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UNITÀ DIDATTICA
21/10/2014
[Un’opera importantissima per il geografo antichista (e anche per quello modernista) è The History
of Cartography di Harley e Woodward (1987), le cui fotografie sono un riferimento importante per
è uno strumento scientifico di prim’ordine;
lo studio geografico: la parte greco-romana è stata
curata da Dilke, uno studioso molto importante che non si può non conoscere.]
Dionisio il Periegeta ha scritto una descriptio orbis terrarum che merita di essere indagata anche
per alcune osservazioni ch’è importante fare dal punto di vista del contenuto; è stato detto che
questo testo era l’ἔϰφϱασις (cioè la descrizione) di una carta geografica di Eratostene: quindi,
dal momento ch’è stata scritta in epoca adrianea, quest’opera è
paradossalmente, nata già vecchia di
alcuni secoli, però il suo senso non era quello di aggiornare le conoscenze geografiche ma piuttosto
di trasmettere un sapere; si tenga conto che con i conflitti cesariani la Biblioteca di Alessandria
aveva già perduto buona parte della sua fama e moltissimi studiosi erano già andati via, e quando
scrive Dionigi esiste ancora la Biblioteca ma non è più un centro di ricerca scientifica avanzata; ai
vv. 170ss. Dionisio dice di voler fornire una visione del Mondo e accrescere le conoscenze di chi
legge: si è quindi nel pieno di un testo scolastico. τόπος percorre tutta l’Antichità,
Quel che può davvero interessare allo studioso è un letterario, che
che Dionisio fa suo ai vv. 702ss. quando descrive che il bello della sua poesia è quello di far
senza la necessità di viaggiare: c’è una chiara allusione ad Esiodo,
conoscere al lettore tutta la Terra
a quel passo rivolto al fratello sul navigare, che lascia intendere che per lui la smania di viaggiare
ὕβϱις il fatto di voler superare dei limiti naturali che l’uomo ha
tipica di alcune persone è (cioè
come se fosse una sfida agli dèi: quindi, per esempio, viaggiare è sicuramente un atto che vuole
all’uomo, e questa sfida qui scatena
superare quelli che sono i limiti naturali imposti
inevitabilmente la vendetta degli dèi); questo dimostra che Dionisio il Periegeta non è un geografo,
perché un geografo degno di questo nome (come lo erano Erodoto ed Eratostene) non si sarebbe
mai permesso di fare un’affermazione del genere: c’è un grosso ripiegamento delle conoscenze
geografiche, ed è quindi un grandissimo passo indietro, con il primato dello studio a dispetto delle
c’è dietro una motivazione
esplorazioni vere: moralistica, cioè quella di non desiderare ricchezze e
quindi di non mettersi a speculare per mare con il commercio (anche questo è un motivo di
l’ἀϰοή,
derivazione esiodea). Si può sostanzialmente dire che in Dionisio si colloca in primo piano
cioè il «sentito dire» (traslatamente lo studio librario). E con queste premesse qui è perfettamente
inutile mettersi a chiedersi quale carta geografica accompagnasse questo poema: evidentemente i
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Appunti di Alberto Longhi, Matr. 861497
l’autore
luoghi che cita sono quelli conosciuti già da Eratostene, ma non è necessario sapere di chi
la vera ed unica preoccupazione dell’autore è quella di
fosse la carta geografica; aiutare la memoria
del lettore: un procedimento del genere non ha bisogno di figure in quanto è il procedimento tipico
della Retorica antica dei loci, cioè aiutare la memoria del lettore presentando le immagini, e del
resto si capisce bene come Dionisio stesso scoraggi il lettore a compiere i viaggi (il viaggio in
quanto tematica negativa e come sfida agli dèi/al proprio destino è parte di una visione tipica del
vedere il movimento -è una visione che si ritrova per esempio anche in Lucrezio, nel quinto libro
del De rerum natura ai vv. 999ss., o in Virgilio, nella quarta Ecloga ai vv. 31ss.-). In questa
c’è il senso di scoprire popoli e/o
Periegesi non paesaggi diversi: a Dionisio interessa soltanto
d’imparare nomi geografici;
mettere il lettore nella condizione qui è perso completamente il senso
del paesaggio umano che si ritrovava in autori come Apollonio Rodio.
Il fatto che si sia detto che questo testo sia servito come accompagnamento ad una carta geografica
non è un’invenzione dei filologi, perché effettivamente si ha notizia che nella tarda Antichità
capitasse, per esempio all’inaugurazione delle terme, che ci fossero dei poeti incaricati di celebrare
l’evento redigendo delle orazioni esaltando la carta geografica, tanto dell’oggetto in
esaltazione non
sé ma dell’Impero: vi è notizia di queste cerimonie nel V/VI Sec. p. Ch. n. da Giovanni di Gaza, che
durante le feste cittadine celebra una carta geografica come decorazione di un edificio termale e in
questa recitazione pubblica lo stesso autore era stato incaricato di scriverne l’elogio,
l’elogio di quello ch’era stato l’Impero di Roma (che ormai in
sostanzialmente Occidente non
esisteva più in quel periodo).
basandosi sui due acrostici che Dionisio ha tracciato all’interno del suo
Molti studiosi ritengono,
che quest’opera sia stata recitata in onore dell’Imperatore Adriano durante una sua visita ad
poema,
Alessandria (forse nei pressi di una carta geografica), proprio in segno di esaltazione dello stesso
Impero romano ai tempi del suo massimo splendore.
cita mai in appoggio a che cosa si debba leggere il suo poema: non c’è alcun
Dionisio non
riferimento interno ad una carta, ma tutta la preoccupazione è rivolta alla presentazione delle
immagini, alla geometrizzazione delle forme geografiche, e al raccontare brevemente le imprese
degli eroi legati ai vari luoghi; quindi si tratta di un’opera decisamente autonoma, e che poi
Cassiodoro la raccomandasse in appoggio ad una carta geografica è un altro discorso, se non altro
perché seguire il testo su una carta geografica rende più semplice la lettura a chi ha scarse
conoscenze sulla materia.
Il fatto di mettere la materia in esametri significa anche aiutare la memoria: come oggi un testo da
una canzone s’impara ugualmente nell’Antichità l’ausilio
subito ascoltandolo con un certo ritmo,
del ritmo esametrico facilitava la memoria (non solo per il precedente di Omero -padre nazionale di
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Appunti di Alberto Longhi, Matr. 861497
tutta la Cultura greca-, ma anche chi come Eratostene criticava pesantemente Omero non
disdegnava di ricorrere alla Poesia per esprimere dei contenuti scientifici: basta infatti pensare ad
autori come Empedocle o Lucrezio, che hanno scritto dei veri e propri trattati di Fisica in ritmo
in un certo senso, l’aver delegato la funzione poetica a delle forme di sentimento
esametrico); è
tra l’altro, si fondava sulle capacità della memoria
molto moderno: la Cultura greco-romana,
personale fin dalla prima educazione scolastica in una misura molto maggiore rispetto a quanto si
faccia oggi.
[Vi è un frammento abbastanza lungo che si possiede dal poemetto eratostenico Hermes che
rappresenta la Terra pensata dall’alto, e la presentazione di Hermes è quella tradizionale aristotelica
della Terra divisa in fasce climatiche (cioè quelle blu sono le fasce fresche e temperate, mentre
quelle rosse sono quelle desertiche bruciate dal Sole, e la fascia di mezzo è la più moderata): questo
anche per uno scienziato quale era Eratostene fosse importante l’ausilio del ritmo
testimonia quanto
esametrico nell’apprendimento di una qualsiasi materia.
A parte i reperti cartografici antichi tutte le ricostruzioni che si hanno dei diversi libri sono tutte
ricostruzioni curate filologicamente: si devono quindi prendere con cautela, perché devono essere
tutte considerate come ipotetiche.]
πίναξ
Letteralmente il termine greco indica una tavola di legno, in Latino lo si fa corrispondere al
termine tabula, che è la traduzione in senso proprio; un altro modo in Latino per indicare la carta
geografica è il termine forma, e qui sorge un problema che consta proprio nella comprensione delle
fonti: quando si parla di reperti archeologici, si tratta di oggetti di difficile interpretazione ma che
hanno una loro oggettività, ma quando si cerca di andare a legger i moltissimi passi in cui si parla di
carte geografiche, come si deve interpretare il termine? Si vanno a leggere le testimonianze
πίναξ
letterarie: se si utilizza il termine si è sicuri che si tratti di un disegno, di una carta geografica,
e allo stesso modo si è altrettanto sicuri che si tratti di una carta geografica se si parla di forma,
mentre invece se si parla di tabula si è molto meno sicuri perché il termine ha anche un significato
traslato di «documento scritto».
Periegesi e periplo sono i termini più antichi utilizzati per indicare la ricerca geografica: la più
antica Letteratura scientifica greca utilizzava questi due nomi per indicare un documento
geografico; il primo indica una descrizione geografica di un luogo (potrebbe essere tradotto in
Italiano come «guida»), mentre il secondo indica un viaggio via mare (in Italiano si può indicare
come un «diario di bordo»): la periegesi può essere sia una rappresentazione geografica che una
descrizione a parole, mentre il periplo può essere un semplice disegno lineare di tutti i porti che
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Appunti di Alberto Longhi, Matr. 861497
s’incontrano lungo la costa. Ci sono centinaia di passi in cui gli autori, sia greci sia latini, parlano di
documenti geografici, ma capire se si riferiscano ad una narrazione fatta di sole parole o ad una
carta geografica o ad entrambi i supporti è molto difficile, perché la valenza semantica delle parole
utilizzate è duplice: quando si riesce a capire è perché viene fornito qualche elemento che permette
di arrivare a quella conclusione.
Vi sono due scuole che da molto tempo dibattono sull’argomento: da un lato c’è la scuola di Janni,
di Prontera dall’altro lato; la prima, in base alla duplicità semantica delle parole, sostiene
e quella
che sia impossibile capire di che documenti geografici negli autori antichi si stia parlando e i pochi
passi in cui si parla chiaramente di carte geografiche sarebbero testimonianza della scarsità di carte
geografiche (che sarebbero servite soltanto agli studiosi): sostanzialmente, la scuola negazionista
afferma che la Cartografia greco-romana non esiste, in quanto la concezione antica dello spazio è