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La distinzione tra regole e principi
La distinzione tra regole e principi ha dato luogo, da un lato, alla tesi che sostiene che i principi sono tipi di norme che hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto alle regole, dall'altro, a quella che mette in discussione tale differenza strutturale e assegna alla distinzione tra principi e regole una semplice dimensione interpretativa. Queste posizioni sono caratterizzate come tesi della separazione forte e debole.
4) I limiti del positivismo
L'affermazione del costituzionalismo e la nuova struttura giuridica dei sistemi costituzionali hanno condotto alla critica al positivismo giuridico quale dottrina capace di dare conto di queste trasformazioni. Si tratta di una critica che si sviluppa a livelli diversi e ha di mira prevalentemente la versione Hartiana del positivismo e i suoi sviluppi, in particolare con Raz. I limiti che vengono evidenziati riguardano principalmente la tesi della separazione tra diritto e morale e i presupposti che la sostanziano. Viene criticato,
infatti, sia il concetto di diritto, sia la sua dimensione metodologica, cioè la tesi per cui il compito del giurista è quello di descrivere il diritto a prescindere dai giudizi di valore. In chiave preliminare, va notato che la riflessione positivistica ha mostrato scarsa attenzione per il problema dell'analisi della costituzione. Essa ha, infatti, costruito una visione del diritto basata sul ruolo centrale della legge, idea che emerge in relazione alla visione della costituzione quale norma primariamente procedurale. Il positivismo considera la costituzione quale semplice strumento di organizzazione delle competenze, una norma che conferisce poteri a persone autorizzate in un dato momento a legiferare seguendo un certo procedimento. La critica alla tesi della separazione tra diritto e morale si è sviluppata sulla base di posizioni diverse che vanno dalla necessità di integrare il positivismo a quelle che propongono il suo superamento. Tutti questiApprocciappaiono condividere la critica ad un pilastro del positivismo, quello per cui il diritto è individuabile e conoscibile in modo oggettivo ed avalutativo. Secondo i positivisti, infatti, il diritto è un insieme finito e individuabile in modo abbastanza univoco attraverso un criterio che ne fissa le condizioni necessarie e sufficienti di identità. Questo criterio è la norma di riconoscimento (Hart): grazie a questa è possibile identificare i criteri di validità del diritto, cioè la definizione del diritto e le condizioni di verità delle proposizioni giuridiche. L'esistenza e la configurazione del diritto sono perciò riducibili a una serie di decisioni giuridiche, legislative o giudiziali: il diritto è visto come insieme di norme esistenti in quanto poste dal legislatore o dai giudici. In questa visione, l'identificazione di cosa è diritto dipende dalla validità formale delle norme.
cioè dalla loro conformità procedurale a norme superiori. Le singole proposizione giuridiche sono vere o false se riconducibili a queste norme che rappresentano le fonti di validità accettate dal sistema giuridico. Il contenuto del precetto, di conseguenza, diviene irrilevante essendo il diritto individuato in base alla sua dimensione statuente. Il compito del giurista è quindi quello della descrizione della realtà giuridica a prescindere dalla rilevanza dei punti di vista valutativi e morali.
La concezione del diritto come dato di fatto ha una duplice visione dell'attività interpretativa: da un lato, quella relativa ai casi chiari o normali, in cui il compito dell'interprete è quello della sussunzione del caso alla norma e, dall'altro lato, rispetto ai casi dubbi, il giudice deve decidere sulla base di criteri non giuridici o extra-giuridici.
Nel primo caso l'interpretazione è volta alla ricerca del
significato precostituito contenuto nelle norme, nel secondo, il giudice ha piena discrezionalità di decisione, creando nuovo diritto. Queste assunzioni determinano la tesi della separazione tra diritto e morale, cioè una visione del diritto basata sull'irrilevanza del rapporto tra norme e loro dimensione contenutistica. Individuare il diritto significa quindi separarlo dagli altri ambiti della vita sociale e in particolare dalla morale. L'inclusione dei principi costituzionali comporta una apertura del diritto a criteri etico-morali sia al livello delle fonti, sia per quanto riguarda la sua dimensione interpretativa e applicativa. La presenza dei principi ha la finalità della tutela di diritti individuali e sociali caratterizzati dalla loro dimensione contenutistica, dalla loro apertura e dalla necessità, nel processo di applicazione, di prese di posizione valutative. Ciò comporta, in primo luogo, che la validità della norma.sarà dipendente non solo dalla validità formale, ma anche dalla conformità contenutistica rispetto alle disposizioni di principio e, in secondo luogo, che l'attività di concretizzazione dei principi conduca anche alla formulazione di principi impliciti o inespressi che spesso conducono alla costruzione di nuovi principi. A partire da questi punti, si sono sviluppate diverse proposte di integrazione o di superamento del positivismo. Il positivismo inclusivo ha proposto la revisione dell'idea di norma di riconoscimento e l'inclusione al suo interno di criteri di natura etico-morale. Una riconsiderazione che è al centro anche del giuspositivismo critico di Ferrajoli. Alla necessità di una giustificazione etico-morale rinvia, poi, la teoria del diritto di Habermas, che la sviluppa all'interno di una fondazione discorsiva. Infine, le teorie costituzionalistiche o neocostituzionalistiche, propongono la tesi della connessione.La necessità di superare l'idea di norma di riconoscimento hartiana è sostenuta da coloro che vedono una connessione indispensabile tra diritto e morale. Questi sostengono che la norma di riconoscimento riduce il problema dell'obbligatorietà del diritto a quello della sua efficacia sociale.