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Emancipazione

che il servo venga ritenuto un uomo a metà o per due terzi, che gli venga negata l'umanità o che, in

quanto schiavo, venga considerato alla stregua di una cosa, il dato strutturale al di là dei pur

profondi mutamenti storici rimane che l'essere umano sottomesso ad altri essere umani non è un

essere umano a tutti gli effetti.

Lo stoicismo e il cristianesimo, con le loro dottrine della libertà interiore che spetta ugualmente a

tutti gli uomini o che viene da loro ottenuta con la fede, hanno reso possibile un riconoscimento

anche agli schiavi, a tutti coloro che vivono in stato di servitù o in una condizione di dipendenza di

qualche tipo. In qualche circostanza tale riconoscimento ebbe conseguenze sul rapporto tra padrone

e servo.

La parte più terrificante della diffisione dell'istituzione dell'illibertà, della dipendenza, della servitù

o della schiavitù avviene nella prima modernità.

De la Boètie è il primo pensatore moderno a voler dimostrare che la servitù può essere cancellata

anche con la libera volontà da cui è portatore ogni servo. Questo pensiero ci porta a un tipo di

argomentazione che si può definire dell'inversione. Essa deduce che nel corso del tempo il vero

potere passi sempre più ai servi, poiché essi con il proprio lavoro e la propria riflessione fanno si

che il signore dipenda da loro, togliendogli la sua funzione. In questo modo viene ottenuto anzitutto

il reciproco riconoscimento e diventa possibile immaginare la dissoluzione di tutte le dipendenze

personali nell'assegnazione delle funzioni sociali.

L'elemento di novità nella posizione dell'Illuminismo sta nel fatto che esso non consente più alcuna

scappatoia: né nell'interiorità isolata né in un aldilà, due istanze che fino ad allora avevano potuto

esercitare un'azione compensatoria sulla condizione servile o sulle umiliazioni subite.

In primo luogo traccerò un abbozzo di storia concettuale per ricostruire il significato di emancipano.

In secondo luogo cercherò di trarre conseguenze sistematiche della storia concettuale.

1. La semantica storica dell'<<emancipazione>>

Il termine emancipato designava nella Roma repubblicana l'atto giuridico in forza del quale un

pater familias poteva liberare il proprio figlio dalla patria potestà.

Nel Medioevo fu impiegato anche nella sfera dei diritti consuetudinari germanici, che consentivano

di acquisire, per cosi dire automaticamente, l'autonomia nei diritti civili grazie al matrimonio,

all'autonomia economica o al possesso di uffici e cariche.

L'uso linguistico era elastico. Ad esempio, solo la liberazione concessa in anticipo era chiamata

emancipazione mentre attorno al 1700 anche la condizione di indipendenza raggiunta con il modo

sopra citato poteva essere descritta come emancipazione.

Da allora, questa derivazione della capacità giuridica da requisiti naturali rimase sempre legata al

termine dell'emancipazione.

Tuttavia le differenze sociali e giuridiche di fatto dominanti, con le loro dipendenze signorili o

feudali o con i loro privilegi cetuali, non furono intaccate da alcuna emancipazione fino al

Settecento inoltrato.

Qualsiasi emancipazione, fosse essa rivendicata unilateralmente o acquisita per natura,

presupponeva l'esercizio di un potestà.

Non esisteva un termine giuridico capace di indicare una liberazione generale dall'assoggettamento

a un signore. Alla fine del Settecento questo significato fu assunto dal termini emancipazione; in

questo caso però il cambiamento di significato decisivo non fu dovuto al linguaggio giuridico, ma

all'impiego psicologico, sociale, politico e soprattutto filosofico della parola.

Il verbo latino emancipare era transitivo e poteva significare ad esempio vendere, alienare. Quando

il sostantivo e il verbo vennero assimilati nelle lingue volgari dell'Europa occidentale emerse un uso

riflessivo, che partendo dal significato del maturare legato al diritto consuetudinario, finì per

indicare un'autoinvestitura del tutto esclusa dal linguaggio giuridico.

Che qualcuno potesse emancipare se stesso, era impossibile nella tradizione del diritto romano.

Si può azzardare la tesi che la nascita del verbo riflessivo emanciparsi dapprima indichi, e

successivamente incentivi, un radicale cambiamento di mentalità. Mentre prima la libertà o

l'emancipazione era concessa dal pater familias che esercitava la patria potestà ora era diventato un

azione riflessiva che il soggetto esercitava su se stesso.

Rebelais parlava di persone che si erano emancipate da Dio e dalla ragione per inseguire le loro

passioni perverse. Questi cambiamenti di significato si volgevano contro la Chiesa, la teologia, la

tradizione e l'autorità, e ben presto si fecero sentire anche in ambito politico.

Nel 1595 uno dei motivi della guerra civile di religione in Francia è individuato nel fatto che il

Terzo stato ( il popolo ) si era emancipato troppo e non era più disposto a sottomettersi.

In tedesco questa accezione fu registrata perlopiù in senso negativo, cioè come rifiuto di ubbidire a

chiunque o come pretesa di libertà eccessive.

L'associazione positiva del termine emancipazione all'autoliberazione si diffuse nel modo più ampio

e più rapido in Inghilterra. L'atto dell'emancipazione venne sempre superato dal passo in avanti

verso l'autoinvestimento.

In certo modo il senso legato al diritto romano si capovolse nel suo contrario, anche se il risultato

rimase lo stesso.

Tuttavia per l'autoinvestimento furono indicate ben altre fonti di legittimazione, come la natura, la

ragione o la libera volontà, vale a dire che istanze che a partire dall'Illuminismo pongono ogni

potere costituito di fronte alla necessità di giustificarsi e all'esigenza di cambiare.

Kant non definì l'Illuminismo come emancipazione, ma come “ l'uscita dell'uomo dallo stato di

minorità che egli deve imputare a sé stesso”. Kant potè rinunciare tanto più facilmente al concetto

di emancipazione in quanto era convinto che gli uomini, in conformità al diritto consuetudinario “

diventano naturalmente maggiorenni, ma spesso rimangono immaturi per tutta la vita “.

La maturità, che in natura viene raggiunta di continuo, man mano che una generazione subentra

all'altra, diventa la prospettiva storica sul futuro di un'umanità che governa politicamente se stessa.

In parte realtà, in parte obiettivo finale, essa descrisse un evento processuale che ben presto sarebbe

stato indicato con il termine di emancipazione.

Il vantaggio del nuovo concetto di emancipazione impiegato attorno al 1800 consisteva nell'indicare

non soltanto il grado di maturazione naturale ricorrente delle generazioni successive, ma anche

l'atto giuridico della liberazione che si realizza attraverso l'autoemancipazione.

Heine diceva che il grande compito del nostro tempo “è l'emancipazione. Non l'emancipazione dei

singoli popoli oppressi, ma bensì del mondo intero che divenuto maturo si libera dal guinzagli di

ferro dei privilegiati, dell'aristocrazia.

L'emancipazione divenne il denominatore comune di tutte le rivendicazioni che miravano a

cancellare la disuguaglianza giuridica, sociale, politica o economica. Perciò, in ogni caso, il

concetto di emancipazione esprimeva l'esigenza di superare il dominio personale dell'uomo

sull'uomo e poteva essere interpretato tanto in senso liberale, quanto in senso democratico, quanto

in senso socialista.

Il concetto di emancipazione fu impiegato ovunque nella lotta politica; in primo luogo per ottenere

la parità individuale e personale di diritti. In secondo luogo per rendere possibile la parità di diritti

per i gruppi: classi, ceti, donne...in terzo luogo l'emancipazione mirava alla libertà dal dominio e

all'uguaglianza di diritti dell'intera umanità.

2. L'emancipazione ha dei limiti?

Se si segue la storia dell'affermazione dell'emancipazione legale si può osservare, in primo luogo,

che essa è stata continuamente interrotta subendo vari contraccolpi.

Nel 1829 fu concesso il diritto di voto ai cattolici e quindi venne infranto il monopolio politico della

religione di Stato, il Parlamento britannico con lo stesso atto elevò il censo da quaranta scellini a

dieci sterline. In questo modo i cattolici persero la possibilità di fare occupare dai propri

rappresentanti circa il 60% dei seggi in parlamento. A causa di rapporti di potere economico, ciò che

era diventato politicamente indispensabile accordare fu di nuovo tolto.

Contraccolpi analoghi si riscontrano guardando anche alla storia degli Stati Uniti. Durante la guerra

civile numerosi lavoratori bianchi si rifiutarono di combattere contro gli Stati del Sud perchè

altrimenti i neri emancipati avrebbero sottratto loro il posto di lavoro. Per parecchi decenni i diritti

di voto che erano stati finalmente concessi ai neri vennero ridotti quasi a zero mediante

manipolazioni semilegali.

Da queste circostanze storiche sopra descritte si può trarre tre diverse conseguenze:

la prima conseguenza è che un atto giuridico di equiparazione può essere un aiuto o un'arma

• per realizzare la parità dei diritti, ma non ne costituisce una garanzia. L'emancipazione

legale è dunque una condizione necessaria ma mai sufficiente dell'effettiva uguaglianza dei

diritti.

Quanto Haiti francese realizzò con l'aiuto dei giacobini della madrepatria i diritti umani e

• civili nel proprio ambito di sovranità, tale realizzazione costò la vita al 95% degli ex padroni

bianchi. Siamo qui di fronte a un'esperienza storica la cui ripetizione in condizioni analoghe

costituisce un pericolo non ancora scongiurato. Esso può essere scongiurato soltanto se il

principio giuridico dell'uguaglianza dei diritti di tutti gli uomini sulla terra non viene solo

proclamato come norma legale, ma viene anche applicato come principio di giustizia

politicamente necessario e ineludibile, per garantire la sopravvivenza.

La teoria liberale ha sempre riferito la parità di diritti dei gruppi da emancipare soltanto ai

• loro individui. Qualsiasi riconoscimento dei gruppi in quanto tali si esponeva al sospetto di

costituire uno Stato nello Stato. Il riconoscimento degli individui come persone e come

cittadini aveva il vantaggio di poter essere garantito in un atto generale. Ma questa

prospettiva individualistica non è in grado di cogliere i controeffetti storici. Secondo la

maggior parte delle teorie dell'emancipazione dell'Ottocento alla lunga gli ebrei avrebbero

dovuto assimilarsi, sia nel modo tradizi

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
20 pagine
5 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Dariozzolo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fondamenti di scienze sociali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Lombardo Carmelo.