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CESARE BECCARIA

Si è sempre pensato che la pena di morte fosse necessaria, se possibile pubblica in modo

che tutti vedessero quello che era stato deciso dalla città. Nessuno tranne un paio di

filosofi aveva mai ipotizzato che la pena di morte potesse non servire a niente. La pena ha

vari scopi: RETRIBUTIVA—> il colpevole ha fatto qualcosa di grave e deve essere

ripagato con la stessa moneta. DETERRENTE—> deve servire a quelli che sono intorno

per capire. RIMETTE A POSTO LE COSE—> riporta equilibrio tra mondo degli uomini e

mondo degli dei. ESEMPLARE—> è un paradigma, un esempio, un modello di

ricomposizione dell’equilibrio nello stato. Dunque “soddisfaceva” tutto questo, e include

anche l’aspetto emotivo di volontà della popolazione di punizione della persona che ha

compiuto qualcosa di orribile. E’ un mezzo di PROPAGANDA POLITICA, con cui il potere

fa sapere che ha le redini della situazione.

Bisogna aspettare la metà del 700 perché qualcuno metta in discussione tutto ciò:

nell’Illuminismo inizia per la prima volta una polemica con il passato—> gli illuministi

detestano la storia, che è un insieme di eventi drammatici, tragici. Gli illuministi sono

cosmopoliti, non considerano nemici gli abitanti di altri paesi, e sono razionalisti. Fanno

quello che serve perché ritenuto utile al benessere del singolo e della società—> il metodo

per affrontare il problema giuridico è quello della razionalità.

Cesare Beccaria, di Milano, si occupa specificamente dei delitti e delle pene; apprezzato

in modo incondizionato all’estero perché ha scritto un volume che riguarda il diritto penale.

Aveva il coraggio di demolire quello che era stato fatto prima. Dice che nel campo del

diritto penale, l’uomo ha sbagliato tutto. Spesso le masse sbagliano, sono pochissimi

coloro che sanno far andare avanti l’umanità, quindi anche se lo hanno fatto tutti è

sbagliato lo stesso.

La sua è una campagna non solo contro la pena di morte ma anche contro la tortura. Ai

sovrani non interessa che una cosa sia umana o no: gli interessa solo che sia efficace.

Infatti Beccaria non dice che la pena di morte è inumana, ma che è INUTILE. Beccaria era

un uomo pratico, aderiva alla corrente filosofica del SENSISMO, che si basava sull’aspetto

corporeo delle cose. Studia la tortura e la pena di morte nel dettaglio, dicendo che questa

è inutile e ingiusta. E’ inutile perché non raggiunge gli obiettivi che si prefigge:

eliminazione dei crimini—> se la pena di morte fosse davvero un deterrente, i crimini non

ci sarebbero più; anzi spesso con l’inasprimento delle pene aumentano i crimini.

Non è neanche retributiva: non colpisce così tanto colui che la subisce perché è un

momento spettacolare, tremendo, ma breve. Colui che ha compiuto qualcosa di grave

dovrebbe riflettere per molto tempo, con la prigionia= privazione della libertà. Il carcere

all’epoca non veniva concepito come una pena, ma come una villeggiatura pagata dallo

stato; infatti era uso che i familiari portassero da mangiare e da bere al carcerato. Beccaria

aveva così pensato alla carcerazione a vita con i lavori forzati.

La carcerazione perenne avrebbe costituito un motivo di orrore e di disgusto, sarebbe

stato un deterrente efficace perché nessuno avrebbe voluto finire così: in vita ma ad

aspettare la morte. Quindi Beccaria non dà un’alternativa leggera alla pena di morte,

l’ergastolo è una pena più pensante—> solo così i politici dell’epoca lo avrebbero

accettato.

Aspetto esemplare: con la pena di morte si otteneva tramite uno spettacolo pubblico.

Questo aspetto non funziona secondo Beccaria perché lo spettacolo della pena di morte

ha due effetti:

1. diverte delle masse che non riflettono ma semplicemente vanno a vedere uno

spettacolo

2. un altro gruppo di persone prova pietà per il condannato, che diventa una vittima dello

stato—> il criminale in quel momento è indifeso, che viene sottoposto a qualcosa di

terribile da parte dello stato più forte di lui

Beccaria parla in modo semplice per rivolgersi ad un pubblico più vasto possibile, anche

alla borghesia sufficientemente istruiti per leggere. Usa il termine “trucidare” per indicare la

pena di morte; non c’è nessun fondamento legislativo per consentirla.

Il motivo per cui siamo cittadini dello stesso stato è dovuto ad un CONSENSO dei cittadini

che decidono di rinunciare ad una parte della propria libertà per avere in cambio sicurezza

e servizi. La parte di libertà che abbiamo lasciato allo stato NON è la sua possibilità di

toglierci la vita, che è il bene supremo—> con la pena di morte di rinuncia al massimo

bene. Il contratto sociale non si basa su questo, non si può rinunciare potenzialmente alla

vita. Se io do allo stato il potere di uccidermi, è come se fosse un SUICIDIO.

Solo le norme religiose prevedono che l’uomo non è libero di uccidersi; all’epoca erano

mescolate alle norme civili. Per un cattolico il suicidio è un peccato imperdonabile.

Dunque la pena di morte non è un diritto dello stato, ma una guerra della nazione con un

cittadino. Unici casi in cui è possibile applicare la pena di morte: se c’è un sovversivo che

anche in carcere può rovesciare lo status quo, e se l’esistenza di questo rivoluzionario può

essere pericolosa per la sopravvivenza dello stato.

Da notare la scelta dei verbi usati da Beccaria: trucidare, distruggere,… molto forti, grande

potenza comunicativa.

La pena di morte è sempre stata applicata, ma gli uomini non sono stati mai distolti dal

compiere delitti. Non conta la gravità della pena in un unico momento a far si che questa

abbia un effetto sui cittadini, ma la sua ESTENSIONE (lunghezza). Necessaria è la

ripetizione. L’idea di Beccaria è tramutare la pena di morte in un ergastolo in cui il

condannato lavori per la società che ha danneggiato.

Noi sappiamo che l’idea della morte nel nostro cervello viene rimossa, non potremmo

vivere se ci pensassimo sempre. Beccaria capisce in anticipo questa cosa, e dice che la

pena di morte non fa troppa paura perché non pensiamo che possa capitare a noi. Al

contrario invece il pensiero di essere rinchiusi.

Il dolore fisico passa velocemente, poi si dimentica, e la stessa cosa avviene con la

visione di spettacoli raccapriccianti.

Il numero giusto dei REATI è il minimo indispensabile perché la società sia tranquilla, il

diritto penale dovrebbe essere il più piccolo possibile. Qualsiasi reato in più comprime la

libertà del cittadino.

Il delinquente può pensare che la morte sia una fine eroica, o la fine dei suoi mali. Se

invece è vanitoso può pensare che durante lo spettacolo della pena di morte tutti lo

ricorderanno. Ma non c’è niente di tutto ciò che possa far si che uno voglia finire la sua vita

in prigione—> non è disumana ma è molto deterrente.

In Beccaria però manca l’ultimo scopo della pena, quello riabilitativo.

La religione è un aiuto per i delinquenti, che pensano di potersi pentire dopo aver

commesso i crimini, e se sono poveri hanno compiuto i crimini per necessità quindi

pensano di avere la vita eterna assicurata.

La pena di morte ci mette di fronte all’atrocità dello stato. Se la pena di morte viene data

tempo dopo la commissione del delitto, nel frattempo la persona si è trasformata e lo stato

si trasforma in carnefice. Tutti guardano il boia con orrore, considerato un assassino, infatti

i figli dei boia si sposavano tra loro perché non li voleva nessuno.

Lo stato che prevede la pena di morte è DISPOTICO, non uno stato di diritto. E’ peggiore

l’omicidio premeditato del condannato piuttosto che un omicidio di impeto che è stato fatto

nella società.

La religione cristiana che insegna a non fare mai nulla di male al prossimo, nei criminali

conduce a ragionamenti diversi e gli permette di giustificare il compimento del delitto.

CESARE BECCARIA

La pena di morte

Invoca il principio della ragione e della verità; ma è completamente ottimista sulla natura

degli uomini come altri illuministi? No, vediamo delle frasi ironiche con cui non tratta troppo

bene le masse perché ritiene che i popoli siano più composti da idioti che da persone che

ragionano in modo critico.

La maggior parte degli uomini secondo lui trovano sospetta la ragione e trovano efficace il

linguaggio della paura; quindi si adeguano a fare quello che l’autorità propone.

Oggi le masse non sono trascinate solo dall’autorità, ma anche dalle emozioni che

possono essere pilotate tramite una opportuna comunicazione—> se è capace di toccare

le corde giuste non ha bisogno del terrore, e riesce a convincere le masse di qualsiasi

cosa.

Ma nell’epoca di Beccaria l’autorità agiva tramite la paura, la quale aveva la meglio sulla

ragione.

Nomina i cittadini romani come grandi nemici della pena di morte; questi se venivano

condannati alla pena di morte venivano condannati alla decapitazione, metodo più veloce

in assoluto. Durante l’epoca classica in realtà quando i cittadini venivano condannati a

morte, si usava fare quello che è stato fatto per Socrate: gli si consentiva di scappare,

quindi erano condannati a morte se rimanevano a Roma ma se scappavano

sopravvivevano. Questo metodo sopravvive anche nella storia, un esempio è Dante, che

se fosse rimasto a Firenze sarebbe stato condannato a morte. L’esilio dunque è una

commutazione della pena di morte, ma non ufficialmente. Nel caso dei romani invece c’era

una procedura ad hoc che indicava di scappare per non essere uccisi; veniva usata nei

secoli d’oro di Roma—> Beccaria prende questo periodo come esempio.

Appartiene a una corrente filosofica chiamata SENSISMO—> approfondisce gli aspetti

legati alla sensibilità degli uomini, al rapporto tra sensi, esperienza e conoscenza. Ciò che

rimane più a lungo nella mente dell’uomo è una cosa lunga e ripetuta. Così la pensa

anche Pascal, quando dice che l’abitudine è una cosa fortissima per l’uomo, rimane anche

quando ci si vuole liberare di essa—> Beccaria lo chiama “l’impero dell’abitudine”—>

non è lo spettacolo della pena di morte a colpire le persone perché avviene una volta sola,

ma ciò che colpisce è l’aspetto deterrente della pena, è lo stimolo continuo di sapere che

quella pe

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
33 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martins444 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fondamenti del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi dell' Insubria o del prof Biavaschi Paola.