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Oltre a Leonardo, altri personaggi si dedicarono alla riflessione intorno alla natura della scienza:
Bacone, Galilei, Cartesio, ossia i padri della rivoluzione scientifica (metà ‘500-1650, anno della
morte di Cartesio). La scienza serve a capire la realtà per dominarla (e.g. capendo come e quando
si verifica un fulmine, si smette di attribuirlo alla divinità e ci si può proteggere, dominando così la
natura): la scienza comprende i fenomeni nei loro termini causali, operazione considerata
impossibile nel Medioevo; la vera conoscenza è dunque di tipo esplicativo: ciò era vero pure nel
Medioevo, ma solo rispetto a Dio. Secondo i moderni, anche gli uomini devono interrogarsi intorno
al perché delle cose, comprendendo il quale si potrà domare la realtà. Bacone scrisse, nel 1620,
un’opera dal titolo Novum Organum (“nuovo canone”) per ridefinire la conoscenza e la scienza.
Anzitutto, egli riteneva necessario liberarsi dalle false concezioni (idoli) trasmesse dall’Antichità,
come la rete mirabile di Galeno, o generati dal senso comune, come credere che la Terra sia
ferma, per pervenire ad una conoscenza fondata solidamente sull’esperienza secondo il metodo
induttivo (dall’esperienza alla legge generale), a differenza del metodo deduttivo di Aristotele
(sillogismi). Il metodo di Bacone è detto “delle tavole” (fogli) e serve per comprendere i fenomeni:
• tavola della presenza: in quali condizioni il fenomeno si verifica;
• tavola dell’assenza: in quali non si verifica;
• tavola del grado: secondo quale intensità il fenomeno si verifica.
Usando questo metodo, si procede razionalmente, cioè usando i materiali forniti dall’esperienza
(induzione, non deduzione). Bacone propone una metafora per esprimere il suo modello. Ci sono
tre tipi di animali:
1. ragno (studioso aristotelico): costruisce la sua ragnatela sospesa in aria e conosce solo
quella realtà;
2. formica (studiosi medievali): vive a stretto contatto con la terra, che considera l’unica
realtà;
3. ape (scienziato moderno): dai fiori estraggono il polline e lo elaborano, producendo il miele:
gli uomini pure devono comportarsi così, partendo dai sensi ed elaborandone il contenuto
per generare la vera conoscenza.
Secondo Galilei, i numerosi e complessi fenomeni possono essere ricondotti ad una legge
generale, che ne spiega i meccanismi soggiacenti ad essi (il libro della natura è scritto secondo
forme geometriche), tramite le “certe dimostrazioni” di cui parlava Leonardo. L’esperienza è
necessaria e dev’essere guidata da un’ipotesi, che può essere falsa o vera secondo l’esito della
verifica, da cui si scopre la legge generale che permette la dimostrazione (replicabilità)
matematica dell’ipotesi di partenza.
Geni solitari non ci sono mai, nulla avviene ex abrupto, ma sempre in riferimento ad un preciso
contesto. Conoscere significa produrre, perché una volta compresa la causa di un fenomeno,
l’uomo può riprodurlo. La conoscenza è alla base della sopravvivenza della specie umana, la
quale, essendo sprovvista di tutto ed è assai fragile, si sarebbe estinta, se non l’avesse avuta.
La rivoluzione scientifica poneva seri problemi rispetto alla religione cristiana: esempi di questo
contrasto sono Galileo Galilei e Giordano Bruno; l’uno fu costretto ad abiurare (sebbene dicesse “e
pur si muove”), l’altro, per non farlo, preferì morire arso vivo a Campo De’ Fiori.
Cartesio (1596-1650), filosofo, matematico e scienziato francese, è considerato il padre del
meccanicismo. Il suo pensiero è stato dirompente (nacquero le scienze biologiche) e dopo di lui
la filosofia si divise fra coloro che lo accettavano e coloro che lo rifiutavano. Riflettendo sulla
scienza, il filosofo sostenne che il mondo è composto di due cose, materia (organizzata) e
movimento, da cui si potevano costruire anche automi; è legittimo dunque pensare che un artefice
(entità metafisica) abbia costruito il mondo, secondo la materia e il movimento, il mondo intero: da
ciò il meccanicismo. L’anima (res cogitans: inestesa, intangibile, non esperibile, non indagabile
scientificamente) è tutta un’altra sostanza rispetto alla materia (res extensa), e solo l’uomo la
possiede. Secondo Cartesio, tutto è spiegabile scientificamente, eccetto l’anima: questo significa
che essa rimane un oggetto di studio pertinente alla filosofia.
Harvey, assumendo la teoria meccanicistica di Cartesio, nel 1628 scoprì la circolazione
sanguigna: il cuore funziona come una pompa e il sangue circola nelle vene e nelle arterie.
Se tutto è un meccanismo (tutto è materia e movimento), non c’è alcuna differenza tra biologia e
meccanica, dunque entrambi gli ambiti sono indagabili secondo le stesse procedure e ponendosi
le stesse domande. Da Cartesio in poi, si svilupparono la neuroanatomia (studio del sistema
nervoso), la neurofisiologia e la biologia in genere, eccetto la psicologia (lo studio della mente in
quanto anima, non in quanto cervello), poiché questa era ritenuta da Cartesio indagabile solo dal
punto di vista filosofico, non scientifico. Ciò spiega perché la psicologia nacque solo nel 1879,
benché la scienza moderna si fosse sviluppata nel Seicento.
Lezione 4 (18/10/2017): Cartesio, Leibniz, Wolff, Locke, Hume, Hurtley, J. Mill, J. S. Mill, Kant,
Muller, legge di Bell-Magendie, Bain.
Secondo Cartesio, la mente (res cogitans) non può essere studiata scientificamente (è indagabile
in tal modo solo ciò che può essere sottoposto a sperimentazione, scomposto nel momento
dell’analisi e ricomposto nel momento della sintesi), ma solo filosoficamente, essendo una
sostanza ontologicamente diversa e proveniente dal creatore. Essa è nota poiché l’uomo ha idee
innate (non provenienti dall’esperienza), le quali vengono dall’artefice divino. Da Cartesio in poi, la
filosofia si biforcò in razionalisti ed empiristi: i primi accettano la presenza delle idee innate, i
secondi no. I razionalisti avevano una posizione fondata su un assunto metafisico, il fatto che le
idee innate provengano da Dio, il che sottolinea il carattere attivo e dinamico della mente; il più
celebre razionalista è Leibniz, il quale sosteneva che l’intero universo fosse composto di monadi
(microcosmi), unità in sé compiute. Anche gli individui sono monadi e rispecchiano l’universo
(macrocosmo). Wolff, suo allievo, riteneva che la psicologia appartenesse alla metafisica, la quale
si divide in quattro parti (dalla più amplia alla meno): teologia (Dio), cosmologia (cosmo), ontologia
(esseri viventi), psicologia (uomo). Gli empiristi ritenevano che la mente fosse indagabile
scientificamente e rifiutarono l’assunto metafisico sull’origine della mente condiviso dai razionalisti;
essi ritenevano che le idee innate non esistessero, poiché qualsiasi idea si forma a partire
dall’esperienza (sensibile), origine di qualsiasi forma di conoscenza. L’empirismo è stato accusato
di passività della mente (in quanto dipendente dall’esperienza), ma in realtà non è vero. Il padre
degli empiristi è Locke (Seicento), la cui opera è stata tradotta in italiano come Saggio
sull’intelletto umano, ma in realtà è un errore di traduzione, dato che il suo saggio era Essais on
human undestanding: dunque, il saggio non è su una cosa (l’intelletto), ma su una funzione
(understanding). Secondo Locke, non bisogna cercare di definire la mente o cercare di trovarne
l’ubicazione, ma cercare, piuttosto, di capire come funzioni. Il metodo scientifico è applicabile
anche alle funzioni mentali (apprendere, ricordare, percepire, etc.): si tratta di scomporle per
comprenderle. Bisogna comprendere gli elementi minimi che permettono il funzionamento delle
funzioni mentali. Gli elementi minimi che permettono di sviluppare la conoscenza, sono le
sensazioni, il che è confermato anche dalle neuroscienze cognitive contemporanee. Secondo gli
empiristi, alla nascita la mente è una tabula rasa (niente idee innate), una tavoletta di cera – che
si modifica per tutta la vita - sulla quale le esperienze e le sensazioni imprimono i loro contenuti,
determinando così la fisionomia del singolo individuo. Le sensazioni ricevute dal mondo esterno
vengono elaborate con la produzione di idee, le quali sono semplici (e.g. madre) e complesse (e.g.
donna, umanità) - il che smentisce l’accusa di passività - e si formano tramite il meccanismo di
“associazione delle idee” teorizzato da Locke. I limiti di questo meccanismo deriva dal fatto che la
semplicità e la complessità delle idee sono concetti relativi: un’idea può essere semplice in
relazione ad una data cosa, ma complessa in relazione ad un’altra (vedi J. Mill). Hume
(Settecento) trasforma l’empirismo lockiano in associazionismo per sottolineare l’importanza delle
sensazioni e la capacità che ha il sistema cognitivo di creare associazioni; la mente, infatti, ha la
capacità di associare elementi semplici creando così idee complesse, dunque ha un carattere
attivo. Le associazioni di idee vengono fatte dall’apparato cognitivo in tre modi: somiglianza,
contiguità spaziale (e.g. un occhio rimanda all’altro, la torre di Pisa rimanda a Pisa), causalità (e.g.
la cenere rimanda al fuoco). Ulteriori sviluppi dell’associazionismo furono portati avanti da David
Hurtley (Settecento), prete e medico che cercò di comprendere come il corpo e il sistema nervoso
riescano a produrre associazioni; il meccanismo che le spiega è il seguente: quando si sperimenta
una sensazione, i nervi ricevono la stimolazione e vengono smossi, così in essi si trasmette una
vibrazione, il cui insieme forma l’idea complessa dell’oggetto col quale il senso è entrato in
contatto. James Mill (‘700-‘800) pone due problemi: come individuare un’idea semplice o
complessa? Come si producono le idee di oggetti di cui non si ha mai avuto esperienza, se le
sensazioni sono alla base di tutto (e.g. unicorno)? Secondo J. S. Mill (Ottocento), uno dei più
grandi logici del suo secolo, non c’è bisogno di invocare entità trascendenti per spiegare la novità,
che emergono anche nella scienza: l’acqua è h2o ed è una novità complessa, in quanto è
composta di due elementi semplici, l’idrogeno e l’ossigeno. Allo stesso modo, l’associazione di
elementi esperienziali, come l’associazione di elementi chimici semplici, produce la chimica della
mente. La chimica fornisce dunque il paradigma di come nasce la novità.
Kant (Settecen