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– PAVESE E “IL MESSAGGERO”
3° SAGGIO
Pubblicare con cortesia: gli anni Quaranta
1.
Pavese è stato una grande personalità culturale che è riuscita a mediare aspetti ed esperienze
della cultura europea e americana estranei all’idealismo della cultura e letteratura italiana; è
stato inoltre un autore impegnato che ha vissuto appieno la sua militanza nel partito comunista.
Tuttavia, nel rapportarsi alla letteratura e al mondo egli si sente continuamente trascinato dentro
una realtà che sente estranea, con la quale il suo io non riesce mai a conciliarsi. Proprio per
questo, la sua vita sarà caratterizzata da una tormentosa analisi di se stesso e dei rapporti con
gli altri anche attraverso la scrittura. Fu amico di personalità torinesi come lui e di grande spicco
come Leone Ginsburg, Norberto Bobbio, Giulio Einaudi, formandosi di fatto all’interno di un
ambiente politico e culturale dominato dalla figura di Gobetti, quindi da una prospettiva
antifascista, liberale ed europea. Nella sua attività di scrittore una tematica costante è il legame
profondo con la sua terra, la regione piemontese delle Langhe, una zona collinare; un legame
tanto profondo che l'esperienza dell'infanzia diventa per lui fondamentale per dare un senso alla
vita. In questo senso, il suo conflitto interiore, cioè l'incapacità di aderire alla vita pur volendolo,
si esprime in Pavese nei termini di un altro conflitto, quello tra "campagna" e "città". Pavese,
cioè, per dare una spiegazione alle contraddizioni della sua personalità, elaborò una sorta di
teoria che contrapponeva la "natura" alla civiltà, cioè la "campagna" alla "città”, che invece
rappresenta il movimento, il fare, l’operosità che trasforma le cose e allontana dalla natura. Il
rapporto tra città e campagna è perciò, sotto questo aspetto, contradditorio: in entrambe si
intrecciano infatti elementi positivi e negativi. Questa dicotomia, contrapposizione, gli veniva
suggerita sia dalla letteratura americana (che esaltava, con Anderson, la vitalità istintiva e
selvaggia, il primitivo) sia dalle letture degli studiosi del mito e degli psicoanalisti, una dicotomia
che peraltro rappresenta uno dei topoi universali della letteratura, e che di fatto ritroviamo nella
poetica di diversi scrittori, poeti italiani (Pasolini, Rosso di San secondo, Attilio Bertolucci,
Volponi etc.).
In Pavese è inoltre fondamentale il problema della costruzione di sé, in quanto è un problema
che sarà alla base di tutto il suo rapporto con la letteratura. Una conseguenza di questa
costruzione e della maturità acquisita è un altro problema: quello dello stile. Quanto più egli si
avvicina alla maturità stilistica, quanto più si convince di essere arrivato alla costruzione di sé,
più egli si sente minacciato dalla perdita di sé. Nella sua ricerca dello “stile” c’è peraltro il
tanto
bisogno, la necessità di uscire da sé, di essere con gli altri, quindi di vivere in una dimensione
risale l’interesse di Pavese per la
sociale. Proprio alla ricerca di un respiro sociale più ampio
letteratura americana. La ricerca di socialità rappresenta inoltre per Pavese anche ricerca di
chiarezza, di rigore, per questo è fondamentale anche la passione che coltiverà per la cultura
classica, per la letteratura latina e greca.
Per quanto riguarda il suo impegno e i suoi contributi nei quotidiani e nei periodici, il 1941 è per
Pavese un anno relativamente denso di collaborazioni. Nel maggio dello stesso ’41 Pavese
pubblica peraltro Paesi tuoi, il romanzo in cui risultano più evidenti le influenze della letteratura
americana. La letteratura d’oltreoceano, in particolare, gli fornisce le suggestioni legate al mito
della natura selvaggia, simbolo e archetipo della primitività, così come il tema della fuga e del
ritorno. 10
Nel libro infatti si racconta l’amore incestuoso di Talino per la sorella Gisella, che culmina
nell’assassinio della donna: il mondo contadino viene rappresentato come un mondo di passioni
selvagge e violente, dove il delitto finale diventa metafora di un rito primordiale, di un sacrificio
legato al ritmo del lavoro agrario. Sul versante stilistico, sempre in rimando al modello
americano, Pavese opta inoltre per un linguaggio fortemente espressionistico, caratterizzato
dalla predominanza di dialoghi e dei toni gergali o dialettali del passato. In questo periodo
Pavese ha all’attivo anche una collaborazione con “Il Messaggero”. Durante i primi anni ’40,
Pavese inizia poi a pubblicare le sue prose brevi sulla testata. Pavese si impegna invece sul
sin dalla metà degli anni ’20: tra il ’41 e il ’45 l’autore ritorna poi a scrivere prose
piano narrativo
brevi e a pubblicare a poca distanza dalla loro prima stesura. In questo periodo Pavese si mostra
completamente diverso rispetto al decennio precedente, quando era stato decisamente più
riluttante nel mostrare e far conoscere la sua vocazione narrativa. Nei primi anni ’40, ad esempio,
avviene addirittura che, di fronte al rifiuto da parte di una testata giornalistica di accogliere un
suo racconto, lo scrittore si dia subito da fare per trovare una collocazione alternativa. Per certi
aspetti questa maggiore apertura e desiderio di visibilità in Pavese sta a dimostrare una
sicurezza acquisita dall’autore: infatti, quando Pavese non è interessato alle offerte di
pubblicazione da parte degli editori si limita a liquidare rapidamente la faccenda; quando invece
è interessato a pubblicare su una rivista patteggia con l’editore tempi e spazi. Molti contatti
“Messaggero”: per
tuttavia si risolvono in collaborazioni episodiche. Diverso è però il caso del
scrivere sulla sua terza pagina Pavese rinuncia infatti agli inviti di collaborazione con la
“Gazzetta del popolo” e “La Stampa” e affida al quotidiano di via del Tritone ben 11 racconti,
pubblicati tra il luglio del ’41 e il giugno del ’42.
Pubblicare sul “Messaggero”: 1941-1942
2.
Nell’estate del ’41 a campeggiare sulle pagine del “Messaggero” è la cosiddetta “operazione
Barbarossa”, ossia il nome in codice tedesco per indicare l'invasione dell'Unione Sovietica da
della Germania nazista, durante la seconda guerra mondiale. L’interesse mostrato dal
parte
“Messaggero” per questa impresa appare però insufficiente al regime: il periodico era infatti da
tempo “inviso” al fascismo perché ricettacolo, soprattutto nella terza pagina e nella cronaca di
Roma, di personalità scomode e non schierate. Nel luglio del ’41, quando la censura fascista si
fa più pressante, il direttore Francesco Malgeri viene sostituito dal già redattore capo e uomo di
partito Fausto Buoninsegni. Questo avvicendamento rappresenta il primo momento di una fase
di epurazione che culminerà nel 1943, con la nomina di Alessandro Pavolini direttore. Il 15 luglio
‘41, dunque 3 giorni prima che la sostituzione di Malgeri venisse ufficializzata, sulla prima pagina
del “Messaggero” si leggeva una cronaca degli avanzamenti tedeschi in Russia. All’altezza di
quel periodo il periodico poteva contare su illustri collaboratori letterari come Ugo Betti, Pier
Maria Rosso di San Secondo, Moravia, ecc. Quello stesso giorno, Pavese pubblica, inoltre, nella
terza pagina del giornale, un racconto dal titolo Il nome. Il racconto, scritto tra il 23 e il 24 giugno
di quell’anno, segna l’ingresso dello scrittore tra le pagine del “Messaggero”: il racconto sarà poi
Feria d’agosto,
utilizzato per aprire la raccolta una specie di contenitore composito del 1946.
Questo racconto esce contemporaneamente anche sul “Secolo XIX”. Pavese conserva entrambi
Feria d’agosto
i ritagli degli articoli pubblicati e, in vista della pubblicazione di rilavora sul testo
nella versione del “Messaggero” si
pubblicato dal quotidiano romano. Sul ritaglio de Il nome Feria d’agosto.
ritrovano infatti diverse correzioni autografe poi riportate in Non si tratta tuttavia
di modifiche sostanziali: Pavese interviene infatti soltanto su singole parole, sulle congiunzioni,
11
sulla punteggiatura, sulla grafia, questo perché il grosso del lavoro di revisione era stato già
operato sui dattiloscritti e sui manoscritti. La correzione operata sul racconto Il nome prima della
Feria d’agosto
pubblicazione in conferma peraltro una tendenza ricorrente in Pavese, ossia la
tendenza alla ricerca stilistica sul già edito. Questo è anche il caso del secondo racconto apparso
sul “Messaggero”, intitolato Fine d’agosto, conservati dall’autore alcune
che mostra nei ritagli
Feria d’agosto.
correzioni autografe poi riportate nel volume
Nel frattempo il nuovo direttore del “Messaggero” Fausto Buoninsegni, essendo una figura più
vicina al regime, non sempre trova nei racconti di Pavese qualcosa di funzionale alla politica
culturale che anche il “Messaggero” deve ormai accingersi a condurre, a portare avanti. Rifiuta
in tal senso un altro racconto pavesiano, dal titolo La libertà scritto tra il 2 e il 6 luglio. In questo
storia di Alessio, amico dell’io narrante, che ha una fortissima avversione
racconto si narra la
nei confronti dei bambini. Lo spunto non appare consono alla rivista ed effettivamente non lo è:
vi è infatti nel racconto una inquietante rappresentazione del mondo infantile e dei suoi istinti.
Nel racconto si leggono più passi che certamente il direttore Buoninsegni non apprezzò. A tal
riguardo, Mariarosa Masoero, esperta studiosa di Pavese, ha parlato di “censura puritana”
proprio per via di alcuni rifiuti e tagli redazionali operati sui racconti. Si pensi ad esempio ad
Fine d’agosto “un uomo deve
alcune espressioni rifiutate come quella che si legge nel racconto
stringere, carezzare, spiaccicare una donna”, dove il verbo “spiaccicare”, ritenuto troppo forte,
più “neutrale” schiacciare.
viene sostituito col verbo
Intanto, “Il Messaggero” è costretto ad attenersi strettamente alle direttive impartire dal
Minculpop (Ministero della cultura popolare) e dal governo. Risale alla prima fase della
collaborazione con “Il Messaggero” la richiesta da parte di Pavese di collaborare con “La
Gazzetta del Popolo”, un altro giornale estremamente noto e che si avvale di firme molto
significative. Nella risposta il direttore Buoninsegni decanta gli ottimi rapporti che in