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KRIPKE, LA TEORIA DEL RIFERIMENTO DIRETTO
Ci sono due modi di criticare la dottrina di Frege secondo cui la relazione tra linguaggio e realtà è
mediata dai Sinn:
1. Si può respingere la nozione di Sinn:
Per Quine, l’idea che esista significato al quale può essere fatta corrispondere una parola è bollata
da Quine come “mito da museo”.
La nozione di significato è confusa e va abbandonata, cosi come le nozioni di sinonimia e analiticità;
perché nessuna delle tre, presa singolarmente, è suscettibile di una definizione non circolare.
2. Si può sostenere che anche se la nozione di Sinn è legittima di fatto non sono i contenuti (che i
parlanti associano mentalmente alle parole) ciò che ne fissa il riferimento: è la teoria del
“riferimento diretto” di Kripke.
TEORIA KRIPKIANA DEI NOMI PROPRI
Kripke rileva come abbia prevalso la “teoria descrittivista”, per la quale ciascun nome proprio è
sinonimo di una descrizione definita:
Russell: i nomi che usiamo comunemente, come “Socrate”, sono in realtà abbreviazioni di
descrizioni. “Socrate” = Il mastro di Platone, il filosofo che bevve la cicuta, la persona di cui i logici
asseriscono che è mortale ecc.
La versione della teoria descrittivista che ha goduto di maggiore fortuna non è quella di Frege e
nemmeno quella di Russell, ma un’altra, che Kripke chiama “teoria dei concetti agglomerati” e che
può essere fatta risalire a Wittgenstein:
Se siamo in grado di descrivere il referente di un nome proprio in molti modi diversi, nulla
comunque ci autorizza a privilegiare una descrizione in particolare e a dire che il nome è
sinonimo di essa. Ogni possibile modo di identificare il referente è valido, e al tempo stesso
nessuno è decisivo. Quindi, se scopriamo che una delle descrizioni associate al nome non
adempie al suo scopo, non per questo siamo costretti a concludere che il nome non
adempie al suo scopo.
Una prima ragione per cui Kripke respinge la teoria descrittivista è che essa ci obbliga a
considerare analitici, e quindi necessari, enunciati che non sono tali.
Dice Serle, anche lui critico della teoria descrittivista dei nomi:
ES. dalla sinonimia di ‘Aristotele’ con ‘il maestro di Alessandro Magno’ segue che l’enunciato:
‘Aristotele, se è esistito, è stato il maestro di Alessandro Magno’
È equivalente a
‘il maestro di Alessandro Magno, se è esistito, è stato il maestro di Alessandro Magno’
Ora,
‘il maestro di Alessandro Magno, se è esistito, è stato il maestro di Alessandro Magno’ è un
enunciato analitico ed esprime una verità necessaria.
Pertanto,
se ‘Aristotele, se è esistito, è stato il maestro di Alessandro Magno’ è equivalente a ‘il maestro di
Alessandro Magno, se è esistito, è stato il maestro di Alessandro Magno’, se ne deve concludere
che anche il primo enunciato è analitico ed esprime una verità necessaria: ma ciò è assurdo.
‘Aristotele, se è esistito, è stato il maestro di Alessandro Magno’ esprime una verità contingente,
cioè è un fatto contingente che Aristotele si sia dedicato alla pedagogia.
Kripke rileva che un problema simile si riscontra anche nella Teoria dei nomi come concetti
agglomerati di Wittgenstein:
Considerato l’insieme delle descrizioni che un parlante associa al nome ‘Aristotele’, di nessuna di
queste la teoria dei concetti agglomerati ci obbliga a dire che è necessario che l’individuo denotato
da Aristotele le soddisfi tutte, ma è pur vero che essa esige che alcune fra le descrizioni associate
al nome siano comunque soddisfatte: Ne consegue che un individuo che non possedesse
almeno alcune di queste proprietà non sarebbe Aristotele.
Per Kripke questo è inaccettabile: Aristotele avrebbe potuto benissimo non avere nessuna delle
proprietà che noi tentiamo di attribuirgli: perciò Aristotele non può corrispondere ad un
agglomerato di descrizioni.
I descrittivisti non hanno capito che:
- Le descrizioni possono riferirsi a individui diversi in mondi possibili diversi
- I nomi denotano lo stesso individuo in tutti i mondi. Kripke li chiama designatori rigidi
(espressioni che hanno la medesima denotazione in tutti i mondi possibili).
DESIGNATORI RIGIDI
- Il designatore rigido denota in tutti i mondi possibili o solo in tutti i mondi possibili in cui quel
designatore esiste?
Kripke: dovunque l’oggetto esiste.
Altrove, però, Kripke sostiene esplicitamente il contrario: un nome proprio designa
rigidamente il suo referente anche quando parliamo di situazioni controfattuali in cui quel
referente non sarebbe esistito.
- Ma È legittimo sostenere che uno stesso individuo possa esistere in più di un mondo?
Per alcuni, x e y, appartenenti a mondi diversi, non possono essere considerati identici in
assoluto, ma solo relativamente a un criterio di identificazione (un insieme di proprietà che
essi condividono): insomma, è una identità molto debole, che può essere condivisa anche
da più persone (infatti Lewis propone di abbandonare il termine ‘identificazione’ e dice che ‘x
è una controparte di y in m’).
Per Kripke, si tratta di un falso problema, suggerito da un modo sbagliato di intendere i
mondi possibili. Essi non sono mondi tra loro lontani in cui ci si può imbattere: i mondi
possibili sono mondi dati, non mondi da scoprire.
CONSEGUENZA DELLA TESI DEI DESIGNATORI RIGIDI
Un enunciato di identità della forma ‘N è M’, dove N e M sono nomi, o è necessariamente
vero o è necessariamente falso.
ES. Fosforo è Espero.
Questo enunciato è vero, quindi dovrebbe essere Necessariamente vero. E’ plausibile?
Per Frege no, la verità di ‘Fosforo è Espero’ deve essere stabilita sulla base di osservazioni
empiriche: se queste avessero dato risultati diversi avremmo dovuto assumere che l’enunciato
fosse falso. Quindi, non potremmo dire che l’enunciato è necessariamente vero (pur essendo
vero)?
Per Kripke si, lo possiamo dire, ma così Frege si sta rendendo colpevole di una confusione:
Necessario non è ‘a priori’.
Una verità necessaria è una verità che è tale in tutti i mondi possibili, una verità a priori è
una verità che può essere conosciuta prescindendo dall’esperienza.
- Ci possono essere enunciati che esprimono verità a posteriori (perché non ancora scoperte
dall’esperienza) ma necessarie?
Per Kripke si, a proposito delle proprietà essenziali di un individuo egli dice che: possono variare
moltissimo da un mondo all’altro, tanto che in certi mondi l’individuo può non essere identificabile
in nessuno dei modi con i quali viene identificato nel mondo reale: Ecco che allora gli esempi di
enunciati di verità possono essere moltiplicati con facilità.
SE KRIPKE HA RAGIONE
- I nomi propri non sono sinonimi di descrizioni o di agglomerati di descrizioni perché
sono designatori rigidi: si usano spesso nomi ai quali non si è in grado di associare
nessuna descrizione precisa e univoca.
ES. io posso adoperare il nome ‘Pirlo’ sapendo solamente di Pirlo che è un grande
campione di calcio. Ma la descrizione ‘un grande campione di calcio’ non identifica Pirlo in
modo univoco.
ES. io Posso associare ad un nome una descrizione la quale invece non gli appartiene (è
l’esempio del matematico che ruba il lavoro ad un altro).
TEORIA CAUSALE DEL RIFERIMENTO
Se non le descrizioni, cosa fissa il riferimento dei nomi?
Il fatto che un nome, così come è usato da un certo parlante, abbia un certo referente
presuppone l’esistenza di una ‘catena causale’ che colleghi il referente al parlante.
Gli anelli della catena sono costituiti dagli eventi attraverso i quali l’uso del nome viene
trasmesso da un parlante all’altro; e se un parlante situato ad un qualche punto della
catena non è più in grado di caratterizzare descrittivamente la persona, il nome può
continuare benissimo a denotare ciò che denotava in origine.
Ovviamente, il ricevente del nome deve avere l’intenzione di usarlo con lo stesso
riferimento di colui dal quale lo ha appreso.
TEORIA ESTESA A CERTE CLASSI DI NOMI COMUNI
Anche nomi comuni come ‘oro’ e ‘tigre’ sono designatori rigidi. Ciò che identifica una sostanza o
una specie naturale è una certa ‘struttura interna’ che può essere ignota ai parlanti e non
conoscibile a priori.
È sbagliato assumere che un nome di sostanza sia sinonimo di una descrizione della forma ‘la sostanza
(o la specie) con queste o quelle proprietà’:
- Può capitare che le proprietà che hanno in mente i parlanti non fissino il riferimento neppure
nel mondo reale.
ES. è un errore ritenere che ‘L’oro è un metallo giallo’: noi possiamo immaginare
benissimo di scoprire che tutti sono stati sempre vittime di un’illusione ottica.
- Una sostanza può avere tutte le proprietà che i parlanti associano ad un certo nome comune
senza essere affatto la sostanza denotata da quel nome (pensiamo al caso di Terra Gemella e
della sua acqua).
Ripetiamolo: i nomi di sostanze e di specie naturali non sono sinonimi delle descrizioni che i parlanti
possono eventualmente associare ad essi, e non si può dire neppure che tali descrizioni ne fissino il
riferimento.
Come nel caso dei nomi propri, il riferimento è fissato piuttosto dall’esistenza di catene causali
appropriate:
ES. Un nome viene introdotto in presenza di certi campioni di materia. Ma che si sia in grado di
riconoscere con sicurezza la sostanza o la specie naturale in questione è irrilevante.
Poi accade che ogni parlante continua a servirsi del nome con l’intenzione di riferirsi alla stessa
sostanza.
Nell’applicare il nome a porzioni di materia diversi da quelli che aveva di fronte chi ha effettuato il
battesimo iniziale, ci si deve basare per forza sulle proprietà che si ritengono caratteristiche di quella
determinata sostanza.
Tuttavia, come si è visto, le proprietà che riteniamo caratteristiche di una sostanza possono non
essere tali, per cui le nostre applicazioni del relativo nome possono essere spesso sbagliate.
CONSEGUENZA
Bisogna distinguere tra necessario e a priori.
ES. ‘L’oro ha numero atomico 79’
Fidandoci di ciò che dicono gli sc