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MERCOSUR
La CIG su questo punto dice che la richiesta dell'Uruguay è in linea generale ammissibile, poiché è vero che la questione è stata affrontata già presso un altro organo, ma in quell'organo si è dibattuto proprio di questi aspetti (libera circolazione e commercio fra paesi). Restano comunque fuori tutti gli aspetti strettamente connessi alla costruzione delle cartiere, e dunque l'eventuale traffico di materiali che possano pregiudicare la stessa (che rientrano nell'ambito di applicazione del trattato del 1975). Ai fatti, la costruzione della cartiera era già al 70% della realizzazione. Il rallentamento dei lavori dovuto ai blocchi, per tanto, non ha creato un grave danno. Da questo, tuttavia, non si può desumere che in futuro non ci saranno danni inerenti alla costruzione della cartiera, e questo perché i blocchi hanno provocato già una sospensione dei lavori.
sé è ammissibile, ma nel merito non ci sono i presupposti perl’indicazione di misure provvisorie (che anche in questo caso vengono rigettate dalla Corte).Si procede, pertanto, ad analizzare la questione nel merito.
Il primo punto che la Corte deve chiarire è, anche in questo caso, la sua giurisdizione. La giurisdizione della Corte deriva dalla clausola compromissoria (art. 60 del trattato del 1975). Quello che diverge, tuttavia, è l’interpretazione di tale articolo. Bisogna pertanto chiarire l’aspetto applicativo dello stesso, e in modo particolare gli aspetti inerenti all’inquinamento del fiume.
Secondo l’Argentina, qualsiasi tipo di inquinamento può rientrare nell’ambito di applicazione dello statuto. Secondo l’Uruguay, solo ciò che è legato alle acque del fiume.
In modo particolare, la questione riguardava l’inquinamento dell’aria, l’inquinamento acustico e l’inquinamento visivo.
Gli articolo di riferimento sono presenti nel capitolo IX e X del trattato. Secondo l'interpretazione argentina, queste norme costituiscono delle c.d. referral clause: rimandano cioè, nell'interpretazione e applicazione, a norme preesistenti del diritto internazionale, ossia contenute in altri trattati rilevanti; nella loro interpretazione, pertanto, si deve far riferimento a trattati rilevanti (es. Convenzione sulla biodiversità, convenzione sulle zone umide, etc.) per la conservazione e l'utilizzo delle risorse naturali e la protezione dall'inquinamento. Quest'interpretazione dell'Argentina è suffragata dall'art. 31 par. 3 lett. C della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e cioè la c.d. interpretazione evolutiva (he tenga conto di contesto, norme applicabili tra le parti, e mutamento in positivo delle norme relative alla protezione ambientale). La CIG, tuttavia, accoglie la tesi opposta dell'Uruguay:
è vero che il trattato deve essere interpretato in modo evolutivo, ma la norma non può essere interpretata in maniera talmente ampia da ricomprendere un'interpretazione di altre norme. Quello creato nel 1975 è un regime giuridico che riguarda la gestione del fiume, per cui un'interpretazione così ampia va oltre quella che è stata la volontà delle parti di disciplinare un regime giuridico specifico per il fiume.
La Corte dice: abbiamo due tipi di obbligo in gioco, ossia obblighi di carattere procedurale e obblighi di carattere sostanziale. L'obbligo procedurale attiene in modo particolare agli aspetti delineati dagli artt. 7 fino a 12 (cap. II dello Statuto del 1975). Gli aspetti sostanziali sono quelli che riguardano invece gli articoli dei capitoli che riguardano la gestione delle risorse e l'inquinamento.
Obblighi procedurali
C'è un aspetto che la CIG vuole chiarire preliminarmente, ossia il rapporto tra obblighi
proceduralie obblighi sostanziali. Il legame tra questi due tipi di obblighi è di tipo funzionale. L'Argentina afferma che gli obblighi procedurali e sostanziali sono talmente connessi fra loro che la violazione di uno comporta automaticamente la violazione dell'altro. A tal proposito, la Corte dice che è vero che c'è un legame importante e che gli obblighi procedurali mirano a soddisfare quelli sostanziali, ma non si può desumere che dalla violazione di uno derivi automaticamente anche la violazione dell'altra. Gli obblighi procedurali, infatti, sono primariamente obblighi di cooperazione, mentre quelli sostanziali hanno a che fare con la condotta materiale delle due parti.
L'art. 7, nella versione inglese, utilizza il verbo "notify" sia al primo che al secondo paragrafo: nel primo caso si parla di notifica alla commissione, mentre il secondo riguarda la notifica all'altro Stato. La Corte fa presente che, nella
La Corte decide, pertanto, di analizzare lo stato giuridico della CARU. Tale commissione è secondola CIG una vera e propria organizzazione internazionale composta da due Stati; da ciò derival’obbligatorietà di ottemperare al meccanismo previsto dalla CARU, che è dunque obbligatorio.
L’Uruguay sostiene di aver comunicato il piano una volta che era stato già autorizzato, e l’ha fattoperché prima della fase di autorizzazione non c’erano elementi per consentire alla commissione divalutare la questione. Questa interpretazione, però, non è stata accolta dalla Corte, che ha affermatoche la funzione di questo primo passaggio è proprio quello di una valutazione.
Una volta terminata questa fase negoziale, qual era l'obbligo dell'Uruguay? Sospendere i lavori o continuare a costruire?
Poteva ma nella misura in cui si accerti il rispetto degli obblighi sostanziali e si assuma il rischio di eventuali forme di riparazione.
Altri punti: studi presentati.
Onere della prova: la Corte non può ammettere una deroga al principio classico secondo il quale è l'attore che deve provare la veridicità della tesi.
Obbligo di condotta: adottare le misure necessarie e coordinarsi. La tesi
danneggiare o inquinare l'ambiente acquatico di un altro Stato o di aree al di fuori della giurisdizione nazionale; c) di cooperare con altri Stati e organismi internazionali per prevenire e combattere l'inquinamento dell'ambiente acquatico. La Corte afferma che l'Argentina non ha dimostrato in modo sufficiente che l'Uruguay abbia violato l'art. 41. La Corte riconosce che l'Uruguay ha adottato misure per prevenire l'inquinamento dell'ambiente acquatico, come la costruzione di impianti di trattamento delle acque reflue e l'implementazione di norme per il controllo delle attività agricole. La Corte conclude che l'Uruguay ha adempiuto ai suoi obblighi in base all'art. 41 e respinge la richiesta dell'Argentina di dichiarare la violazione di questa norma. Leggere paragrafi da 220 a 237.ridurre nei proprio ordinamenti interni i requisiti tecnici per prevenire l'inquinamento e dinon diminuire l'ammontare delle sanzioni previste per eventuali norme inerenti all'ambiente;
informazione reciproca fra le parti per qualsiasi norma che pianificano di adottare con riferimentoall'inquinamento, in modo che i due ordinamenti vengano armonizzati e si crei una sorta di regimecomune fra le parti.
La protezione dell'ambiente marino viene qualificato dalla Corte come obbligo di risultato. Secondo l'Argentina, lo scarico di sostanze nel fiume equivale all'inquinamenti, e dunque allaviolazione dell'obbligo di risultato di proteggere l'ambiente acquatico.
Il secondo elemento della posizione argentina riguarda la "referral clause", ossia una norma che asua volta rinvia ad altre norme internazionali. Nel violare quest'obbligo di risultato, l'Uruguay haviolato anche la Convenzione sulla biodiversità e la
Convenzione sulle zone umide. L'Uruguay, a sua volta, sostiene che l'obbligo previsto dall'art. 41 non è assoluto: il divieto di inquinamento non è assoluto, ma ci sono dei cri