo. Il giudice rimuove il provvedimento ab origine e tutti gli effetti che il
provvedimento medio tempore ha prodotto.
Tuttavia il provvedimento può aver causato danni, e sarebbe diseconomico per il privato dover iniziare due
procedimenti, uno innanzi il giudice amministrativo per l'annullamento del provvedimento e uno innanzi al
giudice ordinario per il risarcimento. Anziché permettere al giudice ordinario di conoscere incidentalmente
della questione amministrativa, si è deciso di derogare in senso opposto il riparto di giurisdizione e il
legislatore ha affidato al giudice amministrativo il risarcimento dei danni causati da un provvedimento
illegittimo.
C'è molto dibattito sul carattere predominante della giurisdizione amministrativa come giurisdizione
oggettiva o come giurisdizione soggettiva: l'interesse principale è quello della legittimità dell'atto o la
tutela del privato? Sono due concezioni opposte, l'una più civilistica e l'altra più amministrativistica. Per
esempio, i giudici amministrativi sono sempre stati restii a far diventare la domanda di risarcimento la
domanda principale del giudizio, eventualmente anche scollegata dalla domanda di annullamento. La
questione della necessaria pregiudizialità dell'annullamento rispetto al risarcimento è stata data dal
legislatore: è permessa anche l'azione autonoma di risarcimento, ma con termini molto stretti (altrimenti il
privato potrebbe far passare del tempo per chiedere un risarcimento più alto).
C'è quindi anche una cognizione del giudice amministrativo sui diritti:
in via incidentale, tranne che sulle questioni in materia di stato e capacità delle persone nonché in materia di
querela di falso
in via principale in materia di risarcimento danni provocati da un provvedimento illegittimo).
[2] Giurisdizione speciale di merito
Ha carattere speciale: richiede un'espressa autorizzazione legislativa perché il giudice amministrativo
abbia giurisdizione. Il giudice può valutare anche vizi di merito (sostituendosi all'amministrazione), ha più
poteri istruttori e decisori, siccome dovrà valutare tutte le soluzioni possibili che l'amministrazione
avrebbe potuto adottare. Può modificare sostanzialmente il contenuto del provvedimento, riformandolo,
e in questo modo sindacando il giudice amministrativo anche su profili di opportunità e convenienza.
Ovviamente le critiche si sono concentrate sulla violazione nella separazione dei poteri, perché si realizza
in questo modo una sostanziale sostituzione del giudice amministrativo alla pubblica amministrazione.
È il caso del giudizio di ottemperanza, nel quale è possibile introdurre vizi di merito che il giudice può
sindacare. Gli altri casi sono elencati all'art.134 cpa.
[3] Giurisdizione speciale esclusiva
Ha carattere speciale: richiede un'espressa autorizzazione legislativa perché il giudice amministrativo
abbia giurisdizione. Il giudice conosce sia interessi legittimi che diritti soggettivi. Le questioni in materia di
stato, capacità delle persone e querela di falso spettano comunque al giudice ordinario, e il processo si
deve interrompere per attendere l'esito dell'incidente davanti al giudice ordinario.
A seconda che l'oggetto sia un diritto soggettivo o un interesse legittimo, è diversa la sentenza che il
giudice emette e il potere che può esercitare sulla pubblica amministrazione.
Sono materie di giurisdizione esclusiva
1. pubblico impiego non privatizzato (sottratto sia alla privatizzazione sostanziale sia a quella formale), perché è
una materia in cui diritti e interessi sono fortemente connessi
2. servizi pubblici (dal 1998), ma solo in relazione all'attività amministrativa (non quella di gestione o
meramente privatistica)
3. urbanistica ed edilizia (dal 1998), ma solo in relazione all'azione autoritativa della pubblica amministrazioe
(non di gestione o meramente privatistica, per esempio rientrano gli espropri, ma non il mancato pagamento
dell'indennità)
4. contratti di appalto (affidamento di lavori, servizi, forniture) stipulati dalla pa o da soggetti privati tenuti ad
applicare la normativa comunitaria o ad applicare procedimenti ad evidenza pubblica
5. concessione di beni e servizi pubblici (con esclusione delle controversie in materia di demanio idrico, che sono
devolute al Tribunale delle acque, e di quelle concernenti canoni, indennità o altri corrispettivi).
Il tipo di situazione giuridica soggettiva lesa rileva anche ai fini dei termini per l'impugnazione del ricorso:
se è un interesse legittimo, si guarda al termine di decadenza (60 giorni); se è un diritto soggettivo, la cui
tutela si chiede a prescindere dalla richiesta di annullamento del diritto, si guarda al termine di
prescrizione del diritto.
Condizioni generali dell'azione
I presupposti sono l'interesse ad agire e la legittimazione ad agire, come nel processo civile. Nel processo
amministrativo, occorre che questo interesse e questa utilità siano concretamente conseguibili. Nell'ipotesi
di un soggetto che partecipa ad un concorso per titoli e che si accorge che la commissione giudicatrice ha fatto un
errore nella valutazione di uno dei titoli, se risulta che anche laddove la commissione avesse giudicato correttamente il
titolo il soggetto non sarebbe risultato vincitore, non c'è interesse ad agire.
Questo accade perché il processo amministrativo è concepito come un processo che mira non ad una
oggettiva giustizia, ma a tutelare il cittadino di fronte all'amministrazione. Ci sono casi in cui è ammesso
l'accertamento della verità in sé, a prescindere dal conseguimento di un'utilità da parte del ricorrente
(sono le cd azioni popolari e la legittimazione riconosciuta all'Antitrust, che può impugnare qualsiasi atto
della pubblica amministrazione che sia contrario ai principi della concorrenza).
L'interesse ad agire
L'interesse ad agire deve essere
personale: deve riferirsi al ricorrente, a colui che agisce in giudizio
attuale: l'interesse deve sussistere al momento della proposizione della domanda. Non si può fare una
domanda ipotetica e futura
concreto: l'interesse deve essere correlato ad una lesione effettiva, concreta, già avvenuta e specifica.
Sono gli stessi caratteri che deve avere l'interesse di chi chiede l'accesso ai dati.
[1] Questi presupposti circoscrivono l'autonoma impugnabilità di alcuni atti, come gli atti interni
preparatori (cd endoprocedimentali): la lesione sarà effettiva solo al termine del procedimento
amministrativo! Però ci sono anche ipotesi in cui l'atto endoprocedimentale può essere impugnato, ed è il
caso in cui per esempio il parere è obbligatorio e vincolante: dall'atto endoprocedimentale deriva un
effetto preclusivo (cd atti soprassessorio).
[2] Deve essersi poi conclusa la fase integrativa dell'efficacia (attenzione che quando il momento del
perfezionamento è diverso dal momento in cui l'atto acquista efficacia, i termini per l'impugnazione
decorrono dal momento in cui l'atto acquista efficacia): non si possono impugnare atti non ancora efficaci
perché non sono idonei a provocare una lesione attuale. Idem per gli atti sottoposti a condizione
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