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DIVISIONE DEL LAVORO E NUOVI SPAZI PRODUTTIVI
La nuova geografia della produzione mondiale (% sulla porduzione manifatturiera)
Nel 2000, la Cina aveva una quota ancora abbastanza bassa, nonostante il suo sviluppo economico e
industriale procedesse già da circa due decenni. Adesso ha raggiunto un 32,8% della produzione mondiale,
staccando gli Stati Uniti che in precedenza avevano una quota ancora più consistente. I paesi europei, in
particolare Italia e Germania con una forte base manifatturiera, hanno leggermente aumentato negli anni la
percentuale per poi calare in modo drastico. I fattori che hanno inciso in questi dati sono stati la crisi
finanziaria globale, che ha cambiato gli assetti della produzione, e i processi di delocalizzazione ed
esternalizzazione, che hanno spostato la maggior parte della produzione nei paesi emergenti.
Posti di lavoro nell’industria dei computer e dei semiconduttori (dati U.S.A.)
Nella prima fase i posti di lavoro sono cresciuti in modo esponenziale. Successivamente, mano a mano che le
produzioni sono diventate mature, notiamo un declino delle fasi produttive al di fuori delle aree
economicamente avanzate. Questo processo riguarda un po’ tutti i settori produttivi.
Occupazione % per branca di attività economica in Italia (1860 – 2012)
Il trend del grafico ha riguardato più o meno tutte le nazioni economicamente avanzate. L’agricoltura è
inevitabilmente calata e in molti paesi rappresenta adesso una percentuale minima nell’economia. Il picco
dell’industria viene raggiunto negli anni ’70 per via del Fordismo e, nell’Italia odierna, è un settore con una
percentuale notevole rispetto ad altri paesi. Il settore terziario segue una linea speculare a quella
dell’agricoltura, in quanto cresce in modo esponenziale diventando l’attività principale (servizi pubblci, di
impresa…). Il cambio degli equilibri nel corso di questi decenni ha portato all’emergere di paesi definiti di
“nuova industrializzazione” anche se ormai sono industrializzati da decenni.
Le nuove economie industrializzate del Sud-Est Asiatico
Tenendo fuori Cina e Giappone, parliamo sostanzialmente delle quattro tigri asiatiche (Corea del sud, Taiwan,
Hong Kong e Singapore). Erano paesi inizialmente poveri e legati all’agricoltura ma nell’arco di pochi decenni
(anni ’60) il loro PIL è cresciuto enormemente. Ad oggi, sono tra i principali paesi industrializzati.
Lo sviluppo di queste economie è determinato da alcuni fattori di sviluppo:
• Industrializzazione e inserimento nelle reti di divisione internazionale del lavoro. Molte multinazionali
hanno infatti spostato la loro produzione in questi paesi, i quali, specializzandosi in precise fasi produttive,
sono riusciti ad entrare in queste reti di divisione del lavoro. Nei decenni successivi e nel periodo della
globalizzazione, hanno fatto leva per inserirsi nelle Global Commodity Chains e per intercettare quel tipo
di domanda che ha permesso loro di fare un salto dall’economia agricola a quella industriale.
• Passaggio graduale da una produzione caratterizzata da lavoro intensivo e ripetitivo (tessile-
abbigliamento) a una a più alto valore aggiunto (elettronica), con processi di decentramento produttivo
interni all’area. E’ un’operazione di “filtraggio industriale”: il processo di industrializzazione è infatti
partito da un nucleo di quattro paesi che, man mano che hanno acquisito le competenze innovative,
hanno trasferito le produzioni più facili in ulteriori paesi, causando una diffusione del processo di
industrializzazione che ha infine investito, seppur con tempi diversi, tutto il Sud-est Asiatico.
• Presenza di governi molto attivi nell’attrazione degli investimenti stranieri (creazione di «Zone
Economiche Speciali»). Sono detti governi “sviluppisti”, poiché hanno voluto fortemente un processo di
industrializzazione nei propri paesi. In primo luogo, hanno creato delle condizioni di carattere
generalizzato, introducendo una forza lavoro inizialmente a bassissimo costo e mettendo in atto politiche
di scolarizzazione della popolazione. Successivamente, hanno sviluppato il modello delle Zone
Economiche Speciali con caratteristiche particolari che hanno permesso l’attrazione di investimenti
stranieri. Nelle ZES, infatti, vige un regime e un ordine normativo diverso rispetto al resto del paese, sia
per quanto riguarda leggi fiscali semplificate sia per riduzione/esenzione di dazi doganali. Inoltre,
vengono concessi immobili e terreni a prezzi agevolati o simbolici, i livelli salariali sono più bassi e spesso
si pone un limite alle attività sindacali. Infine, le dotazioni infrastrutturali sono di livello molto alto in
quanto gli sforzi di infrastrutturazione sono concentrati in queste aree al fine di attrarre le imprese
straniere.
• Presenza di forza lavoro a basso costo e poco socialmente protetta ma scolarizzata.
La Cina
In un primo momento, gli investitori sono stati attratti dalla Cina grazie a un forte differenziale salariale
rispetto ai paesi avanzati, al basso costo delle materie prime, all’elasticità delle normative in termini di
protezione ambientale e all’ampia quantità di manodopera con buon livello di scolarizzazione.
Da parte del governo cinese c’è stato un forte interesse e una forte volontà di attrarre gli investimenti esteri
e di sviluppare un’industria moderna orientata verso beni di consumo ed esportazione. E’ con questi obiettivi
che parte la “Politica della porta aperta”. Il momento cruciale è dato dalla morte di Mao (1976), in quanto la
nuova dirigenza pensa a una politica di apertura e alla fine dell’isolamento cinese. Contemporaneamente, in
Cina vengono messe in atto una serie di politiche economiche interne che cambiano il sistema produttivo e
che aprono verso l’iniziativa privata. Il risultato è un ibrido tra grandi multinazionali, ancora controllate
totalmente o parzialmente dallo Stato, che operano in mercati esteri importanti.
L’apertura è stata graduale, in quanto la Cina ha prima creato un numero limitato di ZES e solo
successivamente sono state create le città costiere e le regioni con economie aperte, con l’obiettivo di
favorire gli investimenti esteri e il mercato dell’export. Un altro avvenimento importante è stato l’ingresso
nella WTO (2001), dopo circa una quindicina di anni di negoziamenti e accordi.
Quello cinese è sempre stato considerato un potenziale mercato di grande estensione, tanto che molti
produttori occidentali sono stati attratti soprattutto dal fatto che nel corso del tempo si sarebbe formata una
classe media in grado di diventare un nuovo mercato a cui vendere i beni. Questo interesse si basa in
particolare sull’elevata popolazione cinese (sopra il miliardo di abitanti) che rappresenta, in prospettiva, un
mercato immenso. Nella crescita cinese ha infine influito una forte popolarità degli investimenti in Cina e le
strategie imitative. Soprattutto negli anni ‘90/2000, durante le prime ondate di delocalizzazione, tanti
imprenditori hanno seguito i casi di imprese che stavano avendo successo in Cina, portando molti produttori
a tentare la stessa fortuna.
Investimenti diretti esteri in Cina (1990-2000-2010)
Gli squilibri economici, viste le immense dimensioni della Cina, sono aumentati con l’arrivo degli investitori
esterni. E’ inoltre presene un progressivo processo di filtraggio industriale, in quanto gli investitori si
rivolgono prima alla capitale, alle ZES e alla fascia costiera, e solo successivamente alla zona rurale.
Investimenti cinesi in Africa
Questo interesse è partito da un vertice tra la Cina e i paesi africani il quale ha portato la Cina ad investire in
questi paesi con un impegno progressivo (il culmine è stato nel 2008). La Cina investe in Africa attraverso
prestiti a diversi paesi, al fine di controllare risorse e materie prime strategiche (aumento dello sviluppo
industriale) e di sviluppare le infrastrutture. Proprio l’interesse per le infrastrutture è fondamentale, in
quanto rientra nel progetto della “nuova Via della Seta”. E’ un progetto che riguarda la progettazione di due
grandi corridoi, uno terrestre e uno marittimo, che dovrebbero in futuro collegare la Cina con l’Europa
favorendo lo sviluppo, la fluidità e la velocità dei traffici e dei commerci tra queste due macroaree. Tuttavia,
il progetto è ancora in fase di stallo, in quanto prima è necessario decidere se far passare il percorso terrestre
attraverso la parte Settentrionale (Mongolia) oppure attraverso quella Centrale (Iran, Turchia e risalire fino
all’Europa). Il percorso marittimo, invece, partirebbe dalla Cina Meridionale, passando per il sud-est asiatico
e arrivando all’Europa attraverso l’istmo di Suez. Altre parti essenziali del progetto sono rappresentate dai
gasdotti, dagli oleodotti, dalla rete ferroviaria e da una serie di porti in cui la Cina è già entrata (es.: Gibuti).
Le zone economiche speciali in Russia
La modalità delle ZES è stata ripresa da svariati paesi, tra cui la Russia, la quale ha fatto ricorso a queste zone
al fine di attrarre capitali ed economie. La sua apertura è partita nel 2005 e nel suo caso gli incentivi e i
vantaggi sono rivolti tanto agli investitori stranieri quanto a quelli russi. Gli imprenditori devono infatti
presentare un progetto di sviluppo in cui mettono in evidenza tutte le caratteristiche tecnico-economiche
del progetto che poi viene approvato o meno dagli organi di gestione delle ZES.
Ci sono delle barriere abbastanza alte per entrare nelle ZES, nelle zone ad alta tecnologia ad esempio il limite
è di un milione di euro di investimenti, dunque non tutte le imprese hanno la possibilità di entrare in questo
tipo di territorio. Sono inoltre zone specializzate su quattro tipologie (industria, alta tecnologia, turismo,
logistica) e non sono zone miste polifunzionali come quelle cinesi. Sono distribuite nella parte Occidentale e
Meridionale proprio per diffondere lo sviluppo economico anche a quelle che sono le aree un po’ al di fuori
della capitale. Ci sono diverse ZES legate a diversi tipi di governo: quelle nella mappa sono state aperte dal
governo federale, ma ci sono anche una serie di ZES promosse dalle autorità regionali o locali.
Le Maquiladoras messicane
La nascita delle Maquiladoras risale al 1965, attraverso un programma sottoscritto tra il governo messicano
e quello statunitense. Erano viste come una soluzione temporanea per contenere il fortissimo tasso di
disoccupazione al confine tra U.S.A. e Messico, causato dal blocco statunitense al passaggio transfrontaliero
dei contadini messicani per attività lavorative in periodi stagionali. Molti di questi contadini, infatti, erano
soliti attraversare il confine in modo legale per brevi periodi per poi rientrare nel proprio paese.
Le Maq