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IL LOVEMARK
Il lovemark è un termine coniato da Kevin Roberts (CEO dell’agenzia Saatchi & Saatchi), per
descrivere quei brand che hanno fatto un salto di qualità fino a creare quasi una “relazione
d’amore” con il proprio pubblico. Al pari dell’innamoramento i lovemarks causerebbero un
comportamento che a volte può essere irrazionale, una sorta di fedeltà incondizionata da parte
delle persone. Essi sono caratterizzati da alto rispetto e stimolano continuamente la relazione col
pubblico attraverso mistero, intimità e sensualità. A differenza di essi I marchi che godono solo di
rispetto restano brand; quello che suscitano solo amore senza rispetto sono mode passeggere. I
marchi che non hanno né amore né rispetto sono solo “prodotti”.
GLOBALIZZAZIONE
La globalizzazione è un fenomeno per cui l’impresa tende ad espandersi e ramificarsi fino ad
assumere dimensioni globali. A partire dagli anni ’90 le grandi corporate che operavano a livello
internazionale hanno decentralizzato la distribuzione a livello locale, ma mantenendo una solida
struttura di coordinamento centrale che decide gli standard dei prodotti e garantisce un’offerta
per lo più omogenea in tutto il mondo. Hello Kitty, costituisce un ottimo esempio di marca che in
poco tempo sia diventata globale: attraverso una serie di accordi di licensing oggi è distribuita in
oltre 40 paesi e firma circa 22.000 prodotti. Il gattino giapponese estremamente dolce e femminile,
disegnato da Ikuzo Shimizu, riassume in sé i tratti della cultura nipponica che sono diventati
ampiamente esportabili in tutto il mondo.
Il motto dell’impresa globale è “think global, act local”: essa tende cioè a creare prodotti in grado di
soddisfare pubblici molto ampi, seguendo una logica di standardizzazione di prezzo, distribuzione
e comunicazione globale. Per farlo adotta un’ottica locale, per adattare i prodotti alle esigenze e
preferenze dei singoli paesi. Pr esempio P&G non ha considerato questo aspetto quando ha
modificato la propria strategia di comunicazione di Dash in Italia. Decise di rompere col tipico
formato “doorstep”, orientato ad un ambiente familiare e casalingo, per passare a messaggi più
“universali”, ma così facendo l’impatto sul pubblico femminile perse molta della sua efficacia.
Infatti il brand deve tenere in considerazione aspetti culturali, etici, religiosi e normativi che variano
da paese a paese.
Caso emblematico è quello del caffè che è associato ad usi molto diversi a seconda che ci sia
trovi in Italia (concentrato ed energetico), in Germania (relax) o negli USA dove è consumato molto
diluito. Diversi brand provarono ad intraprendere una strada “globale” (come caffè Splendid) ma
senza successo. Solo Nescafé di Nestlé riuscì nell’impresa riuscendo a diffondere in tutto il
mondo la propria bevanda, persino in Italia dove la posizionò come “caffè all’inglese” mirando ad
un pubblico giovane. Illy invece ha adottato il linguaggio dell’arte, un linguaggio universale, e si è
affermata nel mondo come il vero caffè made in italy.
MCDONALDIZZAZIONE
Ritzer, sociologo americano, parla di mcdonaldizzaizone della società riferendosi alle
caratteristiche di efficienza, prevedibilità, calcolabilità e controllo che caratterizzano le grandi
multinazionali come McDonald. La catena di fast food rappresenta l’applicazione per eccellenza di
questi concetti, riuscendo a realizzare il grande apparato burocratico teorizzato da Weber.
McDonald ricorre infatti all’estrema standardizzazione di prodotti e procedure, al punto che il
fattore umano viene ridotto al minimo. Tutto è estremamente controllabile e prevedibile e segue un
oculato piano di gestione dei costi preciso al secondo. Dalla grandezza dei cetrioli al peso degli
hamburger, alle caratteristiche del pane, tutto deve essere uguale da New York a Pechino, in modo
da fornire al cliente un’esperienza unica e distintiva ovunque si trovi. Il Big Mac è un panino
talmente uguale a stesso da essere diventato un indice di misura informale del potere di acquisto
di una moneta (Big Mac Index).
Ritzer parla anche di globalizzazione del nulla riferendosi alla capacità delle multinazionali
occidentali di annullare il carattere locale dell’offerta. La multinazionale ch segue gli obiettivi di
crescita globale o “grobalization” lo fa a discapito di prodotti o realtà tradizionali sul territorio in cui
si insedia. L’impresa crea forme sociali adattabili a qualsiasi contesto perché private del contenuto
distintivo che invece caratterizza le realtà locali. I centri commercial in questo sono l’esempio
tipico del nulla essendo “non-luoghi”, uguali a sé stessi in qualunque parte del mondo. Allo stesso
modo esistono le non-cose (Dolce&Gabbana, Ikea, ecc.), le non-persone (commessi dei fast-food,
televenditori) e i non-servizi (bancomat, Amazon, pompe selfe-service dei benzinai, ecc).
NUOVI LINGUAGGI DELLA MARCA
L’evoluzione dei linguaggi della marca è andata di pari passo con quella delle tecnologie di
comunicazione. In particolare Internet è stato determinante nel modificare l’approccio della marca
al pubblico che segue strade sempre più below the line, meno istituzionali e più informali. Anche il
consumatore è cambiato diventando multitasking, esigente, più irraggiungibile di prima. La marca
si serve affianca oggi agli investimenti in advertising tradizionale anche quelli in attività non
convenzionali. Il brand da sempre più spazio ai consumatori, dandogli la possibilità di partecipare e
condividere idee e contenuti, arricchire l’esperienza di marca. YouTube è l’incarnazione del brand
partecipativo, in quanto i suoi contenuti sono per lo più user-generate e persino i profitti sono divisi
con gli utenti.
Il brand site è diventato uno strumento indispensabile per relazionarsi al pubblico, anche qui
attraverso una logica quanto più interattiva e coinvolgente, una prosecuzione online della brand
experience.
Gli altri media emergenti sono:
- gli eventi carattere territoriale (per es. Red Bull con il FlugTag e l’Icarus Revenge, eventi
dedicati a mezzi di trasporto e di volo creati dai partecipanti)
- promozioni (Coca-Cola che offre ai clienti italiani una collezione di borracce distribuite da
Autogrill)
- grande distribuzione (per es. il concorso organizzato da Pepsi per il lancio del film 007
Casino Royale, con distribuzione di centinaia di gadget nei supermercati italiani)
- punto vendita monomarca (Apple Store e Niketown)
- temporary store
- Hotel (Yahoo sponsorizza la catena Sheraton fornendo postazioni Internet nei principali
hotel)
- ristorazione
- palestre, intrattenimento, trasporti (Illy offre ai clienti Frecciarossa il caffè freddo in lattina)
- affissioni e chioschi interattivi (cabine telefoniche insonorizzate by Nokia negli USA)
- blog, buzz e viral marketing, community
- quotidiani e magazine online
- arredo urbano (Kit Kat a Londra sponsorizza cabine telefoniche e panchine)
- product placement
- co-branding
PRODUCT PLACEMENT
E’ la pratica di far comparire un marchio o un prodotto all’interno di contenuti audio-visivi come
film, telefilm, programmi tv o videogame. Avviene senza il tipico avvertimento esplicito di carattere
commerciale in quanto tende ad integrarsi nella trama e nella scenografia. L’inserzionista può
corrispondere al produttore un compenso monetario (product fee) o extra monetario (barterting)
come la fornitura di attrezzature o servizi gratuiti. Secondo alcuni autori l’origine del product
placament sarebbe da ricercare nell’usanza medievale del mecenatismo, con cui i nobili si
facevano ritrarre e poi donavano il quadro alle chiese che in questo modo attiravano fedeli. La
prima pellicola cinematografica a contenere un product placamento è il film dei fratelli Lumiére in
cui alcuni operai escono dall’omonima fabbrica. I film di 007 sono pieni di questo tipo di
comunicazione (Martini, Don Perignon, Aston Martin, ecc.) e la Apple ne fa uso da molto tempo.
In Italia il product placement ha vissuto periodi controversi in quanto negli anni ’80 la nostra
legislazione l’ha bandito come “pubblicità ingannevole”. In seguito, con una serie di leggi europee,
è stato riammesso e sdoganato dal film di Ozpetek Cuore Sacro. Garofalo è una delle marche
italiane che fa molto uso del product p. con numerose collaborazione con la casa di produzione
Cattleya e accordi con Cinecittà per il co-finanziamento di opere prime.
Il product p. può essere verbale collocato all’interno dei dialoghi (scrip placement), visivo cioè su
un elemento della scenografia come un veicolo o un berretto (screen placement) oppure integrato
quando cioè si interseca a tutti gli effetti con la sceneggiatura (plot placement, tipo Il Diavolo Veste
Prada).
I vantaggi del product p. sono senza dubbio il basso costo per contatto, la possibilità di
raggiungere target specifici, ma anche il maggior effetto di risonanza ottenibile compenetrando il
brand all’interno di un contesto narrativo come un film di per sé molto coinvolgente. Infine l’effetto
testimonial dato dall’associazione del brand a un personaggio famoso. La marca ne ottiene un
rafforzamento in termini di brand image e brand personality, ma anche di posizionamento,
scegliendo contenuti mirati al proprio target e ai propri valori. Inoltre nel product p. vige il low
clutter cioè non può esserci un affollamento di marche concorrenti.
Il rischio principale sta nel fatto che l’efficacia dell’operazione di p.p. è legata al risultato del
film/programma in termini di gradimento e questo non è prevedibile a priori. Si dovrà tenere in
considerazione sia un fattore quantitativo come il livello di esposizione al brand nel corso del film
(quante volte appare), ma anche qualitativo cioè il livello di integrazione della marca o prodotto
all’interno della trama. Se è basso o di semplice scenografia si parla di placement commerciale; se
è alto e integrato con la sceneggiatura e la costruzione dei personaggi si parla di placement
culturale.
IL BLOG DI MARCA
Il blog può essere uno strumento di grande valore per l’azienda che vuole dialogare con il proprio
pubblico interno (blog aziendale), ma anche esterno. E’ una dimostrazione di apertura del brand
nei confronti del pubblico, all’interno del quale si accettano critiche e suggerimenti. E’ l’antitesi
della comunicazione generalista, il monologo di marca one to many.
L’azienda produttrice di lucchetti Kryptonit