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MALE

L'interrogazione sul male di identifica con la domanda sul dolore, una esperienza in cui l'uomo si

mostra come uomo e cerca in modo radicale il significato del proprio essere. Il dolore più che una

questione rappresenta un questionante, nel senso latino del termine, in cui quaestio significa

domanda: interrogazione che ci spinge a una revisione delle nostre priorità e dei nostri progetti.

Mancare all'appuntamento col dolore, cosa peraltro improbabile nell'esistenza umana, non

significa semplicemente rimanere privo di un'esperienza: in tal caso si potrebbe comunque

supplire con la narrazione o con l'immedesimazione nel dolore di un altro. Chi non ha mai sofferto,

non è soltanto meno esperto di un altro ma, non avendo frequentato il luogo del dolore, della

lingua di quel luogo non conosce nè il vocabolario nè la grammatica, per cui è incapace di

comprendere e di farsi comprendere. E' in fin dei conti un analfabeta dell'esistenza, perchè gli

manca un elemento essenziale nella maturazione personale e nella comunicazione reciproca tra

persone, costituito da quello che potremmo chiamare l'esercizio del patire. Il patire è la chiave di

accesso a un linguaggio nuovo, a una dimensione altra dell'esistenza, caratterizzata da una

particolare pratica della propria libertà.

La questione della sofferenza chiama in causa, dunque, la nozione stessa di libertà: se la si

intende semplicemente nella duplice accezione di "libertà da.." e di "libertà di.." rappresenterà

senz'altro un impedimento. Bisogna allora postulare altre dimensioni della libertà, come quelle di

"libertà per..." e di "libertà di fronte a...", per aprirsi a un senso più profondo del dolore.

Si può dire che sia proprio questo rapporto tra dolore e libertà a rappresentare l'elemento

discriminante delle grandi teorie sul dolore succedutesi nella storia del pensiero, che possiamo

riunire schematicamente in 5 paradigmi:

A) Dolore come scacco della libertà: DOLORE COME DESTINO (tragedia greca, stoicismo,

buddismo, Schopenahuer), [accettazione]: la linea che unisce la visione del dolore elaborata dalla

tragedia greca, dallo stoicismo, dal buddismo e, in età contemporanea da Schopenhauer deve,

naturalmente tener conto delle debite differenze di contesti e di esiti. Tuttavia, si può affermare che

tutte queste concezioni siano accomunate da un conflitto radicale tra necessità e libertà: è da tale

inconciliabilità che si origina il dolore. L'essere umano è sottomesso a un fato, a un destino

inesorabile che non ammette l'affermazione dell'io e che, pertanto, rappresenta un'impedimento

alla propria libertà di agire e alla propria volontà di vivere. L'interrogazione sul senso della

sofferenza non può avere risposta, anzi: diventa essa stessa insensata, perchè comporta la

pretesa di indagare ciò che non è indagabile per l'uomo che abita un cosmo in cui è ospite come

gli altri esseri; costituisce quella hybrus, quella tracotanza che merita una punizione da parte degli

dei. E' così che l'unica via d'uscita è l'amor fati, l'accettazione, sia essa concepita come

conoscenza disincantata del proprio destino (tragici), come assoluto dominio di sè (stoicismo) o

come radicale indifferenza (buddismo e Schopenhauer).

B) Dolore come prova della libertà: DOLORE COME MEDICINA A CATARSI (ebraismo), [esercizio

del patire]: diversa è la visione inaugurata dal messaggio biblico, completata poi da quello

cristiano. Qui ci troviamo in presenza di una concezione del dolore che, più che rappresentare

l'annichilazione della libertà umana, fa appello ad essa.

Giobbe è la figura del giusto che soffre senza colpa ed è proprio questa innocenza a rendere

l'interrogazione sul dolore particolarmente drammatica. Nel contesto di un mondo creato da Dio, la

domanda sul senso del dolore per la prima volta si giustifica pienamente, perchè presuppone una

totalità di senso a cui far riferimento. Il Dio biblico è un Dio creatore, infinitamente giusto per cui

tutto ciò che succede nel mondo creato deve rispondere in qualche modo a un criterio di giustizia.

L'anima del giusto va provata come l'oro del crogiolo", non perchè Dio abbia bisogno di questa

sofferenza come conferma dell'autenticità della vita del giusto, ma perchè è l'uomo che ne ha

bisogno per maturare e per crescere nella coerenza di vita. La novità di tale prospettiva sta dunque

tutta in questa dimensione personale del dolore: esso non è più, come nel mondo greco, il risultato

di un destino che tocca genericamente ad ogni uomo, in quanto parte di un ordine universale, ma è

una prova che il singolo affronta in quanto singolo, finalizzata a una richiesta specifica di Dio nei

suoi confronti. La sofferenza è, dunque, uno strumento medicinale e catartico, di purificazione, un

invito risolto sia al giusto, perchè diventi più giusto, sia al malvagio, come occasione perchè

ricostruisca il bene in se stesso.

C) Dolore come invito alla libertà: DOLORE COME VOCAZIONE (cristianesimo), [occasione per

amare]: tuttavia, nel libro di Giobbe, appaiono ancora alcuni interrogativi irrisolti: il dolore rimane in

parte qualcosa nei confronti del quale l'uomo è un soggetto passivo, che potrebbe pure sempre

chiedersi perchè un Dio buono non possa offrirgli un'altra strada che non sia il soffrire, per

maturare e purificarsi. Occorre dunque fare un passo in più e accedere a una prospettiva ove il

dolore senza essere giustificato, il che significherebbe privarlo di negatività e quindi di consistenza,

sia però valorizzato come esercizio attivo e non semplicemente passivo (avviene con il messaggio

cristiano). La dottrina di salvezza che Cristo guadagna all'uomo attraverso la sofferenza e la morte

apre al credente una dimensione nuova del dolore: esso non rappresenta soltanto la strada

attraverso cui Cristo ha manifestato il suo amore radicale per l'uomo, ma anche l'appello rivolto ad

ogni uomo sofferente a inserirsi in qualche modo nella circolazione permanente di questo amore.

Cristo non ha scelto il cammino del dolore perchè il dolore fosse buono, ha voluto abbracciarlo

proprio per far sua fino in fondo un'esperienza universalmente umana e da insensata renderla

piena di senso.

Risulta allora evidente il carattere attivo e addirittura creativo della sofferenza per il cristiano: da

destino esso diventa vocazione, ossia invito a prender parte attraverso il proprio soffrire alla

dimensione salvifica del dolore inaugurata da Cristo, un'occasione per dilatare la propria capacità

di amore.

D) Dolore come errore della libertà: DOLORE COME APPARENZA (razionalismo, Spinoza, Lebniz,

Hegel), [conquista della conoscenza assoluta]: la soluzione proposta da filosofi come Spinoza ed

Hegel o dal razionalismo in generale, è invece quella di eliminare la consistenza del dolore, che

come rale risulterebbe una dèfaillance intollerabile in una visione dove tutto ha una ragion d'essere

e si presenta come logicamente deducibile. Il negativo non è che l'altra faccia del positivo, anzi il

necessario correlato del positivo, indispensabile perchè questo sia veramente tale. L'opposizione

libertà/necessità, in quest'ottica assume una connotazione diversa dalle precedenti, perchè viene

addirittura dissolta: l'uomo non è veramente libero, finchè non diventa consapevole di non esserlo

affatto, poichè è soltanto parte di un Tutto, sia esso la Sostanza di Spinoza, l'universo

monadologico di Leibniz o lo Spirito di Hegel.

In questa visione giustificazionista della realtà, il dolore è semplicemente un errore percettivo

dovuto a uno sguardo poco limpido sulle cose, che non consente di coglierle tutte come una tappa

necessaria dello sviluppo dell'Assoluto.

In un ottica razionalista, se l'uomo impara a guardare le cose del punto di vista dell'Assoluto,

conquista faticosa ma possibile, le vedrà nella reale proporzione, che esclude qualsiasi disordine

possibile.

E) Dolore come limite della libertà: DOLORE COME NONSENSO O CONDANNA (Superomismo

di Nietzsche), [ribellione]: per Nietzsche, il problema dell'uomo non è la sofferenza ma la sua

mancanza di senso, la sua assurdità. Il nonsenso del dolore è per lui parte del nonsenso della vita:

quell'animale malaticcio che l'uomo si è sempre posto la domanda sullo scopo del suo soffrire e

Nietzsche riconosce che solo l'ideale ascetico del cristianesimo aveva saputo darvi risposta.

Critico nei confronti di qualsiasi dolorismo, ossia di ogni visione che consegna l'uomo

inesorabilmente al dolore, egli afferma che è l'energia volitiva, la volontà di potenza propria della

soggettività del superuomo a poter superare qualsiasi limite opposto dalle forze cosmiche.

OBIEZIONE DI COSCIENZA

L'obiezione di coscienza è il rifiuto in nome della propria coscienza di obbedire ad un precetto

giuridico che si è tenuti ad osservare in quanto si è destinatari delle norme di un determinato

ordinamento giuridico.

L'obiettore oppone ragioni di coscienza al rispetto di una norma che considera contraria alle

proprie convinzioni. Il diritto all'obiezione di coscienza è previsto nell'art. 18 della Dichiarazione

universale dei Diritti Umani ed è previsto anche dagli articoli 19 e 21 della Costituzione italiana.

Chi obietta ritiene che i propri principi non sono un capriccio, ma abbiano una portata universale e

che tutti dovrebbero obiettare nei confronti della legge in questione, anche se è direttamente

interessato ad agire in conformità alla propria coscienza.

PRUDENZA

Ponendo le basi dell'etica, Aristotele definisce la virtù una disposizione stabile che orienta la scelta

verso il giusto mezzo, ossia verso la medietà tra due vizi, uno per eccesso, l'altro per difetto. Tra le

virtù morali indicate dal filosofo, che, in quanto cardine, sostengono tutte le altre, un posto d'onore

spettava alla prudenza ("niente di troppo", misura e equilibrio). Realizzarsi nella vita e nel lavoro

significava evitare gli eccessi e imparare a scegliere con attenzione e dominio di sè.

Oggi questo stile di vite sembra un pò demodé. La prudenza non attira più tanto: la associamo

all'esitazione dell'anziano, alla tattica di un negoziato, al calcolo del timoroso o all'invito molesto a

moderare la velocità alla guida.

Nella Cappella degli Scovegni a Padova, Giotto raffigura la prudenza con le sembianza di una

donna seduta

Dettagli
A.A. 2013-2014
18 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simone.vellucci.5 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia morale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Russo Maria Teresa.