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La causa del contratto di lavoro e l'obbligo formativo
Ebbene tale lettura inevitabilmente tocca da vicino la causa del contratto di lavoro, che in linea teorica noi possiamo riassumere nello scambio tra prestazione e retribuzione. Se nonché in questa linea di interpretazione la causa del contratto verrebbe a modificarsi e non sarebbe più soltanto prestazioni contro retribuzione, ma sarebbe prestazione contro retribuzione e obbligo formativo.
In altri termini le obbligazioni gravanti sul datore di lavoro non sarebbero più limitate all'erogazione della sola retribuzione, ma anche all'erogazione della formazione necessaria allo svolgimento delle mansioni per le quali il lavoratore è stato assegnato. Se non che la norma, l'articolo il comma terzo dell'articolo 2103, ha sollevato in dottrina e in ragione della sua formulazione imprecisa una serie di questioni: innanzitutto su chi grava tale obbligo formativo, quali sono le conseguenze dell'inadempimento, ma soprattutto si tratta davvero di un obbligo.
Queste
incertezze nascono dal fatto che la norma esclude qualunque conseguenza circa la validità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni in caso di inadempimento dell'obbligo formativo, una esclusione che evidentemente fa dubitare del fatto che si tratti davvero di un obbligo. La dottrina ha elaborato una serie di risposte diverse: Alcuni sostengono che si tratterebbe non tanto di un obbligo quanto di un onere, per il semplice fatto che altrimenti sarebbe difficile comprendere come sia possibile un obbligo che non comporta alcune conseguenze in caso di violazione. Secondo alcuni si tratterebbe quindi di un onere, secondo altri invece si tratterebbe né di onere né tanto meno di un obbligo, in ragione appunto della esclusione delle conseguenze in caso di inadempimento. Se non che la lettura più accreditata in dottrina attribuisce al comma terzo dell'articolo 2103 crea un significato differente, significato coerente rispetto ai principi.generali. Secondo tale lettura, infatti, l'obbligo a cui si riferisce la norma non sarebbe l'obbligo gravante sul datore di lavoro, ma sarebbe in realtà l'obbligo gravante sul lavoratore. Infatti, sul lavoratore grava l'obbligo di adempiere alla formazione che viene impartita dal datore di lavoro: sul lavoratore, cioè, grava l'obbligo di seguire la formazione che viene impartita dal datore di lavoro. Sicché, in questa ottica, il comma tre farebbe riferimento all'obbligo del lavoratore di assistere, quindi di seguire, la formazione impartita dal datore di lavoro, con la conseguenza che l'inadempimento del lavoratore non comporterebbe alcuna conseguenza sul lato dell'assegnazione delle mansioni. In altri termini, è l'inadempimento del lavoratore che non produce conseguenze sull'assegnazione a nuove mansioni, restando impregiudicato l'obbligo, a sua volta, di formazione che ricade sul datore di lavoro. Quindi, inquest'ottica possiamo dire che il comma terzo si riferirebbe all'obbligo del lavoratore di sottostare alla formazione impartita dal datore di lavoro, e che è soltanto l'inadempimento del lavoratore rispetto a tale obbligo che ha l'obbligo di sottostare alla formazione che non produrrebbe conseguenze sull'assegnazione delle mansioni. Ciò non di meno, l'inadempimento del lavoratore rispetto all'obbligo formativo avrebbe invece conseguenze sul piano disciplinare. Il lavoratore infatti è tenuto ad eseguire la prestazione secondo le direttive impartite dal datore di lavoro e tra queste direttive inevitabilmente rientra anche l'obbligo di formarsi, l'obbligo di eseguire, l'obbligo di assistere alla formazione che gli viene impartita dal datore di lavoro. Datori di lavoro, un eventuale inadempimento da parte del lavoratore non escluderebbe sanzioni di carattere disciplinare. Ricapitolando quindi secondo questa ottica, il comma terzo si riferisce all'obbligo del lavoratore di sottostare alla formazione impartita dal datore di lavoro e l'inadempimento di tale obbligo può comportare conseguenze sia sull'assegnazione delle mansioni che sul piano disciplinare.l'opinione più accreditata dottrina il terzo comma dell'articolo 2013 si riferirebbe all'obbligo del lavoratore di sottostare la formazione impartita dal datore di lavoro obbligo il cui eventuale inadempimento, non produrrebbe conseguenze sull'assegnazione dei lavoratori alle nuove mansioni, fermo restando ovviamente che tale inadempimento da parte del lavoratore sarebbe passibile di sanzioni disciplinari, al pari di qualunque altra inosservanza delle direttive impartite dal datore di lavoro. In questa ottica quindi il datore di lavoro è a sua volta gravato da un ulteriore obbligo di formazione anzi aggravato dal proprio obbligo di formazione al quale ovviamente la norma non sembra riferirsi. Sembra però presupporre tale obbligo nel momento in cui si riferisce all'obbligo dei lavoratori di sottostare a tale formazione quindi la norma Ricapitolando si riferisce esplicitamente all'obbligo del lavoratore di sottostare alla formazione.partita dal datore di lavoro e quindi implicitamente riconosce in capo al datore di lavoro l'obbligo di impartire tale formazione. Quindi il lavoratore ha un diritto di credito alla formazione impartita dal datore di lavoro con la conseguenza che in caso di inadempimento del datore di lavoro il lavoratore potrebbe eccepire l'inadempimento, potrebbe esercitare l'eccezione di inadempimento ai sensi dell'articolo 1460 del Codice civile rifiutando quindi la prestazione ove non accompagnata da adeguata formazione da parte del datore di lavoro. Anche in questo caso però resta ferma la giurisprudenza in materia d'eccezione di adempimento ritiene legittimo il rifiuto dell'adempimento da parte del creditore della prestazione solo se l'inadempimento da parte del debitore è grave e totale. In caso di inadempimento dell'obbligo di formazione da parte del datore di lavoro, resterebbe poi in capo al lavoratore il diritto di agire per l'eventuale.risarcimento dei danni derivanti dall'inadempimento da parte del datore di lavoro dell'obbligo di formazione. Sul datore di lavoro grava l'obbligo di formare il proprio dipendente all'esercizio delle mansioni, all'esercizio delle nuove mansioni. È evidente che questo tipo di obbligo, implicitamente riconosciuto dalla norma, entra in contatto con quelli che sono gli spazi di legittimità del licenziamento, in particolare del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Sul datore di lavoro grava infatti l'obbligo di formare i propri dipendenti, in tale obbligo riduce inevitabilmente gli spazi di giustificazione del licenziamento in caso di innovazioni tecnologiche. I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, infatti, sono quei licenziamenti che, tra le altre ipotesi, sono giustificati dai mutamenti tecnologici, cioè da tutte quelle variazioni dell'organizzazione che non consentono al lavoratore di poter continuare a svolgere laPrestazione la prestazione dovuta. Sul datore di lavoro grava l'obbligo di formare i propri dipendenti. È evidente che i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo dovuti ad innovazioni tecnologiche rischiano di palesarsi come ingiustificati se il datore di lavoro non abbia formato i propri dipendenti per l'eventuale svolgimento di queste nuove mansioni. Fino a che punto quindi il datore di lavoro è tenuto ad erogare la formazione? Qual è il costo di formazione che grava sul datore di lavoro e qual è il limite, oltre il quale il licenziamento può essere considerato giustificato? La giurisprudenza è intervenuta su questo aspetto in caso, infatti, di inabilità sopravvenuta del lavoratore all'esercizio delle mansioni. Alcune decisioni hanno riconosciuto in capo al datore di lavoro l'obbligo di adottare delle modifiche dell'organizzazione produttiva, compresa la formazione del lavoratore. L'obbligo di adottare adattamenti.
Ragionevoli in modo tale da consentire al lavoratore di poter continuare a svolgere la propria prestazione, non solo in materia di disabili il decreto legislativo 216 del 2003 parla di ragionevolezza. Parla in altri termini di soluzioni ragionevoli, che il datore di lavoro deve adottare al fine di evitare che l'inabilità e l'incapacità del lavoratore possano diventare causa di recesso del rapporto, e quindi causa di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Si tratta di un punto molto delicato dell'intera questione, espandendo infatti l'obbligo formativo in capo al datore di lavoro si riduce di conseguenza anche l'area di possibile giustificazione di un licenziamento motivato dalla carenza di professionalità del lavoratore. Dall'altro lato invece, riducendo l'obbligo di formazione e quindi restringendo i limiti dell'obbligo di formazione, si espandono di conseguenza gli spazi di licenziabilità del dipendente privo di.
capacità professionali necessarie per l'esercizio delle nuove mansioni. È ragionevole supporre, secondo l'opinione più accreditata in dottrina, che debba essere la contrattazione collettiva, più che altro, a individuare il necessario punto di equilibrio. Deve cioè la contrattazione collettiva specificare di volta in volta la ragione delle diverse circostanze, l'ampiezza dell'obbligo di formazione gravante sul datore di lavoro, ponendo e individuando quei limiti oltre i quali il datore di lavoro non è più tenuto alle formazioni. Quindi, nei limiti oltre i quali il licenziamento per giustificato motivo oggettivo diventa appunto giustificato. In mancanza, invece, di interventi da parte della contrattazione collettiva, resta nella valutazione del giudice l'individuazione di tali confini e quindi la determinazione dell'obbligo formativo gravante sul datore di lavoro e quindi, di conseguenza, la valutazione circa lagiustificabilità o meno del licenziamento motivato dalla mancanza da parte del lavoratore delle competenze professionali necessarie all'esercizio di nuove mansioni o nuove attività, a seguito di innovazioni tecnologiche. Occorre distinguere due situazioni, due fattispecie della produzione formale: ossia il riconoscimento esplicito formale da parte del datore di lavoro dell'inquadramento del lavoratore in mansioni superiori, quindi i livelli contrattuali superiori. In questo caso, laddove il datore di lavoro modifica in senso formale l'oggetto contrattuale, il rapporto seguirà ovviamente la disciplina legale e contrattuale del nuovo inquadramento. Quindi, da questo punto di vista, non si pongono particolari problemi, l'obiettivo della norma è soprattutto quello di tutelare il lavoratore in caso di assegnazione in via di fatto di mansioni superiori. Quindi, nell'ipotesi in cui il lavoratore di fatto svolge mansioni superiori senza che ciò sia stato formalmente riconosciuto, il licenziamento potrebbe essere considerato ingiustificato.superiori senza che ciò sia accompagnato dal riconoscimento formale di tali mansioni di tale inquadramento quindi accompagnato dall'inquadramento formale del datore lavoratore nel livello contrattuale nel livello contrattuale superiore. In questi casi la norma e in parti