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I PROCEDIMENTI DELLA LOGICA GIURIDICA
Il giurista che applica i due principali procedimenti della logica giuridica, cioè
dell’analogia e dell’argomento a contrario, intende rispondere alle lacune della legge.
Il compito del giurista è di integrare il diritto, a partire sempre dal diritto che c’è, e
dimostrare il significato delle norme che già ci sono, e non di creare una nuova norma.
Ad esempio, si prenda la norma “è vietato l’ingresso ai cani” davanti ad una sala
d’attesa in una stazione ferroviaria. La norma sembra impedire l’ingresso solo ai cani
senza distinzione di razza, taglia, ecc. Ipoteticamente si avvicina un uomo con un orso.
Il senso comune ci dice che il divieto non vale solo per i cani ma anche per gli orsi. Si
avvicina un poliziotto con il suo cane. Cosa bisogna fare? Il senso comune ci dice che il
divieto vale per tutti i cani ma non per quello che accompagna il poliziotto. Queste due
soluzioni sono a fondamento dei due procedimenti della logica giuridica. Secondo il
procedimento per analogia, dalla norma che prevede un certo caso (N1) si ottiene,
mediante un’interpretazione relativa allo scopo della norma stessa, la norma che
prevede lo stesso divieto per quelli animali simili al cane nell’arrecare un certo
disturbo (NN). Da NN è prodotta una nuova norma che vieta l’ingresso agli orsi (N2).
Secondo il procedimento dell’argomento a contrario, da N1 si giunge, sempre
mediante un’interpretazione relativa allo scopo della norma di partenza, alla norma
che esclude tale divieto per quelli animali che, invece, procurano beneficio nella sala
d’attesa (NN). Da questa norma è prodotta la norma N2 che non vieta, anzi dà il
permesso al cane poliziotto di entrare.
Il presupposto che sottintende l’applicazione dei giuristi di questi due procedimenti è
che l’ordinamento non è completo. Vi sono casi che l’ordinamento non ha previsto.
L’ordinamento non dispone di tutte le norme di cui ha bisogno. Si pensi, ad esempio,
all’art. 1 del Codice Penale “nessuno può essere punito per un fatto che non sia
espressamente previsto come reato dalla legge”. Questo articolo sembra introdurre,
per ogni caso non previsto, una previsione indiretta di permissione. In questo modo
l’ordinamento penale opererebbe un automatico completamento rispetto ad ogni caso
non previsto. Si pensi, invece, all’art. 12 del Codice Civile “in caso di lacuna si deve
avere riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe”. Per il
Codice Civile, pertanto, il caso non previsto non è trattato con il permesso. Il diritto
civile ammette l’esistenza di lacune ed è, perciò, incompleto.
Per applicare i procedimenti della logica giuridica non ci si può fermare ad
un’interpretazione letterale delle norme. L’interpretazione che si rende inevitabile per
quei procedimenti è quella di una giurisprudenza degli interessi. Ciò che si deve
stabilire è lo scopo delle norme di partenza dei due procedimenti. Infatti
l’interpretazione letterale di N1 non permetterebbe di arrivare a N2. Se si interpreta
alla lettera la norma, solo i cani non possono entrare, mentre gli orsi si. È necessaria,
dunque, un’interpretazione secondo lo scopo o gli interessi, la cosiddetta
interpretazione fondamentale.
Importante è anche la decisione giuridica. Essa è inevitabile in virtù o di un obbligo
(Sollen) oppure di una necessità (Müssen). La decisione giuridica è, innanzitutto, al
termine di un obbligo. In tutte le codificazioni moderne il giudice ha l’obbligo di
decidere in ogni caso. Il Codice di Napoleone esclude espressamente la facoltà del
giudice di denegare giustizia, rendendo penalmente responsabile il giudice che rinunci
ad emettere una sentenza.
La decisione giuridica è al termine, se non di un obbligo, sicuramente di una necessità.
È necessità materiale che il giudice giunga ad un giudizio, dato che l’eventuale
astensione dal giudizio del giudice, è di per sé già un giudizio.
3. DIRITTO E PAROLA
La filosofia del dovere giuridico è anche scienza del linguaggio. Il diritto, infatti, è
parola. Il diritto anche se non è linguaggio, ne ha certamente uno, cioè quello degli
infiniti atti del processo giuridico. I cosiddetti atti di linguaggio o speech act. Vi è poi
una distinzione dei verbi utilizzati per l’esecuzione linguistica di atti giuridici effettuata
dal filosofo Austin. Vi sono:
• Verbi verdittivi, utilizzati quando il soggetto esprime una sentenza (assolvere,
condannare);
• Verbi espositivi, utilizzati quando il soggetto non giudica una cosa, ma prende
una posizione rispetto al mondo (dichiarare, affermare);
• Verbi esercitivi, ossia quelli mediante i quali il soggetto non giudica ma esercita
il potere (disporre, decretare);
• Verbi commissivi, i quali corrispondono alla coerenza del soggetto a compiere
determinati atti in futuro (promettere, giurare);
• Verbi comportativi, i quali esprimono la dimensione sociale della vita del
soggetto (salutare).
Il linguaggio del diritto comporta essenzialmente il senso di enunciazioni performative.
Questo concetto è stato adoperato dal filosofo Austin con la sua teoria: “il soggetto
mediante un enunciato performativo causa un cambiamento in colui che subisce
l’azione”. Il linguaggio performativo consiste negli speech act del processo giuridico.
Bisogna che l’enunciato performativo sia costruito alla prima persona singolare del
presente indicativo.
Il linguaggio performativo è il linguaggio attraverso cui il soggetto fa ciò che dice.
Il linguaggio giuridico individua due tipi di enunciazioni performative. Da una parte vi
sono enunciazioni che sono un discorso costitutivo di status deontici (obblighi, divieti,
permessi), dall’altra vi sono enunciazioni che sono un discorso cognitivo di status
deontici. Nel primo caso si ha una thesis e nel secondo una rhesis. Le enunciazioni
performative thetiche pongono deonticamente la deonticità dell’enunciato innestato.
Grazie alle enunciazioni del legislatore si costituisce lo status deontico (obbligo,
divieto, permesso) che viene descritto dall’enunciato innestato. Dicendo “si dispone
che Op” nasce l’obbligo di P. Per questo motivo, le enunciazioni performative thetiche
pongono la verità dell’enunciato innestato.
Le enunciazioni performative rhetiche pongono cognitivamente la deonticità
dell’enunciato deontico innestato. Quando il giurista dice “affermo che Op” non è in
virtù di tale enunciato che nasce l’obbligo di P. Chi afferma ciò pone una cognizione
sull’esistenza di un certo obbligo. Si fa, quindi, un’affermazione sull’esistenza di uno
status deontico, ma non lo si costituisce.
La performatività chiama in causa un altro fenomeno, quello della costitutività del
linguaggio giuridico.
Le norme costitutive sono norme che eseguono ciò che dicono nel momento stesso in
cui sono poste. Vi sono poi le norme prescrittive che non eseguono se stesse in forza
solo della loro validità, ma sono la conseguenza delle norme costitutive e si eseguono
tramite i comportamenti dei destinatari.
Per il fatto che le norme prescrittive per la loro esecuzione hanno bisogno di certi atti
di adempimento, da questo punto di vista non sarebbe vera la tesi di Kelsen secondo
cui il diritto è un insieme di norme prescrittive – sanzionatorie. Le norme primarie
sono, per Kelsen, le norme che imputano ad un fatto condizionate (l’illecito) una
conseguenza condizionata (la sanzione). Lo schema delle norme primarie è quindi: SE
A, DEVE ESSERE B.
A differenza della teoria di Kelsen, secondo la teoria della costitutività, non vi sono
solamente norme prescrittive perché non tutte le norme sono munite di sanzione. Non
sono munite di sanzione, ad esempio, le norme che si eseguono senza bisogno di
adempimento. Perciò il linguaggio giuridico è sia costitutivo, sia prescrittivo.
In ogni caso, sembra prevalere il senso prescrittivo del diritto visto che ciò è quanto
emerge osservando l’ordinamento giuridico. L’ordinamento giuridico sta soprattutto
per prescrivere comportamenti. Le norme costitutive sono in funzione di quelle
prescrittive e non viceversa.
Anche norme costitutive però possono avere un senso prescrittivo ed essere tradotte
nello schema di Kelsen. Si pensi, infatti, ad una norma abrogativa. Ciò che prima era
permesso ora è vietato. Ebbene se i destinatari si comportassero come se certe norme
non fossero state abrogate si determinerebbe una situazione di illecito, con tutte le
conseguenze anche in termini di sanzione.
4. DIRITTO E LOGICA
Non v’è scienza dei doveri giuridici senza anche una logica della validità delle norme.
Ci si chiede se si possa affermare che le norme siano vere. Sembrerebbe di no, in
quanto delle norme non si afferma che sono vere o false, semmai che sono valide o
invalide. Guardando alla performatività del linguaggio giuridico, le norme sono, sotto
l’aspetto dei fenomeni del linguaggio, o enunciati di enunciazioni performative oppure
enunciati innestati in enunciazioni performative.
Dunque ci si domanda se si possa predicare la verità di enunciati di enunciazioni
performative. Secondo Amedeo Conte è possibile predicare la verità sia di enunciati
che traducono semplicemente un’enunciazione performativa (“si dispone che Op”) sia
di enunciati innestati in enunciazioni performative (“è obbligatorio P”).
Degli enunciati in enunciazioni performative si deve affermare che sono sempre veri.
Dicendo “si dispone che Op” nasce una disposizione. Pertanto, l’enunciato finisce per
descrivere o riferirsi a se stesso e, dunque, è sempre vero.
Un enunciato performativo falso è un falso performativo. La verità di un enunciato
performativo viene meno se manca una condizione necessaria per la validità dell’atto
stesso. Secondo Amedeo Conte, quando il giurista dice quali sono gli obblighi o i divieti
vigenti si mette nelle condizioni di fare un’affermazione eventualmente falsa. Dicendo
“affermo che Op” non per questo nasce l’obbligo di P. L’enunciato “è obbligatorio P”
innestato nell’enunciazione performativa del giurista che descrive un certo
ordinamento può essere falso.
Gli enunciati, in enunciazioni performative, sono veri perché si auto verificano. Tali
enunciati si auto verificano poiché essi sono il fatto stesso che descrivono.
Dei fatti non si dice che sono veri o falsi, ma ch