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Quali tipi di mente esistono? = domanda che riguarda ciò che esiste, quindi ontologica; Come
possiamo saperlo (che esistono le menti)? = domanda che riguarda la nostra conoscenza, e
quindi epistemologica. E' necessario rispondere a tali domande insieme. I filosofi ci dicono
che non bisogna confondere i problemi ontologici con quelli epistemologici, perché ciò che
esiste è una cosa, ciò che possiamo sapere su di esso è un'altra. Potrebbero esistere cose
assolutamente inconoscibili per noi. Noi sappiamo di avere una mente, come sappiamo di
avere un cervello, ma si tratta di due tipi di conoscenza diversi. Sappiamo di avere un cervello
nello stesso modo in cui sappiamo di avere la milza: per sentito dire. Non abbiamo mai visto
la nostra milza o il nostro cervello, eppure dato che studiando sappiamo che tutti gli esseri
umani ne hanno uno, di conseguenza anche noi lo abbiamo. La conoscenza della nostra
mente invece è molto più intima, noi stessi siamo la nostra mente (Cartesio= cosa pensante-
res cogitans). Il fatto stesso di domandarsi se abbiamo una mente, come disse lo stesso
Cartesio, indica che noi abbiamo davvero una mente.
L'appartenenza alla classe di "oggetti/esseri dotati di mente" fornisce un'importantissima
garanzia: la garanzia di una certa rilevanza morale. Solo gli esseri dotati di mente possono
avere a cuore qualcosa. Gli esseri dotati di mente hanno degli interessi, che contano
qualcosa. Ecco perché la gente è moralmente preoccupata di stabilire quali esseri abbiano
una mente: ogni correzione del confine di questa classe di appartenenza ha infatti un
importante significato etico. Potremmo commettere degli errori attribuendo una mente a
oggetti che ne sono privi, oppure ignorando un essere dotato di mente in mezzo a noi.
Entrambi gli errori potrebbero avere conseguenze morali. Su questa incertezza il dibattito
sull'aborto è imperniato: alcuni ritengono che un feto di 10 settimane abbia una mente, altri
pensano che sia ovvio il contrario.
Ma se il feto avesse già una mente, quale che sia la nostra decisione, dovremmo tener conto
dei suoi interessi, insieme a quelli del suo ospite temporaneo. L'importanza di avere o non
avere una mente ai fini della valutazione morale è particolarmente chiara in questi casi,
perché se si sapesse che il feto in questione è anencefalico per la maggior parte delle
persone ciò cambierebbe drasticamente i termini del problema.
Ma noi esseri umani cosa facciamo? Risolviamo la questione del possesso della mente
credendoci reciprocamente sulla parola. Noi esseri umani condividiamo una realtà soggettiva
in un modo che è completamente fuori dalla portata di qualunque altra creatura del pianeta, e
questo perché possiamo parlarci l’un l’altro. Gli esseri umani che non hanno ancora un
linguaggio con il quale comunicare sono l’eccezione, ed è proprio questo il motivo per cui è
difficile immaginare l’esperienza di un neonato o di
così un sordomuto. La conversazione ci
unisce. Non importa quanto siano diverse le persone: noi possiamo esplorare le nostre
differenze e comunicare su di esse. Noi sappiamo tutto dell’uomo sin dai tempi antichi,
perché l’uomo si è sempre dilungato a parlarne. Ma non siamo a conoscenza di nulla di simile
sulla vita mentale di altre specie, perché non possiamo parlare di questi argomenti con altri
esseri.
Il problema delle menti che non comunicano: è difficilissimo dire a cosa stia pensando una
persona che si rifiuta di discuterne. Tuttavia anche se non comunicano facilmente essi hanno
una mente. La parola quindi non è un requisito necessario per il possesso di una mente.
Alcune menti però sono inconoscibili, impenetrabili, sono una terra incognita, ed è necessario
che impariamo ad accettare questo fatto straordinario riguardante ciò che è inaccessibile
all’indagine. Ecco, dunque, due ordini di cose ipoteticamente inconoscibili: quelle che
riguardano ciò che accade in chi è dotato di mente ma non ha modo di comunicare i propri
pensieri (neonati, sordomuti), e quelle che servono a distinguere quali creature abbiano una
mente e quali no. Ovviamente siamo in grado di sapere che alcune creature hanno una
mente e altre no. Quel che non conosciamo ancora è come arriviamo a saperlo.
l’approccio dei sistemi intenzionali
2.Intenzionalità:
Nel secondo capitolo, Intenzionalità: l’approccio dei sistemi intenzionali, il filosofo analizza il
problema dell’intenzionalità che, come ci ricorda egli stesso, non va confuso con il concetto
semantico di intenzionalità. Dennett scompone il concetto di intenzionalità fino a raggiungere
il cuore di quello che, non solo secondo lui, è uno dei tratti fondamentali del pensiero: la
di riferirsi a qualcosa di esterno, di esistente nel mondo. L’essere intenzionale di un
capacità
pensiero è la sua capacità di rimandare a qualcosa di esterno alla mente. In questo senso,
quasi tutti i pensieri hanno questa caratteristica. Attraverso questo attributo, il pensiero può
essere indirizzato verso la comprensione di ciò che accade nel mondo, non solo di fatti
naturali, ma anche dei più complessi comportamenti organici, animali e umani. Dennett parla
di vari sistemi di spiegazione a nostra disposizione e, in particolare, del nostro modo di
concepire i comportamenti complessi: il problema è la previsione di tutto ciò che accade che,
a seconda del fatto, richiede una maggiore o minore informazione integrata per essere
alla spiegazione di carattere fisico, mostrando che l’ipotesi
spiegato. Si potrebbe ridurre tutto
materialista è, in astratto, valida: è possibile scomporre ogni problema in modo tale che
ciascuna previsione sia esclusivamente trattata dalla scienza fisica. Tuttavia, i sistemi
utilizzati dalla nostra mente per avere delle attendibili previsioni del comportamento di entità
complesse divergono da quei sistemi, troppo costosi, che riducono ogni fenomeno a fatti
puramente materiali. E’ possibile, in linea di principio, prevedere il comportamento di un cane
o di un personaggio nella scena di un teatro a partire dalla conoscenza di tutte le particelle
che li compongono, dalla loro posizione, velocità e interazione reciproca, tuttavia, tale
procedimento non è possibile in via di fatto e non è sempre disponibile. La mente umana,
vecchia di milioni di anni, ha elaborato dei sistemi alternativi, ma non necessariamente meno
efficaci, per produrre previsioni: essa produce dei resoconti postulando l’intenzionalità degli
avvenimenti che intende prevedere. Nel caso di un cane, ad esempio, penserà come se il
cane fosse un libero agente, con intenzioni, bisogni, volontà simili a quelle dell’uomo. Oppure,
quando l’uomo gioca a scacchi contro il computer deve pensare e procedere proprio come se
stesse giocando contro un uomo. Dennett, a questo punto, precisa che tale genere di
spiegazione non necessita la presenza di cause finali simili a quelle concepite da Aristotele,
non bisogna scambiare questi “resoconti
e, anzi, bisogna stare molto attenti e ricordarsi che
narrativi”, la base delle nostre spiegazioni, come l’espressione della mente, o dell’attività
cosciente, di ciò che andiamo a spiegare. Si tratta di modelli astratti che ci servono per
interpretare i comportamenti di entità altrimenti incomprensibili.
“Io noto una cosa e ne cerco una causa: ossia cerco un’intenzione, e uno che abbia
un’intenzione, un soggetto, un autore: ogni evento è un’azione.” (F. Nietzsche)
Noi abbiamo un antenato in comune con ogni scimpanzé, ogni verme, ogni filo d’erba e ogni
sequoia. Fra i nostri progenitori, dunque, ci sono le MACROMOLECOLE. Esse sono le unità
di cui è fatto il nostro corpo: le nostre molecole di emoglobina, i nostri anticorpi, i nostri
neuroni sono composti da meccanismi che compiono senza intelligenza un lavoro
meraviglioso, elegantemente progettato. Prima che i nostri antenati acquisissero una mente,
dovettero acquisire un corpo. Dapprima divennero semplici cellule, poi procarioti (..).
L’elaborata organizzazione di tutte queste parti coordinate non era assolutamente simile a
una mente. Aristotele le aveva dato un nome: l’aveva chiamata “l’anima nutritiva” è un
sostanza). Noi stessi abbiamo un’anima nutritiva,
principio di organizzazione, è forma (non
essa consiste nel sistema metabolico, immunitario, e in tutti gli altri sistemi di autoriparazione,
per mantenere la salute dell’organismo. Per quanto riguarda il sistema nervoso, i piccoli
interruttori sono come dei primitivi organi di senso, e gli effetti che vengono prodotti quando
essi sono commutati sulle posizioni di ON e di OFF, sono come azioni intenzionali. Ma
intenzionali in che senso? In quanto effetti prodotti da sistemi orientati a un fine e modulati
dall’informazione. È come se queste cellule e questi gruppi di cellule fossero minuscoli,
semplici, agenti che perseguono razionalmente e ossessivamente i loro particolari obiettivi
agendo nel modo che viene loro dettato dalla percezione delle circostanze. Tali entità
vengono chiamati da Dennet sistemi intenzionali, e chiama atteggiamento intenzionale la
prospettiva dalla quale la loro natura di agenti si rende visibile.
L’atteggiamento intenzionale è la strategia per interpretare il comportamento di un’entità,
come se fosse un agente razionale che orienta la propria scelta d’azione
trattandola
prendendo in considerazione le proprie credenze e i propri desideri. La strategia
fondamentale dell’atteggiamento intenzionale è quella di trattare l’entità in questione (pianta,
uomo, animale), come un agente, in modo da prevedere le sue azioni e le sue mosse. Vi
sono poi altri due atteggiamenti o strategie di previsione più elementari:
L’atteggiamento fisico:
- non è altro che il laborioso metodo delle scienze fisiche, nel
quale formuliamo le nostre previsioni servendoci di tutte le nostre conoscenze sulle
leggi della fisica e la costituzione materiale degli oggetti in questione. Quando prevedo
che un sasso lasciato cadere dalla mia mano, finirà per terra, mi sto servendo di un
Questa strategia è l’unica disponibile quando si parla di oggetti
atteggiamento fisico.
che non sono vivi e neppure artefatti. Ogni oggetto fisico è soggetto alle leggi della
fisica, quindi presenta alcuni comportamenti spiegabili e prevedibili servendosi
dell’atteggiamento fisico.
L’atteggiamento del progetto:
- esso mi porta a formulare previsioni che sono in realtà
scorciatoie economiche e a basso rischio, in quanto mi consentono di eludere