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DA ANGELI DEL FOCOLARE A BREADWINNER: L’EMIGRAZIONE FEMMINILE.
La femminilizzazione dei flussi migratori è una delle quattro tendenze della nuova era delle
migrazioni, insieme alla globalizzazione, all’accelerazione e alla differenziazione dei flussi
migratori. Inizialmente la migrazione femminile era dovuta al ricongiungimento delle mogli ai mariti.
A partire dagli anni ’70 in poi in Italia nelle maggiori città italiane si fa crescente una buona
percentuale di donne immigrate all’interno del tessuto produttivo e lavorativo, provenienti dal Corno
d’Africa, Capo Verde e Filippine.
Si è parlato anche di madri-transnazionali, ossia che condividono con altre donne di altre Nazioni,
la cura e l’affetto dei loro bambini. Ma alcune volte le donne non emigrano solo per ricongiungersi
ai mariti, anzi fuggono proprio da loro, da una separazione o un divorzio, poiché esso è visto come
un ostacolo alla vita sociale. Le donne che con il loro lavoro inviano soldi alla famiglia sono dette
breadwinner e acquisiscono un ruolo primario.
Le cittadine straniere residenti in Italia sono il 51% della popolazione immigrata e la regioni che ne
vede la concentrazione più alta è la Lombardia, seguita da Lazio, Veneto, Emilia-Romagna e
Campania. Facendo un confronto tra Canada e Italia per quanto riguarda la stabilizzazione, si nota
che molte immigrate filippine entrano in Canada con un contratto di lavoro come collaboratrice
domestica, ma dopo alcuni anni, trovano altre occupazioni facendo carriera, grazie anche alla
conoscenza della lingua inglese richiesta per il visto d’ingresso in Canada. In Italia invece ciò non
avviene, sia per la conoscenza dell’italiano, sia per la riuscita in altri settori che non siano quelli
domestici. Se poi rientrano in patria perdono addirittura i contributi (cosa che in Canada non
avviene perché decidono di non andarsene proprio) e i posti vuoti che lasciano sono occupati da
altri immigrati.
Molto spesso le donne immigrate affermano che l’emigrazione è un’arma di riscatto verso i parenti
prorpio o dell’ex marito e si sentono socialmente più accettate.
In Italia il maggior numero di donne nubili provengono dall’Africa, ma vi si aggiungono anche i
paesi dell’Est come Lettonia e Lituania. Le coniugate giungono invece dal Bangladesh, dai paesi
africani che affacciano sul Mediterraneo, Paesi medio-orientali, Cuba. Le divorziate dalla Svizzera,
URSS. Le vedove S. Marino, Ucraina, Georgia, Iran…
Le domestiche della globalizzazione sono quelle donne che lasciano il proprio Paese e il proprio
lavoto per uno più degradante.
Quelle forse a pagare il prezzo più alto di tutto ciò sono le madri transnazionali, paragonabili alle
nostre balie, che lasciavano i loro neonati per allattarne altri, generando così migrazioni
temporanee di breve durata.
LA DIMENSIONE TERRITORIALE.
L’area Schengen (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi) è un territorio comune
sul quale è stato deciso di abolire i controlli sui cittadini alle frontiere.
Le migrazioni causano profondi cambiamenti territoriali. Se facciamo riferimento agli spostamenti
dalle montagne alle città, si nota soprattutto un numero alto di giovani che abbandona la pastorizia
e l’agricoltura per diventare operai e inurbati. In montagne restano gli anziani. Le città sono
cresciute in fretta e le immigrate trovano spazio soprattutto nei lavori di cura della persona, dato
che il sistema welfare è inefficiente. Il genere maschile trova più lavoro invece bel commercio e
nell’edilizia.
Negli ultimi tempi l’inurbamento è molto rallentato ed anzi si viene incontro ad un’inversione di
tendenza. Molti infatti lasciano la città a causa dell’alto costo della vita, delle case, del traffico.
Sul finire degli anni ’70 si è parlato di suburbanizzazione. In centro è stato abbandonato dalla
popolazione italiana che si è trasferita in periferia. Le famiglie più povere però sono rimaste nei
centri storici a causa della loro condizione economica e hanno incominciato a condividere il loro
spazio con i nuovi poveri, gli immigrati. Attualmente però nuove politiche tentano di riportare al
centro gli italiani e in periferia gli immigrati (riurbanizzazione). Il processo definito gentrification
rappresenta una forma di mobilità della cittadinanza, per cui immigrati e anziani vanno in periferia
e la popolazione di classe medio alta e i professionisti al centro. Come su detto, la Lombardia
ospita in maggior numero di immigrati ma rispetto al Lazio cambia la tipologia d’insediamento:
mentre a Roma la maggior parte sono nella capitale, al Nord si trovano più in periferia nel
meneghino. Al Sud la situazione cambia: in Campania per esempio la concentrazione straniera
costiera di Napoli-Salerno è più alta rispetto all’interno. La Sicilia essendo porta per l’Italia ne
accoglie un numero considerevole mentre la Sardegna rimane piuttosto isolata.
La manodopera straniera è attiva soprattutto nel settore primario e interessa la nazionalità
albanese, marocchina, indiana e tunisina. Nel settore secondario soprattutto quello dell’industria
tessile ed edilizio ritroviano un’alta percentuale di cinesi. Nel terziario si occupano soprattutto di
commercio, settore alberghiero, ristorazione e servii di cura. Triangolo d’oro per i lavoratori
stranieri: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e anche Trentino. Gli stranieri svolgono quei lavori
che gli italiani non svolgono più. L’incidenza, ossia il rapporto tra il numero di stranieri e
popolazione italiana, nel 2010 era del 7,5%. Con l’allargamento dell’UE e l’abbattimento delle
barriere, i movimenti si sono infittiti ulteriormente. Un primo segnale di stabilità è l’aumento del
tasso di natalità degli stranieri, che al momento dell’arrivo nel Paese non è certo il primo pensiero.
Il numero di stranieri nati in Italia è molto alto a Roma e Milano ma non possono avere la
cittadinanza fino ai 18 anni in base allo ius sanguinis. I nati in Italia vengono denominati immigrati
di seconda generazione, mentre i minori che vi arrivano sono la generazione uno e mezzo.
Molti stereotipi accompagnano gli immigrati: uno di questi è la morte. Spesso raggiunta una certa
età essi preferiscono tornare al loro Paese d’origine, per questo i decessi in Italia risultano troppo
bassi in confronto ai possibili morti, per questo si dice che siano immortali.
Un altro stereotipo è la mancanza di istruzione. Non tutti quelli che arrivano sono analfabeti, ma
semplicemente chi è istruito pur di lavorare preferisce un posto di lavoro al di sotto delle sue
competenze ( fenomeno del brain waste = spreco di cervelli).
Fino a pochi anni fa era possibile rintracciare due tipologie residenziali:
1. Grandi aree urbane monocentriche in grado di inglobare stranieri in periferia.
2. Aree policentriche, reticolari, nelle quali gli stranieri risiedono nei centri medi.
Oggi con l’aumento della pressione straniera sul territorio si è giunti a una progressiva
distribuzione con movimenti centrifughi dalle maggiori aree urbane ai centri dell’Interland e
movimenti centripeti verso i centri medi. Anche le aree montane ne hanno tratto un giovamento.
IL MOSAICO ETNICO.
La prima comunità straniera residente in Italia proviene dalla Romagna, nonostante sia
diacronicamente più recente. Seguono quella albanese e marocchina, cinese, ucraina, filippina. I
Romeni sono presenti soprattutto nel centro-nord, mentre i cinesi preferiscono i centri urbani e
metropolitani, come anche i filippini. I senegalesi ed egiziani preferiscono il nord alla capitale.
Molto spesso a caratterizzare la distribuzione territoriale è l’impiego lavorativo, per cui capiamo
filippini impiegati nella cura della casa preferire il centro città. Se poi le donne sono impiegate
soprattutto nei lavori d’assistenza ( segregazione orizzontale) gli uomini fanno attività a bassa
qualificazione (segregazione verticale).
L’antropologo statunitense indiano Arjm Appadurai interpreta l’idea di ethnoscape, per cui il
paesaggio circostante cambia a seconda delle persone che lo costituiscono. Tutto questo porta al
radicamento della comunità straniera in un determinato territorio che Papotti definisce
territorializzazione semantica. Ma per paesaggio non s’intende soltanto gli spazi residenziali, ma
anche quelli legati al movimento, alle pratiche religiose, al commercio. Il paesaggio etnico
rappresenta la manifestazione visibile della diversità culturale.
Anche le insegne determinano il paesaggio e il commercio rappresenta un’attività molto frequente
per gli stranieri in Italia. Suddividiamolo poi in commercio al dettaglio (ambulante – africano) o
all’ingrosso (cinesi). Il primo è solitamente il primo sbocco lavorativo degli immigrati: bassa qualità
dell’offerta e immagine semplice, prevalentemente maschile e nomade se si pensa ai “vu cumpra”
sulle spiagge o alle bancarelle alle fiere di paese. La seconda è un’attività più stabile, in negozi
tappezzati di oggetti e insegne in lingua straniera. Molto spesso sorgono al posto di quelli italiani e
inizialmente sono intraetnici (frequentati dalla sola comunità etnica) poi interetnici. I prodotti esotici
hanno poi addirittura portato lavoro a numerosi imprenditori e molti prodotti s’incominciano a
coltivare nei nostri campi. Latina è fortemente interessata dal fenomeno. Ma non sempre le attività
straniere sono ben accette dalla comunità locale, tant’è che alle volte sono stati presi anche dei
provvedimenti per tutelare gli esercizi tradizionali (Roma – negozi storici).
Cinque elementi principali per la concentrazione di negozi etnici:
1. Concentrati nei quartieri con alta presenza di immigrati.
2. Immigrati che conoscono poco la lingua del Paese ospitante.
3. Abitazioni di scarso pregio.
4. Importanza della vicinanza spaziale.
5. Rapporto direttamente proporzionale tra numero d’imprese in un’area e possibilità
d’inserimento di nuove imprese.
La presenza dei luoghi di culto rappresenta un’altra forma di stabilizzazione perché indica un
numero considerevole di adepti e il riconoscimento da parte dell’amministrazione pubblica. Nel
1995 a Roma è stata inaugurata la più grande Moschea d’Europa, costruita con finanziamenti
dell’Arabia Saudita, Libia, Iraq su un terreno donato dal Comune di Roma ai piedi di Monte
Antenne con l’attenzione però di non farla superiore in altezza alla Cupola di S. Pietro. A Palermo
invece la Moschea è stata ricavata da una chiesa già esistente.
A Roma in via dell’Omo è costruito un tempio per la comunit&