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IFE
allo sviluppo sostenibile nell’Unione e allo sviluppo della politica comunitaria nel settore
dell’ambiente, favorendo, in particolare, l’integrazione nelle altre politiche e l’aggiornamento della
legislazione. L abbraccia tre grandi campi d’azione, l’ambiente, la natura e i paesi terzi e per
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ognuno di questi tre settori esistono priorità specifiche:
• L -Natura si occupa della conservazione degli habitat naturali e della fauna e della
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flora selvatiche di particolare interesse per l’Unione Europea;
• L -Ambiente prevede azioni innovative e dimostrative basate sulla collaborazione tra
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industria e comunità locali; esse hanno due scopi: incentivare le industria ad adottare
soluzioni innovative per lo sviluppo sostenibile e fornire alle autorità pubbliche modelli
di intervento che tengano conto dell’ambiente nello sviluppo e nella pianificazione del
territorio;
• L -Paesi Terzi prevede la cooperazione con i paesi confinanti con l’Unione Europea
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per la creazione di strutture amministrative e l’elaborazione di azioni dimostrative a
tutela della natura, volte a promuovere uno sviluppo sostenibile.
Conclusioni. La politica ambientale dell’Unione Europea è profondamente cambiata tra la fine degli
anni 80 e l’inizio degli anni 90, infatti prima di tutto si osserva un ampliamento degli interessi e
delle preoccupazioni che, dai problemi locali e di breve termine, si sono allargati ai problemi locali
e di lungo termine. Oggi la protezione ambientale comincia a essere vista non solo come una
necessità e un costo per la comunità, ma anche come un’opportunità.
Una interessante analisi della nascita e dello sviluppo della politica ambientale europea ha messo in
luce alcuni aspetti interessanti:
• l’introduzione del nuovo sistema di regole ambientali ha aumentato il conflitto e la
competitività tra le imprese;
• gli stati membri dell’Unione Europea competono sulla futura legislazione ambientale;
• tra il contenuto delle proposte iniziali e la direttiva finale si registra, di norma, un
significativo abbassamento degli obiettivi ambientali.
In conclusione, nonostante i successi delle politiche ambientali comunitarie, rimane ancora molto da
fare; tuttavia le prospettive per l’ambiente sono preoccupanti e gravi problemi sono ancora presenti
in Europa. Uno degli aspetti più recenti della questione ambientale è dato dal fatto che l’adozione di
nuove tecnologie e i progressi della ricerca contribuiscono regolarmente ad identificare nuovi
problemi ambientali che impongono un continuo aggiornamento e adeguamento delle norme e degli
strumenti. L’Unione Europea ha risposto a queste sfide attraverso un approccio ambizioso e
innovativo, ispirato ai principi della sostenibilità.
Ciò che più conta è il bisogno di tenere conto delle vere esigenze dei cittadini europei e di una loro
maggiore partecipazione; non a caso si sta predisponendo il nuovo programma d’azione ambientale
a partire dai contributi forniti dal pubblico e dai principali soggetti interessati, dalle imprese alle
organizzazioni sociali e ambientaliste.
La difficoltà nell’affrontare i problemi ambientali consiste nella molteplicità delle giurisdizioni
coinvolte, quindi l’elaborazione di risposte politiche è complicata dal fatto che a carta politica non
riflette la geografia dei temi ambientali. Nonostante gli ostacoli, l’entità e l’urgenza crescente dei
cambiamenti ambientali globali hanno portato ad alcuni accordi internazionali per affrontare i
problemi più gravi, agitati anche dalle cosiddette organizzazioni non governative ( ).
ONG
Ma a partire dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente Umano del 1972 a Stoccolma,
anche le organizzazioni governative internazionali hanno svolto un ruolo sempre più importante. La
struttura che attualmente guida l’attività governativa internazionale in campo ambientale si è
sviluppata dalla Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo ( ) tenuta a Rio
UNCED
de Janeiro nel 1992; i delegati dell’ hanno conferito al Global Environment Facility ( ),
UNCED GEF
progetto congiunto delle Nazioni Unite e della banca mondiale, notevole autorità in materia di
provvedimenti per l’ambiente a livello mondiale; il finanzia progetti attinenti a quattro temi,
GEF
cioè la perdita della biodiversità, il cambiamento climatico, la protezione delle acque internazionali
e la distruzione dello strato di ozono. Tuttavia il , sebbene incaricato di tutelare elementi chiave
GEF
dell’ambiente globale, opera ancora in un mondo fondato sugli stati. Quindi benché tali atti lascino
sperare in un approccio alla soluzione dei problemi ambientali più coerente rispetto a misure prese
su base nazionale, i singoli stati seguitano a condizionare le decisioni in tutti i modi. Tuttavia alcuni
problemi ambientali globali sono così impellenti che ci sia adopera a tracciare linee di condotta
sotto forma di convenzioni e trattati internazionali:
• la preoccupazione internazionale per la scomparsa di specie suscitava richieste per una
convenzione globale già nel 1981; tale Convenzione, entrata in vigore nel 1993, nel
1995 era stata firmata da 118 paesi. Essa chiede l’istituzione di un sistema di aree
protette e un insieme coordinato di regole nazionali e internazionali su attività che hanno
effetti negativi di rilievo sulla biodiversità; fornisce altresì finanziamenti ai paesi in via
di sviluppo che cercano di conformarsi alle condizioni della Convenzione. Tuttavia
l’accordo si è rivelato di difficile attuazione.
• I principali colpevoli della distruzione dello strato di ozono sono gas noti come i
clorofluorocarburi ( ) che sono fabbricati dall’uomo. La cooperazione internazionale
CFC
è iniziata nel 1985 con le trattative per la Convenzione di Vienna per la salvaguardia
dello strato di ozono; l’accordo internazionale che va sotto il nome di Protocollo di
Montreal, firmato nel settembre del 1987 da 105 paesi e dalla Comunità Europea, ha
definito e concordato obiettivi e tempi precisi per la messa al bando della produzione e
del consumo dei , per cui se ne sarebbero dovuti ridurre produzione e consumo del
CFC
50% entro il 1999. nell’incontro di Londra del 1990 le prove scientifiche indicanti che la
produzione di ozono sarebbe continuata per molti anni dopo la messa al bando dei CFC
hanno indotto i firmatari del Protocollo di Montreal a concordare il blocco totale della
produzione entro il 2000; infine in un incontro a Copenaghen nel 1992 si sono anticipati
e tempi e i partecipanti hanno convenuto di cessare la produzione entro il 1996 e
accelerare la messa al bando di altre sostanze chimiche che distruggono l’ozono.
• a partire dalla fine degli anni 80 la crescente preoccupazione per i cambiamenti climatici
ha prodotto una serie di conferenze tra cui quella tenutasi a Ginevra nel 1990 ha riunito i
rappresentati di 137 stati e della Comunità Europea. La dichiarazione finale non
specificava alcun obiettivo internazionale per la riduzione delle emissioni, ma
proclamava il cambiamento del clima “preoccupazione comune dell’umanità”. Nel
dicembre 1990 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava l’avvio dei
negoziati per il trattato; si preparava una bozza di convenzione che era sottoposta
all’ per considerazioni. Formulata in termini generali, la Convenzione invitava i
UNCED
paesi sviluppati a prendere provvedimenti per riportare le emissioni ai livelli del 1990
entro l’anno 2000 e a fornire il sostegno tecnico e finanziario ai paesi in via di sviluppo
per un analogo sforzo di riduzione. Nel 1995 le crescenti preoccupazioni riguardo alla
durata degli impegni assunti in forza della Convenzione hanno indotto i partecipanti alle
discussioni a chiedere la revisione del trattato e a nominare un gruppo incaricato di
redigere un accordo da presentare all’incontro di Kyoto nel dicembre 1997. In base
all’accordo nel periodo 2008/2012 gli Stati Uniti dovrebbero diminuire le emissioni di
gas serra del 7%, l’Unione Europea dell’8 e il Giappone del 6%; inoltre l’accordo
raggiunto a Kyoto non obbliga i paesi meno sviluppati a conformarsi a specifici obiettivi
di riduzione.
I cambiamenti dell’ambiente globale provano la nostra conoscenza limitata della Terra, in quanto
molti non erano stati previsti: molti cambiamenti globali non sono lineari, ma sono caotici nel senso
che è impossibile prevedere con precisione le condizioni future; inoltre in molti sistemi esistono
soglie altre le quali la trasformazione è irreversibile.
La complessa e urgente questione ambientale assorbirà le energie della comunità scientifica nel
tempo a venire e la geografia svolgerà una parte essenziale nell’impresa.
La teoria convenzionale dello sviluppo si affermò negli anni 50 ed era piuttosto semplice: si partiva
dal presupposto che l’investimento pubblico fosse in grado di attivare un moltiplicatore di reddito
che avrebbe a sua volta aumentato un moltiplicatore di occupazione; quindi l’equazione politica
della crescita era basata su risparmio, investimenti, consumo, occupazione e reddito, tutti gli altri
elementi erano confinati nelle esternalità.
All’inizio degli anni 70 qual quadro politico, all’interno del quale si era sviluppata la società
neoindustriale, venne sottoposto a confutazione ad opera di due fattori, cioè l’introduzione della
salvaguardia dell’ambiente, tra gli obiettivi delle politiche economiche e l’affacciarsi del concetto di
limite nelle possibilità di uso delle risorse naturali.
Con la Conferenza del 1972 le Nazioni Unite diedero avvio all’era della politica ambientale; gli
obiettivi ecologici cessavano di essere considerati esternalità rispetto al sistema economico e
venivano inclusi tra gli obiettivi delle politiche, a ogni scala. Secondo i sostenitori della concezione
dei limiti dello sviluppo la crescita esponenziale della domanda di risorse naturali non si poteva
realizzare in presenza di un sistema finito di risorse, quale è quello del pianeta Terra; quindi per
impedire che la divaricazione tra domanda e disponibilità di risorse raggiungesse soglie critiche, le
politiche economiche avrebbero dovuto assumere come vincolo i limiti naturali dello sviluppo,
abbandonando l’idea della crescita illimitata. Il dibattito sui limiti naturali dello sviluppo condusse
al convincimento che tra crescita e sviluppo esista una differenza sostanziale e che, a seconda che
la politica persegua l’una l’altro, derivino modi diversi con cui la società gestisce le risorse naturali
e gli ecosistemi; questi m