Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 6
Riassunto esame Filosofia del Diritto, prof. indefinito, libro consigliato La Metafora del Passaggio, Nerhot Pag. 1 Riassunto esame Filosofia del Diritto, prof. indefinito, libro consigliato La Metafora del Passaggio, Nerhot Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 6.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Filosofia del Diritto, prof. indefinito, libro consigliato La Metafora del Passaggio, Nerhot Pag. 6
1 su 6
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

La metafora del passaggio

1. La verità ha un linguaggio?

A partire da Sant'Agostino, si può dire che ogni sapere è rappresentazione in quanto rappresentazione di un non sapere, di un non conosciuto. Ed infatti il non sapere non è estraneo al sapere, ma al contrario è il modo tramite il quale il sapere stesso si edifica.

Di conseguenza la verità non deve essere vista come un ideale verso il quale deve tendere ogni pensiero, ogni riflessione, ma è qualcosa di cui noi tutti siamo prigionieri.

Ma di questa costrizione nei confronti della verità non possiamo dir nulla, è un indicibile.

La questione del metodo nasce quindi proprio in questi termini: ciò tramite cui il pensiero si elabora e pone la questione del vero è una formalizzazione che pensa un indicibile, e senza il quale tale pensiero non sarebbe nulla.

Si può quindi dire che la verità ha un proprio linguaggio? Sicuramente no, perché se le

fossepossibile manifestarsi in una forma particolare, allora non sarebbe pensiero, in quanto formalizzazione di un indicibile, anche perché ciò che si enuncia è il pensabile. Tant’è che se noi prendiamo ad es. la lingua ebraica, vediamo come, per indicare Dio, l’indicibile, si usi una grafia, un insieme di simboli che non hanno un significato, che indica “ciò che non si scrive”. Infatti non bisogna confondere l’indicibile con l’impensabile: dell’impensabile non si dice nulla, mentre l’indicibile è ciò che suscita i nostri modi di pensare, i quali vanno a configurarsi come la delucidazione di ciò che è misterioso.

Che cos’è dunque questo sapere, il nostro sapere, che recepisce il falso? Innanzitutto bisogna tener conto che il falso non è il nemico del vero, ma il suo testimone. Il falso non può che accompagnare un pensiero, non può non essere il

Compagno di viaggio di un pensiero dal momento in cui quest'ultimo è il pensare di un indicibile. Per questo noi possiamo sempre denunciare il falso, laddove il falso si nutre della distinzione metodologica tra indicibile e pensabile, mentre ci è molto più difficile accedere al vero della verità di un enunciato. Non si deve dimenticare che, tra l'altro, pensare significa sfuggire ad un pensiero tautologico. Ma allora cosa significa sapere? Imprigionati come siamo dietro le sbarre di una prigione invisibile, la prigione della verità, ci creiamo l'illusione che l'atto di pensare sia la manifestazione, tramite il pensiero, della non costrizione. In quanto liberi, e cioè in condizione di dire il Tutto, crediamo di possedere il linguaggio del tutto, la verità, e cioè di essere in grado di enunciare la totalità, ovvero il senso come pienezza di senso per se stesso.

2. Il dubbio e la certezza.

Si può dire

che si hanno 4 punti di metodo: - sapere - non saputo - dubbio - sapere come ritiro del sé Per quanto riguarda il dubbio, possiamo dire che non c'è alcuna forma di conoscenza che non sia una messa di dubbio, perché ogni esercizio del pensare non si libera mai di quella particolare forma che consiste in una rappresentazione di cui non si dubita. Sapere infatti non consiste, come si potrebbe pensare, all'accesso a qualcosa di estraneo alla conoscenza, dove tale accesso assumerebbe la forma del dubbio, ma sarebbe il potere di dubitare di se stesso, e anche di contestarsi ciò che precisamente lo costituirebbe come sapere, cioè il potere di uscire da sé per installarsi nel dubbio. In realtà il dubbio appartiene alla certezza, e infatti non deve essere visto come nemico del sapere, ma va pensato come la sua speranza. Tale questione di metodo, testimoniata dal pensiero del dubbio e della certezza, si traspone nelle strutture più

profonde di tutti i nostri ragionamenti e dei nostri modi di rappresentazione. La questione del dubbio e della certezza viene quindi tradotta dal nostro modo di pensare il tempo: tramite il tempo infatti noi enunciamo con tutta certezza ciò di cui pretendiamo dubitare, e questo pensiero del dubbio non vuol dire finzione, ma è il ripercorrere queste vie lungo le quali i nostri atti cognitivi traducono autentiche manifestazioni del pensiero razionale. Ciò che noi affermiamo in nome del sapere è infatti e sempre l'affermazione di una certezza, l'espressione di una certezza che implica la sua messa in dubbio, a partire da una formalizzazione del tempo.

3. il senso in quanto esclusione del tempo p.13

Possiamo dire che con il termine "ermeneutica" si indica uno scritto che si manifesta come testimonianza del senso, e quindi si indica il pensare una temporalità del tempo. Corrisponde quindi a questo ieri che la mente raggiunge tramite un

viaggio nel tempo. Ma è cmq strano concepire il senso di tutto questo come accesso ad un passato, ancora tuttavia completamente presente, come attestazione di un passato, la cui natura, la cui particolarità consiste nella negazione stessa del suo carattere di passato. Ma ancora più strano è il fatto che tutto ciò che serve a declinare ciò che è un "testo", cioè l'attestazione di una verità perché pensiero fuori dal tempo, non temporalità, ciò che rimane in un "presente a-temporale": la testimonianza di un passato. Se la questione del senso si presenta tramite una temporalità del tempo, ciò è dovuto al nostro modo di rappresentarci cosa vuol dire pensare: il non conosciuto è rappresentato come l'assente, un'assenza che equivale ad una temporalità, cioè un sapere che si afferma come tale "nel" tempo. Comprendiamoallora come mai tutto sia "storia", "archeologia",... cioè visioni del tempo che si rappresentano come tempo, i "passati". L'assenza, così concepita, infatti sarebbe un'assenza che potrebbe accedere al senso, cioè alla presenza tramite il tempo, il pensiero del tempo rappresentando la sola interrogazione legittima di un enunciato di verità. Il pensiero non è assolutamente il pensare tramite una sfida, pensare non consiste nello sfidare il tempo: ciò che può apparire un semplice problema di buon senso è una concezione del senso totalmente errata. Il nostro modo di pensare consiste nel pensare l'assenza, un'assenza che non è un pensiero del tempo. Si tratta infatti di capire che il senso, lungi dal consistere nell'enunciazione di un "prima" che sarebbe un passato consiste invece in una formalizzazione da cui il tempo è escluso e che testimonia.

Del noi, dell'oggi. Il non conosciuto non è un tempo, il ieri, o il domani, ma è la testimonianza di un oggi che appartiene all'ordine dell'indicibile.

4. Il fenomeno come presenza dell'assenza p.29

La struttura che il nostro pensiero testimonia riguarda il pensiero metafisico. Grazie a quale fenomeno noi vediamo la verità delle cose? Pensare è formalizzare l'"ora" come un dicibile grazie al quale solo vi è l'atto del pensare.

Pensare questo problema consiste dunque nell'interrogare il "presente" del senso, e cioè la forma tramite la quale si manifesta e attesta la verità del mondo. Se il problema del senso prende la forma di un "ora, adesso" che non può in alcun modo tradurre un pura rapporto a sé, allora bisogna forza pensare quell'ora come una manifestazione di ciò che è tramite ciò che non è, come presenza dell'assenza.

Si tratta allora di pensare il problema del senso come il problema di un "presente" di un'assenza. E infatti i relativismi testimoniano una gigantesca ingenuità, quando indicano il tempo come un "oggi", perché l'"oggi" non è un infinito dicibile, ma un impossibile "ora" del tempo. Il senso sarebbe allora la semplice manifestazione di ciò che viene autorizzato a pretendere di testimoniare il senso, cioè non potrebbe che tradurre l'assenza di ogni formalizzazione attraverso la quale il senso si rappresenterebbe, sarebbe espressione di pura forza; il senso sarebbe senso per assenza di referente, ma questo è paradossale, perché significherebbe confondere una verità a cui tuttavia si appartiene e che si enuncia come pensiero di un indicibile, con una verità che sarebbe il pensiero del Tutto, verità impossibile, perché enunciato impossibile. I relativismiconfondono quindi nella questione del metodo, ciò che è dell'ordine del pensabile e ciò che è dell'ordine dell'indicibile. L'oggi è pensiero di verità, ma come una manifestazione del pensiero metafisico. Ciò si traduce negli enunciati dello storico che sono essenzialmente identitati, sono infatti discorsi sul "sé", sulla ricerca di quel sé che l'"ieri" risolverebbe. Tali enunciati sono pensieri sempre necessariamente ricominciati, non per effetto del tempo grazie al quale le cose andrebbero verso un costante "meglio" ma, più profondamente e più seriamente, perché quel "sé" viene sempre inventato e reinventato. La struttura universale del pensare prima-dopo che dispone il nostro modo di pensare compone così il senso sul fondamento metafisico della presenza dell'assenza. Il "presente" è testimonianza di

ciò che presente non è, in altri termini non risulta dalla sola forma di un "essere" che, di conseguenza, manifesterebbe un modellamento di un "a sé".

5. lettura di Sant'Agostino come ermeneutica strutturale p.35

La nostra lettura di Sant'Agostino è essenzialmente un lavoro che formula il problema del senso come un enunciato di verità. Questo lavoro non è la traduzione di un libero arbitrio concepito come lavoro su un materiale, il linguaggio, trasformato in strumento e che quindi testimonierebbe solo questa strumentalità. Una lettura non è mai la traduzione di un soggetto che si eleva a "soggetto" grazie a, tramite, quell'atto di traduzione. Una lettura è sempre un atto del pensare con cui la verità si enuncia. Se tutto oggi sembra doversi esprimere, necessariamente e fatalmente, come una verità introvabile, non è perché il nostro pensiero sarebbe

disarmato di fronte al problema tanto gravoso della verità, ma perché noi vogliamo sempre concepire il senso come il pensiero di un "a sé", del solo "a sé".

Dettagli
Publisher
A.A. 2010-2011
6 pagine
3 download
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Moses di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze giuridiche Prof.