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Tavole), e qui si parlerà di fonti di cognizione in senso atecnico; infine esistono fonti che documentano

direttamente un fenomeno giuridico, per esempio una sentenza o un trattato internazionale, e si parlerà di

fonte di produzione primaria.

La principale fonte di cognizione del diritto romano è il Corpus Iuris Civilis, denominazione che indica (dal

XVI secolo) la monumentale compilazione di iura (scritti dei giuristi classici) e leges (costituzioni imperiali),

compiuta nel VI secolo d. C. su iniziativa dell’imperatore Giustiniano, e poi completata con le leges dello

stesso imperatore emanate dopo il 534. Il Corpus

Iuris Civilis consta di quattro parti distinte:

1) le Institutiones: sono la parte più breve della compilazione giustinianea e furono pubblicate il 21

novembre del 533 d.C., con la costituzione Imperatoriam. Rappresentano una sorta di trattato elementare

di diritto, sono scritte in forma di discorso diretto che l’imperatore tenne ai giovani che si avviavano agli

studi giuridici e hanno quindi una funzione didattica (oltre che forza di legge). Il principale riferimento è

rappresentato dalle Istituzioni di Gaio, a cui si attinse largamente anche per il contenuto (ved. sotto), ma si

attinse anche ad altre opere istituzionali di giuristi classici come Marciano e Ulpiano.

Le Institutiones constano di 4 libri: ogni libro è diviso in titoli, con una rubrica per titolo che ne indica il

contenuto, e quasi tutti i titoli sono divisi in paragrafi.

2) I Digesta o Pandectae (dal greco παν δέχομαι, facendo riferimento al carattere enciclopedico dell’opera,

che ‘raccoglie tutto’) rappresentano la parte più estesa del Corpus Iuris, in 50 libri: questa raccolta fu

ordinata nel 530, con la costituzione Deo auctore, e fu portata a termine nel 533 (pubblicata con la

costituzione Tanta – Dedoken). Si tratta di una grande antologia giuridica che raccoglie brani tratti da opere

dei giuristi classici (iura) organizzati per materia; vi è anche qualche raro passo di giurista repubblicano, ma

tra l’altro, il pensiero dei giuristi repubblicani era spesso ricordato dai giuristi classici. L’opera fu redatta da

una commissione presieduta dal quaestor sacri palatii Triboniano e composta da quattro professori e undici

avvocati, i cui nomi sono riferiti nella costituzione Tanta. Il numero dei libri esaminati era davvero elevato,

considerando che si aveva a che fare con quattordici secoli di storia (come indicato dallo stesso

Giustiniano): si trattò di circa 2000 libri, per un totale di tredici milioni di righe. Il Digesto giustinianeo

dunque raccoglieva materiale giurisprudenziale di varia epoca e in esso veniva indicato il nome di ciascuno

degli autori del testo riferito.

I brani giurisprudenziali furono spesso modificati, o meglio ‘interpolati’, come si dice nel linguaggio

filologico: a volte solo nella forma (per esigenze di compilazione), altre volte anche nella sostanza, per

adeguare il brano al diritto vigente al tempo di Giustiniano; infatti questi testi vennero escerpiti e ordinati

per la società del VI secolo d.C., certamente differente rispetto alla società di qualche secolo prima.

Ogni libro (ad eccezione di alcuni) è diviso in titoli (con una rubrica che ne indica il contenuto), all’interno

dei titoli si susseguono i frammenti, ossia i brani dei giuristi, e i frammenti più ampi sono stati divisi dagli

interpreti medievali in paragrafi.

3) Il Codex: Giustiniano già l’anno dopo la sua ascesa al trono (528) aveva ordinato con la costituzione Haec

quae necessario la compilazione di un novus Codex che raccogliesse le costituzioni imperiali, e l’opera fu

portata rapidamente a termine nel 529, e pubblicata con la costituzione Summa rei publicae. Tuttavia,

durante la compilazione dei Digesta Giustiniano aveva emanato altre costituzioni, e pertanto ordinò la

redazione di un altro Codex che comprendesse anche queste: esso fu pubblicato nel 534 e fu denominato

Codex repetitae praelectionis (ed è l’unico pervenutoci, poiché il primo è andato perduto). Il Codex è diviso

in 12 libri, a loro volta divisi in titoli, e all’interno dei titoli si susseguono le costituzioni in ordine

cronologico; inoltre anche le costituzioni furono interpolate dai compilatori quando si ritenne necessario.

4) Infine le Novellae: sono le costituzioni di Giustiniano in greco e in latino emanate

successivamente al Codex repetitae praelectionis e furono raccolte dopo la morte

dell’imperatore (avvenuta nel 565). Di esse ci sono pervenute tre raccolte private: la prima

comprende 168 novelle (cd. Optima), probabilmente composta durante il regno di Tiberio II,

che raccoglie, accanto ai testi giustinianei, alcune leges di Giustino II e di Tiberio II. La seconda,

cd. Authenticum, di data incerta, riporta 134 novelle; infine la terza raccolta, l’Epitome Iuliani,

redatta sotto il regno di Giustiniano, comprende epitomi latine di 124 novelle.

Giustiniano Imperatore (nel famoso mosaico di San Vitale a Ravenna)

Continuiamo il discorso sulle fonti di cognizione del diritto romano, ma andando a ritroso nel tempo:

quando Giustiniano dispose la compilazione del Novus Codex infatti mise subito in evidenza la continuità

dell’opera con i codici precedenti, citando espressamente il Codice Gregoriano, il Codice Ermogeniano e il

Codice Teodosiano. Con Giustiniano infatti si realizzava una ulteriore tappa del processo già iniziato tempo

addietro, in cui si assisteva al passaggio dalla pluralità delle fonti, tipica del periodo classico, all’unicità della

legge imperiale, e in molti hanno scorto un cambiamento importante in questo senso con la concentrazione

di poteri che aveva caratterizzato il Dominato (e quindi con Diocleziano, 284 – 305) e con l’influenza che le

idee orientali stavano avendo su Roma.

Man mano che si trasformava la figura del principe si assisteva al cambiamento del sistema

delle fonti, e anche della figura del giurista, che non commentava più le decisioni

dell’imperatore nella sua trattazione, ma si limitava a disporre gli interventi imperiali nei vari

titoli di cui si componeva l’opera, senza alcuna riflessione a riguardo, riconoscendo così

all’imperatore l’esclusiva creazione del diritto. Un simile atteggiamento è già visibile nei due

codici di cui ci occupiamo adesso: il Gregoriano e l’Ermogeniano.

Il Codex Gregorianus era una raccolta privata di costituzioni imperiali, prevalentemente

rescritti, e in massima parte relative al diritto privato. Compilata nel 292 o 293, prima si

pensava in Oriente ma recenti studi hanno portato a pensare che sia stato compilato in

Occidente, da un certo Gregorius o Gregorianus, che potrebbe essere stato un funzionario

imperiale o comunque vicino all’imperatore Diocleziano. Il Gregoriano si componeva almeno

di 14 libri, ognuno dei quali era suddiviso in titoli, ciascuno recante una rubrica, nei quali le

costituzioni erano disposte in ordine cronologico, ma ciò che conta particolarmente è che

questo codice raccoglie i testi senza alterarne il tenore, e questo permette di capire in che

misura Diocleziano abbia innovato rispetto al diritto classico. Presso i pratici e nell’ambito

didattico il Codice Gregoriano dovette godere di larga fortuna; esso non ci è pervenuto

direttamente ma siamo a conoscenza di una parte del materiale attraverso le c.d. leggi

romano-barbariche (Lex Romana Wisigothorum e Lex Romana Burgundionum) e le raccolte

miste di iura e leges (Fragmenta Vaticana, Collatio e altre che vedremo successivamente);

inoltre anche il Codice di Giustiniano ne raccoglie una buona parte. E dovette nascere come

integrazione del Codice Gregoriano il Codex Hermogenianus, compilato probabilmente

anch’esso in Oriente da un certo Ermogene o Ermogeniano. Composto da un solo libro, diviso

in titoli entro i quali le costituzioni si succedevano secondo l’ordine cronologico, esso

comprendeva costituzioni che andavano da Diocleziano a Valentiniano I (365), tuttavia la

presenza di un numeroso gruppo di rescritti di Diocleziano degli anni 293 – 294, ha fatto

pensare che questo costituisse il nucleo originario del Codice, a cui fu aggiunto

posteriormente altro materiale, e per questo appare essere nato come una sorta di

supplemento al codice Gregoriano. La sua redazione oscilla tra il 295 e il 323 d.C., e anche in

questo caso abbiamo una conoscenza del Codice attraverso le stesse fonti che ci hanno fatto

conoscere il Codex Gregorianus. I due codici erano raccolte private, come si accennava prima,

tuttavia è abbastanza diffusa l’idea che si trattasse di raccolte volute dalla cancelleria

dioclezianea.

Raccolte di iura e leges

I Codici Gregoriano ed Ermogeniano raccoglievano soltanto costituzioni imperiali (rescritti, in

particolare), ma nel corso dei secoli gli iura continuarono a circolare attraverso altre raccolte,

in molte delle quali i passi dei giuristi erano affiancati comunque da costituzioni imperiali.

Vediamone alcune:

1) Fragmenta Vaticana: è il nome convenzionalmente attribuito ad una compilazione di iura e

leges di cui si conservano 350 frammenti in un palinsesto vaticano (il palinsesto è una

pergamena antica su cui, raschiata la prima scrittura, è stato scritto un nuovo testo), e solo nel

1821 i frammenti furono scovati da Angelo Mai nella Biblioteca Vaticana, da cui presero il

nome appunto. Non sappiamo quale fosse l’ampiezza originaria dell’opera, essa non era

suddivisa in libri ma solo in titoli, di cui ce ne sono pervenuti 7. Ogni titolo raccoglie frammenti

di giuristi classici (Papiniano, Ulpiano, Paolo e l’autore ignoto di uno scritto de interdictis), cui

seguono o sono intercalate costituzioni imperiali, soprattutto rescritti, comprese tra il 205 e il

369-72 d.C. Non sembra seguirsi un ordine cronologico, perciò nell’ipotesi che l’autore si sia

servito dei Codici Gregoriano ed Ermogeniano, questi avrebbe alterato l’ordine interno.

Incerte sono l’epoca e lo scopo della compilazione, se cioè fosse destinata all’uso didattico o

alla prassi dei tribunali, ma si ritiene che la raccolta sia stata compiuta anteriormente al Codice

Teodosiano, perché di varie costituzioni è riportato un testo più ampio rispetto a quello

contenuto del Teodosiano.

2) Collatio legum Mosaicarum et Romanarum: il titolo è dato dagli editori moderni, perché

nei manoscritti si legge Lex Dei quam praecepit Dominus ad Moysen, per cui è generalmente

chiamata Lex Dei. Il suo scopritore e primo editore fu Pierre Pithou, il quale avrebbe

adoperato un manoscritto trovato da lui prima del 1572, poi andato perduto. É una raccolta

redatta al fine di porre a confronto i principi del diritto mosaico con quelli del diritto romano,

si affiancano quindi precetti della legge mosaica, passi giurisprudenziali (Paolo, Ulpiano,

Modestino, Papiniano e Gaio) e costituzioni imperiali

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A.A. 2014-2015
9 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Cruna di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto Romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze giuridiche Prof.