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I
Freud in questo saggio parte dal principio del piacere, che risiede nell’es e che senza regole ci porta
ad atti violenti. Il grado di sviluppo di una civiltà si può calcolare il baso al suo grado di differire il
e il non esserne schiavo. Delle volte il principio di
principio di piacere, ovvero gli impulsi dell’es,
realtà deve prevalere sul principio del piacere. Nei 3 soggetti (selvaggio, nevrotico e bambino) il
principio di piacere è sempre maggiore di quello della realtà. Questi due principi in equilibrio
generano un soggetto normale, equilibrato. Ma come entrano in conflitto?
Freud parte dalla descrizione di un sentimento che egli definisce “oceanico”, termine che fuoriesce
in un carteggio epistolare. Il cedente spesso chiede: “ma come non senti questo elemento eterno?
Questo essere legato a tutti gli uomini? Freud afferma che in sé egli non lo avverte e che si tratta di
“indissolubile legame, di immedesimazione con la totalità del mondo esterno”.
un sentimento di altri lo provino e cerca di formulare un’ontogenesi di questo
Freud si chiede come è possibile che gli
sentimento.
Normalmente nulla è per noi più sicuro del senso di noi stessi, del nostro proprio io. Tuttavia verso
l’esterno l’io sembra mantenere linee di demarcazione chiare e nette. Solo nell’innamoramento il
confine tra io e oggetto minaccia di dissolversi. L’innamorato afferma che io e tu siano un’unica cosa.
Ma come accade in vari casi il senso dell’io è soggetto a disturbi e i confini dell’io non sono stabili.
a pensare che questo senso dell’io non è stato tale fin da piccoli.
Un ulteriore riflessione ci porta
L’individuo parte prima come unione agli altri uomini e dopo avviene la separazione. Il lattante non
distingue ancora il proprio io dal mondo esterno ma apprende a farlo con gradualità e con varie
sollecitazioni, quando ad esempio scopre che i propri organi corporei possono procurargli del piacere
e questi organi sono qualcosa che vengono percepiti come “al di fuori”. O ad esempio un’altra
situazione è quando il bambino si stacca dal sen. Questo processo graduale porta alla scoperta di ciò
che è esterno e ciò che è interno, e porta passo passo all’insediamento del principio di realtà, che è
destinato a dominare il posteriore sviluppo. Dunque in origine l’io include tutto, ma pian piano separa
da sé un mondo esterno. Se ammettiamo che questo stato primordiale si sia conservato in qualche
angolo della nostra mente possiamo spiegare questo sentimento oceanico. Freud propende per ciò
poiché crede nella psiche nulla può perire e che tutto in qualche modo si conserva. Freud, attestato
ciò si chiede come possa essere considerato la fonte dei bisogni religiosi.
Freud crede che un sentimento può essere fonte di energia solo se è l’espressione di un bisogno e
derivi dall’impotenza infantile e dalla nostalgia del padre.
dunque crede che il bisogno religioso
Quest’impotenza, oltre che nella fase infantile, si alimenta continuamente nell’angoscia di fronte allo
strapotere del fato, verso il quale il soggetto si sente impotente. Non c’è un bisogno più forte e più
radicato nell’infanzia quanto quello della protezione paterna.
Freud ipotizza ancora che questo sentimento oceanico sia entrato in contatto con la religione, e che
egli vede come il primo tentativo di consolazione religiosa, come un altro modo di negare il pericolo
che l’io riconosce nel mondo esterno. II
L’uomo comune non può immaginarsi questa provvidenza se non nella persona di un padre
straordinariamente elevato. Solo un essere simile può comprendere i bisogni del figlio. La vita, così
come ci è imposta è troppo dura da sopportare e per sopportarla dobbiamo avere qualche maniera per
alleviarla. Tre sono i rimedi: diversivi potenti che ci fanno prendere alla leggera la nostra miseria;
soddisfacimenti sostitutivi che la riducono; sostanze inebrianti che ci rendono insensibili ad essa.
Inoltre la domanda sul senso della vita è stata posta innumerevoli volte e ancora una volta sembra che
solo la religione sia in grado di rispondere a questa domanda. Freud si chiede allora cosa sia per gli
uomini lo scopo della vita: la felicità. Questo desiderio ha due facce: una meta positiva e una negativa,
da un lato 1) l’assenza del dolore e dall’altro 2) l’accoglimento di sentimenti intensi di piacere. Come
si può vedere il principio del piacere è ciò che regola la nostra vita anche se il suo programma è in
conflitto con il mondo esterno.
La sofferenza ci minaccia da tre parti:
- Il corpo: destinato a perire e a disfarsi (dunque ha de limiti) e che non può eludere quei segnali
di allarme quali il dolore e l’angoscia.
- Il mondo esterno: che può agire contro di noi con strapotenti mezzi, non possiamo gestire in
toto la realtà esterna.
- Relazioni con altri uomini, la civiltà.
Tutte e tre mostrano la contrapposizione tra l’io come fonte di piacere e la realtà esterna. Sotto la
pressione di queste possibilità di soffrire va a diminuire anche la pretesa della felicità, così come sotto
l’influsso del mondo esterno anche lo stesso principio del piacere si trasforma in un modesto principio
di realtà.
1) Diminuzione del dolore Per quanto riguarda il diminuire il dolore, si può attuare come varie
scuole ci hanno insegnato tramite vari metodi: tramite il soddisfacimento sfrenato di tutti i
desideri, la volontaria solitudine dell’eremita che decide di non farsi ferire dal mondo; tramite
la scienza che può in un certo qual senso assoggettare la natura; l’intossicazione, la presenza
nel corpo di sostanze estranee che ci provocano piacere; il medesimo cammino si ha quando
si vuole governare la vita pulsionale: il piacere si ha qui se le pulsioni vengono signoreggiate,
poiché ciò causa meno dolore rispetto all’inibirle. L’ultima impedisce drasticamente le
possibilità di godimento: il senso di felicità derivante dal soddisfacimento di un moto
pulsionale sfrenato, non domato dall’io, è senza confronti più intenso di quello ottenuto
saziando una pulsione addomesticata.
Un’altra tecnica è lo spostamento della libido
Accaparrarci un po’ di felicità:
2) qui otteniamo il soddisfacimento attraverso illusioni
riconosciute come tali:
Godimento delle opere d’arte
o Creazione delle opere d’arte: provare felicità nella creazione dell’arte
o Quiete: è la scelta dell’eremita che volta le spalle al mondo
o L’amore: è temporanea ma ha soprattutto molti lati negativi poiché la sofferenza
o presumibile per la perdita dell’oggetto amato è una delle sofferenze più difficili da
sopportare.
La trasformazione della realtà: la sostanza del mondo oggettivo non è modificabile, e
o chi pensa di farlo si è illuso già alla base. Lo stesso vale per le forme della società: che
sia monarchia o repubblica la repressione è sempre una sola. Non c’è alcun contatto
3
tra le forme della società e le forme della repressione.
La religione
o
Si può però dire che per qualche aspetto ognuno di noi si comporta come il paranoico,
correggendo, tramite una formazione di desiderio, un lato del mondo per lui intollerabile e
iscrivendo nella realtà questo delirio. Importanza rilevante riveste il caso in virtù del quale
un numero notevole di persone si accinge insieme al tentativo di procurarsi una garanza di
felicità e un riparo dalla sofferenza tramite una trasformazione delirante della realtà. Alla
stregua di un delirio collettivo siffatto dobbiamo caratterizzare anche le religioni
dell’umanità. Non riconosce mai il delirio chi vi partecipa. P.217
Per Freud la religione pregiudica questo gioco di scelta e di adattamento, egli crede infatti che
ci sia qualcosa di sbagliato nel modo in cui lo fa la religione soprattutto perché egli crede che
raggiungere la felicità sia un processo individuale. Il suo limite è che la religione vuole dare
la felicità in modo omologante, imponendo a tutti in egual modo il raggiungimento della
felicità e la limitazione della sofferenza. La sua tecnica consiste nello sminuire il valore della
vita e nel deformare l’immagine del mondo reale. Fissa una sorte di infantilismo psichico,
poiché risponde alla richiesta di protezione che rimanda alla figura del padre (che qui è il
divino), creando una continuità tra la figura paterna e il divino stesso. La religione riesce a
sminuire il valore della sofferenza individuale ma la sostituisce con una nevrosi collettiva.
Inoltre, ponendo il piano collettivo non ci consente di sperimentare le altre possibilità.
Soprattutto la religione non riesce a mantenere neanche le sue promesse e tutto ciò che lascia
al credente come soluzione è solo una sottomissione incondizionata.
3 Marcuse dirà invece che ogni società ha la sua forma di repressione.
A questo prezzo, mediante la fissazione violenta a un infantilismo psichico e la partecipazione
a un delirio collettivo, la religione riesce a risparmiare a molta gente la nevrosi individuale.
Ma niente di più. P. 230
–
Nietzsche Genealogia della morale
Queste riflessioni di Freud in merito alla religione prendono avvio da Nietzsche. Egli in questo scritto
vorrebbe ricostruire i principi della morale. Egli crede che esista una peculiarità dell’uomo come
animale in mezzo agli altri animali: mentre gli altri animali hanno il dono della dimenticanza, l’uomo
è condannato a ricordare e ciò ci consente di fare delle promesse. La religione ci rende costantemente
in condizione di debito verso ciò che c’era prima di noi. Questo debito è inizialmente sentito verso i
propri antenati, andando avanti avvertiamo il debito verso la divinità. La divinità diventa una sorta di
padre primordiale a cui dobbiamo qualcosa. Questo debito che avvertiamo è però talmente più grande
di noi da essere inestinguibile. Se dunque l’individuo non può ripagare il debito se sente in dovere
quantomeno di seguire i precetti della divinità. Deve evitare la violenza che è però presente. Questa
violenza che non possiamo portare fuori deve però andare da qualche altra parte, e secondo N. si
riversa all’interno e si trasforma in una forma di autolesionismo, che diventa mortificazione del corpo
e negazione assoluta del corpo nelle religioni.
Per N. dunque la religione è rinuncia del corpo come conseguenza della rinu