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ALTRE FORME DI PROPRIETÀ

Il dominium è la più importante ed intensa forma di appartenenza. Solo nella fase iniziale e poi nell’assetto finale della compilazione giustinianea, il dominium venne descritto e disciplinato come la sola e unica forma di proprietà privata. Nel diritto romano, accanto al dominium, ci furono altri due rapporti assoluti che lo affiancarono nel corso dell’età repubblicana fino alla fase giustinianea: I. In bonis esse, “proprietà pretoria”. Fu un istituto che si sviluppò grazie alla particolare tutela ammessa dal pretore romano a quelle persone che avevano acquistato la res in maniera difettosa per lo ius civile, ma che comunque erano considerati meritevoli di una tutela. è colui che, in buona fede, acquista un bene non rispettando le formalità dello ius civile. Questo soggetto godeva di una tutela pretoria (ius honorarium) nell’arco di tempo tra

L'acquisto del bene e il momento in cui diventava effettivo proprietario per lo ius civile. Il caso più diffuso era quello in cui il compratore acquistava una res mancipi senza mancipatio o in iure cessio, ma con la semplice traditio. Il compratore (che quindi si trovava nella sola condizione di possessore) doveva attendere la fine dei termini richiesti per l'usucapione per potersi qualificare proprietario civilistico di quel bene.

Il problema sorgeva nel momento in cui un terzo intralciava l'esercizio del suo possesso e, proprio per questo, il magistrato (pretore) introdusse nell'editto alcuni rimedi per tutelare la posizione dell'in bonis habens. Lo strumento processuale utilizzabile per difendere il proprietario bonitario era l'exceptio doli, utilizzabile nel momento in cui fosse stato chiamato in giudizio dal venditore con un'azione di rivendica per farsi restituire la res. Era quindi un'azione che mirava ad una difesa.

La passiva actio publiciana invece realizzava una difesa attiva del proprietario bonitario nei confronti di colui che lo aveva spossessato del bene. Si differenziava dall'azione di rivendica in quanto aveva una formula ficticia (fittizia): il magistrato infatti invitava il giudicante a far finta che l'attore avesse già usucapito il bene.

In età imperiale, Giustiniano non accettava che su uno stesso bene ci fosse un "doppio dominio", anche perché era stata già soppressa la distinzione tra res mancipi e res nec mancipi e il loro regime di circolazione era stato rimpiazzato con schemi negoziali più veloci. Fu così che l'in bonis esse non ebbe più ragione di esistere.

II. Possessio vel usufructus sui fondi provinciali. I territori che i romani conquistavano erano chiamati ager publicus: quelli situati in Italia presero il nome di ager romanus ed erano considerati res mancipi; quelli situati nelle

province vennero chiamati ager provincialesQuando i romani conquistavano nuovi territori, lasciavano che gli sconfitticontinuassero a disporre dei propri beni e terrene, ma era loro imposto dipagare dei canoni e tributi che Roma avrebbe riscosso.→ Questo quindi non era un vero e proprio diritto di proprietà, ma un dirittorelativo ad una concessione.Comproprietà più persone potessero godere dellaL’ordinamento giuridico romano ammetteva chestessa cosa, quindi lo stesso diritto di proprietà faceva capo ad una pluralità dipersone.Il primo stadio fu la proprietà collettiva, tipica della società gentilizia. Dopo la suascomparsa e l’affermazione della familia proprio iure, si passò allo stadio dellaproprietà indivisa. 5Quest’ultima era tipica nel momento in cui moriva il Pater familia e il patrimoniopassava ai suoi figli.La ragione per la quale lo si lasciasse indiviso era probabilmente quella di

volermantenere integra la cifra sociale della famiglia.NB: nulla però impediva ai fratelli di dividere successivamente il patrimonio medianteazioni divisorie.Un altro tipo di consortium (comproprietà) era quello ad exemplum fratrum suorum,ovvero un consorzio tra estranei al fine di svolgere ad esempio qualche intrapresacommerciale di pubblico interesse.Già nel corso dell'età repubblicana questi due tipi di consorzi caddero in disuso,lasciando spazio alla communio e alla societas.Con la communio si passò all'idea di una proprietà plurima parziaria, corrispondentead una divisione solo astratta della cosa. Quindi il diritto di condomino continuava adavere per oggetto l'intero bene indiviso, ma la partecipazione del singolo soggetto erarappresentata dalla quota.→ Nel momento in cui uno dei condomini rinunciava al proprio diritto, ciò implicaval'accrescimento delle quote degli altri condomini.Obbligazioni e

responsabilità sul bene comune gravavano su ciascun comproprietario regime di solidarietà.

Ogni comproprietario poteva disporre liberamente della cosa comune nei limiti della propria quota. Erano però invalidi gli atti incidenti sul diritto degli altri soggetti, quindi ad esempio era invalida la vendita della cosa se non c'era la totalità dei consensi dei comproprietari.

Questa regola si mantenne nel tempo, ad eccezione delle manumissione dello schiavo, infatti in età imperiale la manumissione di un servo da parte di un singolo condomino implicava la liberazione dello schiavo, ma comportava che l'autore dell'atto dovesse risarcire gli altri comproprietari.

La communio era considerata una vicenda transitoria destinata a cessare mediante una divisione, quindi era invalida una comunione perpetua.

La divisione poteva essere volontaria o giudiziale. Quest'ultima era la più frequente e, per farlo, ci si poteva avvalere di: actio communi dividundo,

in cui era il giudice a frazionare la cosa comune in parti materiali proporzionale alle quote. Se questo non era possibile farlo era necessario imporre un conguaglio di denaro ad uno dei condomini. Se invece si trattava di una cosa indivisibile, come uno schivo, si procedeva alla sua vendita e si ripartiva il denaro tra i comproprietari, oppure si aggiudicava il bene ad uno solo che aveva poi l'obbligo di risarcire gli altri;

actio familiae erciscundae, alla quale si ricorreva quando per oggetto si aveva un patrimonio reditario e il magistrato stabiliva le singole quote procedendo poi all'assegnazione ai vari eredi.

ACQUISTO E PERDITA DELLA PROPRIETÀ

I modi di acquisto della proprietà erano:

  1. a titolo derivativo, quando la proprietà del bene si acquistava mediante un rapporto con un altro soggetto già proprietario della cosa. Fanno parte di questa categoria
    • mancipatio
    • in iure cessio
    • traditio
  2. a titolo originario, quando c'è un

Rapporto immediato e diretto con la cosa in quanto non aveva già un proprietario. Fanno parte di questa categoria:

  • Occupazione
  • Specificazione
  • Accessione
  • Fruttificazione
  • Acquisto del tesoro
  • Confusione e commistione
  • Usucapione

Mancipatio è l'atto di trasferimento più antico. Era un atto solenne la cui validità dipendeva dall'esatto adempimento delle forme imposte dall'ordinamento giuridico. Occorreva la presenza:

  • Del mancipio dans (venditore)
  • Del mancipio accipiens (acquirente)
  • Libripens munito di bilancia (colui che pesava il bronzo)
  • 5 testimoni uomini cittadini romani

Questi ultimi erano importanti per costituire una valida prova per assicurare una certa pubblicità dell'atto e nel caso in cui sorgesse una lite.

A questo punto l'acquirente, tenendo in mano il bene che voleva comprare (se immobile doveva tenere un simbolo che lo rappresentasse), ripeteva delle parole solenni e il venditore restava in silenzio.

a meno che non volesse effettuare una dichiarazione per precisare meglio la funzione dell'atto (nuncupatio). Ora il libripens invitava il compratore a toccare la bilancia con un pezzo di bronzo inguisa di prezzo e la cerimonia si riteneva compiuta. → Essendo un rituale solenne, l'inosservanza anche di una sola formalità rendeva l'atto invalido. Con la mancipatio il venditore aveva l'obbligo di garantire il buon esito della vicenda e in particolare di garantire i rischi di evizione (il venditore doveva essere il vero proprietario per vendere il bene). Quindi dalla mancipatio nasceva un obbligo di assistenza nei confronti dell'acquirente, qualora fosse stato chiamato in giudizio di rivendica da un terzo che affermava di essere il reale proprietario del bene. Il venditore in questo caso doveva prendere le parti dell'acquirente durante il processo, subendo le conseguenze di una sentenza di condanna. 7→ Invece nell'ipotesi in cui il venditoreprometteva una certa misura del fondonegoziato mentendo per eccesso, l'acquirente poteva esperire l'actio de modo agri, intesa al conseguimento del doppio del valore della porzione di terreno mancante. L'originaria funzione della mancipatio fu dunque la compravendita. Ben presto però fu estesa anche per: - la costituzione, trasmissione o dismissione di poteri (come l'acquisto della manus sulla donna, l'adozione, l'adrogatio...). - trasferimento fiduciario dei beni Quindi si ricorse alla mancipatio come una imaginaria venditio. Poi quando comparve l'emptio venditio nell'ordinamento giuridico romano, la mancipatio continuò ad essere usata semplicemente come integrazione del contratto. In iure cessio Era l'altro modo per trasferire la proprietà delle res mancipi, sorto successivamente alla mancipatio ma comunque disciplinato dalle XII tavole. Aveva luogo in tribunale di fronte al magistrato. L'acquirentepronunciava la formula della vindicatio mentre il venditore restava in silenzio, dopodiché il magistrato assegnava la cosa all'acquirente. L'in iure cessio veniva utilizzato più frequentemente per il trasferimento delle res nec mancipi in quanto era un modo per dare veste formale al trasferimento, che con la traditio non avrebbe avuto. Era quindi una maggiore garanzia. Cadde in disuso nel tardo impero. Traditio Si utilizzava per trasferire la proprietà delle res nec mancipi. Era il semplice trasferimento materiale del bene, privo di ogni formalismo e adempimento solenne. In teoria la consegna materiale della cosa era in sé per sé un modo per trasferire solo il possesso, ma in presenza di determinati requisiti trasferiva anche la proprietà: - qualità di proprietario del tradente (venditore)
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Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

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