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Il problema si pone dunque nel caso in cui il datore di lavoro non aderisca ad alcun
associazione imprenditoriale (es. Fiat che esce da Confindustria). Si tratta di una mossa
pienamente legittima per il datore di lavoro, in ossequio al principio di libertà sindacale.
In alcune ipotesi è possibile ritenere comunque applicabile il contratto collettivo.
Giurisprudenza e dottrina hanno cominciato a ricostruire la volontà del datore di lavoro di
applicare il CCNL.
L’applicazione di fatto del CCNL da parte di impresa non affiliata all’organizzazione
imprenditoriale (adesione che può essere sia esplicita che implicita, ad es. quando viene
riportato il testo delle principali clausole del CCNL) è considerata comportamento
concludente dotato di rilievo negoziale e comporta l’obbligo dell’impresa di continuare ad
applicarlo.
Qualora mancasse qualsiasi manifestazione di volontà da parte del datore di lavoro?
La giurisprudenza, al di fuori delle ipotesi di cui sopra, ha ritenuto che l’applicazione del
contratto collettivo ai datori di lavoro non iscritti potesse fondarsi sull’art. 36 Cost.
Quanto al percorso logico seguito→ L’art. 36 Cost. prevede che la retribuzione dei lavoratori
debba essere proporzionata al lavoro prestato e comunque sufficiente a garantire al
lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La previsione è stata sempre
considerata immediatamente precettiva. Ora, per determinare la retribuzione sufficiente, il
giudice deve individuare un parametro di riferimento. Secondo la giurisprudenza
maggioritaria tale parametro è individuato nei contratti collettivi nazionali di diritto comune.
Ma la giurisprudenza si riferisce solo ad alcuni elementi della retribuzione.
Il giudice, peraltro, non stabilisce che una regola venga applicata al di fuori dei casi che gli
sono sottoposti, e nemmeno il giudice è tenuto a conoscere/applicare il CCNL, il lavoratore
deve produrlo in giudizio. Inoltre la Cassazione si è pronunciata sul CCNL nel settore della
vigilanza privata, sostenendo che la retribuzione ivi indicata non è sufficiente: emerge dunque
che questo sistema in realtà non è particolarmente garantista.
Quanto ai rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale è prevista l’inderogabilità
del contratto collettivo da parte del contratto individuale: trattandosi di due atti di autonomia
privata, come si giustifica il fatto che l’uno (il contratto collettivo) prevalga sull’altro (contratto
individuale)? La giurisprudenza si riferisce tradizionalmente all’art. 2077 c.c. (benché riferito
al contratto corporativo), secondo il quale le clausole difformi sono sostituite di diritto; anche
in questo caso l’inderogabilità è unilaterale (derogabilità in melius).
L’art. 2113 c.c. stabilisce che le rinunce alle transazioni da parte del lavoratore sono invalide
quando riguardano norme inderogabili di legge e di contratto collettivo; ma quali norme di
contratto collettivo si possono considerare inderogabili?
Per quanto riguarda i rapporti tra contratto collettivo e legge, invece, nel corso del tempo
l'assetto tradizionale della derogabilità in melius è stato messo in discussione. Vi sono
quindi delle ipotesi di inderogabilità bilaterale, sia in pejus che in melius (v. ad es. vicenda
attinente agli scatti retributivi all’aumento del costo della vita, per contenere l’inflazione); si è
aperta la strada, ad alcune condizioni, anche alla derogabilità in pejus della legge da parte
della contrattazione collettiva (v. art. 8, L. 148/2011, che consente al contratto collettivo
anche aziendale di derogare in senso peggiorativo in tutta una serie di materie in presenza di
particolari condizioni).
Spesso la legge rinvia al contratto collettivo per l’integrazione/specificazione dei suoi
contenuti (anche in senso peggiorativo) ad es. per quanto riguarda i contratti a termine, i
licenziamenti collettivi, l’orario di lavoro. In questi casi si ritiene che il contratto collettivo
acquisisca la medesima efficacia (soggettiva e oggettiva) della legge (v. Sent. C. cost. n.
268/1994).
Infine, si parla di usi aziendali con riferimento alla reiterazione di uno spontaneo
comportamento favorevole del datore nei confronti dei dipendenti; l’effetto della
reiterazione comporta la trasformazione dell'originaria liberalità in una prestazione “dovuta”
(v. il caso del T.F.R).
Occorre però individuare il fondamento giuridico di questo meccanismo. La posizione
giurisprudenziale più recente ritiene che si tratti di un obbligo unilaterale di carattere
collettivo che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto
collettivo aziendale; in passato si riteneva che gli usi entrassero nel regolamento contrattuale
come clausole d’uso ex art. 1340 c.c. (*qual è la differenza tra le due posizioni?).
Il 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione repubblicana, nella quale ampio spazio è
dedicato al lavoro e ai diritti sociali, e ciò segna il passaggio dallo Stato liberale classico allo
Stato sociale (che interviene attraverso una serie di strumenti nella vita sociale del paese,
assumendosi un vero e proprio “impegno sociale”).
dall’art.1 Cost., con l’espressione “fondata sul lavoro” emerge il valore storico del
→Già
lavoro come caposaldo della Repubblica. Per lungo tempo i diritti sociali sono stati
considerati diritti secondari rispetto ai diritti civili e, in qualche maniera, meramente
programmatici. In realtà vi sono diritti sociali immediatamente esigibili. Nella dottrina più
recente questa distinzione è andata via via a perdere di significato (*perché?).
Tra i diritti inviolabili rivestono senz’altro un ruolo fondamentale alcuni articoli.
2 Cost., il quale prevede il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili
→L’art.
dell’uomo sia come singolo sia “nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità” (es.
sul luogo di lavoro). Altro aspetto dell’art. 2 concerne l’adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà politica, economica e sociale”. Su questa norma si fondano gli obblighi posti a
carico dei datori di lavoro ad es. di garantire il diritto al lavoro di tutti gli individui (normativa
sull’inserimento di lavoratori disabili).
l’art. 3 Cost., che sancisce l’eguaglianza dei cittadini, riveste un ruolo
→Anche
particolarmente importante. L’art 3 co.1 sancisce l’eguaglianza formale, in quanto tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge. Il co. 2 compie un passo
ulteriore, sancendo l’eguaglianza sostanziale, per cui è compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli. Declinata in ambito lavorativo, impone al datore di lavoro il divieto di
discriminare, che però non comporta un obbligo di parità di trattamento a parità di posizione
dei lavoratori (v. Sent. Cass. e C. Cost.). Ad es. il datore di lavoro privato può riconoscere un
aumento della retribuzione anche ad uno solo dei lavoratori che ricoprono la medesima
posizione. Diversamente, il datore di lavoro pubblico, in ossequio all’art 97 Cost. (imparzialità
della pubblica amministrazione) ha un obbligo di parità di trattamento.
diritto al lavoro, sancito all’art. 4 Cost. comporta che la Repubblica riconosce a tutti i
→Il
cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni
cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività
o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Qual è il significato di queste previsioni? C’è un impegno dello Stato, che giustifica
l’intervento nel mercato del lavoro, a garantire a tutti il diritto al lavoro promuovendo le
condizioni che lo rendono effettivo; diversamente non c’è un obbligo di lavorare, il lavoro non
può essere imposto, né si può pretendere dallo Stato l’ottenimento di un posto di lavoro.
Peraltro, la giurisprudenza ha via via cominciato a riconoscere il diritto ad eseguire
effettivamente la prestazione lavorativa.
Da qui una serie di norme espressamente dedicate al lavoro (quelle esaminate finora erano
principi generali, applicabili anche al lavoro).
Art. 35 Cost. la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Occorre
→
però individuare di quale tipologia di lavoro si tratta (Subordinato, autonomo, imprenditoriale
etc.); occupa ampio spazio, in effetti, il dibattito sull’estensione delle tutele lavoristiche al di
là della subordinazione (v. Perulli-Treu, “In tutte le sue forme e applicazioni”).
Art. 36 Cost. ha ad oggetto la retribuzione e l’orario di lavoro, secondo il principio della
→
proporzionalità e il principio della sufficienza della retribuzione (il datore di lavoro, in
qualche modo, si fa carico della famiglia del lavoratore).
Art. 37 Cost.→ Prescrive la parità di trattamento di donne e minori (viene escluso il
riferimento al rendimento); è qui che si collocano i dibattiti circa la questione del gender gap,
quella relativa al ruolo della donna, le tutela del lavoro minorile etc.
Art. 38 Cost.→ Riguarda l’assistenza e la previdenza sociale. Si parla di assistenza
sociale con riferimento ai servizi e alle provvidenze che lo Stato riserva a coloro che non sono
in grado di lavorare in seguito a disoccupazione, malattia, infortunio; la previdenza sociale,
invece, consiste nel pagamento delle pensioni di vecchiaia coloro che, per la loro età, non
sono più in grado di lavorare
Art. 39 Cost.→ Sancisce la libertà sindacale.
Art. 40 Cost.→ Sancisce il diritto di sciopero (si tratta sia dello sciopero contrattuale che
quello politico). Grazie a questa norma l’assenza per sciopero non può essere considerata
inadempimento degli obblighi contrattuali; nel tempo è venuto meno anche il “superiore
interesse della produzione nazionale”.
Per quanto riguarda le fonti sovranazionali, centrali sono le fonti del diritto UE.
Una prima partizione fondamentale→
1) Diritto europeo “primario” (o “originario”), composto da:
a. Trattato sull'Unione europea (TUE)
b. Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), in vigore dal 1° dicembre
2009 (cfr. Trattato di Lisbona)
2) Diritto comunitario “secondario” (o “derivato”), che comprende:
a. Tutto il diritto prodotto dalle istituzioni comunitarie (regolamenti, direttive,
raccomandazioni etc.)
b. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE
A sua volta,