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LA LEZIONE DELLA FILOGENESI

Poniamoci nella prospettiva di una filogenesi, come Pradines. I sensi sono innanzitutto

gli organi del conoscere,e la conoscenza è innanzitutto al servizio dello sforzo compiuto

dal vivente per conservarsi. L’animale vive la separazione fra soggetto e oggetto

teorizzata dai filosofi della coscienza: deve cercare fuori di sé l’oggetto che gli permette

la sopravvivenza e che gli viene indicato dal bisogno, la cui antenna sono i sensi.

L’avvento della sensorialità ha luogo con il toccare. La funzione peculiare del tatto è di

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fare spazio alla rappresentazione: esso anticipa a scopo di difesa quanto potrebbe

rivelarsi doloroso, e, così facendo, apre già lo spazio; localizza l’impressione tattile

ancora indolore in un oggetto esterno. “L’oggetto tattile è rappresentato non appena si è

colpiti da eccitazioni a scoppio ritardato le quali ci comunicano distanze sempre più

grandi dell’eccitante medesimo”. In tal modo queste eccitazioni ci rappresentano

l’eccitante come un simbolo degradato rispetto alla sua azione. Questa è la legge degli

organi sensoriali e di una sensorialità che così si distingue dall’affettività.

La sensorialità stessa si differenzia: l’occhio e l’orecchio sono organi distinti, ma hanno

in comune la propria origine e il modello della sensibilità tattile. La vista e l’udito, sensi

del bisogno e della distanza, sono costruiti a partire dal contatto: essi sono forme del

toccare, ma a distanza; i loro organi ricevono sempre un’impressione, ma non più

appesantita da un affetto, di modo che la motricità non si avvii più immediatamente, ma

il vivente possa avere il tempo di reagire. Il tatto richiede ancora il contatto, con la vista

e l’udito invece tra l’impressione e la sensazione lo scarto aumenta e lo spazio si apre.

Come l’udito nasce dalla sensibilità epidermica dei pesci alla variazione di pressione

dell’ambiente acquatico, così la vista trae origine dalla sensibilità epidermica del

vivente alle variazioni della luce e ai riflessi della luce rinviati dai corpi illuminati: c’è

la medesima analogia con il tatto. L’occhio esplora il mondo con un’attività simile a

quella delle dita, la vista copia il tatto. Pradines sottolinea però che l’informazione del

colore costituisce un arricchimento assoluto della conoscenza tattile, così come accade

per l’informazione veicolata dal timbro e dall’altezza del suono.

L’impressione esercitata sull’organo induce una qualità. Quest’impressione allerta il

vivente solo nella misura in cui esso la comprende: la qualità qualifica un oggetto che

pone a distanza; da soggettiva si fa oggettiva, da interiore si fa esteriore. La sensazione

non rinchiude il vivente su se stesso, ma lo mette al mondo istruendolo circa esso. La

sensazione significa che il vivente diviene soggetto e prende coscienza di un oggetto

fuori di lui: il contatto è anticipato, l’oggetto è a distanza di rappresentazione, la quale

informa il vivente su ciò che può riguardarlo (un’affezione eventuale). La

rappresentazione non annulla la presenza, non fa scomparire il mondo.

La sensorialità istruisce sulle cose del mondo, ma non rivela mai se non degli aspetti

dell’oggetto e non è nemmeno chiara di per sé. E’ allora possibile concepire che questi

organi permettano all’organismo di passare dal riflesso alla coscienza. Nella filogenesi

pradiniana, questa promozione alla soggettività è troppo facile perché non si cura dello

spiritualismo. Il vivente ha il potere di comprendere la qualità sentita, il potere di

“creare lo spazio” con delle impressioni che non sono però spaziali. Ma l’occhio non

recepisce lo spazio, apre solo una distanza: sta al principio dello spazio senza ancora

inscriversi in esso; spetta allo spirito costituirlo. Nell’evoluzione descritta da Pradines lo

spirito che all’inizio era stato posto come sorgente si manifesta con più chiarezza,

mediante l’esercizio operante nella percezione. Oltre al potere di comprensione, che

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consiste nel situare gli oggetti nello spazio, ha anche il potere di giudicare che si occupa

di controllare la percezione. Nell’esplorazione del mondo vi è coinvolto lo spirito, il

quale si riconosce da un certo distacco dal sensibile, da una certa tendenza a sorvolare e

dominare il recepito, a usare vista e udito per gli interessi non solo della vita, ma anche

della razionalità. E’ così possibile attribuire allo spirito l’invenzione degli strumenti che

consentono di migliorare il funzionamento e il rendimento dei sensi.

Come non riconoscere lo spirito nell’individuo che è soggetto? Merleau-Ponty invece di

pensare lo spirito come istanza separata, come des ex machina, lo pensa nel suo stato

nascente, al livello della percezione. Lo spirito non fa l’occhio né l’orecchio, ma

l’occhio e l’orecchio fanno lo spirito. Lo spirito richiede di rovesciare la formula di

Pradines dicendo: al principio dello spirito ci sono i sensi. Questo ci permette anche di

sfuggire ad un dualismo manicheo tra corpo e spirito.

La filogenesi pradiniana si volge troppo presto allo spirito come presupposto, ma ha il

merito di impedirci di pensare che soltanto lo spirito sia il soggetto della percezione e

che nel corpo non avvenga null’altro che qualcosa di cieco e meccanico. Pradines

mostra come il corpo divenga coscienza: sono certo io che vedo e sento, ma questo io

non è uno spirito puro, non si svincola da sensi né li riduce a meri strumenti, ma si

identifica invece con essi, è un io naturale.

SENSO, SENSAZIONE, SENSIBILE

Si è costruita nel tempo una psicologia associazionista che si rinforza attraverso altri

temi: il tema metodologico secondo il quale il pensiero procede dal semplice al

complesso, il tema ontico secondo il quale il divenire va dall’indifferenziato al

differenziato, il tema trascendentale secondo il quale la vocazione dell’io penso consiste

nell’unificare il diverso. Se chiamiamo in causa le associazioni o l’attività sintetizzante

è perché supponiamo che ciò che si dà sia un semplice che dipende da una qualche

composizione: in realtà quel semplice non è un dato, ma un presupposto e un risultato.

Ciò che giustifica questo presupposto è la pluralità degli organi sensoriali. Negarla

sarebbe assurdo, ma non è assurdo pensare, come la fenomenologia, che il corpo intero

sia coinvolto nel funzionamento di ciascun senso.

Il sentire è definito da tratti che l’oppongono al percepire: al tema dell’unità dei sensi

nella sinergia del corpo, che ricusa la sensazione, si unisce il tema dell’unità dell’io e

del mondo. Il sentire è anteriore alla loro rottura e mantiene la comunicazione tra di essi

modulando la totalità che costituisce la loro simbiosi. Il sentire allora designa una

modalità della relazione che lega l’io al mondo. E’ un’esperienza patica a definire il

sentire, paticità che sta nella fibra intima di ogni esperienza. Dufrenne si rifa a Straus: il

mondo del sentire è quello dell’animale o il paesaggio del pittore, mentre il mondo del

percepire è un mondo di cose con proprietà fisse e inalterabili poste in uno spazio e

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tempo oggettivi e universali. Il sentire è il senso dei sensi.L’uomo condivide questo

mondo con l’animale: anche egli è capace di una comprensione immediata

dell’espressione, che non passa attraverso il linguaggio e che non conduce alla

conoscenza. La riflessione di Straus colloca all’inizio dell’umano l’animalità, benché

l’animale non sia capace di esperienze estetiche. Se l’esperienza estetica si richiama al

sentire, questo sentire si apre a ciò che va definito come sentimento, a partire dal quale

si dischiude la relazione ad altri e l’esperienza di una certa inimità con il mondo, ad

esempio l’esperienza del paesaggio che Straus oppone alla conoscenza geografica.

L’esperienza del paesaggio e l’esperienza del mondo dell’animale hanno in comune il

fatto di non identificarsi al sapere oggettivo che colloca il territorio in spazi e tempi

universali. Tuttavia, la prima esperienza, che è estetica, non ripudia quel sapere, mentre

la seconda, che è animale, lo ignora del tutto. L’immediato può essere l’indifferenziato,

ma può anche essere riconosciuto come l’intimità che supera la separazione.

La sua analisi non però diretta né al sentire né al sentimento in sé, ma ad un’analisi del

sentire attraverso l’esame dei sensi. Se dovessimo tentare di comprendere i sensi

mediante la sensazione, oltre a cadere nell’associazionismo, ripiegheremmo su se stesso

il soggetto. Evocando il sensibile (ciò che può essere sentito), invece, la riflessione si

situa subito nel mondo. Il sensibile è sempre già dato. I sensi non lo costituiscono in

quanto tale; anche il suo carattere plurale non può essere considerato effetto della

pluralità dei sensi. Anzi, è il sensibile a costituire i sensi, rivestendo il ruolo che

Pradines assegna allo spirito. Resta importante comunque non subordinare radicalmente

il sensibile ai sensi, per questo riconosciamo la priorità al sensibile, benché di fatto non

potremmo parlare del sensibile prima dei sensi senza con ciò riferirsi già a essi. Tra il

sensibile e i sensi vi è un’affinità primordiale e una reciprocità non dialettica, perché

non dà luogo a nessun superamento-inveramento. Ci è utile riferirci al rapporto fra

uomo parlante e mondo parlato: la relazione di uomo e mondo all’interno del linguaggio

si rivela una sorta di simbiosi nella quale è impossibile attribuire a uno dei termini

un’anteriorità o una preminenza. Si tratta infatti della stessa solidarietà che unisce da

una parte i sensi che costituiscono il soggetto aprendolo al mondo, dall’altra il sensibile

che può essere definito come il mondo in quanto carne e che fa appello ai sensi.

LA VISTA

La vista è il più prestigioso fra i sensi, in virtù delle qualità dell’occhio. L’occhio, a

differenza dell’orecchio, manifesta la propria attività, è mobile, coinvolge anche la testa,

e può fissarsi sul proprio oggetto. Pesano su di lui dei divieti, come il sacro, è discreto

perché pu

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A.A. 2013-2014
26 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/04 Estetica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Stotle di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Estetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Cappelletto Chiara.