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CAPITOLO TERZO- LA RADIO DALLA TELEGRAFIA AL BROAD CASTING
1. Wireless
La radio è stata inventata nel 1895. Essa è un’applicazione pratica della scoperta delle
onde elettromagnetiche da parte del fisico tedesco Hertz negli anni Ottanta
dell’Ottocento. Marconi ingegnerizza questo principio riuscendo a generare
artificialmente ondi di varia frequenza e dimostrandone l’utilità per la comunicazione.
La radio è il primo strumento di comunicazione di massa che non richiede alcun tipo di
supporto materiale: si fonda su una trasmissione immateriale (generazione di onde
elettromagnetiche che vengono captate da un apparecchio e decodificate). Hertz
scopre che l’etere può essere percorso da onde, di varia frequenza, che l’uomo può
generare artificialmente. L’invenzione di Guglielmo Marconi non è in realtà la radio che
conosciamo oggi. Marconi aveva chiamato il suo ritrovato “telegrafo senza fili. Il
telegrafo elettrico infatti poteva comunicare solo con luoghi già collegati con il “filo”,
escludendo quindi le zone più remote ed impervie ma soprattutto le navi in mare
aperto; in Italia la Marina ed il ministero delle Poste rifiutarono il suo progetto che fu
invece accettato in Inghilterra. 9
In seguito all’accettazione del suo dispositivo, Marconi fondò la Compagnia Marconi
che in Gran Bretagna esiste ancora. Ancor oggi il radiotelegrafista di una nave si
chiama marconista. La prima dimostrazione dell’utilità della radio nota al grande
pubblico si ebbe al momento dell’affondamento del Titanic quando il SOS venne
intercettato da un giovane marconista dell’American Marconi di nome David Sarnoff,
che poi sarebbe diventato il presidente della Radio Corporation of America. La radio fu
utilizzata massicciamente durante la prima guerra mondiale da parte degli eserciti in
lotta per la comunicazione tra i reparti. Questa radio non ha comunque quasi nulla a
che vedere con quella odierna. Il telegrafo senza fili è un mezzo di comunicazione
punto a punto, da un mittente a un destinatario che sono intercambiabili, mentre la
radio moderna è una forma di comunicazione di massa, tra una stazione emittente ed
un pubblico ascoltatore.
2. On air
Nel 1906 Lee de Forest inventò una valvola elettronica, il triodo (che lui chiamò
audion) che permetteva di trasmettere la voce umana invece dell’alfabeto telegrafico
Morse utilizzato da Marconi; durante la prima guerra mondiale si trovò il modo di
produrre industrialmente il triodo come una comune lampadina. Dopo la guerra
mondiale le industrie avevano sviluppato tecnologie e linee di produzione, ma non
avevano più le commesse militari. Gli Stati Uniti ritennero allora conveniente lanciarsi
nella produzione di semplici apparecchi radio solo riceventi per uso domestico. La
complessità dell’apparato radiotelegrafico si scindeva in due corpi asimmetrici, in un
apparato trasmittente molto complesso (la stazione radio) ed in uno ricevente molto
semplice (la radio di casa). Era nata la radio come mezzo di comunicazione di massa.
Ma che cosa si poteva ascoltare con la radio? Un contenuto era necessario, perché la
gente sentisse il bisogno di acquistarla. Si pensò di rifornire questi apparecchi con
musica e parole, trasmessi da una potente stazione e ricevuti da tutti gli apparecchi
sparsi nell’area di ricezione, senza bisogno di alcun collegamento materiale. Questa è
una rete piramidale solo discendente, con un vertice che è la stazione emittente e una
base costituita da apparecchi solo riceventi che non possono comunicare né con
l’emittente né tra di loro. La trasmissione via etere in questa forma fu chiamata
“broadcasting”, un termine inglese che significa propriamente “semina larga”. Il
neologismo “narrowcasting”, “semina stretta”, sarà coniato negli anni Ottanta del
Novecento per definire invece la trasmissione delle televisioni a pagamento.
Il broadcasting è una forma di comunicazione in grado di penetrare nel domicilio, con
la differenza che se il telefono è una comunicazione punto a punto ed una rete
“vuota”, la radio assolverà a ben altre funzioni perché trasmette “piena” di contenuto.
La radio tesse una rete immateriale, che arriva gradualmente in tutte le case,
inserendosi nella vita privata ed aggiungendosi alle altre reti a cui è collegata.
La radio diventa un servizio “a flusso”: è disponibile in casa quando lo si desidera e
viene erogato finchè non si chiude il collegamento. L’unico effettivo atto di acquisto,
ormai dimenticato, è quello iniziale di quando abbiamo acquistato l’apparecchio. La
fruizione è domestica e quindi ciascuno ne usufruisce come e quando crede, anche in
contemporanea con altre attività.
I concetti di pubblico e privato ne escono stravolti. Lo spettatore era sempre stato
associato allo spazio pubblico. Parliamo di “pubblico della radio” quando i membri che
lo compongono non sono fisicamente compresenti e si trovano tutti nel privato.
Parliamo di “comunicazione di massa” , ma in realtà la massa non c’è più. Per essere
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più precisi , una massa che ascolta c’è, ma non è riunita nello stesso posto: ciascuno è
a casa sua.
Inizialmente della radio (come della televisione) è stato fatto un uso collettivo poiché
gli apparecchi costavano ancora molto e per questo ci si recava nei pochi luoghi in cui
essi erano presenti, in un bar o anche da un vicino di casa più facoltoso. Ma appena si
è potuto, si è realizzato un ascolto familiare e poi individualizzato.
Di questa dimensione collettiva per necessità fu fatto negli anni Trenta un uso politico:
il fascismo ed il nazismo hanno usato la radio come forma di informazione in tempo
reale del regime, come un altoparlante per i propri comizi.
La radio è vista come sinonimo di libertà perché consente una fruizione spontanea,
gratuita e non ripetitiva. Essa rappresenta il trionfo dell’uso domestico della
comunicazione e della quotidianità rispetto al giornale che presuppone
alfabetizzazione e “impegno”. Il livello di attenzione e di concentrazione che richiede e
che le viene prestato è minore rispetto ad altri mezzi di comunicazione di massa,
come avverrà anche per la televisione. Si tratta di una rivoluzione sociale di notevole
portata, perché in grado di raggiungere le fasce sociali più basse, perché è gratuita,
perché non richiede la capacità di saper leggere e scrivere, perché è compatibile con
le attività quotidiane e non richiede uno spostamento nello spazio pubblico né un atto
di acquisto.
3. Il broadcasting in USA e in Europa: due modelli
Negli Stati Uniti, dove la radio è nata, un primo tentativo di farne un monopolio della
Marina da guerra fallì sul nascere. Essa costituì sempre un’attività commerciale, svolta
da un colosso come la RCA (Radio Corporation of America), costituita nel 1919. La
radio era vista come un affare: si distribuivano gratuitamente i programmi perché i
cittadini-clienti comprassero gli apparecchi radio. Quando il mercato degli apparecchi
fu saturo, il ruolo del finanziatore sarebbe stato preso dalla pubblicità. Per la prima
volta, questa rappresentava l’unica fonte di entrata di un mezzo di comunicazione.
Nel 1927 fu emanata una legge, il Radio Act, che diceva: chiunque può effettuare
trasmissioni radiofoniche purchè in possesso di una licenza, che assegnava anche le
frequenze su cui trasmettere Lo stato regolava la concessione di licenze. Poco dopo fu
creata per questo un’autorità federale, la FRC (Federal Radio Commission dal 1934
FCC, Federal Communication Commission. La radio americana si organizzò in tre
grandi network: NBC, CBS, ABC, che poi diventarono anche televisivi. Ciascun network
è collegato con un gran numero di stazioni locali affiliate che ripetono il loro segnale. I
network forniscono solo una parte della programmazione giornaliera, comprensiva di
pubblicità; nelle altre fasce orarie le emittenti locali mandano in onda programmi
propri con pubblicità locale. Possono anche consorziarsi con altre stazioni per la
produzione di programmi o la ricerca di pubblicità; questi consorzi prendono il nome di
“syndication”.
In Europa la radio si sviluppò secondo un modello opposto. La radio si consolida come
un monopolio diretto o indiretto dello Stato che si sovvenziona attraverso una tassa o
un canone d’abbonamento ed esclude o lascia ai margini la pubblicità. In nessuno dei
paesi europei, l’industria radioelettrica avrebbe avuto le dimensioni necessarie a
finanziare, come in America, la nascita dei programmi radiofonici.
L’esempio più tipico fu quello inglese. Nel 1926 viene costituita un’impresa pubblica,
la BBC (British Broadcasting Corporation) che aveva il monopolio delle trasmissioni
radiofoniche ed era dotata di una precisa missione: “istruire, informare, intrattenere”.
La BBC non ammetteva la pubblicità e si finanziava soltanto attraverso fondi pubblici.
La radio è vista come un “servizio culturale” che lo Stato eroga potenzialmente a tutti i
cittadini; si parla per questo di una “impostazione” pedagogica del servizio pubblico. 11
Il carattere pubblico della radio e poi della TV europea favorisce la costituzione di
grandi apparati culturali legati alla politica, che governa gli enti radiotelevisivi.
I paesi autoritari non si lasciarono sfuggire le opportunità propagandistiche proprie del
nuovo mezzo. In Italia il governo fascista esercitava un controllo di fatto sull’EIAR (Ente
italiano per le audizioni radiofoniche) che operava in regime di monopolio. L’uso più
persuasivo della radio fu operato tuttavia dal nazismo tedesco. Dopo la seconda
guerra mondiale anche l’Italia e la Germania si ispirarono al modello della BBC. In Italia
l’EIAR lasciò il posto alla RAI (Radio audizioni italiane, 1944- poi Radiotelevisione
italiana). CAPITOLO QUARTO – LA TELEVISIONE
1. Nasce la TV
Tra la radio e il cinema muto si era stabilita una tacita spartizione di campi. Il cinema
era il leader dello spettacolo nello spazio pubblico, la radio era la regina
dell’intrattenimento domestico. L’uno aveva le immagini, l’altra i suoni. Dal 1927 però
il cinema diventò sonoro, con immediato successo. Le aziende radiofoniche
compresero che il loro spazio sociale non era più intoccabile ed era minacciato. La
televisione apparve loro come una risposta efficace e insieme un’evoluzione
desiderata della radio e fi