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Il ruolo del diritto nella creazione di significato oggettivo
In questo modo il momento creativo della posizione delle norme finisce col perdere rilevanza. Il diritto è l'attribuzione a degli atti sociali di un significato oggettivo che li connette a una valutazione pubblicamente sanzionabile. L'oggetto della conoscenza giuridica non sono gli atti in quanto tali, l'unico oggetto possibile del diritto è il significato oggettivo che viene ad aggiungersi agli atti sociali costituendone la rilevanza giuridica, e questo significato giuridico è posto dall'ordinamento in quanto istituzione storico-sociale di norme.
Perché si abbia interpretazione è necessario che ci sia qualcosa da interpretare, è necessario che esista un tessuto di significati, valori e norme su cui va esercitata l'attività dell'interprete. È illusorio credere che la produzione delle norme sia la risposta a domande o pretese di giustizia che l'interprete dovrebbe essere in grado di rivivere e attualizzare.
Procurandosi ad esse un accesso diretto, a prescindere dallamediazione della norma fissata nel testo. In realtà neanche il testo, neanche il suo autore e nel caso delle norme neanche il legislatore hanno accesso diretto a qualche realtà originaria fornita di un contenuto normativo universale di cui ci si dovrebbe limitare a registrare e amplificare il senso preliminare, il messaggio immediato, le indicazioni cogenti. L’interprete non può avere accesso diretto alla manipolazione delle regole. L'accordo è più originario del disaccordo, tanto che il comprendere risfocia sempre nell'accordo ristabilito. L'armonia dell'accordo originario non è data all'inizio ma può ricostituire la meta data dallaricordare ermeneutico. Il ricordo dell'origine è reso possibile dall'intrinseca unità dell'accordo e mira a ritrovarla.
Capitolo 5. la parabola dell’ermeneutica giuridica e l’inedita
sovrapposizione di legislazione e interpretazione. Il paradigma ermeneutico tende a confondere il piano della legislazione dal piano dell'interpretazione, dando il primato all'interpretazione. Emilio Betti, invece con la sua teoria dell'interpretazione metodica, esprime un concetto diverso; quella di Betti è una concezione metodica e oggettiva dell'interpretazione, secondo la quale il compito di quest'ultima è quello di ritrovare l'accesso al senso originario della norma. Per Betti i significati o i valori ideali che sono l'ossatura delle forme rappresentative non sono un effetto dell'attività interpretativa, bensì un suo presupposto oggettivo. La posizione di Betti culmina nell'affermazione dell'originaria e insuperabile aderenza di un testo al suo contesto, all'interno del quale, grazie all'interpretazione metodica, è possibile cogliere il suo senso originario. Betti, però, incappa inun limite: il suo canone oggettivistico presuppone che le forme rappresentative che sioffrono all'interpretazione e che vi fanno appello, siano oggettivazioni di uno spirito che deve essereinterpretato e compreso senza nessuna arbitraria coloritura soggettiva. Il processo di oggettivazione sisvolge pertanto fuori dal contesto storico-sociale. Invece, in realtà, l'oggetto dell'oggettivazione nonpuò che essere già istituito, già forgiato dal linguaggio, dalla società, dalla cultura, c'è infatti unadimensione storico-sociale ineliminabile che precede l'oggettivazione di Betti e permea di sé tutte lerelazioni pre-giuridiche.Non è quindi l'interpretazione metodica di Betti che viene fatta propria dall'ermeneutica giuridica a luisuccessiva la quale, in un contesto sicuramente più filosofico, riconosce all'interpretazione un ruolocreativo. In questo contesto pertanto, interprete non silimita a recepire il senso della norma ma glielo conferisce.
Interpretazione e legislazione
La svolta ermeneutica nella giurisprudenza ha delle ripercussioni dirette su uno dei capisaldi della tradizionale teoria dell'interpretazione giuridica che, tenendo ben distinti il momento della produzione legislativa da quello della sua applicazione, rifletteva e garantiva non solo la distribuzione tra politiche e diritto, ma al tempo stesso l'equilibrio tra il potere legislativo e il potere giudiziario.
Il diritto fa vivere le leggi e le attualizza nella vita quotidiana, ma in ogni caso si trova in posizione subordinata rispetto al potere sovrano che le istituisce. Nel Leviatano di Hobbes, il sovrano cioè, il legislatore, a sua volta non è sottoposto alle leggi. Nell'era moderna la reciproca limitazione di potere e diritto è uno dei principali generatori della democrazia moderna. Con la separazione di interpretazione e legislazione si ha infatti la separazione del
Potere legislativo dal potere giudiziario. Non è, quindi, in alcun modo possibile superare la spaccatura o divaricazione tra interpretazione e creazione, in quanto ognuna di esse allude a una dimensione specifica del significato e dunque del valore e della norma. In nessun caso il processo ontologico della creazione e quello epistemologico dell'interpretazione possono confondersi.
Ma la svolta ermeneutica confonde i piani fino a dare il primato all'interpretazione; il paradigma ermeneutico, infatti, non solo riconosce un ruolo creativo al giudice come interprete delle norma ma addirittura considera le norme che devono essere interpretate come, a loro volta, interpretazione di un senso istituente (il senso del giusto di Viola e Zaccaria). Mettendo in discussione il processo di positivizzazione e quindi l'autonomia del diritto moderno, l'ermeneutica giuridica ricorre ad un alterità extra-positiva. Tale alterità extra positiva, pertanto, non si configura.
Come nella filosofia del diritto naturale, in una legge naturale universale inadattabile al caso concreto, ma in "senso del giusto" a cui sia l'interprete che il legislatore accedono direttamente e dal quale traggono le basi per la loro interpretazione creativa. Quindi, tanto i legislatori quanto i giudici producono diritto all'interno di un processo ermeneutico di tipo circolare: alla sua base c'è l'immediata adesione a un certo senso del giusto.
L'ermeneutica si propone di aprire la chiusura del sistema, rispetto al suo ambiente, dimenticando che questa chiusura non è un dato naturale, ma un'operazione funzionale con cui il sistema riduce la complessità dello stesso ambiente. Se l'ermeneutica giuridica realizzasse il suo intento, "l'accesso immediato al senso del giusto", verrebbero meno le condizioni che tengono in vita il diritto come sfera sociale autonoma e separata.
Teoria dell'interpretazione
Nella sua teoria, Giovanni Tarello sviluppa una concezione coerente dell'interpretazione giuridica non come attività conoscitiva ma come attività produttrice di norme. Per Tarello, la norma non ha significato in quanto è essa stessa un significato. La norma, in pratica, è il prodotto di un processo interpretativo che non interpreta già norme, bensì enunciati di lingua, documenti di legge, significati che grazie a tale interpretazione diventano norme. Pertanto, sia nell'interpretazione analitico-realistica che in quella ermeneutica, è dall'attività soggettiva dell'interprete che scaturisce il significato della norma, ma in quest'ultima l'interprete ha un ruolo di conoscitore della norma (mera attività conoscitiva), mentre nell'interpretazione analitico-realistica l'interprete è un creatore di norme. Di tale avviso è anche Guastini, di stampo neoscettico.
che considera la norma come il prodotto di un processo di interpretazione di disposizioni normative. Egli, inoltre ci dice che tra questi due elementi, disposizione e norma, non c'è dialettica ma una rigida barra. In questo modo Guastini vuole creare una definizione di norma; ma in realtà egli ci presenta una qualcosa di parziale che si autorappresenta come totale. La sua definizione di norma non fa altro che rispecchiare i guasti della nostra organizzazione giuridica, con l'accresciuto potere in mano ai giudici e una norma debole che viene interpretata in base al caso concreto. Guastini in realtà volendo evitare una deriva arbitraria e soggettivistica (tutta in mano ai giudici) precisa che è vero che i testi giuridici non hanno mai un significato univoco e si prestano sempre a varie interpretazioni, ma tali testi costituiscono sempre un vincolo per il giudice, anche se di un vincolo debole si tratta. Ma qui Guastini sbaglia di nuovo. Infatti comeCritica Becchi o egli è disposto ad ammettere che il significato delle norme non dipende esclusivamente dall'interpretazione e l'interprete è vincolato nella sua attività, e allora deve rivedere il suo punto di partenza perché in questo caso non è sostenibile che le norme hanno significato solo dopo l'interpretazione, oppure resta fermo sulle sue posizioni e ammette che le norme nascono solo dall'interpretazione e che pertanto sono solo gli interpreti a crearle.
Interpretazione e applicazione. C'è un altro aspetto della critica di Becchi a Guastini che bisogna rilevare. Becchi sottolinea che manca a Guastini un'attenzione all'autonomia del momento applicativo. L'applicazione appare soltanto come un momento subordinato dell'interpretazione; si può applicare solo dopo che si è interpretato. Secondo Becchi, invece, per applicazione si intende qualcosa di più complesso e importante:
applicazione significa anche costruzione giuridica del fatto. Si applica infatti una determinata norma in base alla selezione dei fatti che si è effettuata e quindi si crea. Applicare una norma non significa soltanto scegliere quella che più si adatta al caso concreto, attraverso la selezione dei tanti elementi rilevanti che il caso concreto offre, l'applicazione diventa anch'essa un momento di creazione giuridica importante. Ciò invece non avviene sia nell'ermeneutica giuridica di Viola e Zaccaria per i quali interpretazione e applicazione coincidono con la creazione della norma che nel diritto mite di Zagrebelsky che subordina l'interpretazione all'applicazione.
Nichilismo e retorica. Come abbiamo già detto l'ermeneutica giuridica si rifà ad un senso comune originario, trascendente al quale l'individuo interprete attinge direttamente. Ora però chi ci garantisce che tale senso a cui non accede solamente il
giurista interprete ma ciascun utente riguardi il diritto. Rispondere a tale domanda risulta complicato. Infatti se è vero che l'ermeneutica giuridica di Viola e Zaccaria contesta il carattere positivo del diritto, istituito da un sistema