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DISCUSSIONI INTERNE ALLE SCUOLE BUDDHISTE SULL'ESISTENZA DELL'OGGETTO ESTERNO
Esistono tre nuove scuole buddhiste: scuole Vaibhāṣika (corrente filosofica del gruppo dei Sarvāstivādin), la scuola Sautrāntika e la scuola Yogācāra. Per questi tre gruppi ci interesseremo solo per quanto riguarda la domanda "esistono i dharma (elementi ultimi dell'analisi della realtà e dell'oggetto esterno composto da questi dharma)?" e toccheremo il tema dell'istantaneismo.
QUESTIONE 1 ESISTENZA DEI DHARMA E DELL'OGGETTO ESTERNO → ne abbiamo parlato nella condizione dell'abhidharma:
CONDIZIONE DELL'ABHIDHARMA → gli interi non esistono, sono costruzioni mentali, esistono solo i dharma. Questa è la posizione della gran parte delle scuole dell'abhidharma, tra queste scuole c'è quella dei Sarvāstivādin. LE SCUOLE.
I Sarvāstivādin sono coloro che sostengono che "sarva" tutto "asti" è.
ovvero l'oggetto esterno composto dai dharma (oggetti della percezione) esiste esternamente nella forma dei dharma che lo compongono e non nella forma dell'intero, esiste come insieme di dharma esistenti (posizione realista). A questa posizione si oppone un'altra scuola generata all'interno del gruppo dei Sarvāstivādin che è quella dei Sautrāntika (sautra → dei sutra) che invece di riferirsi all'abhidharma, si riferiscono al canestro dei sutra (nel canone buddhista ci sono tre canestri: la disciplina monastica, l'abhidharma, ma il primo era quello dei discorsi del Buddha/sutra del Buddha). I Sautrāntika riprendono la prima parte e ricavano il nome dall'intenzione di riferirsi ai sutra; per questo ordine l'oggetto esterno composto di dharma non è raggiungibile direttamente dalla percezione; la nostra percezione non riguarda direttamente l'oggetto, ma piuttosto l'immagine mentale che l'oggetto deposita nella.Mia mente (immagine istantanea). L'analisi di tutti questi gruppi presuppone la dottrina dell'istantaneismo (→ tutto ciò che esiste, quindi idharma, esiste per un solo istante ed esiste nella misura in cui è capace di generare i dharmadell'istante successivo → c'è quindi una dottrina della realtà come successione infinita di istanti discreti). La nostra percezione della continuità è una percezione aggiuntiva, la continuità è data dalla successione degli istanti. Tutto ciò che esiste per tutte queste scuole, esiste solo per un'istante ed esiste per un'istante in quanto causa l'esistenza di ciò che esisterà nell'istante successivo. L'esistenza coincide, secondo alcuni, con la capacità di essere causa di qualcos'altro. Proprio il fatto di essere istantaneo, quindi transitorio e non eterno rende possibile ai dharma di essere causa di
qualcos'altro; esiste solo ciò cheè transitorio.
RIASSUNTO → i dharma esistono nell’istante, dunque sono transitori, ma come faccio a chiamare questa loro condizione “esistenza”? Perché io definisco l’esistenza come la capacità di causare qualcos'altro (vedi anche, il Vaiśeṣika confuta la preesistenza dell’effetto nella causa, tutta la distinzione tra reale e irreale che si basa su altri criteri piuttosto che la capacità di causare).
Tutte queste scuole buddhiste concordano sul fatto che l’esistenza può essere definita come la capacità di essere causa; che cosa può essere causa? Non un’entità eterna, ma solo ciò che è transitorio può essere causa, quindi i dharma sono l’unica cosa esistente in quanto, esistendo istantaneamente, possono essere causa di qualcos’altro.
Il Nyåya, per esempio, crede in un Dio creatore che è dunque eterno.
I buddhisti qui hanno un giocofacile dato che secondo la loro definizione una causa non può essere eterna, dato che se un'entità è causa deve essere per forza transitoria.
QUESTIONE 2: COME SI PUÒ PENSARE ALL'ISTANTANEISMO.
Abbiamo visto che i Vaibhāṣika sostengono che i dharma che compongono l'oggetto esterno esistono per un istante e che l'oggetto esterno - in quanto composto da dharma - esiste esternamente. Noi possiamo affermare che i dharma che compongono l'oggetto esistono.
I Sautrāntika dicono che noi non percepiamo direttamente i dharma che compongono un oggetto, ma percepiamo le immagini mentale che questi dharma depositano nella nostra mente. Di fatto, noi non percepiamo l'oggetto esterno, ma lo stiamo solo inferendo.
Queste due posizioni sono state argomentate da un filosofo e autore buddhista Vasubandhu, il quale evidentemente prima apparteneva al gruppo dei Vaibhāṣika, ed egli compare alla radice di
moltedottrine buddhiste.Nella sua opera intitolata “Abhidharmakośa” (ricettacolo dell’abhidharma) lui fa seguire un commentoche sembra quasi confutare l’opera stessa su questo punto (descritto sopra) e passare dallaposizione Vaibhāṣika alla posizione Sautrāntika, quindi dalla percezione diretta dell’oggetto alla suainferibilità.Ad un autore di nome Vasubandhu si attribuisce addirittura la terza posizione, ovvero quella deiYogācāra (chiamati, in maniera erronea, idealisti buddhisti); non si sa se questo Vasubandhu a cuiviene attribuita questa terza posizione sia lo stesso Vasubandhu filosofo.La terza posizione dei Yogācāra dice che non c’è alcun mezzo di conoscenza che permetta distabilire l’esistenza dell’oggetto percepito. Loro sostengono che non c’è la possibilità di conoscenzaperché noi abbiamo solo la rappresentazione mentale e non c’è possibilità di uscire da
essa.L'immagine mentale è l'unica cosa che abbiamo. A quel punto, non essendoci possibilità di uscire dalla rappresentazione mentale, si viene a stabilire l'impossibilità di accedere all'oggetto esterno, dunque si ipotizza che esso sia costituito dalla rappresentazione mentale, quindi che l'oggetto esterno possa non-esistere indipendentemente dalla rappresentazione mentale (motivo per il quale questa scuola viene chiamata "scuola dell'idealismo buddhista"). Noi non dobbiamo attenerci al meccanismo: esiste l'oggetto esterno, l'oggetto esterno produce un'immagine mentale e questa immagine mentale è quello che abbiamo e dobbiamo lavorare perché è problematica, interviene il linguaggio etc. Noi dobbiamo ipotizzare che non possiamo prendere l'oggetto esterno come punto di partenza. Noi abbiamo solo l'immagine mentale. Se questa ipotesi deve essere pensata fino in fondo, allora
Come facciamo tutti noi individui ad avere immagini mentali che corrispondono a quello che chiamiamo "oggetto esterno"? Questo avviene perché l'immagine mentale è il prodotto di uno strato di coscienza collettivo (dottrina degli otto strati di coscienza, l'ultimo dei quali è lo strato della coscienza deposito che produce gli oggetti in modo che siano condivisi collettivamente). In realtà, questa coscienza deposito porta a maturazione i semi causali di stati di coscienza che provengono dalle vite passate che giustificano la nostra condivisione di una realtà apparente che è quella degli oggetti esterni che non esistono come tali, ma esistono solo come formazioni dovute a questa coscienza sovraindividuale.
IN BREVE.
Per i Vaibhāṣika c'è la percezione diretta.
Per i Sautrāntika c'è l'inferenza.
Per i Yogācāra non c'è la possibilità di conoscere.
ŚAṄKARA E l'ADVAITA
VEDANTA. Noi parleremo del cosiddetto "kevala" (assoluto isolato) advaita vedanta, ovvero la scuola del non-dualismo assoluto di Śaṅkara, un pensatore brahmanico che crediamo sia vissuto tra il VII e VIII secolo, ma non si è sicuri delle date su Śaṅkara. Egli ha dato una sistemazione estrema alle dottrine che provenivano da una parte dalle Upanisad e dall'altra da un sutra (testo radice) che viene chiamato Vedanta Sutra o Brahma Sutra, attribuito ad un certo Bādarāyaṇa. Come quasi tutte le scuole del Vedanta, oltre alle Upanisad e a questo sutra, Śaṅkara prende come testo chiave la Bhagavadgita (ne abbiamo parlato dell'interpretazione Śaṅkariana della Bh.Gita, egli sostiene che l'insegnamento vero sia lo yoga della conoscenza e le altre due forme di yoga presentate sarebbero solo delle forme subordinate e riconducibili al primo yoga). Śaṅkara era un pensatore estremista, pur essendo dotato di una capacità argomentativa straordinaria.di una lucidità senza pari, a volte era estremamente arbitrario. La posizione estremista di Śaṅkara è quella che dice: esiste solo il brahman, per questo il "kevalavedanta"/il non-dualismo assoluto. Esiste solo il brahman che - secondo le Upanisad - è identico all'ātman. La frase "esiste solo il brahman" può essere tradotta con "esiste solo l'ātman-brahman ed è quindi non sostanza, ma pura coscienza". La posizione che corrisponde alla denominazione del sistema di Śaṅkara (non-dualismo assoluto) è "esiste solo l'assoluto che è la pura coscienza che è l'ātman-brahman". Quest'affermazione primaria che regge tutto il sistema e ne è punto di partenza, corrisponde anche ad una descrizione in termini precisi di questo ātman-brahman. L'ātman-brahman, quindi la pura coscienza, esiste ma è anche beatitudine, il godimento assoluto. Śaṅkarasistematizza una triplice descrizione: l'ātman-brahman è sat (esistente), cit (coscienza) e anche anan (beatitudine) → satcitananda → sorta di triplice descrizione dell'assoluto. Śaṅkara parte dall'ātman-brahman e si deve porre la domanda: se esiste soltanto un brahman e quella è la sua descrizione, come mai la nostra esperienza ci consegna altro? Ci consegna i fenomeni, ci consegna gli oggetti dell'esperienza che noi crediamo esistenti, ci consegna il nostro corpo, i nostri movimenti psichici e qualcosa di ben diverso dall'ananda (godimento estremo), ci consegna il dolore. Come mai tutto questo avviene? La risposta è che noi siamo pervasi da un ignoranza metafisica sul piano soggettivo (soggettivamente siamo preda di questa ignoranza radicale) che sul piano oggettivo corrisponde ad una produttrice (la maya) che è causa del mondo fenomenico così come ci appare. Ignoranza e maya sono i due aspetti soggettivo edoggettivo dello stesso fenomeno, ovvero quello del prodursi, dell'io da una parte e del mondo dall'altra. Un filtro che si aggiunge all'ātman-brahman