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CAPITOLO QUARTO: IL FONDAMENTO ONTOLOGICO DELL’ESISTENZA

l’analisi precedente ha affrontato il caso per una interpretazione del

diritto quale esigenza esistenziale e relazionale dell’uomo.

L’autoaffermazione dell’individuo, nella propria volontà sintetica di

essere-fare-avere, sembra determinare la chiusura in-sé-per-sé, chiusura

apparente, che si dissolve alla luce del processo di autocoscienza. Nel

corso di codesto processo emerge una serie di implicazioni dell’azione:

riconoscimento dell’altro in una parità con l’io, riconoscimento di una

verità e regola comuni, origine socionoma della regola comune, ossia del

diritto. la rinuncia al processo di autocoscienza comporta l’irreale o

suicidario isolamento dell’individuo nel mondo, o la bellicosità

permanente implicante l’estraneità totale dei soggetti e la loro

reciproca reificazione.

Poiché l’indagine è partita da un ipotesi astratta, potrebbe venir

infirmato di astrattezza anche il suo risultato. È opportuno verificarne

l’esattezza per altra via.

La riflessione sull’intera vicenda dell’azione per un verso permette di

determinare alcune caratteristiche essenziali dell’individuo empirico,

che sono l’opposto della sua aseità:

• L’incompiutezza: se l’individuo fosse un che di compiuto in sé, non

avrebbe volontà di essere-di-più;

• La particolarità: l’incontro con altri soggetti mette in evidenza

la particolarità dell’essere dell’io;

• La contingenza: per il semplice fatto di iniziare un’azione, questa

manifesta la propria temporalità contingente.

L’individuo empirico, per il suo stesso agire, si rivela in sé

incompiuto, particolare, contingente, ossia non perfetto, non universale,

non eterno, ma finito.

Per l’altro verso, l’azione mostra alla riflessione che l’individuo è

situato nel mondo: un mondo in cui, di fatto, incontra l’altro-da-sé. Il

mondo è il con-esserci.

Solo l’essere infinito non ammette pensabilità d’un altro essere infinito

accanto a sé poiché si limiterebbero l’un l’altro e quindi sarebbero

finiti. Ciò che è incompiuto, particolare e contingente, ossia finito,

non può esaurire l’essere e presentarsi quale individualità totale e

unica. L’io avverte “insieme” ciò che gli è proprio, gli appartiene, e

ciò che gli è estraneo. Ne consegue che:

• Il mondo non è creazione materiale e nemmeno rappresentazione

ideale del soggetto, ma rappresentazione soggettiva delle reali

relazioni intramondane in cui l’io è collocato;

• L’io comprende veracemente se stesso solo nella relazione

intramondana di appartenenza-estraneità rispetto agli altri enti.

Pertanto il con-esserci, ossia il mondo, si estende a tutto ciò in cui e

di cui vive l’uomo. Si articola secondo gradi di maggiore o minore

differenza ontica quanto all’estraneità rispetto all’io-soggetto, fino a

quel grado in cui l’altro si rivela quale alter ego, anch’esso io-

soggetto pari alla realtà del soggetto. Fuori dal con-esserci umano, il

diritto non avrebbe senso alcuno.

Codesto con-esserci comporta dunque, una pluralità di io-soggetti, i

quali risultano individui nel senso rigoroso della parola: soggetti

individuati ciascuno nella propria contingente e incompiuta

particolarità. Ne consegue una fondamentale ambivalenza del con-esserci

considerato della suo datità o semplice presenza. Poiché ogni soggetto è

individuato dalla e nella propria particolarità, non si ha piena

uguaglianza tra gli individui, bensì diversità tra loro.

Codesta diversità fa si che l’altro possa costituire un ostacolo e una

minaccia dell’esserci e all’agire dell’io, o possa essere di aiuto all’io

nell’affermazione di sé di là dalle sue deficienze o incapacità

personali. La minaccia mette in pericolo la permanenza nel tempo dell’io

e la continuità del suo agire, mentre l’aiuto le sostiene e rafforza.

L’innegabile ambivalenza delle reali possibilità del vivere finisce col

determinare una contraddizione profonda, all’interno del con-esserci, tra

la sua mera datità empirica e il suo senso fenomenologico, che è quello

d’un esserci-insieme dei suoi membri.

Fondamentale esigenza esistenziale del soggetto è quella di liberare il

con-esserci dalla sua contraddittoria possibilità negativa. Essa assume

determinazioni più concrete nelle esigenze di sicurezza, cooperazione,

durata; ossia sicurezza rispetto agli altri, cooperazione con gli altri,

durata per mezzo degli altri. Si prendano in esame 4 istituti giuridici:

la proprietà, le successioni, le associazioni, il giudizio.

La riflessione sul diritto empirico ha messo in luce le caratteristiche

e le esigenze esistenziali dell’individuo che danno origine al fenomeno

giuridico e perciò lo autenticano essenzialmente. Occorre ora indagare se

l’esistenza tragga codeste sue configurazioni da caratteri permanenti

dell’esser-uomo.

Incompiutezza, particolarità e contingenza sono raccoglibili

nell’unitario concetto di finitezza dell’esser-uomo. Non si tratta d’un

concetto dedotto, ma ricavato dall’esperienza comune. L’uomo non è

onnisciente nel suo sapere né onnipotente nel suo fare: il non-ancora

conosciuto e il non-ancora prodotto o ottenuto gli si ripresentano di

continuo e ne denunciano la finitezza conoscitiva e operativa, anche

sotto il profilo della temporalità.

Le esigenze esistenziali di sicurezza, cooperazione e durata, connesse

con la finitezza, ci fanno capire che la finitezza è avvertita dall’uomo

come mancanza del proprio essere, come difettività di questo. La

coscienza della finitezza come direttività configura l’uomo quale un

ente indigente: colui che ha bisogno di qualcosa a causa della sua

mancanza. L’indigenza è il tratto che segna la differenza radicale tra il

livello umano di essere e quello non-umano. È la prima caratteristica

ontologica dell’uomo.

Si apre un nuovo campo di indagine alla riflessione: quello ontologico. È

qui che va cercata la spiegazione dell’indigenza umana. L’uomo è

cosciente della propria indigenza e si colloca nella prospettiva

dell’infinito. Solo nel confronto con esso e non con l’indefinito, il

finito è avvertibile come indigente.

Si è in grado di pensare il finito solo in rapporto di contrapposizione

all’infinito. Si resta però nel campo dell’astrazione, della cui validità

per intendere l’esistenza è lecito dubitare, tanto più che il concetto di

infinito rinvia a un’idea. L’operazione di concettualizzazione e più in

generale quella del pensare, si rapportano sempre a qualcosa che in

qualche modo c’è o, almeno appare possibile.

Si consideri il caso esemplare della coppia finito-infinito. Se è vero

che la loro contrapposizione permette di intendere il primo come

difettivo rispetto al secondo, non sembra corretto inferire da codesta

differenza logica l’indigenza ontologica dell’uomo. Questa ci è attestata

dall’esperienza esistenziale. Questo realissimo e innegabile voler-

essere-di-più si spiega non soltanto con la presenza dell’idea di

infinito nella mente dell’uomo, ma soprattutto con la sua coscienza della

propria partecipazione all’infinito, quale fonte della possibilità del

superamento del limite.

Al riguardo è particolarmente illuminante il duplice rapporto che l’uomo

ha, e sa di avere, con la natura. Nella propria capacità di pensare,

l’uomo trascende la finitezza naturalistica tanto di sé quanto

dell’universo, li de-finisce quali de-limitati enti particolari rispetto

all’infinito.

La primaria caratteristica ontologica dell’indigenza porta a comprendere

che la struttura dell’esser-uomo non è semplice, ma complessa, duale. Lo

sguardo analitico vi scorge presenti tanto il finito (il contingente, il

particolare, il relativo), quanto l’infinito (l’eterno, l’universale,

l’assoluto).

Questa dualità sintetica è stata espressa nei termini di unione di anima

e corpo, condivi tanto dal sentire comune quanto dalla speculazione

filosofica. Nell’anima viene ravvisata la potenzialità d’infinito

dell’uomo, mentre il corpo ne costituisce il limite finito.

La dualità finito-infinito è previa rispetto a quella di corpo-anima, pur

non negandola affatto. Anche il corpo è traversato dalla dualità. Se esso

è finito nella sua moralità, al tempo stesso è ciò per cui e in cui

sentiamo la vita in generale. Se è de-limitato nella sua individualità

organico-somatica, al tempo stesso stabilisce incontro e transitività con

l’altro da sé e realizza, pertanto, comunicazione. Il suo sviluppo

organico è, insieme, un processo verso la pienezza delle sue potenzialità

di essere e un processo di deterioramento e disfacimento fino alla morte.

Anche il corpo è dunque partecipe, a suo modo, della dualità di finito-

infinito.

Non vi è essenza senza esistenza (Leibniz), né contenuto senza norma

(Wittgenstein), né soma senza psiche (Husserl). Emerge la struttura

ontologica, o natura specifica, dell’ente uomo e quindi di ogni individuo

umano. Essa non è quindi unidimensionale, bensì sintetica unità

relazionale di corpo e psiche, di natura materiale e spirituale, di

permanenza e contingenza, ossia di (propria) natura e storia o cultura.

Questa unità sintetica, raccoglibile nella formula generale di finito-

infinito risulta essere la più convincente determinazione della struttura

relazione del soggetto umano.

Il con-esserci palesa il suo senso autentico: non è soltanto un semplice

esserci-accanto, bensì un più profondo esserci-insieme.

La scissione della relazionale di finito e infinito non solo non rende

ragione di codesto esserci-insieme, ma cade in una duplice fallacia. Da

un lato, la fantastica e fallace infinitezza dell’uomo comporterebbe la

negazione dell’alterità. Dall’altro lato, la chiusura nella esclusiva

finitezza e contingenza delle varie espressioni esistenziali del soggetto

lo renderebbe incomunicabile e incomprensibile all’altro. L&rsquo

Dettagli
A.A. 2013-2014
29 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher esco.montanaro di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del Diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Incampo Antonio.