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IMMUNITÀ E TUMORI
Le neoplasie maligne crescono gradualmente per un periodo di tempo prolungato. In questo lungo periodo ci sono diversi fattori che intervengono per cercare di contenere la crescita cancerosa, tra cui il sistema immunitario e le reazioni infiammatorie intercorrenti. Di solito, le cellule maligne sono continuamente rimosse dalle cellule infiammatorie poiché i neutrofili e i macrofagi sono in grado di distruggere attivamente le cellule neoplastiche, limitandone la proliferazione.
L'immunità cellulomediata, quindi, è il principale meccanismo antitumorale in vivo. Gli effettori cellulari che mediano la risposta immunitaria non comprendono solamente i neutrofili e i macrofagi, coinvolti nell'infiammazione, ma anche i linfociti T citotossici e le cellule Natural Killer (NK). È, inoltre, possibile che l'organismo ospite inizi a produrre degli anticorpi contro il tumore, ma non si hanno evidenze di un ruolo protettivo di questi.
Anticorpi in condizioni fisiologiche. Linfociti T e NK producono interferone gamma; macrofagi attivati rilasciano dei fattori solubili con attività antitumorale, come il TNFa che provoca necrosi del tumore uccidendo le cellule neoplastiche. Per questo motivo, è possibile affermare che si ha una certa collaborazione tra cellule T, cellule NK e macrofagi nella risposta antitumorale.
Le cellule NK, un gruppo di linfociti immaturi, originano nel periodo prenatale e diminuiscono con l'età. Esse sono capaci di distruggere cellule tumorali senza una precedente sensibilizzazione e possono, quindi, costituire una prima linea di difesa. Dopo l'attivazione tramite IL-2 e IL-5, le cellule NK sono in grado di lisare numerosi tumori.
I linfociti T e NK sembrano fornire meccanismi antitumorali complementari; infatti, i tumori che non esprimono gli antigeni MHC1 non possono essere riconosciuti dalle cellule T, ma possono attivare le cellule NK. Le proteine NKG2D
Le cellule NK e alcune cellule T sono importanti attivatori in grado di riconoscere gli antigeni indotti dallo stress espressi sulle cellule tumorali e sulle cellule danneggiate del DNA, che sono a rischio di trasformazione neoplastica.
I linfociti T citotossici CD8+ svolgono un ruolo protettivo contro le neoplasie virus-correlate e esplicano il loro effetto antitumorale. È stata dimostrata la loro presenza nel sangue e negli infiltrati infiammatori dei pazienti oncologici.
In alcuni casi, i linfociti T citotossici CD8+ non si sviluppano spontaneamente e la loro produzione può essere indotta. Un importante meccanismo di uccisione di questi linfociti è l'interazione tra la proteina Fas e il ligando Fas. Le cellule T con una grande quantità di FasL sulla superficie si legano alla porzione Fas presente sulle cellule bersaglio.
Questa interazione fa iniziare la morte cellulare programmata nella cellulabersaglio. Esistono meccanismi di elusione del sistema immunitario da parte del tumore, tra cui: - la crescita selettiva di varianti tumorali non antigeniche grazie all'eliminazione dei subcloni fortemente immunogeni durante la progressione tumorale; - la perdita o la ridotta espressione di molecole MHC1 che permette alle cellule tumorali di sfuggire all'attacco dei linfociti T citotossici, ma non a quello dei linfociti NK; - l'assenza di cooperazione nella stimolazione. È importante ricordare che la sensibilizzazione delle cellule T richiede due segnali: uno fornito dal peptide estraneo presentato dalle molecole MHC e l'altro proveniente da molecole co-stimolanti. Le cellule tumorali, pur essendo capaci di esprimere antigeni peptidici con molecole MHC di I classe, spesso non esprimono molecole co-stimolanti e ciò non solo previene la sensibilizzazione, ma rendeAnche non responsive le cellule T o, peggio, induce in esse l'apoptosi; l'immunodepressione molti agenti oncogeni possono sopprimere la risposta immunitaria dell'ospite, ma anche gli stessi tumori o i prodotti tumorali, come ad esempio il TGFβ, possono produrre effetti immunodepressivi; il mascheramento dell'antigene gli antigeni esposti sulla superficie delle cellule tumorali possono essere nascosti o mascherati all'azione del sistema immunitario da molecole del glicocalice, come i mucopolisaccaridi contenenti acido sialico; l'apoptosi dei linfociti T citotossici, indotta, ad esempio, da alcuni melanomi ed epatocarcinomi che esprimono il ligando di Fas e che uccidono i linfociti T esprimenti Fas nel momento in cui entrano in contatto con essi, eliminando così le cellule T tumore-specifiche.
FISIOPATOLOGIA DELLO STRESS
Lo stress è un concetto introdotto in biologia negli anni Venti dal fisiologo americano Walter Cannon.
Esso può essere definito come una tensione fisica, psichica e nervosa che si manifesta nell'organismo, in forme più o meno gravi, come risposta patologica agli stimoli negativi dell'ambiente. Lo stress è strettamente correlato all'omeostasi, ossia l'insieme di parametri biochimici e fisiologici che possono variare entro specifici limiti o range e la cui alterazione, indotta da stimoli stressanti di varia natura, può determinare l'attivazione del sistema simpato-adrenomidollare. Cannon, sin dai primi anni del Novecento, dimostrò che, in qualsiasi condizione di emergenza o stress dell'organismo, si ha una liberazione di adrenalina da parte del surrene. Questa secrezione è data dal passaggio di impulsi nervosi attraverso il talamo, che poi divergono per raggiungere la corteccia cerebrale, l'ipotalamo e altre aree del talamo stesso. Nel 1936 Hans Selye, un fisiologo ungherese, definì lo stress, invece, comeL'insieme delle modificazioni aspecifiche che compaiono in un organismo esposto all'azione di un agente stressante, indipendentemente dalla natura di esso. Egli, inoltre, introdusse il concetto di risposta allo stress come "Sindrome Generale d'Adattamento", in cui distinse tre diverse fasi:
- Reazione d'allarme: momento che segue nell'immediato la percezione dello stress e che attiva l'asse ipotalamo-→ipofisi-surrene. La reazione d'allarme è la fase di riconoscimento dell'agente stressogeno che ripropone i concetti di stress acuto e risposta lotta-fuggi, ossia quel momento in cui l'organismo risponde allo stressor attuando meccanismi primari di adattamento. L'ipotalamo è l'area encefalica principalmente coinvolta. In questa prima fase, il sistema nervoso autonomo attiva le ghiandole surrenali, stimolando la midollare alla produzione di noradrenalina e adrenalina.
Opatologie autoimmuni. 3. Fase di esaurimento: l'organismo è cronicamente stressato ed è continuamente sottoposto ad un rilascio ininterrotto di cortisolo da parte del surrene. Lo stadio di esaurimento rappresenta il fallimento dei tentativi attuati per il ripristino dell'omeostasi. L'organismo perde la capacità di adattarsi agli stressors, mettendo in atto una risposta inadeguata che porta allo sviluppo di malattie psicofisiche difficilmente reversibili, e in casi estremi, alla morte. Da ciò è possibile delineare due situazioni: la prima vede l'organismo rapportarsi ad uno stress acuto, al quale è possibile far fronte con una breve fase di resistenza a cui segue il ritorno, nel più breve tempo possibile, alla normalità, cioè all'omeostasi; la seconda vede l'organismo mantenere la condizione di stress e avere difficoltà di risanamento, portando il soggetto ad una situazione di distress.
cronico. Normalmente l'organismo riesce a far fronte alle mutevoli condizioni ambientali, ma quando il fattore perturbante altera l'equilibrio dinamico per diverso tempo vengono attivati sistemi di allerta e, quindi, entra in gioco il meccanismo dello stress.
Si possono distinguere due forme di stress: l'eustress, l'organismo risponde positivamente allo stress in quanto si ha una corretta interazione tra le noxae stressogene e il soggetto, ed il distress, l'organismo non riesce più a far fronte allo stimolo stressogeno e la risposta dell'organismo è negativa.
Il controllo nervoso della risposta allo stress vede implicate strutture del SNC che coordinano risposte ormonali e comportamentali, le più rilevanti sono il locus cereleus costituito da un nucleo di neuroni adrenergici che sono molto importanti per il mantenimento dello stato di attenzione e per la risposta a nuovi stimoli. L'ipotalamo produce fattori di rilascio.
della corticotropina CHR provocando, entro 15 secondi, la liberazione di ACTH; questo arriva, tramite il circolo sistemico, alla corticale del surrene, stimolando la liberazione di corticosteroidi che, a loro volta, hanno un'azione a feedback negativo sull'ipotalamo. La prima