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UGUAGLIANZA NEL MONDO ANTICO

Rispetto al termine “uguaglianza” si avverte una ricchezza semantica che proviene dal

passato, già dai tempi della tradizione filosofica Greca: sia Platone, che Aristotele avevano

affermato tale concetto in relazione a quello di giustizia.

Per Platone, quello della giustizia è un problema di conformità alla legge, che prescrive di

comportarsi secondo virtù, che vuole “armonia tra le diverse componenti dell’animo umano”.

Da ciò si capisce che la giustizia non è altro che un equilibrio tra le componenti umane di

saggezza, coraggio e temperanza: l’uomo “giusto” è quello che riesce ad integrarle. Nella

“Repubblica”, poi, relaziona la giustizia alla politica, e la configura come l’armonia tra le parti

di un ordine politico.

Socrate, invece, colloca la giustizia all’interno della polis ideale, e prevede che all’interno di

essa ogni gruppo sociale abbia una funzione specifica (saggi, guerrieri, agricoltori) e che ad

ognuno di essi appartenesse una particolare forma di vita (mente, politica, lavoro).

Da ciò si capisce che, nel modello antico, la legge ha il compito di ristabilire un ordine

necessario delle differenze ontologiche, cioè connaturate nell’essere, e si configura quindi

come un’ uguaglianza tra pari.

Aristotele riprende il problema dell’uguaglianza rispetto alla giustizia e sembra poggiarsi

sull’idea di Platone e dell’equilibrio delle virtù, ma se per Platone la giustizia indica un

comportamento in se, nella misura in cui il soggetto compie un’ azione giusta per se, per

Aristotele la giustizia si ha solo in relazione agli altri ed è quindi un criterio regolativo

intersoggettivo. Egli distingue due criteri di uguaglianza:

Distributiva, che è un criterio geometrico secondo cui gli uguali vengono trattati in

1) modo uguale, i diseguali in modo disuguale (in una democrazia, in cui il criterio è dato

dalla libertà, le cariche pubbliche devono essere distribuite tra i cittadini liberi; in un’

aristocrazia in base al valore di essi);

Commutativa, che è un criterio aritmetico secondo cui è necessario distribuire in

2) modo uguale tra tutti. Essa riguarda i rapporti sinallagmatici (corrispettivi), ovvero quelli

che nascono in ambiti commerciali o da atti illeciti (nella misura in cui è necessario che

io abbia una pena in relazione al danno che ho causato).

Generalizzando, possiamo dire che nel modello antico vi sono delle differenze: la

disuguaglianza esiste ed è già data: rispetto ad essa, la politica deve valorizzare le

differenze e non semplicemente eliminarle, in quanto l’ordine politico stesso su basa sulla

disuguaglianza. In questo quadro, il diritto ha il compito di stabilizzare tali differenze. Questo

modello va in crisi alla fine del III secolo a.C. con l’avvento di Stoicismo ed Epicureismo e,

soprattutto, con il Cristianesimo.

UGUAGLIANZA COL CRISTIANESIMO E LA RIFORMA PROTESTANTE

Col Cristianesimo si pensa l’uguaglianza non in rapporto alle differenze naturali (com’era nel

mondo antico), ma in relazione al fatto che tutti gli uomini, essendo stati creati da Dio, nascono

uguali e le eventuali differenze si producono soltanto nella società.

Il Cristianesimo, dal punto di vista della struttura sociale, lascia invariata la struttura gerarchica

che caratterizzò la stratificazione: il movimento religioso, da un lato si basa sull’uguaglianza

all’interno di un piano teologico ma, dall’altro, giustifica la disuguaglianza sul piano sociale.

La riforma protestante rompe questo modello ed afferma l’individualismo, ovvero la

presenza dell’intera umanità in ogni singolo individuo.

UGUAGLIANZA E COSTITUZIONE

Ciò che è nuovo, nell’età moderna, è la generalizzazione giuridica del principio di

uguaglianza: in tltri termini, la distinzione uguaglianza/disuguaglianza diventa totalizzante, il

principio trova la sua legittima collocazione nelle costituzioni.

Tale identificazione la si ha anche nella Dichiarazione del 1789, dove nel cittadino vi è l’intera

umanità ed egli, in quanto appartenente al genere umano, è titolare di diritti. Tale concetto,

tuttavia, non è approfondito a sufficienza, poiché per tutto l’ ‘800 si costruisce sul concetto di

Stato-Nazione e solo avvicinandosi alla crisi di questo modello emerge il paradosso che lo

costituisce: per i non-cittadini i diritti “dell’uomo” vengono meno (ed è il caso, ad esempio, dei

profughi). Di fronte a questo panorama, Hannah Arendt, sostiene che un profugo non può

fare riferimento a nessuno, ed esso si trova in una situazione peggiore a quella di un criminale

che, essendo un cittadino, può sempre appellarsi al diritto. È solo dopo l’olocausto, quindi, che

si ha un’ universalizzazione dei diritti che, una volta riconosciuti, possono essere persino

invocati contro lo Stato.

L’uguaglianza nella politica è un concetto ideologico, che può essere attuato come

strumento di lotta (è così durante la rivoluzione francese, fu ripreso dalle donne, dai neri

d’America ecc.)

L’uguaglianza giuridica, quand’è costituzionalizzata, permette di chiudere il sistema del diritto

differenziandolo da quello della politica, in modo tale che il sistema sia aperto verso

l’esterno, accetti cioè la possibilità di trasformazione, ma chiuso verso l’interno, nella

misura in cui le condizioni del suo mutamento debbano essere necessariamente decise dal

sistema stesso.

Quando si parla di “modello giuridici dell’uguaglianza”, si fa riferimento a due principi:

“la legge è uguale per tutti”, ovvero il giudice, quando decide, non può esercitare

1) delle differenze e sentenziare in modo autonomo dalla legge. Egli, insomma, non può

introdurre differenze diverse da quelle espresse nelle norme del diritto.

“tutti sono uguali di fronte alla legge”, ovvero sono possibili trattamenti disuguali, a

2) patto che essi siano sufficientemente motivati: il principio non esclude la

disuguaglianza, ma la rende possibile condizionalizzandola. Il criterio della

motivazione sufficiente, quindi, all’interno del sistema giuridico limita la variabilità

tollerabile dal sistema; all’esterno, invece, condiziona il rientro della disuguaglianza nel

sistema solo a requisiti strutturali del sistema stesso. Il diritto, insomma, è il criterio

attraverso il quale il trattamento della disuguaglianza entra all’interno

dell’uguaglianza.

Il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) viene assunto tra i principi fondamentali ( previsti nei

primi 12 articoli della nostra costituzione) dell’ordinamento giuridico e perché, come diceva

Kant, su di esso si deve fondare tutta la legislazione

Il principio di uguaglianza, in definitiva:

Non delinea una società giusta;

- È un presupposto della differenziazione funzionale, in quanto:

- immunizza il diritto rispetto all’ambiente;

a) lo chiude;

b) ne assicurandone il controllo interno della variabilità, fermo restando la sua

c) disponibilità cognitiva.

La forma uguale/disuguale è, come si è visto, totalizzante, ed una volta che si sia tracciata

una distinzione non è più possibile tornare indietro: è solo possibile effettuare operazioni a

partire da una parte della forma o dall’altra.

La forma dell’uguaglianza organizza un consenso sociale apparente: è sufficiente chiedersi

se sia più opportuna l’uguale distribuzione delle risorse pubbliche o la loro disuguale

distribuzione a sostegno dei disuguali, per vedere quanto sia difficile mantenere il consenso

reperito.

EQUITA’ E CORRETTIVI

L’agire razionale dei sistemi sociali funzionalmente differenziati ingrandisce le piccole

differenze iniziali, nel processo detto di “rafforzamento della devianza” (come si può

agevolmente osservare nel sistema dell’economia in relazione alla concessione di credito). Il

meccanismo del rafforzamento può essere interrotto dal diritto mediante l’attivazione di

dispositivi di correzione, ma essi si producono cosi delle disuguaglianze razionali ed i

correttivi proposti funzionano solo attivando ulteriore disuguaglianza all’interno dei sistema

giuridico.

A fronte di ciò è necessario introdurre delle asimmetrie: una di queste è l’equità, che rende

possibile un trattamento deviante del caso. Essa funge da dispositivo di autocorrezione del

diritto, come esso compensa il rafforzamento della devianza prodotto dagli altri sistemi sociali.

È facile capire, quindi, che la forma dell’uguaglianza riesce soltanto ad attivare una continua

protesta della società contro se stessa.

Questa forma, quindi, non ha rilevanza risolutiva rispetto ai problemi della società moderna. Le

alternative offerte dalle operazioni che si possono effettuare attraverso il raccordo con la forma

dell’uguaglianza sono sempre più ridotte. Come già detto, una volta costruita una forma non

si può più tornare indietro: è possibile solo costruire altre forme e predisporsi a modi di

osservazione più ricchi.

12. Roma come memoria dell’evoluzione

Per poter operare, una struttura deve già operare. Essa può “continuarsi” se si produce la

memoria: quella funzione che essa non può osservare se non attraverso le sue operazioni e

che realizza una specie di “riesame di ciò che si produce come operazione”. Tuttavia non

bisogna confondere il ricordo con la memoria: esso è una parte della distinzione con cui

opera la memoria, ed è quella parte che dispone del potere di raccordarsi.. L’altra parte è il

dimenticare. Un osservatore senza memoria non potrebbe operare perché sarebbe privo della

possibilità di raccordare le sue osservazioni.

Anche Roma esisteva già ed aveva la sua memoria, una memoria già all’opera perché la città

potesse riconoscersi come Roma senza confondersi con le sue operazioni. Attraverso la

memoria, la città aggiorna continuamente la propria identità, riproduce la propria differenza.

La differenza rispetto all’ambiente viene costruito mediante due modalità di auto descrizione:

Costruzione di una mitologia dell’origine, che consisterà nel prodursi di Varie

- genealogie dell’origine, costruite in modo che il loro tempo sfoci e sia incluso nel tempo

delle filiazioni: ciò che si costituirà, in questo modo, sarà la continuità del tempo delle

origini col presente. Tale continuità conferisce al presente la sacralità

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A.A. 2013-2014
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SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fra1993-votailprof di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università del Salento o del prof De Giorgi Raffaele.