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PER LA VERITÀ. RELATIVISMO E FILOSOFIA.
Molti esempi sembrano dimostrare che la verità è altra cosa dalla giustificatezza. Ci sono molte
proposizioni vere che non sono e non saranno mai giustificate. E d’altra parte, è possibile che molte
proposizione giustificate2 non siano vere. I filosofi hanno prodotto un certo numero di argomentazioni per
dimostrare che la verità e giustificatezza sono due concetti diversi. Forse abbiamo il concetto di verità
proprio perché vogliamo poter dire che un’asserzione o una credenza , pur essendo pienamente giustificata
rispetto ai criteri di senso comune potrebbe tuttavia essere inadeguata rispetto a come stanno le cose in
realtà. Michael Dummett, critico realista:
-una ragione per cui [la concezione realistica] appare così plausibile è che la nozione di verità nasce in
primo luogo dalla necessità di distinguerla dalla nozione epistemica di giustificabilità.-
Rorty ha chiamato ‘uso cautelativo’ della parola ‘vero’. Rorty non vuole vietare questo uso ne dichiararlo
illegittimo, ma lo interpreta come un <<gesto verso le generazione future>>: quel che si vuole dire è che un
uditorio futuro, migliore di noi, potrà trovare ragioni per provare che noi abbiamo invece ragione di
asserire. Ma la sua formulazione maschera un problema decisivo. È possibile, anzi probabile, che le
generazioni future dissentano da noi su questo o su quello. A prima vista è plausibile la formulazione di
Rorty perché caratterizza le generazioni future come migliori di noi; migliori, s’intende, non perché più
belle o più buone ma perché meglio collocate epistemicamente, più capaci di valutare argomentazioni. In
che cosa consiste una maggiore capacità di valutare argomentazioni se non nella capacità di riconoscere,
meglio di quanto lo si faccia adesso, quali argomentazioni sono corrette, cioè muovono validamente da
premesse vere? Ma, allora, le generazioni future saranno migliori per il fatto di aver miglio rapporto con la
verità.
Il concetto di giustificatezza presuppone sempre il concetto di verità?
Si è visto che, in uno degli usi di giustificato (3) giustificato implica vero. In questo senso, il concetto di
giustificazione presuppone il concetto di verità. Alcuni filosofi hanno sostenuto che qualsiasi concetto di
giustificazione e giustificatezza presuppone il concetto di verità. Bernard Williams afferma che:
-una credenza giustificata è una credenza a cui si arriva grazie ad un metodo o che è sostenuta da
considerazioni che la favoriscono, nel senso specifico di dar ragione di ritenere che sia vera.-
Si noti la differenza tra giustificazione3 e giustificazione come è caratterizzata da William. Nel caso della
c’è
giustificazione3 abbiamo che P è giustificata P è vera, nel caso di Williams invece P è giustificata
ragione di ritenere che P sia vera.
È chiaro che un’asserzione può essere giustificata nel senso di Williams senza essere vera. Quindi il
concetto di giustificazione come è spiegato da Williams, non coincide con quello di giustificazione3.
Dummett ha obbiettato a Wialliams che il concetto di giustificazione può essere compreso del tutto
indipendentemente dal concetto di verità.
-abbiamo una pratica consolidata di giustificazione delle nostre credenze e asserzioni: usiamo certe forme
d’argomentazione, adduciamo certi tipi di prove. Non è affatto ovvio che, per acquisire o anche solo per
vedere il senso di queste pratiche , dobbiamo fare appello al concetto di verità.
Ci sono buone ragioni per pensare che qualsiasi concetto di giustificazione sia direttamente o
indirettamente tributario del concetto di verità. Come dice Williams, una credenza è giustificata solo se c’è
ragione di pensare che sia vera. Naturalmente è possibile pensare che una credenza sia giustificata e sia
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PER LA VERITÀ. RELATIVISMO E FILOSOFIA.
tuttavia falsa; e quindi si può pensare che una credenza, pur essendo giustificata2, possa non essere vera.
In ogni caso tutti ci auguriamo che le nostre credenze giustificate2 siano vere.
Conoscenza, verità e scetticismo
Si attribuisce tradizionalmente a Platone la definizione secondo cui una conoscenza è una credenza vera
giustificata. Tuttavia pensano che probabilmente una conoscenza è una credenza vera giustificata più che
qualche altra cosa; e pochi dubitano che la verità e la giustificatezza siano comunque condizioni necessarie
della conoscenza.
Diciamo ad esempio: <<Ugo era a Milano? Strano: io sapevo che era a Roma>>. Se dicendo così non
intendiamo esprimere un dubbio sulla presenza di Ugo a Milano, ma ne stiamo invece prendendo atto,
dovremmo allora dire che avevamo motivo di credere che fosse a Roma, o che credevamo di sapere che
fosse a Roma: formulazioni che sono entrambe compatibili con la falsità di ‘Ugo era a Roma’,mentre non lo
è ‘Sapevo che era Roma. Se sapevo che era a Roma, era a Roma; se non c’era credevo che fosse lì ma non lo
sapevo. La conoscenza è altra cosa dalla credenza e dall’opinione.
Si sente a volte presentare lo scetticismo come se fosse la tesi che <<le nostre conoscenze potrebbero non
essere vere>>, o che <<non siamo certi che le nostre conoscenze siano effettivamente vere>>. Ma della
verità delle nostre conoscenze siamo certissimi; ciò di cui non siamo certi, secondo lo scettico è che siano
davvero conoscenze. La discussione sullo scetticismo è una delle discussioni centrali della filosofia,sono
state avanzate contro lo scetticismo obiezioni particolarmente significative. John L. Austin ha sostenuto
che lo scetticismo di basa su una distorsione del significato normale di parole come ‘conoscere’ e ‘sapere’.
Il dubbio scettico è diverso dal dubbio <<normale>> perché, al contrario del dubbio <<normale>>, non ha
motivazioni specifiche, legate a ciò che abbiamo motivo di pensare in una specifica situazione. E anche
l’uso di ‘sapere’ e ‘conoscere’ che lo scettico tenta di imporci è diverso da quello normale. Normalmente
per poter dire di sapere che P non richiediamo il tipo di prove che lo scettico esige da noi.
Normalmente diciamo di sapere che P quando la nostra credenza che P è giustificata in modo soddisfacente
e non ci sono particolari ragioni per pensare che magari stiamo sognando. Wittgenstein ha insistito sul
carattere motivato del dubbio normale : << Si dubita per ragioni ben precise>>. Il dubbio scettico invece è
ozioso:
-Perché non mi è possibile dubitare di non essere mai stato sulla Luna? E come potrei provarmi a
dubitarne? Prima di tutto, la supposizione che forse io sulla luna ci sono stato davvero mi sembrerebbe
oziosa. Nulla ne seguirebbe. Nulla ne viene spiegato. Non avrebbe nessun rapporto con nulla nella mia
vita.-
Wittgenstein aggiunge altre due considerazioni. La prima che il dubbio è possibile solo su uno sfondo di
certezze, cioè a partire dall’ipotesi che alcune cose non siano in dubbio. Lo stesso gioco del dubitare
presuppone già la certezza>>. Se non altro, la formulazione di un dubbio presuppone che non siano in
dubbio i significati delle parole con il dubbio viene formulato. La seconda considerazione è che lo scettico
propone un compito impossibile, perché richiede che si dia ragione di credenze che sono più salde di
qualsiasi ragione che si potrebbe portare a loro sostegno:
-Il fatto che io non stato sulla Luna è per me tanto saldo quanto qualsiasi ragione io possa darne
-In circostanze normali, che io abbia due mani è tanto sicuro quanto qualsiasi altra cosa che potrei addurre
come prova dell’avere due mani. 5
PER LA VERITÀ. RELATIVISMO E FILOSOFIA.
Se come sta supponendo, gli scettici soddisfatti di esserlo come pochi, allora far vedere che una posizione
presuppone lo scetticismo può essere imbarazzante per chi la sostiene. Per lo scettico, non ci sono
autentiche conoscenze perché nessuna credenza può essere giustificata al di là di ogni dubbio, ragionevole i
irragionevole. Lo scettico caratteristicamente rifiuta la distinzione tra dubbi ragionevoli e irragionevoli: se
un dubbio è possibile è per ciò stesso ragionevole.
Invece, come ha mostrato Austin, nella nostra pratica quotidiana noi trattiamo certi dubbi come motivati
dalle circostanze e perciò ragionevoli, mentre trattiamo altri dubbi come immotivati e dunque oziosi e
irragionevoli.
Chi aderisce, implicitamente o esplicitamente alla posizione scettica si distacca dalla nostra pratica
normale, e diventa come uno che esiga dai ricercatori che dimostrino di non stare sognando. Per esempio,
torniamo alla già citata affermazione di Giovanni Boniolo secondo cui nessuna credenza può essere
giustificata come vera. Se nessuna credenza può essere giustificata come vera, non ci sono né ci possono
essere conoscenze: infatti una conoscenza è, come minimo,una credenza vera giustificata. Dunque
l’affermazione di Boniolo implica lo scetticismo. Per esempio, chi dice- come capita di sentir dire- che
<<non ci sono verità assolute>> non vuol dire che non c’è un numero definito di pianeti definito
nell’universo o di fagioli in quel dato vaso. Vuol dire probabilmente che non ci sono autentiche conoscenze.
Cioè che non abbiamo credenze che possiamo considerare davvero giustificate. Anche dopo aver contato e
ricontato i fagioli nel vaso e aver trovato ogni volta che sono 1024,ancora possiamo pensare di aver
sbagliato.
Forse però, si potrebbe obiettare Boniolo e gli altri che dicono cose simili non stanno negando che ci siano
conoscenze: stanno sostenendo che non ci sono conoscenze assolutamente certe. La conoscenza è una
cosa, la certezza è un’altra.
Verità e certezza
Wittgenstein ha distinto due usi di parole come ‘certo’ e ‘certezza’- quando diciamo <<Ne sono certo>> o
<<Non ne sono certo>> esprimiamo la nostra completa convinzione, l’assenza in noi di qualsiasi dubbio al
riguardo. Questo è ciò che chiamiamo ‘certezza soggettiva’: uno stato psicologico che ci capita di
sperimentare di tanto in tanto e che non ha particolari implicazioni quanto alla verità nel suo contenuto. La
certezza soggettiva non è conoscenza e non implica la verità dei contenuti.
Che una conoscenza sia certa per qualcuno, in senso soggettivo, può facilitargli la vita,ma non costituisce un
merito epistemico, né costituisce un demerito che una conoscenza sia per lui non certa.
Se nell’asserzione <