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SCIOGLIMENTO DEL TAPPO DI FIBRINA
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Il processo di emostasi è però strettamente controllato dell’endotelio vascolare che
garantisce, in condizioni fisiologiche, un equilibrio tra i fattori pro-trombotici e quelli anti-
trombotici prodotti dalla stessa cellula endoteliale.
ATTIVITA’ ANTI-TROMBOTICHE: :
1) Inibizione della aggregazione piastrinica L’idrofobia della superficie dell’endotelio
previene la deposizione e l’adesione spontanea delle piastrine. L’endotelio rilascia un
particolare prodotto di elaborazione dell’acido arachidonico, cioè la prostaglandina-
I (PGI ), detta prostaciclina, che è un potente antagonista della aggregazione piastrinica
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ed ha una forte attività di vasodilatazione. Inoltre esso rilascia NO (ossido nitrico), con
attività di vasodilatazione ed antagonista della aggregazione piastrinica. Sulla superficie
luminale della cellula endoteliale è presente l’enzima ecto-ADPasi, il quale idrolizza l’ADP
rilasciato dalle piastrine durante la cosiddetta “release reaction”, impedendo a tale
agonista di innescare le vie di trasduzione del segnale necessarie per la aggregazione
piastrinica.
2) Inibizione della coagulazione sanguigna: Sulla superficie endoteliale è espressa
la trombomodulina, recettore della trombina: quando la trombina si lega a tale recettore,
essa modifica la sua affinità di substrato ed attiva la proteina C (quest’ultima è un
indicatore fondamentale nello screening trombofilico in quanto la sua carenza
depone per la formazione di trombi), innescando la via della anti-coagulazione. Inoltre,
la superficie endoluminale dell’endotelio esprime grandi quantità di un proteoglicano,
l’eparan-solfato, che agisce sull’antitrombina 3 (AT-III) contribuendo ad impedire la
coagulazione.
3) Promozione della fibrinolisi: produzione dell’attivatore del plasminogeno (tPA)
nonchè anche attivatore del plasminogeno di tipo urochinasico (uPA).
Per quanto riguarda le molecole coinvolte nell’attività pro-trombotica, possiamo rifarci ad
uno schema che riassume, nei tratti principali, l’intera funzione di questo meccanismo
omoeostatico che definiremo BILANCIA EMOSTATICA ENDOTELIALE.
Dalla figura emerge chiaramente come, in condizioni
fisiologiche, l’equilibrio sia spostato verso l’attività anti-
trombotica impedendo così la comparsa di formazioni
trombotiche. Ovviamente quando si verificherà una
lesione, l’equilibrio si sposterà verso l’attività pro-
trombotica. Esistono, però, condizioni come patologie
genetiche o fattori di rischio quali il fumo, l’alcol o una
dieta non sana, che agendo per lungo tempo provocano
un danno endoteliale permettendo così la formazione
progressiva del tappo trombotico. Dunque un paziente
giovane, pur non avendo necessariamente fattori di rischio ma nel quale si sospetta una
certa predisposizione all’infarto e all’ictus cerebrale o nel quale uno dei due eventi è
avvenuto, deve essere sempre sottoposto ad uno screening trombofilico perché vi
possono essere alterazioni di proteine dovute a cause genetiche. Cos’è allora la
trombofilia e a cosa serve lo screening trombofilico? La Trombofilia è una condizione
clinica in cui un paziente dimostra (per cause congenite o acquisite), una
predisposizione ai fenomeni tromboembolici sia del versante arterioso che venoso.
Compito dello screening trombofilico è quello di dosare quantitativamente e
funzionalmente i vari fattori trombofilici.
FATTORI DI RISCHIO EREDITARI:
Carenza di AT III: normalmente l’AT III svolge il 75% dell’attività anti-trombotica
- agendo soprattutto sulla trombina e sui fattori della coagulazione X, XII, XI e IX.
Mutazione Leiden del Fattore V: la mutazione determina l’incapacità di tale fattore
- di essere inattivato per cui permetterà la coagulazione.
Anticorpi antifosfolipidi: competono con i fattori di coagulazione per il legame con
- i fosfolipidi per cui il sistema della coagulazione verrà alterato favorendo il processo
trombotico. Essi, infatti, inibisco i meccanismi anti coagulati dipendenti dalla
proteina c; inibiscono la fibrinolisi; tendono a danneggiare l’endotelio (anticorpi
anti-endotelio che tipicamente si formano nelle malattie autoimmuni).
Carenza proteina C
- Carenza proteina S
- Disfibrinogenemia
- Iperomocisteinemia
- Il fattore di rischio più importante è sicuramente l’omocisteina. L’omocisteina è un
aminoacido derivato dalla metionina e richiede per la sua metabolizzazione in
cisteina non solo la presenza delle vitamine B6 e B12, ma anche l’attività
enzimatica svolta da un apposito enzima derivante dalla trascrizione del gene
MTHFR (metilentetraidrofolatoreduttasi). Questo significa che in un paziente a
rischio trombosi andremo a effettuare uno screening per valutare
l’etero/omozigosi del gene MTHFR la cui mutazione non permetterà il normale
svolgimento della cascata enzimatica che trasforma l’omocisteina in cisteina, per
cui il livelli di omocisteina aumenteranno. In realtà accanto queste rarissima
a
forma, si riscontra, molto più frequentemente, un polimorfismo genetico detta
variante C677T che può determinare un innalzamento dei livelli di omocisteina nel
sangue .In questi casi (cioè nei portatori della variante genetica in cui risultano
effettivamente aumentati i livelli di omocisteina) non si ha tuttavia la certezza che si
sta per verificare un evento trombotico, ma si ha un'indicazione che è aumentato il
rischio di sviluppare un evento trombotico, il quale si manifesta più frequentemente
se sono presenti contemporaneamente altri fattori di rischio, che possono essere
endogeni (ad esempio deficit di altri fattori anticoagulanti, come l'antitrombina III, la
proteina C, la proteina S, ecc) o esterni (chirurgia, uso di contraccettivi orali,
gravidanza). A questo punto il Prof racconta che quando lavorava in America, si
recarono da lui due giovani donne che, in seguito ad una emorragia uterina, hanno
fatto una cura a base di acido tranexamico (favorisce la coagulazione). Queste
due donne, inaspettatamente, ebbero un ictus cerebrale pur non essendo ipertese,
fumatrici, obese o diabetiche; effettuando successivamente uno screening