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Quella del mercato.
L’homo oeconomicus fa la sua comparsa nel mondo con un fagotto di merci e
una serie di gusti o preferenze, e si avvia al mercato per scambiare le sue
merci con quelle degli altri agenti simili in modo da trarne entrambi un
vantaggio reciproco. Il locus classicus di questa teoria è il primo libro della
“Ricchezza delle nazioni” di Adam Smith. Questo libro si apre con una
discussione sugli enormi vantaggi che si possono avere da una sempre
maggiore concentrazione e dedizione del lavoratore a un unico compito. E
soprattutto gli enormi vantaggi che si possono ottenere attraverso la divisione
del lavoro, permettono a tutti di avere una quantità maggiore di quello che
desiderano. La teoria dei mercati più formale presume un mercato
perfettamente competitivo, vale a dire un mercato nel quale un gran numero di
compratori e venditori scambia una merce perfettamente omogenea ed è in
possesso di informazioni complete. Questa teoria la troviamo già in Smith.
L’idea è semplicemente che qualsiasi prezzo al quale una quantità maggiore o
minore di quella offerta verrà richiesta creerà una situazione competitiva o tra i
compratori o tra i venditori, i quali sposteranno il prezzo verso un nuovo punto
di equilibrio. Se è il prezzo è troppo alto per smaltire le scorte, la concorrenza
tra i venditori che vogliono vendere lo farà scendere; se il prezzo è troppo
basso, la concorrenza tra i compratori che non riescono a soddisfare i propri
desideri lo farà salire. Ma sebbene esistano mercati importanti che si
avvicinano alle condizioni previste da questa teoria, molti non vi si avvicinano
affatto. Quello che Duprè intende sottolineare è che i mercati sono
estremamente diversificati tra loro: le varie caratteristiche che li differenziano
portano a comportamenti molto diversi e tutte queste imperfezioni possono
produrre comportamenti imprevedibili e disordinati. Quindi, in conclusione,
cercare di applicare il concetto di mercato a certi aspetti del comportamento
umano che sono molto lontani dal concetto di scambio tra merci e denaro
provoca confusione. E molti dei progetti che provano a spiegare il
comportamento umano attraverso le teorie economiche spesso provocano
grande confusione.
Un esempio da proporre è quello del fenomeno che sicuramente è fonte di
grande imbarazzo per i socio biologi: il calo delle nascite che si è verificato
negli ultimi decenni nei paesi più ricchi del mondo. L’economia potrebbe
rivelarsi adatta a studiare questo fenomeno. Il locus classicus di questo
tentativo è rappresentato dal “Treatise on the family” di Gary Becker. Becker
parte da una descrizione del mercato matrimoniale in cui gli uomini e le donne
cercano di trovare partner con i quali possono costruire una famiglia secondo i
principi di massima utilità. Dopo che queste associazioni si sono formate, i loro
membri devono decidere come utilizzare le loro risorse per ottenere il massimo
utile possibile. Una delle cose che maggiormente tendono a produrre e a
consumare sono i figli. Becker poi introduce la distinzione tra due possibili tipi
di utilità per una famiglia: una basata sulla quantità, l’altra sulla qualità dei
figli, cioè se le famiglie preferiscono avere più figli ma meno di meno qualità,
oppure un figlio solo di alta qualità. Sono state proposte diverse spiegazioni
relativi ai cambiamenti di preferenza avvenuti con lo sviluppo economico.
Mentre l’agricoltura di sussistenza richiedeva un gran numero di figli da usare
come manodopera a basso costo, le economie sviluppate offrono una gamma
di opportunità economiche che fanno aumentare la convenienza di investire
nella produzione di figli di qualità.
I problemi dell’imperialismo economico l’economia concepisce il
comportamento umano come un esercizio di scelta “razionale”. Presuppone
che, prima di prendere una decisione, una persona calcoli quale azione possa
comportare maggiori benefici rispetto ai costi. Se è vero che le persone sono
motivate da qualche preoccupazione per il benessere altrui, o dal desiderio di
comportarsi com’è consuetudine fare nel loro gruppo sociale, o secondo il loro
concetto di moralità, di dovere e così via, un comportamento che soddisfi
questi criteri sarà semplicemente visto come utile dall’agente. In questo caso,
“l’utilità” non va necessariamente vista come qualcosa di misurabile, ma
soltanto come un artificio per descrivere una serie coerente di preferenze.
La visione economicistica del comportamento umano è scientistica nel senso
che è di particolare rilevanza e particolarmente dannosa per lo studio del
comportamento umano. È scientistica in quanto concepisce se stessa come
una riflessione oggettiva e disinteressata sul comportamento umano.
Quest’ultimo non è però costituito da una serie immutabile di fenomeni in
attesa di una corretta analisi scientifica, ma è soggetto a continua evoluzione
storica.
L’ultima obiezione di Duprè alla sostanza dell’economicismo riguarda gli aspetti
più puramente metodologici dello scientismo. Sebbene la teoria della scelta
razionale non sia micro riduttiva nello stesso senso in cui lo è la psicologia
evoluzionistica, rientra sicuramente in un più ampio programma riduzionista,
come dimostra il suo impegno a fornire spiegazioni di fenomeni economici a
livello sociale facendo appello a comportamenti individuali. È comunque
riduttiva nel senso più ampio che ci interessa ai fini di questo libro, e in
particolare a causa della sua dedizione alla mono causalità: cerca di
interpretare aree del comportamento sempre più vaste esclusivamente in
termini di massima soddisfazione dei desideri alla luce delle convinzioni. Quello
di cui non si tiene realmente conto è il fatto che le azioni umane sono guidate
da principi sui quali non sempre hanno il sopravvento le minute considerazioni
di utilità personale. Alcuni esempi di questi principi sono gli ideali morali e
politici, le regola di buone maniere e di buon gusto (…).
I temi centrali della metodologia scientisticaduprè ora si occupa degli
imperativi metodologici dell’economia. Gli approcci economici seri alle
questioni comportamentali non si limitano a suggerire in che modo i fattori
economici possano influire sulle questioni umane ma sentono la responsabilità
professionale di presentare questi suggerimenti in forma semi-matematica
(vedi pag 146 a 149).
Economia semplicistica vs pluralismo sofisticato: il caso del lavoro spesso si
tende a prendere troppo sul serio e alla lettera i modelli astratti che vengono
proposti dalla scienza in generale. Ecco un esempio che costituisce uno dei
temi centrali della teoria economica: lo studio dei fenomeni legati al lavoro e le
teoria che ne derivano. Il lavoro compare sotto varie forme nelle teorie
economiche, ma nella storia dell’economia viene sempre più considerato come
un fattore produttivo acquistabile sul mercato. Esiste quindi un mercato del
lavoro molto simile a quello delle materie prime nel quale i produttori cercano
di sfruttare in modo più efficiente e quindi più redditizio le risorse disponibili.
Un’antica tradizione considera il lavoro come “pena e disturbo” (Smith). Ma per
Smith questa pena e disturbo erano anche la fonte di ogni valore. L’opposto del
lavoro per Smith è la “comodità” anche se osserva che “è interesse di ognuno
vivere il più comodamente possibile”. Qui abbiamo quindi due dei significati del
lavoro: Da una parte è una fonte di disagio, una cosa da evitare;
- Dall’altra è una fonte di valore, ciò che trasforma quando la natura
- produce in quello che gli uomini desiderano o di cui hanno bisogno.
Il secondo di questi significati, che dà origine alla cosiddetta “teoria del
valore-lavoro” è soprattutto associato a Marx: il lavoro offre la possibilità di
soddisfare i bisogni e i desideri umani. C’è un’altra importante concezione del
lavoro che troviamo in Marx, e che contraddice l’idea smithiana di pena e
disturbo e quella del lavoro come qualcosa che svilisca. È l’idea che il lavoro sia
uno strumento di autorealizzazione. Marx ritiene che sia soltanto l’alienazione
a trasformare il lavoro in qualcosa da evitare. Un altro pensatore che sottolineò
il ruolo del lavoro come strumento di autorealizzazione è Stuart Mill.
La scelta di una professione, poi, è influenzata in misura maggiore o minore dai
benefici economici che ci si aspetta di ottenere. Smith dedica un capitolo della
sua “Ricchezza delle nazioni” ai numerosi e diversi motivi della grande
disparità di retribuzione tra le varie occupazioni. Smith ipotizza che queste
differenze possano essere spiegate partendo dal presupposto che riflettono le
scelte razionali degli individui. A questo scopo individua cinque cause di
disparità:
In primo luogo, le occupazioni non sono tutte altrettanto piacevoli;
1. La seconda considerazione riguarda la facilità o difficoltà di imparare un
2. mestiere e le spese che comporta;
Il terzo fattore è la regolarità o irregolarità dell’impiego;
3. Il quarto è il grado di fiducia che deve essere riposta nel lavoratore;
4. Il quinto sono le probabilità di successo, il cui il basso livello spiega le alte
5. parcelle richieste dagli avvocati.
Il fattore più importante è il 1°: perché se come dicevano Marx e Mill, il lavoro è
uno strumento fondamentalmente di autorealizzazione, allora il lavoro deve
piacere a colui che lo svolge.
Ecco però alcuni problemi legati al lavoro che sono totalmente indipendenti dai
processi di scelta individuale:
La concezione del lavoro come mezzo per dare un significato o uno
• scopo alla vita umana.
L’influenza dei processi socio-culturali nel conferire uno status diverso
• a differenti tipi di lavoro, stabilendo quindi che certe occupazioni
attribuiscono un maggior significato alla vita di altre.
I processi che determinano la diversa retribuzione delle varie
• occupazioni.
Il fatto che le persone acquisiscono il diritto a svolgere lavori che
• comportano un maggior o un minor status sociale in buona parte,
anche se non esclusivamente, per motivi ereditari.
Senza dubbio esistono molti altri problemi del genere. Si tratta di problemi
storici, sociologici o antropologici, e soltanto una combinazione tra queste varie
prospettive può cercare di rendere giustizia ai fenomeni.
Economia positiva e normativa L'economi