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INTRODUZIONE

Al di là delle mutevoli e complesse relazioni che si sono stabilite fra pittura e fotografia, a partire dalla

fotografia stessa, è importante mettere in rilievo che esiste una dimensione di significativo rilievo che

unisce questi due ambiti creativi. Nell’immagine ciò che conta è innanzitutto lo sguardo. E la fotografia

arreca un nuovo sguardo. Essa è un arresto del tempo in quanto immobilizza ogni azione. Ed è un arresto

dello spazio in quanto circoscrive in modo deciso un luogo nei limiti del proprio ambito. Ed è ancora un

arresto della profondità: come la pittura, essa la suggerisce su una superficie piana. Tuttavia, al contrario

della pittura, che nasce da un’elaborazione più o meno lunga, essa capta tutto e fissa tutto,

immediatamente. La fotografia ci appare come qualcosa di magico in quanto fissa direttamente il reale.

Non è solo un’immagine, ma il riflesso tangibile di ciò che esiste o è esistito: monumento, individuo,

oggetto o paesaggio, colti “sul vivo”. Nel caso della fotografia, un ritratto non è stato visto attraverso lo

sguardo, poi con la matita o i pennelli di un pittore; anche se lo sguardo del fotografo non è neutrale, il

ritratto che egli ha realizzato si è formato a partire soltanto dal modello. Un pittore avrebbe potuto

comporre “a memoria” questo ritratto; la fotografia non lo può fare. Dopo la scoperta della fotografia quasi

nessun artista poté avvicinarsi alla propria opera senza avere coscienza del nuovo mezzo, e nessun

fotografo poté guardare la propria senza tener conto delle altre arti visive. Le relazioni più o meno strette e

simbiotiche fra l’arte e fotografia diedero vita a un complesso organismo stilistico. In tal senso sono

numerosi gli esempi di artisti che si ispirarono per le loro concezioni formali a fotografie che erano già state

influenzate da dipinti, e di fotografi che si ispirarono a dipinti in cui erano già insiti elementi formali della

fotografia. Questa combinazione di influenze, questo particolare processo per cui un mezzo è assoggettato

alla capacità dell’altro, può ampiamente spiegare l’alta incidenza dell’inventiva pittorica nell’arte a partire

dalla scoperta della fotografia.

La fotografia servì ad acuire nell’artista la percezione sia della natura che dell’arte. In questo libro,

concepito in una prospettiva sistematica e unitaria di discorso, si cercano di tematizzare le caratteristiche

più significative e rilevanti della storia della fotografia e dei suoi rapporti con l’arte. Ma la tematizzazione

storica dei rapporti tra arte (pittura) e fotografia si è dimostrata conoscitivamente rilevante in quanto

permette a questi due ambiti creativi di individuare, in maniera storicamente determinata, la propria

identità strutturale come linguaggi al contempo analoghi e differenti. A partire dalla scoperta della

fotografia, la pittura (secondo modalità differenti nei diversi paesi e nelle pratiche dei singoli artisti) prende

atto che nella società moderna tecnologico-industriale, il proprio ruolo deve essere rimesso radicalmente in

discussione non in una prospettiva autodistruttiva o affrettatamente nichilistica di fronte alla

“riproducibilità tecnica”, ma come possibilità di autenticare in modo differente le proprie pratiche in uno

spazio critico-negativo, riflessivo, teorico.

È possibile affermare che le pratiche fotografiche di maggior rilievo nella storia della fotografia si sono

rivelate quelle che sono state consapevoli del proprio statuto di identità/differenza con la pittura, con

l’arte, per cui da un lato la fotografia non può considerare se stessa come produzione di immagini analoga a

quella delle arti visive “tradizionali” e dall’altro, superando falsi pudori e timidezze, deve operare come

linguaggio cosciente della propria relativa autonomia, della propria temporalità, della propria

massificazione, intesa quest’ultima come dimensione positiva di una creatività che può varcare i confini dei

Gruppi, delle Accademie, delle Botteghe per allargarsi all’Umanità intera. 1

PARTE PRIMA. Storia della sociologia dei primordi

1. Dalla “camera oscura” alla fotografia

All’inizio del XIX secolo tutti gli elementi sia chimici che fisici all’opera nella fotografia erano conosciuti da

molto tempo. In effetti gli alchimisti avevano saputo coniugare il cloro e l’argento e sapevano che il bitume

di Giudea cambiava di colore alla luce. Per quanto riguarda la CAMERA OSCURA essa risale al XVII secolo e

già Leonardo da Vinci aveva sottolineato che se si fa un piccolo buco in una camera ben chiusa, tutti gli

oggetti esterni si riproducono sul muro che sta di fronte. La camera oscura – che era in origine una stanza

buia con un piccolo foro su una parete o in una persiana, attraverso cui un’immagine invertita della veduta

situata all’esterno veniva proiettata sulla parete opposta o su uno schermo bianco – fu usata, prima che si

ritenesse possibile fissare le immagini, dagli astronomi e poi dagli artisti. Questi ultimi in particolare, la

usavano per verificare ciò che vedevano in natura e come mezzo per risparmiare fatica. Lungi dal limitarsi ai

soggetti topografici, l’uso della camera oscura era ampiamente apprezzato nella riproduzione di

monumenti architettonici, esterni e interni, in particolar modo di quelli che ponevano difficili problemi di

prospettiva. Diverse pubblicazioni risalenti al XVII e al XVIII secolo contengono istruzioni e illustrazioni sulla

funzione della camera oscura e di altre “macchine da disegno”. Il medesimo apparecchio fu usato molto da

ritrattisti e artisti figurativi e la sua utilità fu messa in evidenza fin dal 1558 dal famoso filosofo napoletano

GIOVANNI BATTISTA DELLA PORTA il quale nella sua opera “Magiae naturalis libri IV” (1558) suggerì l’uso

della camera oscura come aiuto nel disegno. Testimonianze fondate riferiscono che molti pittori olandesi e

italiani del XVI e del XVII secolo abbiano usato in qualche maniera la camera oscura a cui si faceva

soprattutto ricorso per disegnare e dipingere paesaggi. In tal modo è possibile affermare che la maggior

parte degli artisti che si dedicarono alla vasta produzione di quei “viaggi pittoreschi” così in voga nel XVIII e

nel XIX secolo abbiano fatto uso della camera oscura.

Prima del XIX secolo la fissazione dell’immagine della camera oscura dipendeva più dalla curiosità e

dall’iniziativa individuali che da una necessità sociale. E significa parimenti che i modi manuali di

rappresentazione rispondevano allora perfettamente ai bisogni sociali e che era ancora socialmente

superfluo sostituirli. A partire dalla fine del XVIII secolo, sembra al contrario che le cose non stiano più così

e che il fallimento sociale dei modi manuali di rappresentazione sia ormai palese. Fino al XIX secolo, ogni

modo di rappresentazione riposa essenzialmente sull’individuo e le sue qualità. L’operatore (pittore,

incisore, disegnatore, scrittore...) forma un’unità con il proprio mezzo di lavoro (pennello, matita, penna...).

Il risultato è assai direttamente dipendente dal produttore, dalle sue capacità e dai suoi limiti. Ora, a partire

dalla fine del XVIII, la Rivoluzione Industriale sconvolge la realtà sociale. Appaiono le prime macchine e la

produzione si accelera. Si introduce allora una differenza crescente fra le modalità e i ritmi della produzione

delle immagini e quelli della produzione dei beni materiali: mentre questa si meccanizza sempre di più,

l’immagine dipinta, incisa resta tributaria della mano.

Parallelamente all’industria, la scienza si sviluppa e tematizza delle realtà la cui rappresentazione sfida le

capacità fisiche dell’uomo. Il disegno, la pittura e l’incisione si rivelano in tal modo tecnicamente impotenti

a dare una giusta intelligibilità di macchine sempre più complesse che si moltiplicano con l’avanzare

dell’industrializzazione. Tecnicamente incapaci di dare un’immagine socialmente soddisfacente della realtà

segnata dall’impronta della Rivoluzione Industriale, i modi manuali di rappresentazione non possono più

rispondere alle priorità economiche della società capitalistica nascente. In effetti l’incisione è troppo cara e

inadeguata in un’economia che si organizza attorno alla massima realizzazione dei profitti attraverso una

produzione abbondante e a buon mercato. Il costo elevato dei dipinti, dei disegni e delle incisioni è

l’espressione economica di un rapporto tecnico di produzione dell’immagine dominato dalla mano che

procede lentamente.

Il RITRATTO IN MINIATURA – dipinto prevalentemente su ciondoli e portacipria – conosce un successo

sempre maggiore a scapito della pittura su tela: di piccola taglia, è più intimista, ma soprattutto molto 2

meno caro della tela e meglio adatto alle spese che la borghesia è disposta a dedicare al ritratto. Tuttavia,

dalla tela alla miniatura, la differenza è solo quantitativa. Anche se la produzione annuale di un miniaturista

può raggiungere da trenta a cinquanta ritratti, il totale predominio della mano impedisce qualsiasi

accrescimento supplementare di produttività e di conseguenza ogni abbassamento dei costi.

È necessario attendere la messa a punto del PHYSIONOTRACE da parte di un certo GILLES-LOUIS CHRÉTIEN,

nel 1786, per vedere accrescersi la rapidità di produzione dei ritratti. Il physionotrace è un pantografo

verticale in cui lo stiletto a punta secca è sostituito da un visore che permette la riproduzione di linee di un

oggetto nello spazio. L’operatore pone il modello a una certa distanza dal physionotrace e segue i

lineamenti del suo viso attraverso il visore mentre lo stiletto inchiostrato li riproduce a una scala inferiore.

Il physionotrace riduce in modo considerevole l’importanza dell’abilità dell’operatore e autorizza al

contempo una rapidità nuova di esecuzione (la posa dura solo un minuto) e un sensibile abbassamento dei

prezzi. Ma, se il physionotrace relativizza il ruolo della mano, non l’annulla e non giunge dunque ancora a

togliere completamente l’ipoteca della soggettività che pesa sull’immagine.

Nel 1797, l’invenzione della LITOGRAFIA rivelò un nuovo imperativo per l’immagine: la sua possibile

moltiplicazione in vista di un’importante diffusione. Certo, l’incisione su legno o su cuoio assicurava già una

diffusione delle immagini, ma l’intaglio era lungo e difficile. Al contrario, la pietra litografica accoglie

direttamente dalla matita, dalla penna o dal pennello il disegno; in tal modo essa facilita l’

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Publisher
A.A. 2013-2014
51 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Poggiogufo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della fotografia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Schiaffini Ilaria.