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APORIA DELL'INDIVIDUALISMO
Individualismo è la tesi secondo cui l'individuo trova la propria ragione d'essere in se stesso. Da a
se il valore dell'essere e dell'agire. L'individuo ha come misura solo se stesso. L'individuo esclude la
relazione.
Aporia: strada senza uscita. Una situazione nella quale una teoria inciampa su stessa. Facendo
leva sulle proprie premesse si rileva da se incapace di risolvere il problema se non negando se
stessa. La sua affermazione dipende dalla sua negazione e viene riconosciuta invalida
Nella prospettiva individualistica l'individuo ha solo desideri e potere. L'individuo davanti a se ha
strumenti per attuare il volere ed ostacoli per ottenerlo. Cerca di trasformare nell'incontro con se tutto
in strumento e via d'attuazione del proprio volere e quindi del proprio volere.
Tutto il resto e gli altri non esistono. Hanno l'esistenza che si da in funzione di ciò che l'individuo
vuole, di ciò che mira ad attuare. Gli altri non esistono da punto di vista dell'individuo. L'individuo
esclude che chiunque altro sia simile a se, come lui non per somiglianza esterna ma per natura.
Per l'individualismo gli altri non sono propriamente soggetti, ci sarebbe un solo soggetto: l'individuo
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gli altri sono o strumenti od ostacoli. Anche se stesso, cioè l'individuo stesso, diviene strumento.
L'alterità è ridotta a immagine, come prodotto della nostra immaginazione.
L'aporia emerge considerando tutto ciò che è altro dall'individuo come cosa, l'individuo ne viene
dominato. Finiamo per essere schiavi delle cose, quando l'individuo riduce tutto a cose dipende da
esse. La libertà dell'individuo diventa il suo asservimento, la sua negazione. Il potere dell'individuo
diventa la sua schiavitù perchè è un potere che per attuarsi diventa dipendente da ciò che ne
costituisce la via d'attuazione. Nell'attuarsi incontra la realtà. Qualsiasi desiderio per attuarsi non può
fare a meno di conoscere le cose, deve ammettere quello che negava dal punto di vista della teoria.
L'aporia si fa strada nell'affermarsi dell'individualismo. Si realizza questa sorta di capovolgimento
della tesi: la tesi per affermarsi si contraddice.
Il potere più grande che l'individuo ha è un potere autofagico, cioè di divorare se stesso.
2. Diritto, ordinamento, legge, norme:
In che rapporto stanno?
Prospettiva positivistica: il diritto è solo quello posto. Il diritto consiste nell'ordinamento che
• consiste nelle leggi le quali consistono nelle norme. Il diritto è un risultato di qualcosa di posto, di
qualcosa di effettivo, che ha valore perchè vigenza cioè perchè produce effetti. Il diritto è un
effetto che produce effetti. È un effetto del volere in atto del legislatore, cioè di chi ha il potere di
dettare le norme le quali in quanto effettive sono in grado di produrre effetti cioè di fare in modo
che certi comportamenti siano tali quali la norma richiede.
In questa prospettiva la coattività diviene elemento distintivo della norma.
Non è la condizione dell'ordinamento ma il risultato dell'ordinamento stesso. Che cosa può
esserne ricavato?
1. Il diritto non avrebbe un suo contenuto proprio, piuttosto il diritto dovrebbe accogliere
qualsiasi contenuto. Deve per forza accogliere il contenuto voluto dal legislatore.
È diritto quello che è posto come tale dal legislatore, è la sua volontà a decidere cosa è
giusto e cosa non lo è. Il giusto sarebbe una variabile del potere, un suo risultato; il potere
sotto il profilo procedurale ha la forza di imporre come legge il proprio volere-potere.
2. Il diritto si riduce al risultato del potere ma è vuoto di contenuto, consiste nell'effettività di un
potere.
3. Il diritto costituisce una parola che può essere riempita di diversi contenuti
Il diritto non presuppone nulla solo il volere di chi impone la legge. Se la norma posa solamente
sul volere potere del legislatore non si trova risposta al quesito “Perchè imporre una determinata
legge? Perchè obbedirvi? Perchè dissentirvi?” l'identificazione tra la volontà del legislatore e chi
riceve la legge. Si presupporrebbe una totale disponibilità del proprio essere ridotto al proprio
volere. Se la legge non è altro che ciascuno vuole sarebbe essa stessa inutile perchè già voluta.
Se il diritto si identifica con la legge e questa con la norma rimangono senza risposta molte
domande sull'ordinamento in generale.
La legge in questa visione è dipendente dal volere del legislatore e per questo è mutevole,
provvisoria e può manifestare una incoerenza. La legge ha un carattere funzionale operativo,
cioè di ottenere un certo risultato e non indicare ciò che è giusto. Quale risultato? Quello che
vuole ottenere il legislatore. Questa norma può porre nel nulla diritti precedentemente acquisiti.
Ogni ordinamento in questa prospettiva sarebbe chiuso, deve cercare i caratteri di se medesimo
al proprio interno, ha tutto ciò che occorre, tutto ciò che serve a spiegare la norma e a renderla
operativa.
In questa prospettiva non ci sarebbe propriamente obbedienza ma solamente esecuzione. La
norma andrebbe eseguita meccanicamente in quanto l'obbedienza chiama alla razionalità.
Prospettiva realistica: emerge tanto nel mondo greco sia in quello latino un duplice termine per
• indicare il diritto.
In greco nomos si traduce con legge, deriva da un verbo che significa governare, possedere.
Dikaios indica un persona quanto una condotta può essere giusta, si traduce con il giusto che
rinvia a todikaion che è la cosa giusta. La giustizia come regola è riferita tanto al costume quanto
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alla singola azione e al processo.
Il latino ha due termini lex e ius che sono distinti. Ius è il diritto come la persona e
comportamento giusto, da cui giure, giurisprudenza. Indica tanto il giusto quanto il diritto. Lex
corrisponde a legge. In questa prospettiva lex e ius vanno tenuti distinti ma la lex non è una
legge qualsiasi, la legge è il criterio per riconoscere il giusto, un criterio razionale per distinguere.
Per i medioevali e prima ancora per Aristotele il diritto è innanzitutto ed essenzialmente la cosa
giusta, cioè quello che è giusto. Il dovuto tra quello che spetta e quello che va dato. Il diritto è
determinazione di giustizia.
Per determinare ciò che è giusto bisogna conoscerlo, il diritto quindi è non nel volere ma nella
ragione perchè essa legge nelle cose.
Il diritto è il giusto oggettivo, diritto quello che è giusto. La legge senza diritto, quindi senza
giustizia non è nemmeno legge, è regolata dal diritto.
Durante il XVI-XVII emerge un terzo significato del diritto accanto a lex e ius: facultas, potere di
reclamo. Suarez ha parlato di moralis facultas, il potere giuridico di richiedere ciò che è giusto. Il
potere deriva dal giuridico e non vice versa.
Il diritto è in questa visione nella legge, nel giusto e nella facoltà morale di esigere qualcosa.
Esprienza del Common Law: esperienza del diritto giurisprudenziale, diritto che non fa agio sulla
legge ma sulla ricerca del giusto nel caso concreto. Il diritto emerge come ciò che è riconoscibile
razionalmente da chiunque nel caso concreto.
Il diritto non sta nella norma ma nella sentenza la quale trova il suo criterio nell'accertamento di
ciò che è dovuto in quel determinato caso.
Emerge un duplice carattere del diritto: la validità e la vigenza.
Validità: ha valore. Non significa effettività. È sinonimo di giuridicità. Dov'è il valore del diritto?
Ha il suo fondamento nel valore proprio nel diritto.
Vigenza: la forza del diritto. La vigenza presuppone la validità, deriva dalla validità. Se la
vigenza surroga la validità diventa priva di validità e diventa pura espressione di potere.
Se stiamo alla visione positivistica il diritto tra la validità dalle vigenza, si inverte il rapporto. Una
norma è valida perchè è in vigore.
In una prospettiva realistica è la validità di un certo dato a fondare la vigenza. Ha vigore perchè
valido in se stesso.
In definitiva il diritto classicamente considerato è ciò che è conforme alla giustizia che si
distingue in:
Commutativa: si riferisce alla piena uguaglianza tra ciò che spetta e ciò che è dovuto es. nei
◦ contratti
Distributiva: è la giustizia in virtù della quale chi ha autorità distribuisce oneri o vantaggi
◦ secondo le capacità e i meriti di ciascuno
Legale: l'autorità che ha facoltà di dare legge esige dai singoli membri ciò che è necessario
◦ per il bene comune
Il diritto è relazionale, cioè individua ciò che è giusto nella relazione tra il mio e il tuo. Il diritto
realizza una certa uguaglianza proporzionale che trova il proprio fondamento nel dovuto.
Il diritto ha una struttura ilemorfica ( linguaggio aristotelico ), cioè l'essenza del diritto ha una forma
ed una materia. La forma è ciò che è essenziale, il principio, è qualcosa di interno; la forma del diritto
è la razionalità, il criterio del dovuto per se stesso. Il criterio del dovuto si riferisce sempre ad un a
certa determinata cosa, cioè la materia in senso filosofico. La materia è ciò che in quanto è
indeterminato può essere determinato dalla forma. Il diritto è sempre per se universale perchè è
universale l'istanza del dovuto e particolare perchè l'istanza è ciò per cui è dovuta una certa cosa.
I caratteri distintivi del diritto considerato realisticamente, per se stesso:
Razionalità: può essere intesa in vario modo:
• Classicamente: come intelligenza della natura delle cose e quindi come capacità discorsiva
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a partire dall'intelligenza delle cose e dei principi.
Strumentale: ( non la spiega )
◦ Totalizzante: conoscenza del tutto dal punto di vista del tutto dovuta al tutto nel suo
◦ svolgersi.
In genere ci si riferisce al significato comune ossia quello classico, sta per intelligenza e
intelligibilità. Il diritto è razionale in quanto presuppone la razionalità, l'intelligenza del vero cioè
la conoscenza delle cose. Il diritto fa agio sulla ragione, presuppone che si conoscano le cose,
l diritto è razionale in quanto dispone ciò che è dovuto perchè è dovuto, cioè