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L’ignoranza incolpevole e invincibile (cioè senza dubbi), scusa, toglie la colpa morale di un
atto moralmente sbagliato. Andare contro la propria coscienza è sufficiente di per sé a
rendere un’azione cattiva, anche quando la coscienza dice di fare ciò che non si dovrebbe.
Persino la coscienza in errore vincola, perché nell’andare contro la coscienza la volontà
che si contrappone alla coscienza stessa tende a un’azione come a qualcosa di male in
quanto la ragione se l’è prefissa come male. Agire come si ritiene di non dover agire è
una forma radicale di cattiveria della volontà. Come potrebbe un essere umano agire
bene, quando fa ciò che riconosce come male?
Gli atti umani non possono essere considerati isolatamente, bensì nella totalità di una
condotta, la quale ha un fine complessivo. “Ogni azione ha un passato e un futuro, perché
è il risultato di un certo modo paradigmatico di ragionare, ha un futuro poiché la
conseguenza del suo comportamento sarà di rafforzare o di indebolire la disposizione
dell’agente. La nostra vita morale è costantemente in evoluzione ed il modo in cui agiamo
e agiremo manifesta il modo in cui ci siamo comportanti ed influenza quello in cui ci
comporteremo. Seneca “ Tutta la nostra vita è composta di parti, costituite di cerchi più
larghi includenti quelli più piccoli. Vi è un cerchio che si estende dal giorno della nostra
nascita a quello della nostra morte. L’ostacolo a questa comprensione della vita secondo
MacIntyre proviene dal fatto che spesso la modernità suddivide ciascuna vita umana in
una molteplicità di segmenti irrelati, ciascuno con le proprie norme ed il propri modi di
comportamento particolari, cieè pensa l’azione umana in modo atomistico. Invece il
soggetto è l’autore di una storia unitaria che termina solo con la sua morte e non si può
caratterizzare il comportamento prescindendo dalle intenzioni che lo animano. Non esiste
presente che non sia informato dall’immagine di un qualche futuro, da un’immagine del
futuro che compare sempre nella forma di un telos verso cui ci dirigiamo o manchiamo di
dirigerci nel presente. Ciascuno di noi è coautore della sua storia, ciascuno di noi è
protagonista nella storia della sua vita e recita parti secondarie nella storia della vita degli
altri.
Purchè l’azione sia buona, la piacevolezza e la facilità di quest’ultima sono sintomo di virtù
e motivo di merito. La virtù è una difficile facilità. L’autocontrollo di chi è dilaniato da
passioni avverse è inferiore alla virtù.
La piacevolezza e la facilità sono sintomo di virtù se sono il risultato di un’autocoltivazione
e non sono già caratteristiche dell’agire del soggetto dalla nascita. Alcuni autori
distinguono tra virtù naturalie spontanee e virtù vere e proprie, frutto di auto coltivazione
ed esercizio. Secondo la considerazione del senso comune, quanto più un atto è difficile e
faticoso, tanto più è virtuoso. Ma la questione del merito dipende dall’identità dell’azione,
da che cosa rende difficile agire bene:
Quando la difficoltà è causata dalle circostanze esterne
a) Quando la difficoltà proviene dal soggetto agente
b)
Il fatto è che alcuni tipi di difficoltà in effetti forniscono l’occasione per un consistente
esercizio della virtù mentre altri tipi di difficoltà mostrano che la virtù è incompleta
CAPITOLO 2 – La virtù
2.1 La natura della virtù
Secondo l'interpretazione pressochè generale di questi autori, la virtù è una disposizione a
compiere-esplicare azioni/emozioni moralmente buone.
La virtù è un tratto del carattere, che costituisce intimamente la personalità e che configura
l'eccellenza umana. La virtù è eccellenza, un'eccellenza dell'uomo e del suo agire, dal
punto di vista etico.
La virtù come il vizio, si acquisisce mediante una ripetizioni di atti. Ciò dipende dal fatto
che l'agire umano non ha soltanto una dimensione transitiva, ma possiede anche una
dimensione intransitiva o immanente, cioè i suoi effetti si producono sul soggetto stesso
che agisce, determinando in lui delle modificazioni, tra cui le disposizioni ad agire.
Il carattere si manifesta in ogni insignificante dettaglio della vita: non possiamo iniziare a
diverterci mentre lasciamo il nostro carattere fuori dalla porta (esito di una serie di atti di
volontà).
Chi si conforma ad una moralità per dovere, chi agisce a colpi di senso del dovere, è
sempre esposto alla tentazione di compiere il male, mentre il virtuoso che ha consolidato
delle virtù riesce molto più facilmente a evitarlo.
Myles F. Burnyeat spiega, sulla scorta di Aristotele, che la virtù richiede esperienza, non
solo perchè si consolidino in noi le disposizioni morali, ma anche perchè la piena
comprensione intellettuale circa il bene richiede un'iniziazione pratica, cioè l'uomo
progredisce nella conoscenza del bene solo se pratica la virtù. Secondo MacIntyre c'è
quindi un'analogia tra lo sviluppo del giudizio morale e quello del giudizio tecnico: la
capacità di indentificare chiaramente il bene richiede un'educazione del carattere.
La virtù si consegu mediante una ripetizione di atti, mediante un'autocoltivazione lunga e
complessa, mediande un cammino graduale.
Una volta acquisita, la virtù facilita, rende veloce, sicura, spontanea e gradevole l'azione
buona (effetto secondario). Il suo effetto primario è abilitare il soggetto a desiderare (è il
compito delle virtù etiche), individuare-valutare-comandare (è il compito della phronesis),
scegliere-eseguire (è di nuovo compito delle virtù etiche) l'azione/emozione buona in una
situazione particolare: perciò senza la virtù è impossibile il desiderio-individuazione-
esecuzione dell'azione/emozione buona.
La virtù abilita il soggeto, ma è un tipo di abolità molto speciale:
- alcune abilità non sono degne di lode, mentre tutte le virtù lo sono;
- ogni virtù ha due vizi contrari (eccetto la giustizia)), mentre il contrario di un'abilità è solo
l'assenza di abilità;
- l'acquisizione di diverse abilità è indipendente dalle emozioni, mentre le virtù implicano
anche una dimensione emotiva-affettiva.
Ogni virtù dunque è un'abilità, ma non tutte le abilità sono delle virtù: la virtù è un abilità a
compiere-esplicare azioni/emozioni buone.
Le emozioni vanno sottoposte ad un processo di coltivazione, che è possibile giacchè
possiedono un contenuto intenzionale, nel senso che sono dirette verso un oggetto o
riguardano un oggetto.
Le emozioni possono essere coltivate: mediante un'autocoltivazione che modifica e
corregge le credenze che stanno alla base di esse; mediante l'educazione che riceviamo
dagli altri; mediante l'educazione delle leggi; grazie all'amicizia ed all'amore degli altri;
mediante la fruizione artistica.
Che le emozioni possano essere educate, come fa notare la Nussbaum si vede in
particolare se si considera il modo in cui educhiamo i bambini. L'uomo non soltanto prova
desideri, ma è anche capace di volere desiderare, capace di provare "desideri di secondo
ordine". Le convinzioni e le emozioni radicate in età precoce sono molto inveterate e,
qualora siano sbagliate, liberarsene è molto difficile (decisiva l'educazione infantile).
L'azione virtuosa ha valore intrinseco, è fine a se stessa, cioè l'euxpraxia non è ordinata
ad altro: il fine delle disposizioni virtuose è l'esercizio stesso di atti virtuosi.
Per l'etica delle virtù la vera ragione per cui io non devo mentire non è il fatto che sia
contro la legge morale, nè che probabilmente non massimizzare il benessere, ma il fatto
che sarevve disonesto. La perona giusta ha come fine mantenere le promesse, pagare ciò
che è dovuto e difendere i diritti degli altri se sono violati, nella misura in cui queste azioni
sono richieste dalla virtù della giustizia.
Dunque perchè agire virtuosamente? Perchè è bello, come dice già ripetutamente
Aristotele. E le motivazioni del virtuoso, talvolta, interiorizzate a tal punto da fargli
percepire come normali alcuni atti che, in se stessi, sono invece supererogatori
(occupazione nazista un villaggio fa nascondere i perseguitati dai nazisti e si stupiscono
quando vengono congratulati).
In altri termini, la virtù è una disposizione implicante scelta: 1) perchè si costituisce dopo
che abbiamo scelto di agire ripetutamente nello stesso modo; 2)perchè è esercitata in ogni
occasione compiendo scelte: le mie decisioni passate hanno ingenerato in me una
disposizione, ma la mia attuale decisione non è un suo riflesso condizionato, bensì
richiede da me che io avalli ciò verso cui mi inclina la disposizione stessa; 3)perchè, anzi,
accresce la possibilità di scelta, in quanto mi mette a disposizione delle nuove idoneità di
cui ero in precedenza sprovvisto.
Dunque nelle virtù ci sono i seguenti 4 aspetti: 1) le virtù sono disposizioni; 2) hanno una
dimensione affettiva, nel senso che coinvolgono i nostri sentimenti; 3) hanno una
dimensione volizionale; 4) hanno una dimensione intellettuale perchè richiedono una
capacità di ragionamento pratico.
L'azione virtuosa è razionale, cioè è diversa da un mero riflesso condizionato su cui non
ho controllo, e per questo motivo, è un'azione di cui porto la responsabilità.
Insomma molti degli autori che stiamo considerando ritengono, come Aristotele, che
un'azione virtuosa dev'essere: 1) scelta consapevolmente; 2) scelta per sè stessa; 3)
eseguita con una disposizione ferma e costante.
Le azioni e le emozioni virtuose, come già diceva Aristotele, consistono (ad eccezione
della giustizia) in una medietà tra 2 estremi viziosi e opposti. Medietà non significa
mediocrità: il "mezzo è relativo alla persona che agisce ed alla situazione in cui si trova.
L'azione virtuosa dice la Foot riprendendo Tommaso, deve avere tutti gli elementi buoni:
- l'identità-natura dell'azione, perciò l'atto di salvare una vota è buono, mentre l'atto di
uccidere è cattivo, dunque è possibile agire