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MORES
sono le fonti giuridiche più antiche e si identificano nelle costumanze espresse e
confermate dal primo vivere civile. Le rende degne di osservanza e di rispetto
l’essere state tramandate dagli antenati(i maiores). Si tratta di un complesso di
norme ‘già dato ’, emergente dalla natura stessa delle cose, e sul quale la
volontà divina non vanta in definitiva alcun potere. Interpreti dei mores erano i
pontefici, i quali provvedevano anche a conservarne memoria. Questo è
ovviamente il nucleo fondamentale dell’ordinamento, che non esclude in
progresso di tempo una stratificazione dovuta a mores di origine meno remota,
che germogliano su quel tronco.
LEGES REGIAE
Sul piano della sostanza, ancora mores, o loro applicazioni, sono probabilmente
le Leges Regiae, fatte approvare secondo tradizione dai comizi curiati su
proposta dei sette re di Roma. Stando al giurista Pomponio, queste leggi regie
sarebbero state raccolte in una sorta di testo unico da un tale Sesto Papirio,
vissuto all’epoca dell’ultimo re, Tarquinio il Superbo. La dottrina più recente è
incline ad assimilare le leggi regie a ordinanze emanate dai rex che enucleano
appunto cristallizzazioni o ‘precipitati’ consuetudinari o a disposizioni originate
da esiti processuali, con particolare attinenza al diritto pubblico e alla sfera
sacrale. Il filtro attuato dalla pronuncia del sovrano vale se non altro a
connotare quel preciso mos con il segno di un’ufficiale presa d’atto, e a
riservargli così uno spazio a parte nella coscienza giuridica collettiva.
Ancora nel II secolo d.C., in u’epoca ormai dominata dal diritto positivo scritto,
Gaio li nomina nel primo paragrafo delle sue Istituzioni, ma il dato di cui sopra e
il pressoché totale assorbimento dei loro contenuti ancora vitali in altre fonti di
epoca posteriore, fa sì che lo stesso giurista poco dopo, come si è visto, li
ometta nell’elencare i vari filoni che sostanziano il diritto del popolo romano.
LEX XII TABULARUM
Molteplicità dei settori toccati
Verso la metà del V secolo a.C. i plebei avanzarono la richiesta di una
legislazione scritta che mettesse il diritto alla portata di tutti i consociati,
sottraendolo così al monopolio pontificale, mitigasse la condizione dei debitori
insolventi e rendesse lecite le nozze tra patrimoni e plebei. Dopo prime
resistenze, la domanda fu accolta: si inviò in Grecia un’ambasceria per studiare
le leggi elleniche e, nel 451 a.C., sospese le magistrature ordinarie, si nominò
una commissione di dieci uomini, i decemviri legibus scribundis con il compito di
redigere il predetto corpus. L’esito fu, sulle prime, positivo: vennero composte in
quell’anno dieci tavole di leggi, ‘eque’ e preventivamente sottoposte ai comizi.
Ma i decemviri, assumendo che l’opera non era compiuta, pretesero e ottennero
la proroga della magistratura speciale per l’anno successivo(450 a.C.). A questo
punto la vicenda cambiò aspetto, poiché il secondo decemvirato, malgrado
annoverasse nel suo ambito tre plebei, diede pessima prova di sé, non solo per
la scarsa attenzione dedicata al lavoro legislativo, ma anche per i palesi
ù atteggiamenti tirannici mostrati dai decemviri e in particolare dal loro capo,
Appio Claudio. L’episodio di Virginia, giovane plebea rivendicata in schiavitù da
un cliente di Appio Claudio per consegnarla al patrono e uccisa dal padre per
tutelarne l’onore, segnò l’apice dello scontento, la cacciata dei decemviri e la
restaurazione delle magistrature ordinarie. Nel 449 a.C. i consoli pubblicarono
tuttavia tanto le dieci tavole di leggi ‘eque’, quanto le ultime due ‘inique’, frutto
del secondo decemvirato. Il racconto tradizionale è stato sottoposto ad un
vaglio critico e alcune ipotesi sostennero l’inautenticità del decemvirato e quella
delle XII tavole. Oggi comunque si è propensi a prestar fede nella sostanza al
quadro offerto dalla tradizione. Benché il tenore dell’antico codice non sia stato
tale da soddisfare del tutto le richieste della plebe – rimasero i particolare una
fiera esecuzione sulla persona del debitore insolvente e il divieto di matrimonio
fra i due ordini -, esso segna una tappa fondamentale verso la laicizzazione del
diritto e la certezza del medesimo sulla base di una normativa scritta. Non si
tratta pertanto del progresso esclusivo di una classe sociale ma dell’ascesa di
un’intera comunità civile, che acquista coscienza della propria capacità di
autoregolamentazione positiva.
LEGES COMITIALES = LEGGI COMIZIALI
Sono le norme giuridiche approvate formalmente dal popolo riunito nei comizi,
in particolare quelli centuriati e tributi. Il comizio centuriato, dovuto secondo la
tradizione al re Servio Tullio, è, in origine, l’esercito investito di funzioni civili. Le
varie centurie dei cives sono, a loro volta, raggruppate in classi sulla base del
censo. Si evince con facilità il peso politico maggiore attribuito ai più ricchi e ai
più anziani, chiamati a operare in centurie meno dense.
L’iter di approvazione di una legge: La proposta (ROGATIO, cioè interrogazione
del popolo), presentata da un magistrato con facoltà di convocare l’assemblea
+(ius agendi cum popolo; proprio dei consoli, pretori e dittatori), rimane di solito
esposta al pubblico per il tempo di tre mercati(trinundinum) per consentire
presa d’atto e discussione. Quindi il comizio si riunisce, i vari nuclei del popolo
legislatore esprimono nell’ordine la propria scelta, e, a maggioranza raggiunta,
la votazione s’interrompe. Il voto, che dopo le leggi tabellariae va reso per
iscritto, può essere di approvazione; di rifiuto; di astensione. Il progetto di legge
va approvato o respinto in blocco: nessun emendamento è possibile, perché il
comizio è chiamato a votare, non a discutere e proporre a sua volta. Le leggi
prendono il nome dal magistrato proponente: di solito si tratta dei due consoli, e
recano sovente una concisa indicazione dell’argomento: talora indispensabile
onde evitare equivoci in caso di omonimia. Le leges publicae, cioè
‘popolari’contengono normalmente tre nuclei: la praescriptio, col nome del
proponente, la data ed il luogo della votazione, la rogatio, ossia il testo vero
proprio compresa l’eventuale comminatoria di sanzioni, e la sanctio, che
regolava per lo più i rapporti tra la nuova legge e quelle precedenti.
Riguardo la sanzione si nota che non sempre le leggi che vietavano determinati
atti di diritto privato ne fossero dotate: le leges imperfectae ne erano prive
perciò non disponevamo né la nullità dell’atto inibito né alcun’altra conseguenza
a carico del trasgressore, nelle leges minus quam perfectae l’atto illecito non
veniva rescisso ma si infliggeva una sanzione all’autore o al destinatario, le
leges perfectae comminavano l’invalidità dell’atto vietato.
PLEBISCITA = PLEBISCITI
Sono le norme giuridiche approvate formalmente dalla plebe riunita nei concilia
plebis tributa, su proposta del tribuno, Gaio spiega che in origine i patrizi
sostenevano di non essere tenuti all’osservanza dei plebisciti, perché approvati
senza la loro partecipazione ma che poi la lex Hortensia equiparò tali statuizioni
alle leggi comiziali, rendendole quindi vincolanti per tutto il popolo. È qui
ù condensata in poche parole una lunga fase storica. La classe plebea s’inserisce,
integrandosi, nel contesto anche istituzionale della Città- stato.La
denominazione di lex attribuita anche a queste norme ne fece sovente
dimenticare l’origine plebiscitaria. I plebisciti erano del tutto strutturati sulla
falsariga delle leggi.
SENATUS CONSULTA = SENATOCONSULTI
Sono le norme giuridiche emanate dal senato romano. Tale facoltà di
normazione diretta è assunta dall’assemblea dei patres solo all’inizio del
principato. In precedenza l’organo senatorio forniva l’auctoritas alle leges e ai
plebiscita, dava suggerimento ai magistrati sulle proposte di legge e, a quelli
giusdicenti, sul contenuto degli editti, infine, nell’ultimo secolo della repubblica
e nel quadro della lotta contro i democratici, si arrogava la potestà di sindacare
variamente sulla costituzionalità delle leggi e l’ambito dei destinatari vincolati
alle medesime. Ma non si tratta finora di attività idonee a produrre norme di
diritto oggettivo, cioè di senatoconsulti nell’accezione in cui li intendiamo in
questa sede. Il primo esempio di senatus consultum normativo risale al 4 a.C.,
ed è precisamente il S.C. Calvisiano. Una simile prassi di normazione -poiché in
effetti una formale investitura del senato in tal senso non risulta - si andò via via
affermando nel I secolo d.C., favorita dalla contrazione dell’attività legislativa
dei comizi e dal progressivo cristallizzarsi dell’editto pretorio. Dice Gaio:
“Senatoconsulto è ciò che prescrive e stabilisce il senato, e tiene il luogo di
legge, nonostante se ne sia discusso”. Qualche decennio più tardi, nella prosa
del giureconsulto Ulpiano, di tale perplessità si è persa ogni traccia: “non si
dubita che il senato possa fare diritto”. Abbastanza rapidamente però la libera
determinazione del senato lascia il posto alla pedissequa approvazione della
proposta(e quindi della volontà) dell’imperatore, preventivamente manifestata
all’assemblea: privilegiando la sostanza rispetto alla forma, si parla in tal caso,
propriamente, di principis in senatu habita (orazione del principe tenuta in
senato). Così, sebbene quest’ultima non sia tecnicamente autonoma ma
destinata a provocare il senatus consultum, è la sola a venir citata e
commentata dai giuristi. In piena età del dominato è comprovata dai testi
un’attività decisionale del senato, in taluni limitati settori non del tutto priva di
autonomia: l’efficacia di tali atti – identificati talora col termine senatus consulta
– è tuttavia formalmente subordinata alla conferma imperiale.I senatoconsulti
prendono il nome del console proponente. Vi è peraltro un caso in cui il
senatoconsulto attinge altrove la propria denominazione: il S.C. Macedoniano
ricorda nel nome il soggetto che con il proprio operato ne consigliò
l’approvazione. I senatus consulta ebbero come prevalenti settori d’intervento il
diritto criminale, dove attrassero nell’orbita delle leges istitutive di quaestiones
fattispecie originariamente non previste dalle stesse, e il diritto privato, ove in