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Regina di Napoli, Maria Sofia di Borbone, che lei gioiosamente impersonava in vesti alquanto sconce.
L’eccessivo successo dello studio dei Diotallevi e l’abuso delle personificazioni e dell’inserimento nei
fotomontaggi licenziosi di personaggi troppo illustri dovettero infastidire le autorità, che il 22 maggio del
1862 fecero irruzione nell’atelier arrestando e dividendo definitivamente le strade dei quattro Diotallevi.
Un capitolo da non sottovalutare nella trattazione della fotografia di nudo e pornografica, è quello che legò
i propri destini alla fotografia coloniale. Non è difficile immaginare che lo stesso spirito che spingeva una
parte di fotografi-viaggiatori a immortalare indigenti e colonizzati per testimoniarne arretratezza e
inferiorità, li portasse a fotografare giovani asiatiche e africane in pose lascive e libertine per accontentare
e arricchire l’immaginario collettivo occidentale nei confronti di un Oriente esotico, affascinante e senza
regole morali, saziando in questo modo due complementari esigenze maschili: quella del dominio e quella
del proibito. Presso le stesse Esposizioni Universali si aprirono padiglioni il cui accesso era vietato a donne e
bambini, ed in cui venivano esposte fotografie oscene sotto l’apparenza delle testimonianze etnologiche e
antropologiche di popoli primitivi.
Occorre fermarsi ancora ad un episodio ottocentesco che apparentemente può sembrare solamente una
curiosità e che invece rivelerà molto dell’identità della fotografia nel XX secolo. È proprio a partire da un
nudo, oggetto della famosa protesta inscenata da Hippolyte Bayard contro Arago, nel suo “Autoritratto in
forma di annegato”, che la fotografia si autodichiara assolutamente interessata non solo a quella oscenità
ostentata della fotografia pornografica, ma anche al territorio della finzione e dell’ideale. Hippolyte Bayard,
dipendente del Ministero delle Finanze e appassionato di fotografia, arrivò a scoprire il metodo positivo
diretto quasi contemporaneamente a Daguerre. Invitato però da Arago a tenere nascosta la scoperta per
non compromettere l’acquisto del brevetto del collega da parte dello stato francese, Bayard decise di
esprimere la sua frustrazione tramite una performance fotografica (la prima della storia!). Si autoritrasse
seminudo alla Morgue di Parigi come un annegato nella Senna per protesta contro l’ingiustizia subita.
Immaginiamo di trovarci di fronte all’immagine provocatoria di un nudo dipinto: se ci sentiamo a disagio
possiamo sempre provare a pensare che magari quel corpo non esiste realmente perché è solo frutto 17
dell’immaginazione un po’ perversa dell’artista. Ma se quel nudo è fotografato allora ecco che di fronte ad
esso avvertiamo tutta la distanza che corre tra l’identità delle due immagini. La fotografia è in grado di
ribaltare immediatamente quell’attributo di veridicità e realisticità che le deriva dal suo battesimo
scientifico, così importante ma così faticoso da portare, mostrando come anche l’altra faccia della medaglia
e cioè la finzione, il sogno, l’artificio facciano ugualmente parte del suo territorio d’azione.
Con Bayard la fotografia sta scoprendo che al di là delle pose e degli atteggiamenti da atelier di nudo esiste
un’energia prorompente e inarrestabile che fornisce all’immagine fotografica il brutale, violento e
disarmante shock della realtà. Si è cioè di fronte a quell’impatto e a quell’uso della fotografia che sta sulla
linea dei voyeurs che acquistavano immagini pornografiche e che si allontana invece da un nudo che è
trattamento delle luci, delle forme, dei tagli e della composizione. Ciò che distingue allora Bayard e le foto
pornografiche dalla gran quantità di nudo accademico fotografato dal moralista e pudico Ottocento, sta
proprio nella prospettiva di un abbandono della linea pittorica predominante, e l’apertura invece ad
un’idea di corpo e corporeità che sarà un forte elemento di particolarità nella produzioni degli artisti del
Novecento.
Quali saranno nel Novecento gli artisti che sosterranno la linea del nudo come prosecuzione di
un’esaltazione delle forme, dell’eleganza delle composizioni, dello studio delle luci e delle simmetrie?
Certamente un grande contributo a questa idea e a questa identità della fotografia viene dal capitolo della
Straight Photography americana e in particolare alla sofisticata ed elaboratissima serie di nudi di Edward
Steichen, di Fred Holland Day e di Imogen Cunningham. Si è già sottolineato come gli esponenti di questa
linea neo-pittorica americana guardano al nudo come splendida occasione per esaltare uno specifico
fotografico in cui i corpi si fanno forme nello spazio della composizione. Altissimi sono in questo senso i
risultati di Weston, i cui nudi fotografici raggiungono una perfezione impareggiabile. Al pari però, si deve
dire, delle famose serie dedicate alle forme delle conchiglie o dei peperoni, delle rocce o delle cortecce.
Insomma anche il nudo per Weston è parte di una natura che si offre al suo obbiettivo per essere innalzata
ad una perfezione formale e sintattica assoluta, e dove ciò che infine resta è il suo magistero tecnico, la sua
estrema abilità nello sfruttare le potenzialità linguistiche del mezzo fotografico.
Questa linea del corpo che nel Novecento si oppone al nudo pseudo-pittorico ha due diramazioni
fondamentali: l’una, la si potrebbe chiamare del corpo a grado zero, si incammina verso la brutale
presentazione del corpo in sé, forte dell’effetto straniante sulla realtà immortalata prodotto dallo sguardo
automatico nel suo solo applicarsi al mondo. L’altra invece si incaricherà di trasformare il corpo esibito in
una complessa architettura di rimandi, sollecitazioni, allusioni, citazioni e trasformazioni definibile come il
corpo fantastico.
Rimane dunque il corpo a grado zero del Novecento, quello che deve alla certificazione fotografica il suo
portato, verrebbe da dire, di oscenità del reale e cioè la provocatoria esibizione della inquietante normalità
dell’esistere. In questo senso, durante uno snodo fondamentale delle vicende artistiche come lo sono stati
gli anni Sessanta, la fotografia americana Diane Arbus ha scritto una pagina davvero memorabile,
proponendo nelle sue immagini giovani coppie al parco, bambini con bombe a mano giocattolo, nudisti
seduti in poltrona, feste di club per anziani, gemelli e altre anomalie genetiche, in sintesi la mostruosità che
si cela nella quotidianità della storia. È infatti sufficiente che venga applicata la freddezza di un obbiettivo
fotografico alla nostra realtà apparentemente banale per svelarne di colpo tutta l’anormalità grottesca,
tutta la patetica caricatura cui generalmente si accompagna.
Recupero del corpo davvero a gradi zero è certamente quello della Body Art alla maniera di Arnulf Rainer o
di Bruce Nauman, cioè quello in cui il corpo stesso dell’artista si sottopone ad una serie di gesti quasi
infantili, di sforzi muscolari e smorfie fisionomiche atti a testare i limiti della propria corporeità, a valutarne
come la prima volta le capacità, a riappropriarsene con germinale stupore. 18
I concettualmente ortodossi anni Settanta trovano nella Body Art la perfetta applicazione di un uso della
fotografia come di uno specchio, o meglio di una ri-presentazione della realtà. Il corpo dell’artista ha
dimenticato completamente che è vergognoso mostrarsi e, lontano da idealizzazioni e selezioni sofisticate,
non si sottrae all’occhio imperturbabile della macchina fotografica. Così l’americana Nan Goldin ha usato il
mezzo fotografico per entrare e quasi per possedere in modo più pieno la sua vita e quelle dei suoi
compagni di strade perdute.
Pure nel lavoro del tedesco Wolfgang Tillmans si può ritrovare l’idea del corpo a grado zero, nel senso di
una corporeità mostrata senza filtri e mediazioni, nel suo semplice e automatico straniamento prodotto
dall’inquadratura fotografica. Nel suo caso è un’anonima tribù giovanile, la stessa a cui lui appartiene, con i
suoi riti e i suoi simboli, i ritrovi, i concerti, le mode e le manie, che diventa materiale inerme dell’obbiettivo
fotografico. C’è una gioventù che scorre mostrando un’assoluta naturalezza davanti allo sguardo di
Tillmans, riconoscendo lui stesso parte integrante di quel popolo e dei suoi codici di comportamento.
11. Carroll - Cameron - Contessa di Castiglione / la finzione immaginaria
Resta ora da individuare quale siano stati gli eccezionali esempi ottocenteschi dell’idea del corpo
immaginario che nelle poetiche del Novecento hanno poi trovato moltissimi eredi e sviluppi successivi.
Le prime esperienze fotografiche che verranno approfondite riguarderanno le vicende di tre ritrattisti che
convogliarono le loro passioni e i loro desideri su dei corpi resi fantastici dalla fuga del reale permessa dalla
fotografia. Si vedrà però come anche il curioso caso della Contessa di Castiglione, non certo fotografa in
prima persona, possa ugualmente rientrare in questo orizzonte di poetica.
Lewis Carroll (1832-1898), più noto come scrittore e autore di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, fu anche
un grande appassionato di fotografia. Charles Dodgson, reverendo e professore di matematica che assunse
dal 1856 lo pseudonimo letterario di Lewis Carroll, cominciò ad interessarsi alla tecnica fotografica nel
1856, quando uno zio che si era recato a trovarlo nel collegio dello Yorkshire gli regalò appunto un
apparecchio fotografico. A partire da quell’anno fino al 1880 Carroll scattò circa 3000 immagini, ma i suoi
ritratti rimasero a lungo nascosti al pubblico finché, verso la metà del Novecento, Helmut Gernsheim li
scoprì pubblicandoli assieme a un diario. Uno dei soggetti prediletti da Carroll fu Alice Liddell, la bambina
che divenne la musa ispiratrice del romanzo che lo rese famoso e la cui fotografia compare nell’ultima
pagina del diario manoscritto. La passione che Carroll mostrava verso le bambine che erano figlie dei suoi
superiori e conoscenti, è testimoniata proprio dalla sua attività fotografica, dal momento che risultano
l’oggetto quasi esclusivo del suo occhio meccanico. Dopo aver convinto le madri a recarsi con le bambine
nel suo studio, magari dietro la promessa di realizzare un ritratto anche per loro, Carroll si appostava dietro
alla sua macchina fotografica chiedendo alle fanciulle di farsi ritrarre su sfondi malinconici e sognanti, dove
l’ambientazione fiabesca che veniva ricreata si collegava chiaramente con la sua poetica letteraria. Pare che
Carroll avesse costruito in casa un vero e proprio parco dei divertimenti per alle