Filosofia del diritto
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alle leggi delle città quando abbiamo testimoni e quindi possiamo temenere che danna
denuncia dei testimoni possiamo subire danni, ma quando siamo certi che disubbidiendo
alle leggi non andiamo incontro a conseguenze perchè non abbiamo testimoni, non c'è
nessun problema, anzi non è neanche ingiusto il nostro comportamento seppur contrario
alle leggi. E' proprio questo che Glaucone vuole dimostrare con il suo primo racconto
dell'anello di Gige: Gige è un pastore che in seguito a un terremoto trova in una frattura del
terreno un anello e, mettendolo al dito e girando durante una riunione con altri pastori, si
accorge di essere diventato invisibile. Grazie a questa invisibilità, comincia a fare una serie
di cose che non avrebbe fatto se non fosse stato invisbile, tra cui arriva anche a
impossessarsi del regno, a sedurre la moglie del Re e a diventare re a sua volta (grazie
all'invisibilità) → morale: noi siamo tutti potenziali Gige perhcè tutte le volte che possiamo
diventare invisibili, in realtà ne approfittiamo, quindi non seguiamo la legge per amore
della legge, ma la seguiamo solo perchè abbiamo paura delle conseguenze e se possiamo
sottrarsi alle conseguenze negative non seguiamo le leggi. E' un'ideologia della legge e
dell'ubbidienza alla legge particolare che conosciamo molto bene e che si ritroverà in
Machiavelli ( dà suggerimenti ai governanti sul modo in cui devono essre fatte le leggi che
derivano proprio da questa idea, cioè che le leggi hanno un valore prescritto solo quando ci
sia una spada che punisce dove non ci si conforma alla legge) che lega il valore prescrittivo
delle norme alle loro conseguenze sul piano della sanzione.
2° ragionamento/raffigurazione/obiezione di, che è quella definitiva:
• Socrate insiste con l'idea della giustizia come virtù che si ama per e stessa → Glaucone
risponde presentando un'altra immagine che fa emergere l'alternativa radicale tra i due modi
di concepire la giustizia; Gluacone risponde a Socrate (che insiste sul valore in sé della
giustizia, che l'uomo ama la giustizia per sé stessa) chiedendo chi tra i seguenti 2 soggetti è
felice:
uomo ingiusto che viola leggi perseguendo il proprio utile ma che è così bravo nella sua
◦ ingiustizia da essere agli occhi degli altri perfettamente un uomo giusto, amato da tutti,
riverito =personificazione dell'estrema ingiustizia (uomo ingiusto considerato giusto
dagli altri)
uomo che è amante della giustizia, segue sempre la legge, rispetta sempre gli altri senza
◦ sopraffare gli altri, anzi tra commettere e subire ingiustizia preferisce subirla che
commetterla e viene riconosciuto giusto dagli altri.
→ Non basta però dire questo perchè se viene riconosciuto come giusto dagli altri,
possiamo avere sempre il sospetto che lui sia giusto, rispetti la legge per essere
stimato come uomo giusto. Quindi uomo giusto, ma giusto davvero, che viene
riconosciuto come giusto dagli altri non è ancora l'immagine della perfetta giustizia
perchè possiamo sempre sospettare che si comporti giustamente solo per avere
prestigio. Se davvero vogliamo incontrare la giustizia perfetta, la possiamo trovare
solo dove l'essere perfettamente giusto viene considerato ingiusto dagli altri =
perfezione della giustizia (uomo giusto considerato malfattore, uomo indegno a cui
vengono rivolte una serie di cose da cui discende la considerazione negativa degli
altri).
Vedi testo di Glaucone (2 libro della Repubblica): perfezione della giustizia = uomo giusto ucciso
dagli altri come uomo ingiusto. Se vogliamo che la giustizia sia da sola, non si accompagni al
benessere, all'utilità, prestigio e tutto ciò che possiamo immaginare come risultati della giustizia,
dobbiamo immaginare questo tipo di uomo.
Glaucone dice che un uomo a cui si chiederà di andare incontro a queste conseguenze, riconoscerà
che si deve volere non essere giusto, ma solo sembrarlo; chiunque messo davanti a questa
alternativa dirà che non conviene essere giusti, anzi che non è giusto essere giusti, ma che basta
sembrare di essere giusti. Quindi è preferibile la condizione dell'uomo ingiusto che sembra giusto
che quella dell'uomo giusto che va incontro a una condizione così triste.
La risposta che Platone dà a questo argomento è nel racconto della vita di Socrate; Socrate ha
dimostrato il personaggio dell'uomo ingiusto, o meglio dell'uomo giusto flagellato e portato alla
morte, che dimostra attraverso la sua scelta che lui ritiene preferibile questa condizione, cioè la
condizione di uomo giusto considerato ingiusto.
Ci troviamo in radicale antitesi rispetto all'idea sofistica secondo cui tutte le volte che si può
prevalere sugli altri , lo si può fare legittimamente, è giusto farlo ed è giusto farlo sulla base di
quella legge di natura per cui il forte prevale sul debole.
La risposta che Socrate dà non può essere questa, ma la risposta che dà in questo testo è un'altra ed
è quello su cui Platone si soffermerà per tutta l'opera.
La risposta che Socrate dà si mantiene non sul piano della biografia, ma sul piano della ragione,
della discussione ed è la ragione che Socrate elabora tenendo presente l'esito della riflessione di
Trasimaco trae dal suo ragionamento (che è anche il ragionamento di Glaucone); uomo più felice e
più giusto è il tiranno = colui che può commettere tutte le ingiustizie di questo mondo, può fare agli
altri ciò che vuole, avendo la certezza di non pagare mai nessuna conseguenza, di non andare
incontro a nessuna sanzione perchè il tiranno, per definizione, è l'uomo più forte, l'uomo che
domina sugli altri, l'uomo che non ha paura e non deve aver paura di niente.
Socrate risponde attraverso un lungo ragionamento perchè questa conclusione non può essere
accettata, cioè non può essere accettata l'idea per cui l'uomo giusto è colui che sopraffa gli altri e
viola i precetti della giustizia. Quindi, Socrate, attraverso un lunghissimo ragionamento che si
conclude con l'ultimo libro della Repubblica in cui viene negata l'idea del tiranno come essere più
felice, risponde a questa sfida che consiste in un argomento sulla giustizia.
Socrate dice che, ragionando su chi è l'uomo giusto, per poter raggiungere una conclusione
attendibile, bisogna fare un'operazione “di ingrandimento”: cerchiamo di vedere l'uomo in grande,
ingrandiamo l'immagine dell'uomo e così possiamo guardarlo in modo più attento. Questo
ingrandimento che Socrate compie dell'immagine dell'uomo porta all'immagine dello Stato. L'uomo
in grande che Socrate va a studiare per capire che cos'è l'uomo giusto [domanda di partenza: chi è
l'uomo giusto?] è lo stato, la polis → guardiamo lo stato per capire cos'è l'uomo giusto. E'
un'operazione interessante perchè già ci dice del modo in cui Platone interpretare sia la natura
dell'uomo sia la natura dello stato; Platone dicendo che lo stato è come un uomo in grande ci sta
dicendo che la comunità politica, per lui, è come un organismo, fatto di singole parti che non sono
staccate le une dalle altre,non hanno una propria logica e esistenza individualizzata e separata dalle
altre parti. Il corpo politico è un corpo, un organismo → ogni singola parte lavora, svolge una
funzione, cioè è quella parte solo in quanto appartiene al corpo nel suo complesso. E' un'operazione
interessante e importantissima dal punto di vista storico – politico perchè in questo modo Platone
sta inventando un modello politico, non solo filosofico – politico, ma politico in senso pratico e
istituzionale, creando modello organicistico del pensiero politico. Modello organicistico del
pensiero politico: la comunità politica è assimilabile a un organismo fatto di parti che hanno
significato solo in quanto appartenenti al tutto, a questo insieme. Significa che i singoli individui e i
singoli gruppi non hanno possibilità di esistenza al di là del tutto. L'organicismo è un modello
alternativo al modello che si troverà nel pensiero politico e giuridico moderno, quando rapporto tra
il tutto e le parti , tra stato e individuo che lo costituiscono sarà rovesciato. Questa operazione che
Platone in realtà dà per scontata, cioè ingrandire l'uomo (→ uomo ingrandito = stato), è un
operazione che nasconde un significato profondo che viene confermato da ciò che Platone e Socrate
diranno successivamente.
Come nasce lo Stato? Come nasce questo uomo?
Socrate racconta una vicenda, quasi storica, riguardo al modo con cui gli uomini si uniscono,non
attravero un contratto come pensava Glaucone, ma attraverso un' evoluzione economica – sociale e
poi anche politica, per dare vita a una comunità politica; primo nucleo di uomini “produttori”, cioè
uomini che sono pastori e agricoltori e che hanno bisogno di difendersi da altre comunità o di
attaccare altre comunità per poter trovare risorse adeguate ai propri bisogni si aggiunge un secondo
gruppo di uomini con una funzione specializzata, che sono i soldati, e a cui, successivamente, si
aggiunge una terza categoria di persone di cui la comunità ha bisogno che sono i governanti. Quindi
Platone svolge questo racconto in 3 episodi:
1. ci sono solo produttori
2. nasce la necessità di soldati e guardiani della comunità
3. nasce la necessità di governanti
Questi gruppi fanno la comunità politica. La comunità politica, più che essere formata da invididui
singoli, è formata da gruppi specifici, ben determinati (produttori, soldati e governanti), e non da
singoli. Gruppi formati da individui, ma non individui nel senso moderno dell'individualità morale
ma soggetti appartenenti ad un gruppo che, in quanto appartenenti a questo gruppo, svolgono una
certa funzione (che è appunto la funzione del gruppo) e sono caratterizzati da una virtù determinata,
che è diversa per gli uni e per gli altri;
Governanti → sapienza
Soldati → coraggio
Produttori → temperanza = virtù strana che in realtà secondo Platone deve caratterizzare anche gli
altri soggetti, ma in generale deve caratterizzare soprattutto i produttori e temperanza significa il
non voler troppo, cioè non voler niente di più di ciò che spetta, come dire: “la massa deve stare
buona al suo posto”
Conclusione: Platone ci vuole dire che cos'è lo stato giusto, dare una definizione della giustizia, che
non sarà il punto finale del suo lavoro, ma anzi a partire da lì dovrà trarre una serie di
considerazioni. Definzione della giustizia (→ vedi dispense) = esplicare i propri compiti → lo stato
giusto è quello stato in cui i vari gruppi e i membri appartenenti ad essi fanno esattamente ciò che
gli viene chiesto → giustizia = armonia tra le parti. Lo stato sarà lo stato giusto quando ognuno
svolgerà esattamente e ordinatamente il proprio dovere. Stato giusto: stato in cui;
governanti governano con sapienza
• soldati fanno il loro dovere con coraggio
• i cittadini (i produttori) producono ciò che devono produrre senza andare oltre ai compiti
• loro assegnati.
Quando questo non avviene e quindi qualcuno vuole fare qualcosa di diverso rispetto al compito
che gli è stato assegnato → disordine → ingiustizia. Quindi, giustizia = ordine = armonia →
giustizia = armonia tra le parti. Lo stato giusto è lo stato in cui le varie parti di cui è composto
svolgono ordinatamente il proprio dovere.
2 riflessione:
Troviamo una definizione di giustizia paradigmatica, cioè diventerà, come il modello
• organicistico, uno dei modelli, ovvero una delle definizione paradigmatiche della giustizia
nella storia del pensiero giuridico occidentale. Si tratta, cioè, dell'idea della giustizia come
ordine, quindi armonia tra le parti. Platone ci offre questo modello.
“Giustizia come ordine” → che modello di giustizia offre?
E' una giustizia che parte da una concezione della polis, della città, fortemente gerarchica.
Non è un modello di giustizia che guarda a una città ugualitaria; si tratta di una differenza di
status (non economica), di ruolo a cui Platone non assegna necessariamente più vantaggi
agli uni rispetto agli altri, ma assegna ruoli differenti, cioè ruoli di sovraordinazione e
subordinazione (sono i governanti a dover governare la polis). E' una concezione della
giustizia che si incardina su un'idea gerarchica della comunità politica, coerentemente all'
organicisimo, per cui in un organismo ci sono organi più importanti e organi meno, ma tutti
sono necessari affinchè l'organo funzioni al meglio, ma ci sono alcuni organi che governano
su altri.
Platone quando parla alla giustizia non si riferisce ai rapporti inter individuali, ma si
• riferisce a un qualcosa che ha a che fare con l'intero corpo politico. La giustizia non è un
qualcosa le micro-relazioni, ma riguarda il corpo nel suo complesso. Quindi è l'intero che
giusto o ingiusto e non le singole parti o le relazioni tra le singole parti. Anche se lo stato
giusto non è altro che l'immagine dell'uomo giusto (ripercorrendo indietro l'operazione di
ingrandimento, ovvero dallo stato all'uomo; chi è l'uomo giusto?) → Uomo giusto =
singolo uomo in cui le tre anime di cui è composto (sapienza, coraggio e temperanza) il
singolo uomo, piccolo uomo da cui siamo partiti, cioè:
ragione
◦ passioni = coraggio
◦ parte concupiscibile legata alla sopravvivenza corporea = parte materiale dell'uomo
◦
convivono in armonia e convivono armoniosamente perchè c'è una parte che guida il tutto ed
è la ragione.
Armonia → uomo giusto = immagine dello stato giusto.
→ ulteriore considerazione (finale): questa idea della giustizia gerarchica (che fa riferimento
all'organicismo, che guarda all'idea della giustizia come “tutto”) ha bisogno che le singole
parti siano giuste a loro volta → lo stato è giusto in quanto è abitato da uomini giusti.
L'armonia dello stato è garantita dal fatto che i suoi cittadini sono giusti a loro volta, cioè
sono immagine di quell'armonia, corretta convivenza delle singole parti. Il tutto è giusto in
quanto composto di parti che sono giuste. Tuttavia, la giustizia non è qualcosa che ha a che
fare con le relazione tra i soggetti, ma ha a che fare con l'intero, che sia il corpo dello stato o
che sia il corpo dei singoli.
Conclusione: giustizia = armonia = ordine. E' un'approdo importante.
Platone spiega tanti particolari di questo modello, ad esempio spiega perchè i governanti devono
essere certi soggetti e non altri (una delle parti più celebri del pensiero di Platone: chi devono essere
i governanti?) e per Platone i governanti devono essere i filosofi e ce lo spiega soprattutto in questa
opera attraverso quel racconto del mito della caverna. I filosofi sono gli unici soggetti capaci di
rompere le catene che ci tengono dentro la caverna, cioè che ci tengono dentro una visione limitata
della realtà e di usicre dalla caverna per vedere la vera realtà.
Perchè Platone insiste sui filosofi come governanti ? → tema: significato politico per la opzione di
Platone per i filosofi come governanti. In questo caso possiamo sottolineare 2 aspetti:
Il governo non può che derivare dalla conoscenza. La capacità di governare, e quindi il
• potere legittimo, non possono che derivare dalla conoscenza. Si tratta di una concezione
lontana dall'idea di sofisti che avevano l'idea della forza o idea per cui il poter si acquista
attraverso la retorica, attraverso la convinzione degli altri, cioè convincendo gli altri che è
giusto ciò che pensiamo noi, anche se sappiamo che magari è ingiusto, ma siamo bravi a
convincere gli altri. Quindi, non è il fatto che di riuscire a convincere la massa fonte di
potere legittimo; la massa, cui Platone dedica un passo nella Repubblica, è assimilata ad un
grosso animale cui si riescono ad incitare gli istinti se sappiamo rivolgerci ad essa in modo
adeguato. In Platone si ritrova una chiara polemica antidemocratica anche, in un certo senso,
motivata dalla piega che la democrazia aveva preso. Oltre alla critica antidemocratica c'è
anche la profonda convinzione per cui il potere legittimo sia giusto non può che derivare
dalla conoscenza. La conoscenza non è cosa di tutti. La vera conoscenza è cosa che riguarda
solo pochi, cioè solo quei pochi che sono in grado di rompere le catene e di guardare la
realtà vera che sta fuori alla caverna (riferimento al mito della caverna).
Conoscenza = unica fonte legittima del potere. (elemento centrale nel pensiero di Platone)
Platone dice che i filosofi che sono arrivati alla vera conoscenza, grazie a quel gesto di
• rottura della catena che li tenevano dentro la caverna, quindi attraverso la ribellione, hanno
raggiunto una dimensione da cui difficilmente vogliono tornare indietro. Chi si sacrifica e,
dopo aver visto la luce, accetta di tornare nella caverna per mettersi al servizio di tutti gli
altri che sono ancora legati alle catene ? Nessuno la farebbe, ma Platone dice che quest è
proprio il motivo per cui i filosofi devono tornare; proprio perchè hanno conosciuto la vera
realtà e proprio perche non vorrebbero tornare nella caverna, devono farlo perchè il vero
potere deve essere esercitato da chi non lo cerca. E' il secondo elemento per cui Platone
assegna il potere ai filosofici, cioè perchè i filosofi (di cui parla Platone) sono i soggetti
meno interessati al potere perchè non hanno voglia, dopo che hanno conosciuto la realtà, di
tornare nella caverna, ma proprio per questo devono mettersi a servizio della comunità
politica.
→ La gerarchia di cui si parlava prima non ha la finalità di dare privilegio ad alcuni rispetto
ad altri, perchè per i filosofi è uno svantaggio governare (secondo Platone).
Inoltre, a conferma del fatto che Platone non vuole dare a questa costruzione gerarchica
della comunità politica vantaggi economici, utilitaristici ad alcuni soggetti a danno di altri;
comunismo: per Platone, tolti i produttori, tutti gli altri devono vivere in una perfetta
condizione che noi chiamiamo comunista, cioè non devono avere la proprietà dei beni, delle
mogli, dei figli. Sembra una curiosità, ma invece Platone, in tal modo vuole sottolineare un
aspetto che ha notevole valore, non solo politico, ma anche costituzionale , cioè si tratta di
una regola costituzionale che Platone sta immaginando, ponendo in questo stato “ideale”,
ovvero l'idea che i governanti non devono possedere nulla → motivo: non devono avere
interesse nella loro azione di governo; coloro che decidono qual è il bene della comunità
non devono aver nessun interesse personale. Forzando i termini, potremmo dire che Platone
già si pone il problema del conflitto di interessi, ovvero conflitto tra interessi privati del
governante – interessi della polis. Per evitare il rischio che il governante possa governare nel
suo interesse, il governante non deve avere nessuna proprietà. Idea esplicitatra da Platone:
non importa se alcuni si devono sacrificare per il bene della comunità, cioè che importa è il
bene della comunità e ciò che conta è che non ci siano, all'interno della comunità, possibili
conflitti tra le parti, di interesse tra i singoli soggetti.
→ ulteriore riflessione: Platone in questo modo fornisce un modello politico e sulla
giustizia, ovvero organicismo: giustizia = ordine. Possiamo fare un ulteriore passo;
Platone vuole affermare una verità in cui crede profondamente, cioè l'idea in base alla
quale la comunità politica deve essere il più possibile libera da conflitti. E' un autore
anticonflittualista; bisogna evitare le ragioni di conflitto. Platone è un tipico pensatore
dell'uno, cioè il corpo politico è uno, è un qualcosa che è uniforme, che possiamo
considerare davvero qualcosa di unitario. La comunità è una e armoniosa e servono le
condizioni affinchè questa armonia si mantenga, ovvero l'omogeneità, cioè dobbiamo
sempre dare importanza a ciò che è uguale, omogeneo.
Fatto questo quadro; perchè il tiranno è l'uomo più felice? Come si arriva a vedere il tiranno
• come uomo felice ? La seconda parte dell'opera (la Repubblica) è dedicata a questioni molto
politiche, esempio questione delle forme di governo. In questa parte Platone parla della
tirannide come la forma peggiore di governo. Come si arriva dalla forma di governo ideale
alla forma peggiore che è la tirannide?La forma migliore, secondo Platone, è quella
aristocratica: pochi governano, e questi pochi sono i governi, quindi pochi che governano
sulla base della sapienza, e non sulla base della ricchezza o di altri requisiti, cioè
un'aristocrazia basata sulla conoscenza. E' una forma di governo su cui si è molto discusso;
nella Repubblica il fatto che per Platone questa forma di governo sia quasi reale si vede dal
rapporto che c'è tra questa forma di governo e tutte le altre perchè quando parla di tutte le
altre forme di governo, non parla come farà nel Politico (in cui parla di forme di governo
che stanno su un altro piano), ma ne fa un unico ragionamento. Platone parte
dall'aristocrazia e attraverso una progressione di degenerazioni arriva alla tirannide; parla di
tutte le altre forme di governo come una degenerazione rispetto alla prima forma di governo
che è l'aristocrazia. Aristocrazia → timocrazia → oligarchia → democrazia → tirannide.
Perchè la forma di democrazia ideale, cioè aristocrazia, se è così perfetta degenera ?
Degenera perchè Platone sa che anche i sapienti, anche una forma di governo così ben
congegnata è soggetta all'errore ed i questo caso l'errore sta nell'aver sbagliato alcuni calcoli
con riguardo alle nascite dei bambini; ci saranno alcuni bambini che nasceranno in epoche
sbagliate, ci sarà una mescolanza tra le varie parti della società, ci saranno degli errori
nell'individuare chi devono essere i governanti → degenerazione della prima forma di
governo, cioè aristocrazia, in un'altra forma di governo, cioè la timocrazia, in cui i soggetti,
a partire dai governanti, iniziano a cercare la ricchezza, ovvero si stabilisce proprio quel
cancro sociale che Platone voleva eliminare, cioè la concorrenza tra i soggetti, la ricerca
della propria affermazione. Dalla timocrazia, si passa all'oligarchia, poi alla democrazia e
infine alla tirannide. Per ogni forma di governo Platone analizza in modo abbastanza preciso
e puntuale come cambia l'animo degli uomini con il cambio delle forme di governo,
coerentemente con quello che è il suo pensiero; se lo stato giusto è fatto di uomini giusti,
ogni volta che cambia la natura dello stato possiamo andare a vedere qual è la natura degli
uomini. La tirannide rappresenta la risposta finale alla provocazione di Trasimaco; tiranno è
un soggetto a cui è stato affidato il potere perchè la democrazia è una forma di governo
troppo disordinata, troppo anarchica, in cui i soggetti si sentono liberi di fare tutto quello che
vogliono (idea di Platone della democrazia) e allora, l'eccesso genera l'eccesso opposto →
tiranno è stato posto per garantire ordine dopo la democrazia e la particolarità della
tirannide sta nel fatto che il tiranno governa attraverso la paura, il tiranno stabilisce l'ordine
attraverso la paura = sentimento di cui la prima vittima è il tiranno stesso; proprio per il
rapporto che instaura con i cittadini e con i suoi collaboratori, cioè coloro che lo aiutano a
mantenere l'ordine e ristabilirlo, è un uomi che vive nella paura perchè non può
assolutamente fidarsi di nessuno. Platone in un passo descrive attentamente la condizione di
isolamento in cui vive il tiranno; il tiranno non può muoversi senza temere continuamente di
essere ucciso da qualcuno. Il tiranno vive nella paura, non può fidarsi degli altri, vive senza
amici → tema sviluppato con Aristotele. L'amicizia per i greci è un valore fondativo della
comunità politica, anzi fondamentale che regge la comunità politica, tanto che Aristotele
dirà che ciò che viene nella città, ancora prima della giustizia, è l'amicizia, quindi un
soggetto che non ha amici, vive solo e costantemente nella paura raffigura il totalmente altro
rispetto all'ideale greco [argomento etico]. L'infelicità del tiranno e quindi la negazione
dell'argomento di Trasimaco secondo cui l'uomo più ingiusto è anche quello più felice,
l'argomento definitivo che Platone porta contro Trasimaco è un argomento che in realtà
Platone utilizza riempiendolo di significati che non sono solo giuridici. C'è una ragione
giuridica per cui il tiranno è infelice e non può che essere infelice e la ragione della sua
infelicità sta nel fatto che non può essere punito da nessuno. Proprio tale fatto, cioè quella
condizione che secondo Trasimaco era il vero motivo della felicità del tiranno (posso fare
qualunque cosa perchè nessuno mi può punire) diventa motivo di infelicità del tiranno. E' un
motivo giuridico perchè Platone dice, con riguardo al valore della punizione, partendo da
premesse metafisiche o antropologiche, che in ogni uomo c'è una parte dell'animo che è
buona e che lo spinge verso l'altro e una parte dell'animo che è cattiva e che lo spinge verso
il basso. Quando l'uomo compie azioni malvagie, azioni ingiuste c'è un solo modo per
aiutare la parte buona dell'anima a respingere quella cattiva, cioè per rinforzare la parte
buona dell'anima e cercare di ridurre la parte cattiva ed è la punizione = unico modo per
aiutare il soggetto che ha sbagliato a ritrovare il bene è punirlo. Punizione è un aiuto per
colui che ha commesso il male, è un bene → è infelice colui che, pur avendo commesso il
male, non può essere punito da nessuno. Se non puniamo un soggetto non lo aiutiamo a
ritrovare la parte buona. Valore giuridico perchè Platone sta presentando una vera e propria
teoria della pena, cioè spiega qual è il significato della pena. La pena aiuta a esiliare le
colpe. Teoria della pena come occasione per ritrovare il bene, quella parte della propria
anima che custodisce il bene. 3 ottobre
Chi compie il male ha il diritto di essere punito perchè senza la punizione non potrà più ritrovare il
bene → per questo motivo quel male della punizione, cioè quella punizione che noi consideriamo
un male, in realtà è un bene per colui che ha compiuto il male ed è un bene perchè comporta la
possiilità di tornare il bene e solo la punizione ci dà questa possibilità. Un fondamento etico perchè
Platone lega strettamente idea del bene e idea della felicità, ma un ragionamento giuridico perchè
sta parlando della pena, cioè fa una vera e propria teoria della pena. La teoria di Platone è molto
particolare inquadrate all'interno di quelle che poi verranno chiamate successivamente “le teorie
della pena” = è un importante luogo della riflessione giuridica, non solo teorico perchè la
costruzione del diritto penale si sviluppa sulla base della concezioni della pena che si hanno, e le
principali teorie della pena sono
teorie retributiva: bisogna punire il soggetto perchè ha fatto ciò che ha fatto e in una misura
• equivalente a ciò che ha fatto. C'è un luogo della nostra cultura particolarmente efficace a
taò riguardo, che ci fa capire qual è la logica della retribuzione: occhio per occhio, dente per
dente; ha fatto A, ti verrà fatto A → logica della retribuzione; con il male che fai ti guadagni
quel tipo di punizione. E' alla base di molte riflessioni e punizini correnti al giorno d'oggi,
esempio in molti paesi in cui è prevista la pena di morte essa è giustificata sulla base di
qeusto argomento. Modello dipena retributivo è considerato un grande passo in avanti
perchè è un modo di dare una misura, confine alla pena. Tu vieni punito perchè hai compito
questo, ma anche nella misura del bene che hai fatto. → Kant (filosofo morale per
eccellenza)è convint che questo sia l'unico modo di giustiifcare la pena che rispetta l'iuomo
nella sua dignità, che lo considera come persona, cioè come fine e non come mezzo; è il
cardine della filosofia morale di Kant
teoria preventiva: idea che il vero motivo per punire un soggetto sta nella necessità di
• prevenire altre violazioni, quindi non puniamo il soggetto perchè ha fatto quel male e quindi
ripagarlo del male che ha fatto, ma per impedire il più possibile che quel male, ormai fatto,
possa essere reiterato. Obiezione di Kant: queta teoria usa la persona punita come un mezzo,
e non fine, affinchè non si possa più fare il male, soprattutto teoria indicata come generale
preventiva secondo cui si punisce un soggetto per poter insegnare agli altri che non devono
fare determinate cose. Teoria special preventiva: ti punisco affinchè tu non possa più fare
cose come queste, affinchè tu capisca che questo non si fa.
In generale ha come fondamento idea che si punisce non tanto in considerazione del male
fatto, ma del male che bisogna evitare, guardando al futuro più che al passato.
La teoria di Platone è una teoria che, a differenza di quelle che si svilupperanno dopo di lui e
soprattutto nell'epoca moderna, ha delle particolarità:
fondamento: idea che obiettivo della pena = far ritrovare il bene al soggetto. La pena ha
• come obiettivo quello di riportare la persona che ha sbagliato nella sfera della virtù. Ha
quindi un obiettivo morale.
(connessa alla prima) Platone confonde quello che noi chiameremmo un reato con un
• peccato, cioè confonde piano giuridico e piano morale. Colui che viola una legge, per il
proprio tornaconto compie un male morale hce deve essere espiato. → motivo per cui le
teorie moderne rifiutano questo fondamento. Idea che chi ha commesso qualcosa, ha violato
una legge, deve, sul piano morale, ritrovare la virtù. = confusione dei piani morale e
giuridico
(conseguenza tratta) ne trae la conseguenza che si devono punire i soggetti quando
• possiamo avere al speranza che possano emendarsi; cioè se io sono convinto che la
giustificazione della pena sta nel fatto che i soggetti devono avvicinarsi al bene e
allontanarsi dal male, vuol dire che io sono convinto che quel soggetto possa ritrovare il
bene, proprio perchè sono convinto che nel soggetto conviva bene e male → lo puniscono
per comprimere la parte dell'anima che tende al male e liberare quella che guarda al bene. Se
sono convinto che non ci sia più speranza, che la parte cattiva dell'anima abbia ormai
fagocitato la parte buona dell'anima, allora non c'è bisogno di punire, è completamente
inutile punire perchè per quel soggetto non c'è alcuna speranza che possa ritrovare il bene.
Quindi, si può giustificare l'idea della messa a morte di un soggetto. Questa considerazione è
importante ricordarla perchè a volte emerge una considerazione come questa quando si
discute di pena di morte.
Questo è il ragionamento finale di Platone, ultimo punto attraverso il quale Platone risponde a
Trasimaco, inoltre inserisce l'argomento circa in tiranno all'intorno della questione sull'immortalità
dell'anima.
Considerazioni sul modello platonico:
concezione organicistica dello stato, basata su quella somiglianza che per Platone è
• scontata tra uomo e stato, che ha molte conseguenze che a noi interessa soprattutto per dire
che lo stato giusto ha bisogno di uomini giusti, il tutto (stato) non può essere giusto se non è
comporto da parti che sono giuste. Giustizia dell'uomo e giustizia dello stato si assomigliano
per l'idea della giustizia come armonia e ordine delle parti e inoltre la giustizia dell'uno è
legata alla giustizia dell'altro, quindi c'è una circolarità: lo stato è giusto in quanto contiene
uomini giusti, ma proprio lo stato giusto produce uomini giusti e li produce soprattutto
attraverso lo sturmento fondamentale che è l'educazione..
Centralità dell'educazione. Ruolo centrale per la tenuta dell'ordine, mantenimento armonia
• all'interno della polis, non lo assegna alle leggi, alle punizioni, ma al sistema educativo;
educazione = ciò che produce i buoni cittadini,cioè che sono in grado di vivere in armonia
interna e esterna. Molte pagine dell'opera sono legate agli strumenti e materie
dell'educaizione (musica e ginnastica per lui sono materie principali dell'educazione del
cittadino, astronomia, matematica mentre meno importante l'educazione letteraria).
Centralità dell'educazione. Lo stato è buona se i cittadini sono buoni, ma essi sono buoni se
lo stato mette a disposizione un sistema educativo che permette ad ognuno di fare ciò che
deve fare (=principio di giustizia a cui pensa Platone) sulla base di quello che è il ruolo che
a ciascuno viene assegnato. A partire dalla centralità dell'educazione si possono fare varie e
ulteriori considerazioni:
educazione fondata su un idea di virtù ,cioè che il cittadino deve essere virtuoso (legame
◦ etica-politica), per cui il cittadino non è solo colui che rispetta le leggi , ma anche colui
che persegue la giustizia e può testimoniare, con l'armonia della sua anima, l'armonia
della polis = idea etica cittadinanza e rapporto cittadino-polis.
Il fondamento dell'ordine per Platone non può essere la coazione, non può essere la
◦ forza, la costrizione; ordine non si mantiene sul principio della forza per cui qualcuno si
impone a qualcun altro (principio rivendicato dai sofisti come principio fondamentale,
legge di natura sulla base della quale i rapporti umani possono essere giusti, perchè
quella è la natura dell'uomo), ma Platone rifiuta l'idea della costrizione come
fondamento della città, ritenendo che sia invece l'educazione, quindi parola da
contrapporre alla forza è la convinzione, il consenso, la persuasione. Abbiamo bisogno
di cittadini che perseguano il bene perchè sono convinti che quello sia il bene e non
attraverso la forza, ma dobbiamo convinverli che cò che viene chiesto loro di fare è ciò
che è bene fare. Bene = centro del discorso di Plarone; è per questo che Platone inventa
determinate soluzione: educazione, sistema educativo, scuole pubbliche dove i figli
devono essere educati, nobile menzogna = (riprende da Esiodo) insegnare alle persone
che ognuno di loro è fatto diu una sostanza diversa e qundi le differenze tra i osggetit
derivano dal fatto che lori sono impastati di una sostanza diverrsa (oro, argento e
bronzo) che setrve a convincere i cittdini che devono fare ciò che gli è chiesto di fare.
Naturalmente una concezione come questa si presa molto facilmente, come fatto nel900,
ad essere letto come una specie di proto-totalitarismo = versione arcaico ma
estremamente signifciativa sul piano ideale del totalitarismo = sistemi politici sviluppati
nel 900 che sono stati particolarmenr invasivi e pervasivi che hanno preteso di dominare
nella sua totaità la vita, anche privata, dei soggetti sulla base di un'idea “etica” dello
stato per cui lo stato dovesse inculcare nei soggetti una certa ideologia. Platone è stato
letto da popper (filoso della sicenza e della politica dle 900) per polemizzare contro gli
stati totalitari degli anni 30 e 40, scrive un'opera importantissima che si intitola “ la
società aperta e i suoi nemici” in cui critica indirettamente lo stato nazista, fascista
italiano e comunismo sovietico partendo da Platone in cui fa vedere che questo tipo di
concezione può essere letta in questo modo. Platone voleva sottolineare, proprio per
criticare le concezioni del suo tempo era che alla base della comunità politica ci deve
essere non la forza (che invece è paradossalmente proprio il principio dominante degli
stati totalitari), ma il consenso. Il cittadino deve volere il bene, deve essere convinto che
quell'ordine sia l'ordine giusto e per farlo c'è il sistema educativo. Questa centralità
dell'educazione e la convinzione per cui convinzione = fondamento dell'ordine, cioè i
cittadini devono essere convinti e non costretti, ci fa capire perchè nella Repubblica
troviamo poco spazio per le leggi, il diritto. Platone non parla mai di quello che noi oggi
chiameremmo l'ordinamento giuridico e quando viene fuori in realtà viene fuori per
essere criticato, come idmostra la battuta dei “giudici sonnolenti”; per Platone il diritto ,
per ora concepito in modo rudimentale, norme fatte valere attraverso la sanzione, che
devono essere imposte in caso di violazione, il diritto non ha spazio nella repubblica. La
ragione è questa e la spiegherà ancora meglio nell'opera del Politico in cui Platone
sembra quasi rispondere a una domanda che noi potremmo fargli “come mai in uno stato
così ben congegnato, in un'opera che si pone così profondi problemi etico-politici,
quindi la costruzione della città non c'è spazio pr il diritto? Platone ci spiegherà il motivo
in modo più giuridico, cioè troveremo la ragione giuridica di questa sua scleta di tenere
il diritto da parte.
Platone non mette in quest'opera al centro la tematica giuridica = insieme di norme
◦ applicate anche attraverso la sanzione; ma per Platone forse, se intendiamo il diritto in
senso ampio, quindi non solo come regola fornita di sanzione, quindi proprio come
regola costitutiva della società, come regola che permette di essere quel tipo di società,
allora possiamo trovare qualche traccia giuridica in questa opera. L'opera che ha come
titolo costituzione (politeia = costituzione) che parla di una costituzione; la stessa
divisione eimpostazione del governo potremmo considerarli principi di diritto
costituzionale, quindi c'è questa riflessione in Platone. Potremmo di che, nonostante
Platone non ci si soffermi esplicitamente, è cosciente della costitutività delle regole
costituzionali. Costitututivo = ciò che permette a qualcosa di esistere. Distinzione tra
diversi tipi di regole; posso distinguere le regole in 2 grandi gruppi;
- regole costitutive = hanno significato e valore diverso perchè rendono posssibile il
comportamento regolato. Ci sono alcuni comportamenti che possiamo tenere solo
perchjè c'è quella regola, altrimenti quel nostro comportamento non avrebbe nessun
significato, assume singificato grazie a quella regola. Esempio è tipica delle regole
relative ai giochi, ma si ritrovano anche nel mondo giuridico come quelle del
matrimonio che permettono di realizzare quella determinata cosa grazie a quelle regole e
il matrimonio non esiste al di furoi delle regole, sono le regole stesse e il faqtto che si
seguano quelle regole che producono quella cosa che chiamamo matrimonio.
- regole regolative = regola che riguarda comportamenti che sono possibili
indipendentemente dalla regola stessa. Esempio: bisogna mangiare con la mano destra,
si guida tenendo la destra; sappiamo che è possibile guidare tenendo la sinistra o
mangiare con la sinistra perchè quel comportamento non diepnde dalla regola, ma
dipdnedall'abilità nel guidare il veicolo, ma la regola serve solo per regolare i
comportamenit. Quel comportamento è possibile a prescindere dalla regola.
Platone è cosciente che sono le regole costituzionali che permettono allo stato di essere
quello stato, quindi non è che ci sia una mancanza di consapevolezza di questo, tanto che
tutto il sistema educativo serve per mantenere in vita questo sistema, cioè il sistema
costituzionale a cui lui pensa. Quindi, a iniziare dalla differenza dei ruoli tra le diverse
parti della città che è la regola costituzionale fondmanetale, Platone poi è cosciente della
costitutività delle regole costituzionali.
(non è Platone che parla delle differenze tra regole costitutive e regole regolative)
costituività delle regole costituzionali = se non ci fossero quelle regole non può esserci
quel tipo di sistema; proprio grazie a quel tipo di regole costituzionali che si può avere la
polis ideale, come lo chiama Platone.
Come risponde Platone nel politico alla domanda “vedi prima”. Platone tra la “Repubblica” e il
“Politico” ha avuto molte vicende biografiche importanti, ha provato a collaborare con il tiranno di
Siracusa cercando di realizzare il suo ideale, ma è finita male tanto che è stato venduto come
schiavo e quindi ha cambiato idea; ma ciò che ci interessa è la connessione logica tra politico e
repubblica perchè al di là di queste vicende, c'è una profonda riflessione teorica che si lega a quella
precedente. Nel Politico Platone fa due operazioni connesse tra loro:
1. ci spiega perchè ha trascurato le leggi, il motivo che lo ha indotto ha trascurare le leggi nella
Repubblica; perchè nella sua idea di stato ideale non 'è posto per le leggi.
2. Sembra in contraddizione ma in realtà è conseguenza della prima; Platone dice perchè il
realtà non si può fare a meno delle leggi.
Sembrano tra loro in stridente contraddizione. Platone ci dice di cose così divergenti nel politico.
Questa opera in realtà è dedicata, come dice il titolo stesso, a cercare una definizione del buon
politico (mentre nella repubblica si cercava la definizione della giustizia o dell'uomo giusto),cioè
chi dovrebbe governare le città; Platone procede allo stesso modo in cui nella repubblica discute,
cioè nella prima parte dell'opera discute le idee più diffuse riguardanti il politico come l'idea che il
politico è colui che comanda o assimilabile a un pastore che guida un gregge e altre, alla base delle
risposte di Platone c'è un'idea che nell'esplicare riprende l'immagine del medico, ovvero così come
il medico convince il paziente della bontà della cura e che quindi in qualche modo collabora con il
paziente e chiede la sua collaborazione, mette un cattivo medico colui che non chiede costringe = il
buon politico è colui che basa il suo governo sul consenso e non sulla forza o sull'imposizione. E' un
punto fermo del ragionamento di Platone che possiamo dire consenso = elemento di distinzione
politica vera – modo della politica che è la tirannide. La tirannide è la politica basata su forza,
violenza. Platone arriverà a dire che in realtà questa non è neanche politica, quindi la politica, in
quanto tale è basata sempre sul consenso anche se può assumere diverse forme dal punto di vista
delle forme di governo.
Secondo punto: la politica è una scienza. La politica è basata sulla conoscenza, cos' come tutte le
altre scienze, non è un qualcosa che tutti possiedono. L'arte politica si basa sulla conoscenza e in
quanto si absa sulla conoscenza non spetta a tutti, non riguarda tutti, è una capacità che non può
essere posseduta dalle masse (→ emerge il Platone aristocratico). Quindi, se la politica è scienza e
conoscenza, il buon poitico non può che essere il sapiente. La costituzione migliore, ma Platone
dice l'unica vera costituzione, quella che corrisponde alla natura della politica che è conoscenza e la
conoscenza non è possibile a tutti, ma a pochi, anzi a uno solo, l'unica vera costituzione sarebbe
quella di attribuire il potere a pochi o a uno solo, ma certamente non alla massa perchè una massa di
uomini non sarà mai capace politicamente, non acquisirà mai tale scienza. Le masse non sono
capaci di governare e governarsi → Platone antidemocratico, infatti è stata proprio la democrazia ha
portare alla morte di Socrate, fatto che Platone non ha mai perdonato alla democrazia. Conseguenze
che Platone ne trae sul piano della riflessione giuridica: una costituzione come questa che Platone
presenta come l'unica vera costituzione, quindi basata sui sapienti, che rapporto può avere con la
legge ? Per Platone una costituzione di questo tipo può avere solo un rapporto di rifiuto con la
legge. Platone rifiuta totalmente l'idea della legge, cioè l'idea che una buona e retta costituzione
basata sul governo dei sapienti debba funzionare sulla base delle leggi. Perchè un govenro ideale
come queso che Platone persegue e disegna non ha bisogno di legge? Ragione fondamentale: le
leggi sono delle norme generali (si rivolgono a tutti allo stesso modo) e questo è un difetto
ineleminabili e soprattutto gravissimo della legge che rende impossibile utilizzare la legge
all'interno della costituzionale ideale. Perchè questo difetto è così grave per Platone? Il difetto della
elgge sta nel fatto che tratta allo stesso modo persone e situazioni che sono radicalmente differenti;
convinzione di Platone per cui le persone e le situazioni in cui si trovano non sono mai uguali tra di
loro. Ci sono e ci saranno differenze tra le persone e le situazioni. Tutte le volte che pongo una
regola generale nei confronti di una determinata comunità, compio un atto di ingiustizia perchè le
persone alle quali mi rivolgo non sono mai nella stessa situazione, perchè le leggi non considerano
le differenze che ci sono tra i soggetti e le situazioni. Il legislatore non sarà mai capace,nel dare
ordine attraverso le leggi, di attribuire con precisione a ciascun individuo ciò che gli conviene. Le
leggi sono come un uomo arrogante perchè impone a tutti la stessa cosa che non può invece essere
conveniente per tutti, non permette di trovare la risposta giusta per ogni singola situazione e ogni
singola persona.
Significato giuridico del ragionamento di Platone: il vero governo è quello in cui colui che sa può
decidere → ci parla di un alternativa importante nella storia del diritto compreso il diritto
contemporaneo, cioè tra generalità e particolarità. Mette in contrapposizione due valori che sono
centrali nel diritto, cioè legalità,applicazione della legge a tutti allo stesso modo, giustizia generale
– valore (che Platone contrappone al primo) equità cioè giustizia del caso concreto. Platone ci
dimostra l'alternativa tra questi due grandi valori del diritto. La legge non deve avere spazio
nell'ordinamento ideale definito da Platone perchè ha il difetto inalienabile della generalità e è un
difetto perchè la generalità in realtà non esiste perchè le persone sono sempre diverse tra loro e i
casi, situazioni e azioni sono sempre diverse → legge = tiranno/uomo arrogante.
Anche se l'uomo di governo ha posto delle norme scritte, questo uomo non è vincolate dalle leggi
perchè se in un determinato caso gli sembra migliore superare quella legge, perch altrimenti
compierebbe un'ingiustizia, allora è libero di farlo perchè è l'uomo che governa con intelligenza e se
applicasse le leggi in quel caso in realtà farebbe un'opera di ingiustizia perchè con quella legge
violerebbe un principio di giustizia con riguardo al caso concreto. 4 ottobre
Principio fondamentale : non si possono fare cose contro le norme scritte e le consuetudine patrie →
legge = criterio fondamentale per lo stabilirsi di una società retta/giusta.
Platone, per valorizzare questo nuovo criterio della legge, elabora una nuova teoria delle forme di
governo (= teoria che classifica i vari modi di governare) e consoce le forme di governo con cui le
città greche si ordinano e si governano (essendo greco), ancora prima di Aristotele e dice che:
un primo modo di classificare le forme di governo si basa sul numero dei governanti →
• forme di governo, che prende sia dalla realtà che dalla tradizione, sono : democrazia (1)
aristocrazia (pochi) democrazia (molti).
E' un criterio quantitativo.
Si risponde alla domanda: chi governa ?
Quando andiamo a vedere le forme di governo non dobbiamo interessarci solo al chi
• governo, quindi al numero dei governanti, ma soprattutto il come si governa, cioè le
modalità dell'azione dei governanti e lo possiamo valutare sulla base di alcuni criteri, ad
esempio, un criterio tradizionale di cui anche Platone è convinto che sarò usato anche da
Aristotele, è il perseguimento dell'utile comune e non del governante. Le forme di governo
buone sono quelle in cui il governante persegue l'ordine collettivo. Platone ci dice che non
esistono solo 3 forme di governo, ma esistono sia le forme di governo che la loro forma
degenerata, sulla base del criterio che valutiamo il come si governo che mi permette di dire
se si governa bene o male (cosa che non mi permette il criterio quantitativo che è circoscritto
alla tripartizione monarchia, democrazia, aristocrazia).
Posso distinguere, sulla base del criterio che adotto, posso distinguere le forme di governo in
base a come governano. Il vero criterio che a tal proposito usa è quello del governo della
legge; le diverse forme di governo possono essere distinte in una forma buona o una forma
corrotta in base al rispetto o meno del governo della legge.
Emerge importanza della legge = criterio per distinguere le forme di governo.
Oltre a democrazia, monarchia, aristocrazia (si rispetta la legge); abbiamo tirannide,
oligarchia e democrazia degenerata chiamata demagogia.
Platone che usa il criterio della legge per distinguere forme buone e corrette, mette in scala
queste forme dicendo qual è la migliore e la peggiore;
Ideale non raggiungibile; Costituzione vera: il sapiente, il governante che governa con
◦ saggezza, adotta le decisioni sulla base della sua sapienza = costituzione impossibile
(differenza rispetto alla Repubblica).
Nella realtà in cui è possibile stabilire una specie di graduazione tra le diverse forme di
◦ governo ;
Forme di governo secondo la legge
▪
1. Monarchia
2. Aristocrazia
3. Democrazia
Forme di governo degenerate
•
1. Democrazia
2. Oligarchia
3. Tirannide
Questa distinzione è basata sul criterio del governo della legge.
Ultima novità che introduce e con cui chiude l'opera: nuova immagine del politico.
• A quale immagine possiamo assimilare il politico ? In un ordine governato dalle leggi si
inserisce un politico assimilato al tessitore ( non più pastore che conduce il gregge) che è i
grado di mettere insieme cose diverse tra di loro. Platone fa i conti in modo esplicito con
l'idea della diversità, cioè che la polis non è fatta di cose, di soggetti uguali, che sono come
pecore dentro un gregge, ma soggetti che devono essere armonizzati. E' il tema che
riprenderà anche nell'opera Le Leggi.
Le leggi ultima di Platone, più lunga e rimasta incompiuta.
Non si può fare a meno della legge perchè senza ci sono ordinamenti fondati sulla forza. Opera
dedicata solo alle leggi in cui dedica una riflessione approfondita al tema che nella Repubblica
trascurato nella Repubblica, cioè il tema della legge. Platone non si preoccupa solo della natura,
essenza della legge che in certi punti sembrava (unico elemento determinante, unica cosa che gli
interessava davvero) fa un lavoro quasi da scienziato del diritto (quali sono le leggi, come devono
essere congegnati, quali elementi devono essere presenti ecc).
Con questa opera si compie definitivamente il passaggio dall'ideale alla realtà, cioè Platone si
preoccupa delle leggi concrete che devono governare la società. Ci sono 3 personaggi: ateniese
(Ateniesa), cretese (Cria), spartano (Megillo) che fanno un viaggio da Cnosso fino al tempio di
Zeus e discutono della fondazione di una nuova colonia. E' unico dialogo di Platone in cui non
compare Socrate. Ragionamento su alcune questioni nuove di Platone e altre che riprendono
vecchie convinzioni di Platone.
1° problema: fondazione della città
• Platone che ormai è ben consapevole del fatto che il governante debba fare i conti con le
differenze con le diversità; cerca di fare i conti con questa realtà governandola, cercando di
fare in modo che questa diversità non sia mai dirompente per la città. Platone ha paura delle
differenze che possano generare conflitti insanabili all'interno della città. La prima
differenza di cui Platone ha paura che sa che non può essere superata definitivamente è
quella culturale; città non deve essere attraversata da fratture culturali troppo nette,
profonde. → Platone, teorico dell'uno, si occupa anche dell'omogeneità culturale della città.
Dà l'indicazione per chi vuole costruire una città: costruire la città lontano dal mare →
lontano da luoghi dove arrivano altre genti. Platone si riferiva alle nave di mercanti che
portano, con i loro beni e ricchezze, anche idee diverse. I mercanti devono venire da noi e
portarci i loro beni ma non dobbiamo facilitargli la facilità di stabilirsi tra noi, quindi il porto
deve essere lontano dalla città. Scopo: mantenere omogeneità culturale. Dà anche
indicazione di come deve costruire la città perchè il modo di costruire la città è fonte di
educazione per i bambini, influiscono fin dalla nascita sulla qualità degli uomini facendogli
migliori o peggiori.
2° questione: mantenimento di un ordine non attraversato da differenze troppo radicali
• Frattura tra ricchi – poveri ; nuove città non basate su differenze di ricchezza troppo grandi;
i terreni devono essere divisi in lotti uguali e dove ci sia la necessità di trasferire un terreno
dall'uno all'altro, non bisogna fare in modo che qualcuno accumuli una ricchezza che non sia
superiore a 4 volte quella del più povero. Bisogna evitare il lusso e l'eccesso di ricchezza.
Anche se questa uguaglianza che possiamo indicare come “dare a tutti la stessa cosa”
(=forma, principio di uguaglianza) non deve dimenticare un altro principi di uguaglianza di
cui la città ha bisogno. La città deve innanzitutto applicare un principio di uguaglianza (a
partire dai terreni) e inoltre deve dare a ciascuno secondo ciò che merita (2 principio) =
principio di uguaglianza fondata sulla disuguaglianza. Platone dice che una società non può
sopravvivere senza anche il secondo principio, cioè dare di più a chi vale di più e dare di
meno a chi vale di meno. Platone pensa soprattutto alle cariche pubbliche. Trattare in modo
diverso ciò che è diverso significa applicare il principio di uguaglianza. Perchè trattare in
modo diverso situazioni diverse vuol dire applicare il principio di uguaglianza ? C'è un
principio formale per cui a tutti la stessa cosa (es art.3) + principio di uguaglianza
sostanziale che dice che bisogna trattare le situazioni uguali in modo uguale e le situazioni
diverse in modo diverso; la vera uguaglianza non è trattare tutti allo stesso modo quando c'è
di mezzo il merito, ma è trattare in modo diverso situazioni diverse. Il principio di
uguaglianza può essere applicato in modo diverso e questa non è ingiustizia, ma forma
diversa di uguaglianza. Platone dice che ella città bisogna cercare il più possibile di
mantenere equilibrio tra uguaglianza e valorizzazione delle differenze
3° questione: strumento della legge → mantenere questi principi.
• E' il motivo per cui Platone si dilunga nei vari tipi di legge di cui una città ha bisogno, Ci
portano a sottolineare quali sono i caratteri che la legge deve avere per poter avere il valore
che Platone gli assegna in questa opera.
Platone nel rivalutar eul ruolo della legge,rivaluta anche l'elemento coattivo della legge. Il
Platone che centrava il suo discorso sul tema dell'educazione, quidi che crede nel valore
fondamentale e fondativo dell'educazione, si rende conto che la realtà è diversa e quindi dà
spazio anche al tema della minaccia della sanzione. Ubbidienza alle leggi è data anche dalla
sanzione cui si va in contro se non si rispetta la legge. Trova un limite, cioè si inserisce in
una cornice che ci conferma la prima visione id Platone cioè quella secondo cui l'educazione
vale più della sanzione. Platone dice che tutte le leggi, oltre a contenere l'indicazione di ciò
che è giusto e ingiusto, devono essere precedute da un proemio = introduzione alla legge in
cui il legislatore si rivolge ai cittadini per indicare il perchè della legge, quindi la ratio della
legge e le ragioni per cui il cittadino deve ubbidire a questa legge. Prima di essere costretto è
necessario che il cittadino venga convinto; il proemio ha un valore costitutivo della legge,
non è un “di più”. Platone rappresenta questa esigenza di individuare il proemio come parte
costitutiva della legge, come la parte più importante, e fare in modo che i cittadini
ubbidiscano alla legge.
4° problema: valore della legge; che cosè questa Legge di cui le leggi sono figlie,
• testimonianza o applicazioni ? Cioè tutte queste leggi non sono altro che derivazioni
dall'essenza della legge. Troviamo Platone poco problematico, cioè che non si rende conto di
un elemento che forse avrebbe dovuto tenere in conto, cioè il fatto che le leggi possono
eventualmente anche essere delle leggi ingiuste. Invece, per Platone, la Legge (legge che
governa la città e è alla base delle leggi) è un qualcosa che ha che fare con la ragione. Non si
sofferma sui procedimenti e modalità attraverso cui questa legge deve essere stabilita. Il
punto su cui insiste sta nel fatto che il fondamento vero della legge sia il legame tra la legge
e la ragione. Al di sopra dei sentimenti c'è la ragione che stabilisce cosa è bene o male.
Poprio una tale decisione che diventa decreto per tutta la città è chiamata legge. Non ci dice
attraverso quali vie la legge si decreto, cioè la legge viene riconosciuta. Quindi per Platone
la legge è sempre giusta e non si pone il problema che i governanti ad un certo punto
possano porre una legge ingiusta perchè la legge ingiusta non è legge. La legge, se è legge,
lo è perhcè manifesta un legame diretto con la ragione.
Questa legge che frutto della ragione, che cerca di convincere gli uomini invece che
• costringerli, è davvero sovrana ? La legge è il fondamento della città e violare la legge è una
delle cose più gravi che si possano fare, anzi i magistrati , che lui chiama servitori della
legge, sono magistrati non nel senso moderno di giudici, ma tutti coloro che rivestono
cariche pubbliche sono il cardine della città, ma lo sono in quanto rispettano la legge. La
legge non è più solo il criterio per distinguere forme buone e cattive di governo, ma il
fondamento della città . Perchè si possa parlare di una vera e propria città c'è bisogno della
legge. Dove non c'è legge non c'è stato. La giustizia e la legge è ciò che permette alla città di
esistere.
Si tratta di una rivalutazione della legge a cui Platone assegna tale importanza, ma questo
• governo della legge è un governo che deve essere curato, deve essere mantenuto → Platone
si pone alcuni problemi istituzionali/costituzionali. Questa legge, della cui origine non siamo
certi (punto lasciato più in ombra da Platone) ha dei custodi. Platone si pone il problema che
oggi chiamiamo delle garnzie costituzionali, si pone il problema della tenuta della legge,
cioè quei meccanismi che permettano di non violare facilmente la legge. Platone parla del
cosniglio notturno in cui devono sedere le persone più anziane che ha il compito di tutelare
le leggi, di segnalare quei casi in cui la legge viene violata, soprattutto dai governanti.
Platone non sta inventando le corti costituzionali, ma si sta ponendo esattamente questo
problema. Platone si sta ponendo un problema che poi verrà presentato in modo preciso e
radicali da autori moderni come Hobbes. Se dico che la legge governa sugli uomini; chi mi
dà la certezza che gli uomini non si mettano dal di sopra della legge, quindi nel caso l'uomo
si metta al di sopra della legge, chi può difenderla ? Dire governo della legge vuol dire
anche difendere la legge da coloro che vogliono mettersi sopra la legge, per cui c'è bisogno
di qualcuno che faccia opera di vigilanza sulle leggi → consiglio notturno. C'è la
consapevolezza che serva nella città un conservatore della legge, nel senso che è pienamente
convinto che uno degli elementi fondamentali per la legge è la sua durata, cioè che la legge
possa durare nel tempo. Cambiare repentinamente le leggi vuol dire anche colpire l'autorità
della Legge perchè anche quel meccanismo della convinzioni e lesione del cittadino alla
legge funziona tanto meglio quanto più la legge sia durevole, si mantiene ferma nel tempo.
Se cambiamo tutti i giorni la legge ci facciamo l'idea che la legge sia uno strumento nelle
mani degli uomini, quindi non strumento che governa sugli uomini, ma strumento di cui gli
uomini si servono. 6 ottobre
ARISTOTELE
Aristotele è allievo di Platone che lo tradirà.
Affronta tematiche affrontate già da Platone.
Passo di Aristotele (vedi dispense) “chi raccomanda il governo della legge ecc”: la legge è ragione
senza passione. In questo brano troviamo una delle espressione più celebri della storia del pensiero
giuridico e un Aristotele che all'interno della disputa governo legge – governo degli uomini (trovato
in Platone), quindi alla domanda quale sia migliore, Aristotele risponde, che sembra non avere
nessun dubbio, dicendo che quello delle leggi è assolutamente superiore perchè far governare le
leggi è come far governare Dio. Se ci affidiamo agli uomini invece è come affidarci ad una bestia
che non hanno ragione perchè le bestie e anche gli uomini migliori quando sono al potere, sono
governati dalla passione. Governo leggi = superiore a quello degli uomini, no come ripiego (mentre
il ragionamento di Platone sembrava un ragionamento di ripiego “sarebbe meglio se, ma.. allora.”),
ma diretto che non utilizza altre motivazioni nel considerare il governo delle leggi superiore al
governo degli uomini. In questo brano troviamo una delle ragioni fondamentali per cui governo
della legge è superiore al governo degli uomini, cioè la legge senza passioni; la legge non è frutto
del capriccio di qualcuno, ma quando si decide sula base a una legge, si decide in base a una
sapienza che si è depositata nella legge, quindi non decide l'uomo saggio sulla base delle sue
convinzioni, ma decidono gli uomini basandoci sulla legge e questo vuol dire che la legge governa
le decisioni umane. E' la concezione di Aristotele del governo della legge, è un'idea che pone anche
al servizio della sua teoria delle forme di governo ed è centrale in tutta la sua teoria politica.
Perchè ha un'idea così diversa rispetto a quella di Platone in un tema così centrale per i greci?
Politica : libro di Aristotele più importante dedicato alle questione politiche-istituzionali. Nella
politica troviamo sviluppato il pensiero etico-politico di Aristotele e al primo libro troviamo
presentata immediatamente quello che diventerà un modello riferimento per il pensiero politico,
cioè il modello aristotelico della polis. Aristotele in questo primo libro critica esplicitamente il suo
maestro Platone su un punto particolare che è il punto in realtà cruciale del pensiero platonico, cioè
sulla pretesa di voler costruire uno stato che sia tutto omogeneo, uno stato che abbia l'omogeneità di
una famiglia (come dice Aristotele), che abbia quella compattezza (→ Platone è un pensatore
dell'uno), cioè contesta l'idea che lo stato possa essere pensato come qualcosa di omogeneo,
compatto, una superficie armoniosa e liscia senza contrasti al suo interno. Lo stato non può essere
assimilato a una famiglia anche se lo stato è composto da famiglie.
Nello spiegare come nasce lo stato costituisce il modello aristotelico (che diventerà un paradigma
nel pensiero giuridico): lo stato nasce attraverso vari passaggi che muovono dal punto iniziale. Cosa
c'è all'inizio? All'inizio ci sono le famiglie. L'uomo è un essere che ritroviamo nel suo momento
originario, nel suo luogo originario, all'interno della famiglia → se vogliamo capire come nasce una
società, stato, comunità, polis dobbiamo andare a vedere il suo nucleo originario ed il nucleo
originario di una comunità politica è la famiglia. E' un punto fondamentale per capire l'evoluzione
del pensiero giuridico. All'origine dello stato c'è la famiglia.
Cosa vuol dire e cosa non vuol dire questa affermazione, quali sono i suoi presupposti? Vuol dire
che Aristotele dice che l'uomo (essere umano) non lo troviamo mai isolato dagli altri, il suo luogo di
origine, il primo momento in cui lo incontriamo è un momento sociale. Aristotele sta dicendo che
l'uomo è un essere socievole → uomo non è un individuo; lo è ovviamente dal punto di vista fisico
perchè è un soggetto diverso dagli altri, ma non lo è dal punto di vista morale, come invece si
svilupperà in epoca moderna. Per Aristotele l'uomo è un essere socievole → non esiste l'ipotesi
dell'uomo isolato dagli altri. → testo nelle dispense “uomo si distingue dagli animali”. Aristotele
dice esplicitamente che l'uomo si distingue da Dio e dagli uomini proprio perchè è un essere
socievole. Socievolezza umana = dato originario della natura umana. Questa convinzione, che
Aristotele cerca di supportare attraverso elementi che dimostrino la sua idea, è all'origine di tutto lo
sviluppo successivo del pensiero politico di Aristotele.
1° momento: famiglia perchè gli uomini sono esseri socievoli; nel discorso di Aristotele e degli
aristotelici (che saranno molti fino all'epoca moderna) non troveremo mai uomo singolo come
essere/soggetto all'origine dello stato, perchè all'origine ci sono le famiglie.
In realtà ci sono più passaggi per giungere alla comunità politica, la quale non si forma dall'unione
delle famiglie, ma dall'unione di quella comunità intermedia tra famiglia e polis che sono i villaggi;
quindi Aristotele dice che l'uomo lo troviamo innanzitutto nelle famiglie, ma le famiglie non
rappresentano un luogo di soddisfacimento di tutti i bisogni degli individui →le famiglie si
organizzano in villaggi. I villaggi non posso soddisfare tutti i bisogni dell'uomo → villaggi si
uniscono e danno origine alla polis. Quindi, la comunità politica nasce dall'aggregazione successiva
di entità sociali pre-esistenti alla comunità politica stessa.
Famiglie → villaggi → polis.
Sottolineature:
socievolezza umana = base dei modelli aristotelici
• Naturalità della comunità politica = base dei modelli aristotelici
• passaggi da famiglie a polis sono naturali, cioè non possono non essere compiuti; è la natura
stessa dell'uomo, quella che fa nascere l'uomo all'interno della famiglia, che porta l'uomo a
cercare di realizzare la polis. Proprio perchè la natura umana non può essere soddisfatta in
tutti i suoi bisogni nella famiglia e e nei villaggi; la natura umana dà vita alla polis = unione
dei villaggi. Polis = comunità perfetta; comunità che basta a se stessa, che non ha bisogno di
altre comunità per soddisfare altri bisogni. Naturalità della polis; La comunità politica non è
frutto di una decisione,costruzione artificiale, non è qualcosa che può esserci o non esserci;
dove ci sono gli uomini, poiché hanno natura socievole, ci sarà sempre una comunità
politica.
→ vedi testo nelle dispense
Per Aristotele dire che qualcosa ha una determinata natura significa che quel qualcosa ha un
determinato fine; dire che la socievolezza umana è la natura dell'uomo significa anche che l'uomo
ha come fine la realizzazione di questa socievolezza e lo stato è l'elemento ultimo di questa
socievolezza, cioè lo spazio in cui questa natura socievole dell'uomo si realizza al massimo grado.
L'autorità della polis ha un fondamento naturale.
Considerazione sul modo con cui Aristotele parla della polis. Questa considerazione della polis non
rappresenta un rovesciamento di quella platonica per altri aspetti e per altri si.
NO, non è un cambio di paradigma. Qual è la continuità tra il modello di Aristotele e quello
• di Platone? La continuità la ritroviamo nell'appartenenza all'organicismo = idea che la
comunità politica è come un organismo in cui le parti si inseriscono svolgendo una v
determinata funzione e la parte esiste solo in quanto inserita nel tutto. Aristotele è un
organicista, come Platone, e anzi per alcuni aspetti è molto più esplicito di Platone, nel dire
che è lo Stato che fa esistere le parti. Aristotele inizialmente fa un ragionamento storico cioè
immagina che nella storia all'origine ci fossero gruppi che poi man mano sono diventati più
grandi fino a dare vita alla polis; ma poi fa un ragionamento logico, cioè per quanto sia vero
che le piccole parti si sono unite per dare vita alla polis, in realtà è il tutto che fa esistere le
parti perchè senza la città non ci sarebbero le famiglie, senza la comunità politica non ci
sarebbero le singole parti. In questo punto, in realtà Aristotele riprende la vecchia
convinzione che Esiodo, Solone che insistevano sul fatto che stare in pace nella città era
l'unico modo di tenere in vita la città e l'unico modo per far esistere pacificamente i singoli,
quindi anche le famiglie. Platone insiste sull'idea che è il tutto che fa esistere le parti; le parti
hanno una loro esistenza, una loro identità solo in quando inserite in questo tutto →
organicismo.
Dal modo con cui Aristotele imposta il suo discorso per la polis; altre considerazioni;
Presupposto: lo stato nasce per natura, aggregazione della famiglia
• → Che differenza c'è tra autorità dello stato e autorità del padre di famiglia ? Dato che lo
stato nasce dalle famiglie, dobbiamo anche dire che lo stato funziona come una famiglia ?
Dobbiamo giungere alla conclusione che anche l'autorità dello stato funziona come l'autorità
all'interno delle famiglie? E' molto facile, come accaduto più volte nella storia del pensiero,
dire che lo stato funziona come una famiglia e quindi ci vuole un capo nello stato così come
c'è un capo nelle famiglie (quando c'era un capo nelle famiglie si ragionava così); Aristotele
dice che non è così, infatti ritiene che lo stato non è assimilabile alla famiglia (= una delle
critiche che Aristotele muove contro Platone). Perchè non è assimilabile a una famiglia?
Perchè lo stato è sempre attraversato da molte differenze. Quindi Aristotele si rende conto
che lo stato è sempre composto da parti tra loro distinte. Lo stato non può funzionare come
le famiglie per 2 ragioni;
1. Aristotele parte dall'idea della differenza, cioè lo stato è un luogo nel quale ci sono
differenze che bisogna governare affinchè non degenerino fino a condurre a contrasti
insanabili.
2. Lo stato non è assimilabile ad una famiglia in grande anche perchè l'autorità nella polis ha
un'origine diversa dall'origine dell'autorità della famiglia.
Autorità del padre di famiglia si basa sulla natura, innanzitutto l'autorità del padre sui
◦ figli o sulla donna perchè la donna per Aristotele è un essere inferiore e sugli schiavi
perchè gli schiavi per Aristotele è convinto che gli schiavi siano tali per natura.
Autorità del capo della casa si basa su elementi prettamente naturali.
Autorità della polis si basa sul consenso; la polis è il luogo in cui gli uomini liberi
◦ consentono il potere a qualcuno sulla base di u libero consenso, è il luogo in cui gli
uomini si incontrano come cittadini e acconsentono ad un'autorità.
Su cosa si basa l'ordine della polis ? Questa polis che si forma attraverso passaggi successivi legati
alla socievolezza umana, qual è la garanzia ultima dell'ordine della polis ? C'è qualcosa che si
ritrova in tutte le forme di governo, soprattutto in quelle forme di governo che sono in grado di
alimentare questo qualcosa, quindi c'è una base solida per la città ed è l'amicizia. Alla base delle
città, delle polis, delle forme di governo c'è l'amicizia. Cosa garantisce la tenuta della città ? Ancora
più della giustizia, dobbiamo guardare all'amicizia. Amicizia = oggi gli diamo un significato molto
più ristretto, per Aristotele ci sono diverse forme di amicizia; basate su
interesse
• condivisione
• comunione spirituale
•
L'aspetto importante è che alla base della città, quindi ciò che garantisce alla città di sopravvivere al
meglio, è il fatto che ci siano tra i soggetti relazioni continue (→ uomo = animale socievole) che
sono il vero tessuto della società.
E' importante sottolinearlo prima di trattare, forme di governo, giustizi e aspetti giuridici e
istituzionali perchè ci sta dicendo che il vero fondamento della città è pre-giuridico, non è dato da
diritto, leggi, istituzioni, ma il vero fondamento della città riposa su elementi extra-giuridici, pre-
giuridici, ovvero nell'esistenza di legami di amicizia tra i soggetti, legami di diversa natura, ma
comunque legami “di riconoscimento reciproco” tra le persone. E' argomento logicamente legato
all'idea dell'uomo come essere socievole ed è coerente con questa concezione antropologica e
logicamente connessa a questa. Aristotele si sta basando su un'idea positiva della natura umana ed è
un punto fondamentale nel modello aristotelico perchè sarà ,molto criticato da altri autori, ad
esempio in Machiavelli troveremo modello completamente diverso e da tale differenza ne derivano
conseguenze enormi sul piano della cultura giuridica e del rapporto tra ordine e legge; esempio
ruolo della legge in una città fondata sull'amicizia: serve il diritto, ma gli assegna un ruolo
determinato cioè serve quando i soggetti non compiono spontaneamente i doveri che derivano dai
legami con gli altri. Diritto = supplente dell'amicizia dove l'amicizia non funzioni, dove ci sono
coloro che non compiono quei doveri che derivano dai legami che hanno con gli altri soggetti. Ci
sono casi in cui il diritto deve intervenire, ma alla base troviamo l'amicizia e l'adempimento dei
doveri che da essa derivano. Diritto si lega strettamente all'idea della costrizione, cioè per
costringere coloro che non adempiono spontaneamente ai loro obblighi, ma Aristotele crede che
nella generalità dei casi questo possa avvenire basandosi sull'amicizia. Amicizia = fondamento della
città. Elemento presente negli autori che si richiamano ad Aristotele. Ordine della polis non si absa
sulla costrizione che viene dalla legge, se non in minima parte.
Forme politiche-istituzionali della polis; Aristotele riforma un'idea delle forme di governo che non
ha inventato lui, ma che da quel momento diventa la teoria classica delle forme di governo perchè
semplicemente Aristotele sistematizza il pensiero degli autori precedenti, ma in realtà non dice
molto di nuovo rispetto a Platone e utilizza due criteri già usarti da Platone; le forme di governo si
distinguono in base:
numero dei governanti;
• Democrazia
◦ Aristocrazia
◦ Oligarchia
◦
Aristotele fa questa affermazione non solo a partire da una considerazione logica, ma studio
che fece fare e che in parte fece di tutte le costituzioni politiche delle polis esistenti a quel
momento, mandò gli allievi della sua scuola a studiare le costituzioni delle singoli città,
lavoro di cui è rimasta solo la ricostruzione della costituzione di Atene. Da questo studio
Aristotele trova conferma di questa antica idea greca.
Modo di governo e lo possiamo valutare sulla base di determinati criteri, quindi anche
• Aristotele distingue le forme buone da quelle cattive, le forme sane da quelle malate, le
forme buone da quelle corrotte;
buone : monarchia aristocrazia democrazia
◦ cattive: tirannide oligarchia demagogia
◦
3 criteri in base ai quali si distinguono le forme buone dalle forme cattive;
consenso
◦ dove non c'è consenso c'è la forza, la violenza di coloro che si impongono a tutti gli altri
(unico che tratta esplicitamente) interesse della comunità: nelle forme buone colui che
◦ governa lo fa seguendo l'interesse dei cittadini e non proprio
→ forme cattive: tirannide, oligarchia (governo dei ricchi che si impongono su tutti gli
altri) e la demagogia (non tanto il governo dei più, ma il governo dei poveri perseguendo
solo il loro interesse e non quello della polis in cui non ci sono solo i poveri, ma anche
gli altri).
Governo della legge
◦ la legge è un criterio di distinzione tra forme buone e cattive perchè la legge è ragione
senza passione, gli uomini sono necessariamente dominati dalle passioni e da qui emerge
la sfiducia da parte di Aristotele nei confronti di coloro che detengono il potere, come se
il potere facesse perdere la ragione, ed anche l'uomo migliore quando è al potere si fa
trascinare dall'interesse, dalla passione ed è un motivo importante nella storia del
costituzionalismo. Aristotele appartiene già alla storia del costituzionalismo intesa come
scuola che utilizza il diritto come tecnica per limitare il potere. Aristotele dimostra, con
queste considerazioni di appartenere a pieno titolo alla storia del costituzionalismo,
anche se inizia a fine 600, ma dal punto di vista di concetti questa storia inizia molto
prima. Le leggi servono esattamente per limitare il potere di coloro che governano.
Aristotele è cosciente che le leggi e la costituzione servano a limitare il potere. Governo
della legge come governo in cui anche coloro che detengono il potere devono ubbidire
alle leggi (governanti, giudici ecc), in alcune opere, ad esempio nella Retorica, Aristotele
dice che i giudici devono applicare la legge perchè se ci si affidasse alla loro volontà ci
si affiderebbe al suo capriccio, allora la legge è ragione senza passione. Legge = rimedio
alle passioni e interessi dell'uomo e all'ignoranza, perchè nella legge possiamo trovare
quella sapienza che non è detto appartenga a coloro che devono decidere.
Perchè la legge è anche un rimedio all'ignoranza? Perchè si forma attraverso l'opinione
di molti. Non è chiara in realtà l'idea che Aristotele ha della legge, ma possiamo dire che
da una parte sembra che si riferisca a leggi che vengono approvate a discussioni in cui
tutti danno il loro contributo e dice esplicitamente che molti occhi vedono meglio di due
occhi, e questa è una considerazione che ci fa pensare a Aristotele che in un certo modo
non considera la democrazia una forma di governo così cattiva, quindi legge come frutto
del contributo di molti soggetti, ma dà anche un altro significato alla legge, cioè legge
che viene dalla tradizione, che è una consuetudine in realtà, e che quindi contiene tutta la
saggezza del passato (ci troviamo in società che possiamo considerare statiche che
valorizzano al massimo il patrimonio di conoscenze che viene dal passato). La legge si
porta dietro tutto quello che la tradizione ci ha dato in termini di conoscenza; chi decide
in base alla legge lo può fare sapendo che riuscirebbe a superare le proprie passioni e
ignoranze = motivo per cui deve prevalere la legge. Ci possono essere casi in cui
applicare la legge può sembrare un modo per creare ingiustizia; Aristotele si pone il
problema della legge che è fonte di ingiustizia oppure dell'applicazione della legge che è
difficile perchè il caso di fronte al quale ci troviamo è molto diverso da quello di cui la
legge si occupa; Aristotele si pone questo problema, ma come problema residuale: cioè
si deve sempre applicare la legge, ma ci sono dei casi nei quali la legge, se applicata,
produce ingiustizia (nel primo Platone questo caso era generalizzato, cioè per lui era
sempre ingiusto applicare la legge perchè i casi sono sempre diversi l'uno dall'altro) →
Aristotele inventa l'equità = decisione che guarda alla giustizia del caso concreto senza
farsi costringere dalla legge → vedi dispense “ciò che produce..” equità = correttivo
della giustizia basata sulla legge; poiché la legge se applicata produrrebbe ingiustizia o
non porterebbe alla soluzione migliore, allora si può procedere all'equità. Il motivo è che
la legge è una norma universale e in alcuni casi singoli non è possibile trattare
correttamente nell'universale. Nelle circostanze dunque in cui la legge deve per forza
parlare in termini generali, ma non può farlo in tutti i casi, la legge prende in
considerazione quello che si verifica nella maggior parte dei casi, pur non ignorando
l'errore dell'approssimazione. Aristotele, come se parlasse proprio per differenziarsi da
Platone, dice che non per questo la legge è sbagliata, cioè l'errore non sta nella legge, né
nel legislatore, ma nella natura della cosa giacchè la materia delle azioni ha questa
intrinseca caratteristica, mentre la realtà presenta casi differenti. Quando nella realtà
accade qualcosa che non rientra nell'universale, è legittimo correggere l'omissione e
considerare prescritto ciò che il legislatore stesso direbbe se fosse presente; Aristotele sta
dicendo cose che verranno riprese anche all'epoca della codificazione, cioè sta dicendo
che il giudice, di fronte a un caso di questo tipo, deve ragionare come avrebbe ragionato
il legislatore se avesse previsto quel caso, quindi non deve decidere sulla base delle sue
ocnvinzioni, ma il giudizio di equità = giudizio che non applica la legge, ma non la
applica perchè il legislatore in quel punto ha commesso un'omissione, ma nel decidere,
colui che deve adottare questo giudizio, deve farlo in qualche modo sostituendosi al
legislatore senza mettersi davanti con la propria persona, ma facendo ciò che il
legislatore avrebbe fatto se avesse previsto quel caso. Equità = correttivo della giustizia.
Aristotele è pienamente convinto sul fatto che il governo della legge sia superiore a quello degli
uomini, ma è come se l'argomento di Platone gli girasse ancora nella testa; ad un certo punto
Aristotele si domanda ipotetica, cioè è chiaro che l'argomento di Platone ancora lo stimola e
provoca, e dice che è chiaro che tutti questi ragionamenti si fanno perchè questa è la realtà in cui
viviamo, ma cosa bisognerebbe dire se noi avessimo a disposizione l'uomo migliore, più sapiente di
tutti? Se avessimo davvero a disposizione questo uomo, potremmo continuare a dire quello che
abbiamo detto ? Aristotele risponde che se avessimo davvero a disposizione l'uomo più virtuoso che
si conosca non potremmo imporgli di essere sottoposto alla legge, quindi metteremo da parte le
leggi e faremmo governare questo uomo secondo il bene che conosce. L'uomo più virtuoso, qualora
esistesse, sarebbe da prendere in considerazione. Non esiste, ma nella più remota ipotesi che
esistesse dovremmo affidarci a lui. 10 ottobre
Libro V dell'Etica.
Concetto generale di giustizia (=legalità)
• Aristotele usa queste espressione in senso più ampio; è giusto seguire la legge = è giusto
seguire la propria legge che è la propria natura; ogni essere, ente esistente (anche enti
inanimati) seguono la proprio natura (una paitre che cade segue la propria natura/legge). La
propria natura è il fine che la natura ci dà; per cui per l'uomo è giusto assecondare la propria
natura politica, quindi la propria natura socievole, quindi vivere nella polis significa vivere
secondo giustizia perchè la natura dell'uomo è socievole e si concretizza al massimo grado
nella polis. (vita politica = naturale, non contrapposta alla natura, anzi massima
concretizzazione dell'uomo ) [modello moderno divide nettamente natura e politica]. E'
giusto vivere secondo natura nella polis. Per Aristotele non è un problema affermare che
l'uomo ha natura socievole. Dopo Aristotele il concetto di natura si rompe nella sua
unitarietà e vivere secondo natura non significa più quello che significa per Aristotele.
Concetto di giustizia particolare così chiamata perchè si applica alle parti, ai soggetti e
• soprattutto alle relazioni tra i soggetti.
Ci sono diverse forme di giustizia particolare, ma c'è un elemento da sottolineare che è
proprio della giustizia particolare ovvero coincide con la realizzazione di un valore che,
insieme all'amicizia, Aristotele pone alla base, quindi è un valore fondamentale di cui la
polis non può non tener conto, pena una cattiva costituzione o fine della costituzione e
questo valore è l'uguaglianza. Giustizia particolare si realizza mediante l'uguaglianza.
Giustizia che realizza nei rapporti tra i soggetti il principio di uguaglianza.
Principio di uguaglianza si è già ritrovato in Platone che la distingue in uguaglianza
ugualitaria (dare a tutti la stessa cosa) e uguaglianza basata sul merito. Aristotele rinnova
l'idea platonica e ci parla di due forme di uguaglianza che sono due forme di giustizia, cioè
sono alla base di due forme di giustizia. Giustizia particolare ha sempre a che fare con
l'uguaglianza, però dire uguaglianza vuol dire cose spesso diverse tra loro, quindi dobbiamo
precisare, anche perchè a volte uno degli errori fondamentali è applicare una forma di
uguaglianza piuttosto che un'altra, cioè una forma di uguaglianza che andrebbe applicata in
certi ambiti, viene applicata anche in altri. Forme di uguaglianza che si applicano in
situazioni diverse. Un buon governante deve sapere quale forma di uguaglianza sia
applicano in certi momenti. 2 forme di uguaglianza:
commutativa
◦ non considerata da Platone nei fondamenti ugualitari della polis. E' l'uguaglianza che si
realizza negli scambi ed ha a che fare non tanto con l'uguaglianza tra le persone in
relazione a un'azione, ma con l'uguaglianza delle cose scambiate, equivalenza di valore.
Quindi, quando scambio qualcosa con qualcuno l'uguaglianza è rispettata se le cose
scambiate si equivalgono nel loro valore. E' un tipo di uguaglianza che noi conosciamo
bene, ovvero uguaglianza contrattuale, cioè uguaglianza del valore delle cose scambiate.
E' un tipo di giustizia che si applica i molti casi, relazioni e rapporti tra i soggetti e anche
quelle relazioni che saremmo tentati a non considerare relazioni tra privati, ade esempio
Aristotele inserisce in questo tipo di giustizia, ovvero all'interno di una concezione
secondo cui ci deve essere equivalenza tra ciò che si dà e ciò che si riceve, anche la
giustizia correttiva: quando si produce un danno a qualcuno, per indennizzare questo
danno, dobbiamo pagare l'equivalente del danno prodotto. Quindi all'interno della
giustizia commutativa, Aristotele inserisce anche la giustizia correttiva, cioè la giustizia
che punisce per un danno che noi abbiamo prodotto ed è una giustizia che vige tra le
parti perchè sono le parti che in qualche modo scambiano le cose che vogliono
scambiare e realizzano questa giustizia. Potremmo chiamarla una giustizia orizzontale
perchè non implica l'esistenza di un'autorità superiore che decide qual è il valore delle
cose o che impone alle persone di scambiare, non c'è autorità sopra le parti, ma sono le
parti che decidono se scambiare, cosa scambiare e come scambiare.
Questione difficile d affrontare perchè non c'è una risposta definitiva: chi decide il valore
delle cose? → chi decide che c'è uguaglianza nello scambio, ovvero che nello scambio
l'uguaglianza si realizza? E' una questione importante con cui il diritto farà conto. E' un
problema che in realtà Aristotele non affronta, ci sarà chi nell'epoca moderna dirà che è
molto semplice perchè lo dicono i soggetti, cioè se le persone che scambiano le cose
sono convinte che le cose scambiate abbiano valore equivalente, il contratto è giusto. E'
questo che dirà Hobbes il quale ricondurrà tutto alla volontà dei soggetti. E' un problema
che Aristotele non affronta in modo specifico, ma tuttavia è questo dimostra la
problematicità della questione.
E' una giustizia tra le parti che guarda all'equivalenza del valore tra le cose, quindi
più che le parti sono in gioco le cose scambiate tra le parti ed è un tipo di giustizia
orizzontale che ha a che fare con gli scambi → applicazione in tutti gli ambiti in cui
è possibile pensare a uno scambio come qualcosa di utile/appropriato. E' una forma
di giustizia che non esaurisce tutte le possibili situazioni, infatti ci sono molte
situazioni in cui non possiamo applicare questa forma di uguaglianza perchè sono
situazioni che non si prestano a essere realizzare/esaurite attraverso uno scambio,
anzi ci sono molte situazioni in cui lo scambio rappresenta una logica diversa
rispetto alla logica di quella situazione. Ci sono situazioni che hanno bisogno di un
principio diverso, ed in questo ragioniamo in modo diverso e non applichiamo più il
principio di giustizia commutativa, ma applichiamo un principio che non guarda più
allo scambio delle cose, ovvero all'equivalenza delle cose scambiate, ma guarda al
merito dei soggetti. L'altra forma altrettanto importante di uguaglianza, ma
fondamentale per l'ordine della città, è quello della giustizia distributiva.
Giustizia distributiva
◦ = dare a ciascuno secondo il suo merito.
Citazione dispense: uguaglianza è duplice; numerica l'una (commutativa) e in rapporto al
merito l'altra (distributiva) ecc [vedi].” → fondare la città su una sola forma di
uguaglianza è una sciocchezza, lo si vede da quel che succede, cioè nessuna costituzione
sarebbe stabile. La giustizia distributiva, cioè dare secondo il merito, non è per
Aristotele dare a tutti la stessa cosa. Giustizia distributiva = a ciascuno secondo il
merito.
[Errore da non fare. Non si deve confondere il principio a ciascuno la stessa cosa con la
giustizia commutativa; non è così, per Aristotele ci sono 2 forme di giustizia particolare:
una è la giustizia commutativa che non è dare a tutti la stessa cosa, perchè il dare a tutti
la stessa cosa è una forma di giustizia distributiva (es padre dà a ognuno dei 7 figlio 1
caramella semplicemente perchè sono tutti figli suoi), ma non viene presa in
considerazione da Aristotele, per il quale giustizia distributiva = dare a ciascuno secondo
il merito. A ciascuno la stessa cosa non ha niente a che fare con la giustizia commutativa
perchè questa è una forma di giustizia distributiva che Aristotele non prende in
considerazione, ma era stata presa in considerazione da Platone perchè per Platone
alcune cose dovevano essere distribuite a tutti allo stesso modo, mentre la giustizia
commutativa non ha niente a che fare con la distribuzione, ma ha a che fare con lo
scambio tra i soggetti. ]
Vuol dire trattare diversamente situazioni diverse, trattare in modo uguale gli uguali e in
modo diverso i diversi, dare di più a chi è di più. Esempio padre che torna a casa dà a chi
ha fatto bene i compiti 3 caramelle, a chi l'ha fatti peggio 1 a chi non l'ha fatti 0; qui la
giustizia verrebbe violata se a coloro che hanno fatto i compiti il padre desse 3 caramelle
a uno e all'altro niente perchè tratterebbe in modo diverso situazioni uguali. Aristotele
dice che la giustizia distributiva coincide con il principio “a ciascuno secondo il merito”
→ 2 riflessioni
In realtà, il principio di giustizia distributiva può essere realizzato in modi molto
▪ diversi, cioè Aristotele ne conosce uno, ma dopo di lui scopriremo altri modi, ad
esempio “a ciascuno secondo il bisogno”
Altro aspetto su cui Aristotele non riflette, ma che possiamo prende in
▪ considerazione; la giustizia non è trattare tutti allo stesso modo , ma in modo uguale
gli uguali e in modo disuguale i diversi. Principio fondamentale, ma quando si tratta
di dargli concretezza a questo principio che è un principio formale, dobbiamo
rispondere a un domanda la cui risposta non è scontata, ovvero “chi sono gli uguali e
i disuguali?” “quando 2,3,4 sono uguali?”; la risposta è stata data dalla storia e dalla
politica, ci sono così state epoche in cui uguali erano quelli di razza bianca e i
disuguali quelli di razza nera→ la vera questione di gioca sul dare contenuto a questo
principio. Per Aristotele era scontato che gli uguali sono i liberi, che ciò che veniva
dato ai liberi, es diritto di cittadinanza, non poteva essere dato agli schiavi che erano
schiavi per natura. Sulla base di quello che dice Aristotele poi si tratta di vedere
come concretamente opera il principio ed è la politica che dà contenuto, l'evoluzione
politica, civile e sociale.
La giustizia distributiva funziona in modo diverso da quella commutativa; quella
• commutativa riguardava i rapporti tra i soggetti ed è chiamata orizzontale perchè non c'è un
soggetto che decide, mentre nella distributiva c'è il soggetto, è l'autorità che decide chi
merita di più e chi merita di meno. Se la giustizia è dare a ciascuno secondo il merito, e
Aristotele fa sempre l'esempio di coloro che si sono distinti in battaglia o coloro che hanno
dato di più alla polis, c'è bisogno di qualcuno che decida chi ha meritato di più e chi ha
meritato di meno. E' un tipico esempio di giustizia che potremmo definire verticale; c'è
un'autorità sopra le parti, non sono più rapporti tra le parti, ma rapporto tra soggetto che
merita/demerita e autorità che deve distribuire il bene che è oggetto della distribuzione.
Aristotele insiste sul fatto che non bisogna confondere le due forme di giustizia, soprattutto non
bisogna applicare l'una in situazioni in cui bisogna applicare l'altra e queste situazioni non sono date
una votla per tutte, ma la storia ci insegna che molte delle situazioni le situazioni in cui siamo
abituati a ragionare con la distributiva, possono diventare situazioni regolate da una giustizia
commutativa esempio in casi di privatizzazioni.
Rapporto e distinzione tra diritto naturale e diritto positivo.
Giustizia come legalità e giustizia come uguaglianza sono le 2 forme di giustizia di cui ci parla
Aristotele. Una delle cose che stupisce del pensiero di questi grandi autori, compreso Aristotele, è il
fatto che questa riflessione sulla giustizia non dia conto minimamente del rapporto problematico
che può esserci tra diritto e giustizia. Aristotele non pone mai la riflessione sulla giustizia, come una
riflessione che si relaziona in modo problematico con la questione del diritto. E' come se Aristotele
desse per scontato che tra diritto e giustizia non è possibile un rapporto problematico, come se il
diritto fosse per definizione anche giusto. (→ Antigone : conflitto diritto e giustizia).Aristotele non
lo considera un tema vero, concreto di cui occuparsi; perchè? Il motivo forse lo ritroviamo nel
modo in cui Aristotele parla del diritto positivo e diritto naturale.
Diritto positivo
• perchè sembra essere una cosa per definizione giusta ? Quando Aristotele parla del governo
della legge e di cosa sia la legge; legge è una nozione non problematizzata perchè non
affronta il tema della natura della legge, cioè che cosa sia legge quando una legge è legge. In
Aristotele sembrano coesistere 2 modi di interpretare la legge, cioè una legge che gode del
consenso generale e quindi per definizione giusta (se tutti la condividono vuol dire che è una
norma che è considerata giusta) e l'altro modo fa coincidere la legge con gli usi tradizionali,
ovvero con la consuetudine (tipico modo di formazione delle norme giuridiche che si radica
nella tradizione) ed anche in questo caso la legge non può che essere giusta, ciò che è
condiviso dal passato e ha attraversato un lungo periodo e diverse generazioni, anch'essa per
definizione deve essere considerata giusta perchè altrimenti sarebbe stata interrotta. E' una
nozione del diritto positivo basata su questa concezione della legge, su questo tipo di
concezione della legge (legge basata sul consenso generale/legge come consuetudine).
Aristotele non si sofferma neppure a distinguerle queste due modalità della legge. In
entrambi i casi il concetto non è problematico, ma è un concetto dal quale si evince l'idea
che la legge è giusta. Legge = giustizia. Questo tipo di legge positiva non confligge neanche
con il diritto natura, non è possibile che la legge confligga con il diritto naturale, tanto che
non si pone neanche il problema, perchè, per Aristotele, la nozione di diritto naturale è una
nozione appartenente a quella di diritto positivo.
Diritto naturale
• = diritto positivo che possiamo ritrovare in tutte le comunità politiche. Aristotele dice che ci
sono diverse regole che sono influenzate dalla volontà e culture degli uomini e quindi sono
diverse da città a città (= diritto positivo), ma ci sono alcune regole che possiamo ritrovare
ovunque e non sono influenzate dall'opinione degli uomini e sono regole di diritto naturale,
ma sono regole di diritto naturale non perchè sono scoperte in una particolare concezione
della naturale, ma se Aristotele le chiama di diritto naturale è perchè vede che si trovano
ovunque, quindi sono natura perchè sono positive ovunque.
Erodoto; Erodoto è uno storico che aveva già informato i Greci circa la pluralità delle
culture, nelle storie di Erodoto c'è una testimonianza del modo diverso con cui le varie
culture affrontano le questioni. In un Episodio, al quale Aristotele in qualche modo fa
riferimento, nel quale parla del modo di trattare i defunti e Erodoto mette a confronto due
modalità: quella dei greci che bruciano i cadaveri dei loro morti ritenendo di effettuare, in
questo modo, tutti i passaggi per il bene della comunità e anche di colui che è morto, e
quella del popolo dei gallati che mangiano i corpi dei loro defunti → ragionamento di
Aristotele: Erodoto voleva dire che a volte c'era una radicale incomunicabilità tra le culture,
ma c'era anche una necessaria presa d'atto della “pari dignità delle culture”. Aristotele dice
che operano due regole positive, influenzate dalla volontà e dal sentire degli uomini, sono
due regole positive diverse; una dice che i cadaveri vanno bruciati e l'altra che i cadaveri
vengano mangiati dai familiari, sono diversi, ma alla base c'è una comune regola naturale
che dice che ai defunti spetta un trattamento adeguato, cioè che gli si deve tributare un certo
trattare, e non abbandonati, ma c'è una regola che impone ai vivi di dare una degna
sepoltura, un degno trapasso, ai morti, quindi c'è una regola che è alla base del diritto
positivo che è differenziato, ma al cui fondamento troviamo una regola comune (in questo
caso: dare ai defunti un trattamento adeguato).
Non c'è opposizione o contrasto tra diritto naturale e diritto positivo per definizione. Il diritto
naturale potremmo dire che è la base del diritto positivo ed è quella base che possiamo rintracciare
non a partire da un'indagine razionale, ma a partire da un'indagine empirica dei diritti positivi, cioè
se andiamo a vedere cosa c'è di generale nei diversi diritti positivi, troviamo quello che Aristotele
chiama diritto naturale.
Aristotele dice che il diritto naturale mantiene ovunque lo stesso effetto e non è influenzato
dall'opinione degli uomini, mentre il diritto civile, nel senso di diritto della civitas, quindi diritto
positivo, ha origine da una statuizione degli uomini e è fondata sulla convenzione e proprio per
questo è mutevole. La cosa da sottolineare è che non ci può essere opposizione tra diritto naturale e
diritto positivo per definizione, perchè se il diritto naturale deriva da diritto positivo, è solo una
generalizzazione del diritto positivo e quindi non ci può essere nessuna opposizione.
Con Aristotele non abbiamo trovato su alcune questioni un autore così diverso da Platone, il
paradigma aristotelico rimane un modello organicistico, cioè fondato sull'idea della polis = tutto
superiore alle parti, in cui le parti hanno un ruolo solo in quanto hanno una loro configurazione
all'interno del tutto, è il tutto che dà significato alle parti. Polis = luogo di massima realizzazione
della natura, luogo in cui la natura umana trova il suo compimento. Modello centrato sull'idea della
polis = luogo di alta dignità. Questo finisce dopo Aristotele, il quale costituisce il culmine di questo
modello (che non è stato inventato da lui, ma appartiene alla cultura greca) per ragioni storico-
politiche, come la vicenda della fine delle polis, affermazione dell'impero macedone, finisce epoca
delle polis e questo produce, a livello anche del pensiero filosofico e giuridico finisce il modello
aristotelico (quantomeno per il momento, tramonterà definitivamente molto dopo); cioè che va in
crisi, in particolare, va in crisi l'idea che individuo e polis siano inscindibilmente legati, l'idea che la
polis sia il massimo luogo di realizzazione della virtù individuale e quindi anche della felicità
individuale e si afferma, invece, un'idea completamente diversa per cui i destini individuali non
sono più decisi dalla polis, l'impero è lontano rispetto alla polis e, a maggior ragione, rispetto
all'individuo. Si produce quella che molti chiamano una specie di chiusura dell'individuo in se
stesso che non riconosce più nella polis un punto riferimento, e siccome la polis è un qualcosa di
lontano, c'è una specie di riscoperta dell'individuo della propria individualità. Le filosofie post-
artistoteliche o ellenistiche rappresentano questo dal punto di vista etico-politco, cioè delle filosofie
che si sviluppano a partire dalla crisi delle polis, dalla crisi dell'idea della comunità politica come
luogo di massima realizzazione delle virtù individuale. Ci sono diverse di queste filosofie, di cui, in
tale sede ne selezioniamo 2, cioè epicureismo e storicismo perchè danno due modelli diversi di
interpretare il diritto e la giustizia particolarmente importanti per la storia del pensiero giuridico, 2
che danno vita a due grandi tradizioni della filosofia che rilevano sul piano giuridico perchè ci
danno informazione di tipo storico culturale e ci permettono di fare anche quale ragionamento
teorico, cioè ci permettono di fornirci di un modello di pensiero.
Epicureismo e storicismo.
A partire dal comune punto di crisi, ovvero fine del rapporto naturale tra individuo e polis, c'è
ritorno all'individuo = ritorno alla natura; nel momento in cui l'individuo si interroga su se stesso e
non è più scontato che la natura sia politica che lo conduce alla vita della polis, si chiede quale sia la
sua natura. Aristotele dà per scontato che il concetto di natura sia un concetto non problematico,e
invece il concetto di natura diventa problematico perchè è un concetto a cui si può rispondere in
modo diverso; infatti queste due filosofie rispondono in modo diverso;
epicurei : natura = cercare il piacere
• storicismo : natura = piena appartenenza dell'uomo a logos, ordine razionale che governa
• l'universo.
ed hanno esisti profondamente diversi nella riflessione giuridica.
Epicureismo
La natura dell'uomo sta nella ricerca del piacere.
Epicuro dice: “quando diciamo che il fine è il piacere ecc.. (vedi citazione)” a tutti coloro che
verranno dopo che l'immagine che si faranno di lui, cioè di uno che propaganda la vita dissoluta
basata sui piacere, è un immagine sbagliata; seguire il piacere = cercare di evitare il dolore fisico e i
turbamenti dell'animo. Questo piacere predicato da Epicuro si basa su un sobrio giudizio che
indaghi le cause di ogni scelta e avversione e scacci gli errori, proprio quegli errori che rendono
l'animo pieno di inquietudine. Produce conseguenze nei confronti della politica; perchè la politica
non ha dignità per Epicuro? Cioè, perchè la politica non deve essere fonte di interesse per
l'individuo? Perchè la politica è fonte di inquietudine continua, in quanto politica = potere, non
luogo di realizzazione della libertà del cittadino del cittadino. Bisogna rifuggire dalla vita pubblica.
Quando si parla di epicureismo si fa riferimento al de rerum natura di Lucrezio, scritto molto dopo
Epicuro, ma è considerato attendibile perchè Epicuro era una specie di Dio in terra per i suoi
seguaci e quindi coloro che appartenevano all'epicureismo ripetevano fedelmente le parole del
maestro e, visto che di Epicuro non è rimasto molto, si fa riferimento al de rerum natura di Lucrezio
per sapere cosa dice l'epicureismo; Lucrezio dice che la politica è potere, anzi non è neanche potere
e magari lo fosse perchè potere è qualcosa che si possiede, mentre la politica non è potere ma
continua lotta per il potere, cioè lotta per qualcosa che non riusciremo mai a possedere
definitivamente. Infatti, nel libro III “anelare al potere che è invano ecc (vedi citazione)”. Politica =
lotta per un potere che non potremmo mai possedere → immagine usata da Lucrezio: fatica enorme
che si fa per portare un masso in cima ad un monte per vederlo poi rotolare immediatamente verso
la pianura, quindi la politica non è altro che fonte di ansia continua e se vogliamo perseguire quel
piacere che è inevitabilmente e inestricabilmente legato alla nostra natura, dobbiamo stare lontani
dalla politica perchè la politica è fonte di ansia. Se la natura ci dice che dobbiamo cercare il piacere,
bisogna stare lontani dalla politica e disinteressarsi dalla polis, ovvero della comunità politica.
Epicuro segna un vero e proprio cambio di paradigma rispetto a Aristotele. 13 ottobre
Cicerone
Appartiene allo stoicismo e all'idea dell'esistenza di una legge naturale che esprime l'essenza della
legge alla quale il diritto positivo deve far riferimento.
Legge = legge naturale.
Bisogna guardare alla legge naturale per capire che cos'è la legge e i contenuti che deve avere e che
cicerone chiama anche contenuti di giustizia, precetti della giustizia che sono precetti naturali si
fondano sull'idea di natura. Tra l'altro una natura per Cicerone è razionale e perfettamente
coincidente con il modo con cui Aristotele intendeva la natura umana, cioè la socievolezza
dell'uomo. I precetti positivi della giustizia, cioè espliciti che Cicerone assegna alla giustizia: non
recare danno, mantenere impegni, rispetto delle cose altrui e a ciascuno secondo il merito. Cicerone
presenta i vari precetti della giustizia facendo l'elenco che sembra mettere più o meno sullo stesso
piano le varie norme, anche se poi Cicerone in qualche modo rivela rivela anche la sua natura di
aristocratico che teme alle rivoluzioni sociali, infatti in alcuni passi difende in modo abbastanza
fermo l'idea della proprietà perchè per Cicerone il principio della proprietà = principio costitutivo
dello stato, anche se nel fornire la definizione dello stato non fa riferimento all'idea che lo stato
esiste per difendere le proprietà dei singoli soggetti.
Quando parla della giustizia; elementi da sottolineare
Precetti positivi della giustizia sono detti così non per fare riferimento al diritto positivo, ma perchè
dice che cosa è la giustizia, quindi una risposta in positivo, ma spesso, quando parla della giustizia,
Cicerone dice che si può parlare della giustizia in due modi;
ricordare i precetti della giustizia
• parlare ella giustizia a partire dall'ingiustizia.
• E' un aspetto interessante per noi oggi perchè nella discussione a livello globale della
giustizia oggi troviamo molti autori, come in Italia Gustavo, che sostiene che parlare della
giustizia cercando di mettersi d'accorso su cos'è la giustizia non porta lontano, mentre è più
utile un discorso che parte dall'ingiustizia, cioè che parte da un accordo minimo su cos'è
l'ingiustizia. Cicerone in qualche modo fa questa mossa teorica. Si può parlare della giustizia
a partire dall'ingiustizia. Cicerone non dà molte indicazioni in proposito, ma alcune cose le
dice, ad esempio cos'è sicuramente ingiusto? Sicuramente ingiusto è punire una persona o
uno stato (parla della guerra in questo caso) con una sanzione che è eccessiva rispetto alla
colpa che ha nei confronti di colui che punisce, e anche applicare la legge in modo cieco,
freddo e meccanico, perchè a volte l'applicazione della legge ( → Platone) in modo
eccessivamente formalistica produce ingiustizia. L'ingiustizia a volte può essere prodotta per
eccessiva cavillosità dell'applicazione della legge. Massima applicazione della legge si
traduce in una decisione ingiusta. Conoscere ciò che sicuramente è ingiusto per capire cos'è
la giustizia, piuttosto che mettersi d'accordo su una definizione di giustizia.
Il tema della giustizia per Cicerone è fondamentale anche per la fondazione dello stato, quindi non
solo il tema della proprietà, anzi il tema della giustizia in generale è portato da Cicerone ad un
livello di importanza costitutiva per lo stato ed è una mossa teorica importante. Portare il concetto
di giustizia nella definizione delle lo stato è una mossa teoria importante; è così importante la
giustizia che fa parte della stessa definizione di stato. Cicerone dice che “lo stato è ciò che
appartiene al popolo, ma non è popolo ogni moltitudine di uomini riunitasi in un luogo qualsiasi
(vedi cit)” ci sono 3 elementi nella definizione dello stato:
comunanza di interessi; idea di un'interesse comune che sta alla base dello stato
• esistenza di una collettività organizzata
• osservanza della giustizia come fondamento
•
Questa definizione implica numerose cose;
idea che la comunità politica non è una comunità basata sula costrizione/forza, ma la
• comunità politica, per definizione, se è una comunità politica, è basata sul consenso, sul
fatto che i cittadini in qualche modo sono parte attiva e consapevole della comunità.
Cicerone dà anche molte indicazione pratiche che sembrano rispondere con qualche secolo
di anticipo a Machiavelli, cioè dice che principe o governante deve farsi amare e non
temere. Governo basato sulla paura genera paura, quindi una forma di governo che ha come
sua cifra costitutiva la paura è un non-governo, non è una vera comunità politica perchè si
basa sulla paura e non sul consenso. Quindi, per Cicerone, la tirannide non è neanche una
forma generata di governo, non è uno stato è un non-governo, mentre lo stato ha bisogno dei
caratteri detti prima. Costruire uno stato vuol dire abbandonare lo strumento della violenza e
della forza. Consenso come alternativo alla forza e questo vuol dire che le varie forme di
governo di cui Cicerone parla implicano l'esistenza del consenso al di là della diversità che
possono presentare nella loro organizzazione, cioè implicano l'esistenza della giustizia come
fondamento, l'idea della comunanza di interessi. Le cose che Cicerone ha detto per la
costituzione dello stato valgono per ogni forma di stato, che sono diverse ma tutte hanno per
definizione, o devono avere, questi caratteri.
Possono esistere diverse forme di stato.
• Cicerone ripete la teoria classica delle forme di stato (monarchia, aristocrazia e democrazia)
e non parla neanche di quelle degenerate, però ci dice qualcosa di nuovo, di cui alcuni
aspetti sono ripresi da uno storico romano che è Polibio (nelle Storie di Polibio c'è la
riflessione sulle forme di governo che Cicerone ripropone nel de repubblica). Riflessione
ripresa: ci sono diverse forme di governo che sono distinte in base al numero, però tutte
queste forme di governo non sono stabili, non garantiscono la stabilità del governo, ma sono
costantemente esposte al rischio di trasformarsi in altre forme di governo, non perchè c'è il
rischio di degenerare nella loro forma cattiva, ma queste forme di governo sono
costantemente esposte al rischio di trasformarsi in altre forme di governo perchè sono
costitutivamente caratterizzate da un difetto, cioè c'è un carattere intrinseco in ognuna delle
forme di governo, anche nella loro versione buona, quindi il problema non è tanto che si
possano trasformare nella loro forma corrotta, ma che anche nella loro forma buona, corretta
e non corrotta, hanno ciascuna un difetto che non garantisce la tenuta, la stabilità perchè
lascia da parte elementi che non possono essere lasciati da parte in una buona comunità
politica. Quindi ci sono dei difetti strutturali, ineliminabili che però hanno come
conseguenza il fatto che ciascuna di queste forme di governo rischia di trasformarsi in
un'altra forma di governo, non necessariamente in una forma corrotta, ad esempio
monarchia può trasformarsi in democrazia o aristocrazia, ma comunque si tratta di un
governo non stabile a causa di questo intrinseco difetto.
Difetti di queste forme di governo e che quindi ci fa dire che nessuna di loro è perfetta:
Monarchia → difetto: escludere il popolo dal governo
◦ E' una forma di governo che concentra troppo potere nelle mani di uno solo e dei suoi
collaboratori, escludendo completamente il popolo.
Aristocrazia → difetto: fa prevalere in modo eccessivo l'interesse di pochi ed anche nella
◦ sua forma buona fa emergere i pochi e questo limita necessariamente la libertà degli
altri.
Democrazia → difetto: tendere troppo al livellamento delle condizioni, cioè privilegia
◦ troppo l'idea dell'uguaglianza tra i cittadini senza dare spazio al merito. Impedisce le
distinzioni di merito ed è eccessivamente livellatore. E' un principio che Cicerone
individua ed è interessante perchè nel 1830 c'è un giurista francese Tocqueville che è il
primo grande studioso della democrazia ed in individua nella democrazia l'idea del
livellamento, idea della condizione egualitaria dei soggetti, idea di una forma di governo
che è anche forma della società e non solo di governo come istituzione che impedisce le
distinzioni di merito.
Risposta data da Cicerone: quello stato che si presenta in una di queste forme non deve
rinunciare a perseguire la stabilità, una condizione stabile, e quindi la possibilità di
mantenere l'ordine della comunità nel tempo senza continui rivolgimento perchè c'è una
soluzione e la individua a livello teorico, ma la individua a livello teorico perchè in realtà ce
l'ha sotto gli occhi: governo misto = forma di governo che non è forma buona rispetto ad
altre, ma è una nuova forma di governo che risulta dalla composizione degli elementi delle
altre tre forme di governo; poiché ognuna delle 3 forme di governo presenta un difetto che la
rende instabile, prendiamo l'elemento essenziale di ciascuna di queste forme di governo e
mettiamoli insieme, cioè una forma di governo che tiene insieme i 3 principi fondamentali
delle altre 3 forme di governo: elemento monarchico, elemento aristocratico e elemento
popolare. E' possibile una forma di governo in cui questi 3 principi stiano insieme? Quindi
una forma di governo mista prevede l'attribuzione dei poteri a:
un monarca
• un gruppo oligarchico (gruppo a cui vengono affidati determinati poteri per il merito)
• forma popolare
•
per Cicerone può esistere e può esistere così tanto che è la forma di governo di Roma →
Polibio quando parlava di Roma e spiegava uno dei motivo per cui Roma poteva avere la
potenza che aveva raggiunto era dovuta alla sua forma di governo, ovvero alla stabilità che
garantiva, e tale stabilità era dovuta al fatto che erano stati messi insieme popolo, senato,
consoli all'interno di un'unica forma di governo. Per Cicerone e per Polibio questa era la
forza di Roma, cioè una forma di governo in cui i 3 principi fondamentali e costitutivi delle
forme di governo classiche stanno insieme all'interno di un unico sistema.
Questa teoria è al centro di diverse discussioni, in particolare Bodin e Hobbes che ne
parleranno. Governo misto diventa un tema nella riflessione delle forme di governo e i
teologi della sovranità si pongono questo problema, cioè se il governo misto permette
l'espressione della sovranità. E' un tema che ci interessa anche dal punto di visto giuridico-
istituzionale; spesso emerge questa idea del governo misto a proposito della Costituzione, ad
esempio la Costituzione italiana è una costituzione in cui c'è vera separazione dei poteri? Ci
sono autori e studiosi, anche autorevoli, che dicono che in realtà una vera separazione dei
poteri non c'è perchè tutti i poteri sono ricondotti al popolo, quindi a un'unica fonte e questo
non conduce ad una vera e propria separazione dei poteri. Questo dimostra che la teoria del
governo misto è una teoria che viene utilizzata anche per leggere le costituzioni
contemporanee ed i sostenitori di questa teoria difendono l'idea che, affinchè ci sia una vera
e propria separazione dei poteri come era nella repubblica romana, bisognerebbe ricondurre i
diversi poteri a fonti/origini diverse.
La giustizia è così importante, ovvero parte costitutiva dello stato (non ci può essere lo stato
• se non c'è la giustizia) (→ Sant'Agostino è un elemento problematico). Cicerone pone la
giustizia come fondamento dello stato e in questo modo Cicerone ci dice che la giustizia è
talmente importante, così costitutiva rispetto allo stato, cioè non può esserci stato se non c'è
la giustizia, così importante per ogni aggregato umano, (vedi citazione), che anche coloro
che violano i precetti della giustizia non possono che applicare al loro interno gli stessi
precetti, quindi paradossalmente la giustizia vince anche contro coloro che la violano e,
inoltre, in questo modo, Cicerone individua una questione teoricamente molto rilevante
(considerazioni simili erano presenti già in Platone che però aveva abbandonato la questione
senza sottolinearla particolarmente): non c'è gruppo umano che possa fare a meno della
giustizia, cioè non c'è gruppo umano che possa fare a meno di un'organizzazione giuridica,
anzi sarà (come dirà poi anche l'istituzionalismo) proprio il fatto che ogni gruppo umano ha
bisogno di un'organizzazione che porterà alcuni autori a dire che ogni volta che c'è un
gruppo umano organizzato ci troviamo davanti a un ordinamento giuridico. Cicerone dice
che la giustizia è un principio talmente forte che nessun aggregato umano può fare a meno
dei suoi precetti, tanto che, ad esempio, anche quando si divide il bottino in una banda di
briganti non si possono violare alcuni precetti fondamentali della giustizia.
Governo della legge; considerato il rapporto che istituisce tra diritto naturale e diritto
• positivo, considerato quello che Cicerone dice a proposito dello stato e della giustizia come
fondamento, considerato quello che dice a proposito del consenso come costitutivo dello
stato; ci porta a dire che cicerone è un difensore del governo della legge, dell'alternativa tra
governo degli uomini e governo della legge, Cicerone è difensore del governo della legge,
dell'idea che la legge è un elemento fondamentale dello stato, legge come strumento di
governo che garantisce i precetti della giustizia, quindi che ha un determinato contenuto, la
legge come frutto della collaborazione tra i poteri, ma soprattutto la legge per Cicerone è
fortemente, strettissimamente e strutturalmente legata all'idea della libertà → legge è
garante della libertà. Perchè la legge è garante della libertà? Di quale libertà ci parla
Cicerone? E' un punto sul quale a Cicerone viene riconosciuta una paternità, un'importante
teoria politica contemporanea che è tornata in auge negli ultimi 20/30 anni, ovvero il
repubblicanesimo o neo-repubblicanesimo, che fa riferimento a quest'idea di libertà
presentata da Cicerone. E' un'idea di libertà che si differenzia dalle altre proprio per il
riferimento al rapporto che essa ha con la legge. Legge = garanzia di libertà. (vedi
definizione di libertà nelle dispense) Essere liberi non vuol dire avere un padrone buone,
essere liberi vuol dire non avere padrone; è libero colui che non ha da temere rispetto a
qualcun altro. Se un uomo ha ragione di temere che qualcuno possa fare qualcosa nei suoi
confronti → non è libero perchè ha un padrone. Se qualcuno può decidere arbitrariamente su
un uomo, quell'uomo non è libero. La libertà è non avere un padrone. Cicerone dice che c'è
differenza tra avere un padrone buono e non averne affatto; se sono uno schiavo ho un
padrone buonissimo è pur sempre il mio padrone e persino la mia vita è sottoposta a una sua
possibile decisione arbitraria, finchè sono sottoposto alla decisione arbitraria di qualcuno
vuol dire che non sono libero. Esempio: ho un lavoro non fornito delle garanzie necessarie,
quindi dall'oggi al domani il mio datore può licenziarmi, significa che non sono libero
perchè dipendo dalle decisioni arbitrarie di qualcuno. Se questa è la libertà, perchè in
Cicerone c'è uno stretto legame libertà-legge? Perchè l'unico modo di non essere sottoposto
a decisioni arbitrarie di qualcuno è che ci siano le leggi. Se non ci sono leggi vuol dire che
sono sottoposto alle decisioni di qualcuno o alla forza di qualcuno. L'unico limite per le
decisioni arbitrarie che possono essere esercitate su di me sono le leggi. → leggi = garanzia
della libertà. La libertà esiste, non nonostante le leggi, ma grazie alle leggi perchè se non ci
fossero le leggi noi non saremmo liberi, sono proprio le leggi, l'essenza di una legge che
impedisce a qualcuno di prendere decisioni arbitrarie su di me. Questo è il motivo per cui
legge e libertà sono strettamente connesse, ovvero perchè le leggi permettono di non avere
un padrone; se ci sono le leggi, vuol dire che rispondo alle leggi, che sono le leggi che
stabiliscono cosa può essere fatto e cosa non può essere fatto anche nei miei confronti, ma
oltretutto se ci sono le leggi vuol dire che tutti siamo sottomessi alla leggi → leggi = tutela
della libertà del più debole. E' una delle grandi definizione della libertà nella storia del
pensiero politico e giuridico. Possiamo chiamare questa libertà; libertà come non dominio.
Troveremo 3 definizioni di libertà in particolare: libertà come;
non dominio
◦ rapporto positivo tra legge-libertà; la libertà c'è quando c'è la legge.
non impedimento
◦ rapporto negativo legge-libertà; la libertà c'è quando non c'è la legge perchè la legge
impedisce la libertà. E' un modello diverso che ha altri obiettivi e vuole sottolineare
diverse valori che lo portano a configurare una certa avversione tra legge e libertà.
autonomia.
◦
Anche questa è la ragione che porta Cicerone a difendere la legge, cioè l'idea che la legge
impedisce l'esercizio della violenza nei rapporti tra i soggetti → legge = garanzia della
libertà.
[fine Cicerone] Avvento del cristianesimo
Avvento del cristianesimo porta notevoli novità che si estendono anche sul piano politico e
giuridico. Il cristianesimo è una religione che da un certo punto di vista critica radicalmente ciò che
è stato prima e da un altro punto di vista permette di costruire un ponte tra ciò che è stato prima e
ciò che è stato dopo. La tematica del diritto naturale, ad esempio, che è LA tematica del pensiero
giuridico visto fino ad ora, viene letteralmente trasportata nella nuova epoca, cioè il cristianesimo la
riformula e la inserisce in un contesto teologico e la porta verso di noi nel pensiero moderno e
contemporaneo. Quindi, il cristianesimo rappresenta anche una vicenda ponte nell'ambito del
pensiero giuridico. In realtà, questo passaggio ci permette di trovare cose nuove che il pensiero
precedente non aveva elaborato ed è interessante andarlo a cercare perchè il cristianesimo, ovvero il
suo messaggio, è riferito ad un personaggio che dice che il suo regno non è di questo mondo e
quindi ci verrebbe da chiederci perchè dovrebbe interessarci se il suo regno non è di questo mondo.
Non è una considerazione banale perchè l'alternativa tra i due mondi, tra mondo terreno e mondo
celeste, da questo momento in poi, sarà uno degli elementi fondamentali dei pensatori politici.
L'alternativa, e a volte la radicale alternativa, tra questi due mondi, ma anche relazione tra essi sarà
uno dei temi centrali, come vedremo con Agostino di Ippona o Marsilio da Padova. Atteggiamento
che deriva dall'idea che il regno non è di questo mondo nei confronti del diritto; se dovessimo
sintetizzare al massimo il messaggio che su questo piano viene dal cristianesimo delle origine è
sfiducia totale nei confronti del diritto e della legge. Ritroviamo una delegittimazione totale della
legge e del diritto, prefigurazione di una comunità basata su tutt'altri presupposti, infatti, su questo
proposito si parlerà di antigiuridismo = idea che si possa costruire una comunità facendo a meno del
diritto, basandola su presupposti completamente diversi, in cui si ritrova una continua
delegittimazione dei giudici, ovvero “non giudicate e non sarete giudicati”.
Troviamo l'idea di un vero e proprio superamento della giustizia intesa come uguaglianza come
contraccambio o come punizione, infatti le parabole sono storielle attraverso cui Gesù vuole dare
dei messaggi, che se li analizziamo notiamo un rifiuto dell'uguaglianza come contraccambio.
Troviamo un nuova idea che si trova alla base e si traduce in un'idea di giustizia, una vera e propria
nuova formula di giustizia. Tutto ciò deriva dall'idea che si possa costruire un ordine sociale basato
su presupposti diversi, esempio sulla condivisione dei beni (=punto cruciale) a cui corrisponde un
altro elemento, che potremmo chiamare una formula di giustizia che consiste in una riformulazione
del concetto di uguaglianza, quindi nono solo uguaglianza intesa come contraccambio o dare a
ciascuno secondo il suo merito, ma nuova uguaglianza = a ciascuno secondo i propri bisogni (=
nuovo precetto dell'uguaglianza). Si mira ad una giustizia che si radica non più solo nei rapporti tra
gli uomini (Aristotele guarda al rapporto tra gli uomini), si inserisce nei rapporti di giustizia un
elemento nuovo, cioè la presenza di Dio. Alla giustizia umana viene contrapposta, anzi sovrapposta,
e a volte esplicitamente contrapposta la giustizia divina , una giusta più alta. Qual è l'estrinsecazione
di questa giustizia divina? Dove la vediamo su questa terra? Come si deve concretizzare? Quali
sono le vie attraverso cui si realizza? Se pensiamo alla giustizia divina, che deve creare una
comunità completamente diversa, non più basata sul bene devo cercare vie diverse. Qual è la
giustizia divina che dobbiamo realizzare? Giustizia = carità, non nel senso di fare la carità, ma nel
senso dell'amore per Dio e per il prossimo. E' un tipo di giustizia che rappresenta una vera e propria
nuova visione della giustizia che ha un'idea fondamentale che la differenzia da tutte le altre, cioè è
un tipo di giustizia che non si realizza o non mira a realizzarsi direttamente attraverso le istituzioni,
ma è una nuova visione della giustizia che chiede direttamente ai soggetti interessati al bene della
comunità di operare in modo che questa giustizia venga realizzata. Non c'è appello al giudice
perchè difenda i nostri diritti, ma c'è una giustizia che si realizza attraverso l'impegno di tutti i
membri della comunità chiamati direttamente a realizzare questa giustizia. C'è molto di
antigiuridico, c'è una visione più alta su cui la comunità si deve basare che non deve guardare al
diritto tra le regole istituzionali, ma passa attraverso il comportamento dei singoli soggetti. Persino
Hans Kelsen dice che se utilizziamo la forma a ciascuno secondo il suo bisogno, stiamo incontrando
una forma di giustizia che chiama in causa non l'istituzione, quindi non il diritto, ma l'impegno di
ciascun membro della comunità per realizzare questo tipo di giustizia.
Giustizia = carità. 18 ottobre
AGOSTINO
Modello di giustizia di Agostino è fondato sulla volontà, sulla fede in Dio e quindi nella volontà di
Dio → modello volontaristico.
Differenza tra modello volontarismo e razionalismo sta nel fondamento della legge, della giustizia;
razionalismo → idea per cui la ragione può fare da fondamento della legge e dare anche
• contenuti alla legge
volontarismo → idea per cui la legge sia dal punto di vista del fondamento che dei contenuti
• dipende dalla volontà di qualcuno, che in questo caso è Dio (poi sarà individuato nel
Leviatano, troveremo diverse espressioni del modello volontaristico)
Coloro che seguono la volontà di Dio, quindi coloro che hanno la fede che salva, costituiscono per
Agostino una comunità, la comunità cristiana, cioè quella dei giusti, di coloro che seguono la
volontà di Dio e che Agostino chiama Città di Dio = città abitata, non nell'aldilà, ma già su questa
terra, da coloro che fanno la volontà di Dio, ovvero dagli uomini giusti.
Questa città, però, non è esclusiva; Agostino sa benissimo che non esistono solo uoini giusti, ma ci
sono anche molti uomini che non hanno raggiunto il dono della fede o non sono ancora stati
raggiunti dal messaggio di salvezza del cristianesimo; quinid ci sono molti uomini che non seguono
la giustizia nel senso agostiniano → Agostino elabora la teoria delle 2 città:
Città di Dio
• Città degli uomini = città abitata da coloro che non hanno ancora raggiunto le condizioni per
• poter entrare nella città di Dio.
Come considera Agostino la città degli uomini ? Possiamo scoprirlo partendo dal modo in cui
Agostino parlava di Roma. Roma è, da un certo punto di vista, la negazione della città di Dio per
Agostino. “La città di Dio” (“ de civitate dei) è una grande opera di Agostino che ha scritto nel
corso di diversi decenni e ha lo scopo di difendere il cristianesimo dall'accusa che proveniva da
alcuni scrittori romani secondo la quale era stato il cristianesimo la causa della decadenza di Roma.
In questa opera Agostino cerca di difendere il cristianesimo dalla seguente accusa: cristianesimo =
causa della decadenza e fine di Roma → Agostino cerca di dimostrare che le cause sono state altre.
Agostino, nel ciò che gli scrittori romani avevano lasciato, in particolare Cicerone, discute anche
della definizione dello stato di Cicerone, che Agostino conosceva attraverso alcuni frammenti,
ovvero la definizione di stato = comunità di uomini organizzata sulla base di interessi comuni e
sulla base della giustizia; Agostino prende così sul serio questa definizione ciceroniano, tanto da
arrivare a dire che, sulla base della stessa definizione di Cicerone, in realtà bisogna giungere alla
conclusione che Roma non era stata neanche uno stato. Roma non era un vero stato perchè a Roma
mancava la giustizia; se prendiamo per buona la definizione in base alla quale uno stato, inteso nel
senso di polis, ovvero di comunità politica, è tale in quanto i cittadini sono legati anche dalla
condivisione della giustizia , allora Agostino dice che bisogna dire che Roma non era uno stato. Il
motivo di questa affermazione forte di Agostino sta nel fatto che Roma non rispettava la giustizia,
secondo Agostino. Perchè Roma non rispettava la giustizia? Perchè se la giustizia è “dare a ciascuno
il suo”, il primo soggetto a cui bisogna dare “il suo”, cioè ciò che gli spetta, è Dio, ed i romani non
hanno dato a Dio ciò che spettava a Dio. Quindi per Agostino c'era una grave violazione, che
potremmo considerare fondamentale che sta proprio alla base dell'ordinamento e, siccome Roma
non dava a Dio ciò che gli spettava, non si può dire che Roma rispettava la giustizia. Quindi, a
Roma mancava uno dei requisiti fondamentali affinchè si potesse definire stato una comunità
politica. Roma era fondata su tutt'altro; era uno stato fondato sulla forza, violenza e questo
fondamento gli veniva proprio dall'origine che era macchiata da un fatto da cui Roma non riusciva a
liberarsi. Quindi, la storia di Roma non è una storia di giustizia, ma è una storia di violenza, di
esercizio della forza e questo “destino” è letto da Agostino a partire dall'episodio originario della
storia di Roma, cioè il fratricidio = uccisione di Remo da parte di Romolo, ed è considerata da
Agostino come un fatto da cui Roma non si è più liberata. Il fratricidio = momento originario di una
storia che viene condizionata ineluttabilmente da quel fatto; poiché all'origine c'è un fatto di sangue,
la storia di Roma viene continuamente ricondotta a quel fatto. Questo è tipico di Agostino, ovvero è
coerente al modello agostiniano. Perchè Roma non si libera da quel momento e non riesce a
liberarsi di quell'origine, come se il destino fosse tutto iscritto in quel momento originario? Roma
non riesce a liberarsi da quell'origine perchè Roma non ha incontrato quell'unica possibilità di
salvezza che poteva venire da Dio. Roma rimane legata al suo momento originario e poiché è un
momento di violenza, storia di Roma = continuo ripetere momento originario. Nella visione di
Agostino, ne deriva l'idea che la legge di Roma = frutto di violenza e sopraffazione. Conclusione:
condanna della storia di Roma e di Roma come idea di stato, anzi non c'è differenza tra stato così
come si è presentato a Roma e una banda di ladroni /gruppo criminale. Agostino racconta un
episodio che poi verrà spesso ripreso nella storia del pensiero politico: se togliamo la giustizia da
uno stato non c'è alcuna differenza, se non si quantità, tra uno stato e una banda criminale; racconta
una specie di apologo di Alessandro Magno che aveva fatto catturare una banda di pirati e quando li
interroga su quale diritto si permettessero di infestare i suoi mari, i pirati rispondono che si
permettono di farlo con lo stesso diritto con cui Alessandro infesta e domina la terra con la
differenza che Alessandro essendo imperatore e avendo molti uomini è più forte ed è chiamato
imperatore mentre loro sono più deboli e sono chiamati briganti, ma il principio è lo stesso, ovvero
Alessandro governa sulla base della forza così come i briganti, ma i briganti non hanno la forza
dell'imperatore e quindi sono considerati un gruppo criminale. Questo apologo è fondamentale per
capire cosa Agostino vuole dire: se togliamo la giustizia allo stato, gli stati sono solo una grande
“impresa criminale” che domina su un territorio → giustizia = necessaria affinchè lo stato abbia una
differenza qualitativa rispetto a altre organizzazioni collettive. Tuttavia, fatto questo ragionamento
in cui troviamo Agostino difensore di una definizione “prescrittiva”, normativa (non è descrittiva,
ma chiede che ci siano delle caratteristiche che stanno alla base della definizione) dello stato, cioè la
vera definizione dello stato si basa su un dover essere, deve essere giusto e senza la giustizia lo stato
non è stato, lo stesso Agostino che sembra così normativo nel suo approccio al tema dello stato,
quando parla del rapporto tra le due città, sembra dare per scontato che lo stato reale, cioè gli stati
con cui la città di Dio deve fare i conti sono basati su tutt'altro che sulla giustizia, quindi che ci sono
degli stati che sono stati a tutti gli effetti e stanno a fianco alla città di Dio, cioè quella città basata
sulla giustizia. E' come se Agostino un po' si contraddicesse e affermasse che gli stati della realtà, la
città degli uomini, quindi che non conosce ancora la giustizia, è comunque uno stato, anche se non è
certo lo stato ideale, ovvero lo stato cristiano, ma è un pur sempre uno stato, un'organizzazione che
può essere addirittura utile per la città di Dio → lo stesso Agostino ripropone una definizione di
stato che non è più di tipo normativo, ma di tipo descrittivo; cioè parte da una individuazione di
caratteri che sono più realistici. Per Agostino, lo stato diventa una semplice organizzazione di
uomini basata sull'interesse comune, sul fatto che ci sia la condivisione di un'interesse comune, e
quindi toglie dalla definizione di stato quell'elemento che era l'elemento normativo, sulla base del
quale aveva condannato la storia di Roma. Una definizione descrittiva dello stato che si sostituisce
alla precedente definizione prescrittiva. Quali sono i motivi e i caratteri che stanno a fondamento di
questo stato? Perchè ad Agostino interessa far vedere che c'è convivenza tra le due città? e
soprattutto perchè la città degli uomini è utile addirittura per la città di Dio? Agostino ha bisogno di
creare o di pensare alle condizioni, alle possibilità, di un ordine che faccia crescere la città di Dio; i
cristiani, che sono gli uomini giusti, hanno necessità di vivere in un ordine che dia a loro, che hanno
conosciuto la salvezza e hanno la fede come strumento per salvarsi, la possibilità di vivere
serenamente, di perseguire il proprio scopo di salvezza; significa che se al di fuori della comunità
dei cristiani ci fosse disordine, guerre di tutti contro tutti, continue possibilità di aggressione,
violenza ecc non ci sarebbe possibilità per i cristiani di perseguire la salvezza e quindi vivere come
comunità cristiana → conclusione: al di fuori della città di Dio c'è bisogno di un ordine che controlli
e garantisca la sicurezza dei cristiani tenendo a freno coloro che ancora non fanno parte della città
di Dio = motivo per cui la città degli uomini serve alla città di Dio ed è il motivo per cui non ci
interessa più l'elemento della giustizia; la città degli uomini serve affinchè coloro che non hanno
ancora la possibilità di entrare nella città di Dio vengano mantenuti nell'ordine, nella tranquillità,
che non ci sia la possibilità di un disordine tale da rendere impossibile agli uomini giusti di
perseguire la salvezza. Quindi, il valore fondamentale che sta alla base della città degli uomini è la
sicurezza, ordine, mancanza di guerre che rendano impossibile, a coloro che lo devono fare,
perseguire la salvezza. → emerge visione negativa che Agostino ha dell'uomo. In questa netta
distinzione città di Dio – città degli uomini, c'è alla base l'idea che l'uomo, a meno che non sia stato
salvato da Dio, abbia una natura negativa che lo porta a esercitare azioni malvagie, a meno che non
sia controllato dall'altro ed in questo caso Dio deve essere il controllore.
città di Dio; Dio (intervento divino) dall'alto salva gli uomini e li porta verso la giustizia
• = città di uomini giusti che seguono la volontà di Dio
città degli uomini; intervento dall'alto che permette di tenere a bada gli istinti negativi degli
• uomini è la spada dell'autorità civile, cioè lo stato, non lo stato della giustizia, ma lo stato
che serve esclusivamente per tenere a bada, controllare gli uomini ed evitare che esercitino
le loro passioni negative e rendano impossibile ai giusti inseguire la propria salvezza. La
città degli uomini è quasi posta a servizio della città di Dio, ma è importante sottolineare
inoltre che questa città degli uomini, partendo da questa visione negativa dell'uomo, ha
come carattere fondamentale quello del controllo dell'ordine attraverso la forza. Non si
ubbidisce più alla giustizia intesa nel modo in cui Agostino la intende, ma si ubbidisce alla
spada dell'autorità alla quale bisogna sottomettersi perchè anche l'autorità civile non può che
venire da dio, è la spada che Dio autorizza affinchè possa esserci un ordine e questa città
non degeneri in guerra, disordine, ovvero quelle condizioni che renderebbero impossibil alla
città di Dio di prosperare.
= città di uomini che comunque devono ubbidire all'autorità perchè è l'unica condizione, non
per salvarsi in senso religioso, per salvarsi nel senso di mantenimento dell'ordine.
E' un aspetto che la modernità giuridica svilupperà; l'idea di un ordine tenuto in vita dalla
spada dell'autorità, quindi sempre dall'alto, ma grazie alla forza, all'esercizio della forza
legittimata in questo caso dalla volontà di Dio. Ad esempio nella riforma protestante questo
elemento sarà estremizzato, non a caso Lutero è stato un monaco agostiniano che ha preso
proprio questo modello di Agostino e lo ha portato alle estreme conseguenze, ma il fatto che
Lutero lo faccia nell'epoca particolare della formazione dello stato moderno assume tutt'altro
significato.
Modello dell'agostinismo giuridico: idea di una giustizia intesa come ubbidienza alal volontà di Dio
e radicale differenziazione tra città di Dio e città degli uomini.
TOMMASO D'AQUINO
Nella stessa tradizione cristiana o cattolica ci sarà Tommaso, altro grande pensatore cristiano ed uno
dei grandi padri della chiesa cattolica che invece interpreterà il rapporto tra ragione – fede – natura
umana – legge in modo del tutto diversa. Tommaso scrive qualche secolo dopo Agostino e
soprattutto quando è stato scoperto Aristotele, cosa che influirà molto sul pensiero di questo autore.
Tommaso contesta il punto di partenza del modello agostiniano, quindi le conseguenze che vedremo
in termini di rapporti tra diritto naturale e diritto positivo, proprio in termini di concezione della
legge, deriveranno da questo. Tommaso è un autore che ha una maggiore fiducia nella ragione
perchè è convinto o sostiene che l'uomo è un essere razionale. Tommaso attribuisce all'uomo una
natura razionale che quindi è diversa dalla natura peccaminosa di Agostino; non perchè Tommaso
neghi l'idea del peccato originale, ma perchè ritiene che il peccato originale, che pure ha
conseguenze sulla volontà umana, non intacca la natura dell'uomo in modo così profondo e radicale,
come invece voleva Agostino. Questo significa che per Tommaso il peccato può spiegare alcune
istituzioni umane, aiuta a spiegare la loro necessità, ad esempio l'istituzione delle sanzioni, delle
punizioni di un sistema penale, ma non spiega tutte le istituzioni umane, anzi le istituzioni
fondamentali, a cominciare dallo stato, cioè dalla comunità politica, sono spiegate dall'elemento
razionale, sono spiegate da una natura umana che non si esaurisce tutta nel punto del peccato.
Mentre Agostino concentrava la natura umana in quel momento originario, così come aveva
concentrato la storia di Roma nel suo momento originario, ovvero nel fratricidio, un'origine dalla
quale non ci si libera mai, se non grazie all'intervento di Dio. Per Tommaso non è così; la natura
dell'uomo è anche una natura razionale, così come è razionale anche la natura di Dio, e infatti
trasmette questa sua natura razionale a tutto ciò che lui stesso ha creato. Le istituzioni umane sono
dipendenti, derivano da questa natura razionale, così come in alcuni casi sono da ricondurre alla
caduta, al peccato. Tommaso non concentra affatto la natura dell'uomo nella sua peccaminosità, che
per Agostino invece diventava esclusivo → si spiega la concezione che Tommaso ha dello stato che
non è più come concentrata nell'elemento della sanzione o della spada in cui invece era concentrata
da Agostino, ma è invece molto più vicina alla visione aristotelica perchè per Tommaso la comunità
politica è una comunità basata sulla ragione e sopratutto sulla natura di animale politico e sociale
dell'uomo. Tommaso riprende le parole di Aristotele, fino ad un certo punto perchè Tommaso,
diversamente da Aristotele, specifica la doppia natura politica e sociale, mentre i greci si limitavano
a dire natura politica perchè per essi politica significava anche sociale, in questo caso l'evoluzione
determinata proprio dal cristianesimo della distinzione tra stato e società, porta Tommaso a
specificare entrambi gli aspetti, cioè che la natura dell'uomo è una natura politica e sociale. Quindi
una natura che conduce l'uomo a vivere in società con altri uomini, famiglie, corpi sociali div aria
natura, ma anche nello stato, ovvero nella comunità politica. Queste premesse portano Tommaso a
vedere nella legge e nella giustizia qualcosa di molto diverso rispetto a ciò che pensava Agostino
perchè l'elemento razionale condiziona fortemente la visione della legge di questo autore. Cos'è una
legge? Non troviamo il volontarismo, cioè la definizione di legge dipendente dalla volontà di chi
pone la legge,ma Tommaso dice poichè la legge serve per indicare un fine, per poter raggiungere un
determinato fine, portare i soggetti verso un determinato fine, la definizione della legge è la
seguente: un ordinamento della ragione in vista del bene comune promulgata da colui cui spetta il
governo della comunità. Agostino: legge = ciò che dipende dalla volontà di Dio; Tommaso dà una
definizione di legge che in primo luogo non vale soltanto per la legge divina, ma vale in generale
per la legge in quanto tale, ma si applica poi alle diverse figure della legge. Quindi ci sono in questa
definizione di legge tre elementi;
1. ordinamento della ragione
= la legge non è mero frutto di una volontà arbitraria, ma è qualcosa di razionale e la
razionalità non è una razionalità meramente strumentale, cioè tecnica, intesa come calcolo
che serve per raggiungere un fine, ma ha a che fare con i fini stessi che vengono dalla
natura, quindi la conservazione della specie e tutta una serie di finalità che secondo
Tommaso derivano dalla natura delle cose, ovvero una serie di finalità che Tommaso
considera razionali in quanto derivate dalla natura dell'uomo. Razionalità = presupposto
della legge → legge non è legge se non ha elementi razionali, se deriva solo dal fatto che
qualcuno la impone, anzi nessuno impone niente, come nel 3 elemento.
2. Fine della legge
= bene comune → una legge ha come carattere fondamentale, definitorio, il perseguimento
del bene comune; affinchè un insieme di norme possa essere considerato legge c'è bisogno
che questa legge sia rivolta al bene comune.
3. Promulgazione da parte di colui che detiene il potere nella comunità
Tommaso parla di “promulgazione” che non è “il fare la legge”, ma ultimo atto di un
procedimento che rende perfetto il procedimento e lo conclude. Quindi colui che promulga
la legge non è colui che fa la legge e che decide i suoi contenuti → Tommaso assegna
all'autorità che governa una comunità non un potere di fare la legge, ma potere di
promulgare e questo vuol dire che i contenuti della legge vengono da altro, da ciò che
Tommaso considera razionale, anche se Tommaso non si sofferma poi sul soggetto, cioè su
chi debba fare la legge, ma precisa che non è l'autorità che fa la legge. E' un punto
fondamentale ed è il punto sul quale il pensiero giuridico moderno si contrapporrà
radicalmente, non a caso riprendendo Agostino; quando Thomas Hobbes, con un espressione
che verrà sempre ripetuta, dice “auctoritas no ve” , ovvero è l'autorità che fa la legge, vuole
contrapporsi esattamente a questo tipo di concezione, cioè all'idea che la legge derivi da
qualcos altro rispetto alla volontà di colui che detiene il potere. Hobbes è colui che toglie
perfettamente il senso della tradizione precedente aristotelica o aristotelica-tomistica (se
leghiamo Aristotele a Tommaso) e, cogliendo il senso di questa tradizione, capisce bene che
questo tipo di concezione toglie potere all'autorità e in qualche modo rimanda a qualcosa di
diverso rispetto alla mera autorità. Tommaso non dice chi in realtà deve fare la legge, ma
comunque dice che la legge non è frutto della volontà di coloro che detengono il potere.
Naturalmente quella di Tommaso è una concezione che si lega all'epoca in cui Tommaso
scrive che è l'epoca medievale, quindi la legge era molto legata all'idea della consuetudine,
quando venivano fatti gli statuti delle varie città non si faceva altro nella maggior parte dei
casi di riprendere le consuetudini, quindi la legge era una promulgazione di norme che già in
qualche modo precedevano questo atto, quindi c'è un'idea della legge molto diversa da
quella a cui noi oggi ci rifacciamo.
Una concezione razionalistica della legge la troviamo perfettamente riproposta nelle diverse figure
della legge che Tommaso ci presenta; nel pensiero di Tommaso c'è una tipologia della legge molto
più ricca rispetto a quella di altri autori, cioè distingue diversi tipi di legge in relazione alla finalità e
generalità della legge. In particolare, Tommaso riscopre la legge naturale che il secondo Agostino,
cioè quello volontarista, di fatto aveva fatto confluire, assorbire all'interno della legge divina.
Agostino non si poneva quasi più il problema del diritto naturale perchè la giustizia era volontà di
Dio, quindi la legge divina. Invece, la tipologia presentata da Tommaso è molto più ricca e questa
ricchezza deriva dalla rivalutazione dell'elemento razionale.
Figure della legge in Tommaso:
1. legge eterna
= legge razionale con cui Dio, che è anche ragione, governa l'universo. Quindi la legge
eterna la ritroviamo in tutto ciò che esiste ed è basato su una razionalità che proviene da Dio
ed è il nucleo,elemento fondamentale di ciò che esiste. Una legge che gli uomini non sono in
grado di capire. La possono capire solo alcuni uomini, coloro che raggiungo la beatitudine
eterna, ma gli uomini in carne ed ossa non sono in grado di capirla, o meglio lo sono in
minima parte. La ragione umana che è parte di questa razionalità che governa l'universo è
capace di comprendere una parte della legge eterna e Tommaso chiama questa parte della
legge naturale che è conoscibile attraverso la ragione umana = legge naturale.
2. Legge naturale = parte della legge eterna che è conoscibile dagli uomini attraverso la
ragione. Per Agostino, l'uomo non poteva conoscere la legge naturale, se non grazie alla fede
di Dio, quindi una legge naturale che si confonde con la legge divina; l'uomo può conoscere
i comandi di Dio, cioè quando Dio comanda qualcosa, quella è la legge che l'uomo, se ha
fede, può conoscere. L'uomo con la sua ragione può capire almeno una parte di quella legge
razionale che è alla base di tutto ciò che esiste. Legge naturale = parte di legge eterna che
l'uomo può conoscere mediante o grazie alla sua ragione. Legge naturale è legge razionale.
[Sono due livelli, ma in realtà la legge naturale è solo una parte della legge eterna, ma
comunque è una distinzione importante alla quale possiamo agganciare la riflessione che
Tommaso fa a proposito del diritto positivo]
3. Legge divina. Per Agostino la legge divina era LA legge che assorbiva anche la legge
naturale, ed invece per Tommaso (aspetto significato nella differenza di questo autore
rispetto al precedente) è solo una forma della legge ed è in particolare quella legge con la
quale Dio detta agli uomini quelle prescrizioni che servono per raggiungere la vita eterna, la
beatitudine. Quindi, la legge divina è una cosa diversa rispetto alla legge razionale e alla
legge eterna, sono comandi positivi dati da Dio all'uomo affinchè possa raggiungere la
salvezza, ma non è su questo che Tommaso fonda il suo discorso sulla legge e quindi anche
della comunità politica, ma non la vede come contrapposta alla legge naturale, bensì come
un qualcosa che Dio rivolge agli uomini per poter raggiungere quel qualcosa in più che è la
salvezza.
4. Diritto positivo (cioè diritto degli uomini che si concentrava tutto nell'elemento della spada)
serve solo a mantenere ordine laddove c'era il pericolo del disordine, della violenza. In
Tommaso il diritto positivo ha una funzione di cooperazione all'interno di questo progetto
razionale che è la vita umana ed in realtà tutto ciò che esiste → legame diretto: diritto
naturale – diritto positivo; c'è una derivazione del diritto positivo dal diritto naturale, mentre
in Agostino c'è una netta separazione che pone da una parte la legge di Dio che contiene il
diritto naturale e dall'altra il diritto positivo, mentre per Tommaso stanno all'interno di un
unico progetto, unica visione della realtà in cui città degli uomini e città di Dio stanno
insieme. Diritto positivo = parte del diritto, quel diritto umano voluto dagli uomini, che
serve per poter indirizzare gli uomini verso il bene comune (→ ricorda definizione di legge
che vale anche per il diritto positivo) e che dà agli uomini quelle prescrizioni non contenute
nel diritto naturale. Diritto positivo serve a completare il diritto naturale. Diritto positivo è
legato direttamente al diritto naturale, anzi deriva da esso. L'aspetto maggiormente
interessante è vede il modo con cui Tommaso lega il diritto positivo al diritto naturale. Chi
fa la legge e quindi il diritto positivo può derivare queste norme dal diritto naturale in 2
modi diversi, quindi 2 modalità attraverso le quali diritto positivo si lega al diritto naturale;
1. Deduzione da principi
= si parte da un principio più generale e se ne ricava un principio più particolare → diritto
positivo può, a partire dal diritto naturale e basandosi sul diritto naturale, ricavare alcuni
principi più specifici, ad esempio; principio generale secondo cui bisogna evitare il male e
fare il bene → principi specifici: divieto di usare violenza nei confronti di altri soggetti, ecc
si tratta di deduzioni di principi particolari da principi generali che sono legati anche
all'evoluzione dei tempi. E' un procedimento che non è condizionato dalla cultura e dalle
caratteristiche dei diversi popoli; alla base del diritto dello ius gentium (ciò che i popoli
condividono) c'è questo procedimento secondo Tommaso: da diritto naturale si possono
ricavare una serie di principi più specifici.
[per noi è molto interessante questo aspetto perchè quello che avviene oggi negli
ordinamenti costituzionali o neo-costituzionali (così come chiamati da qualcuno) che sono
ordinamenti in cui le norme giuridiche sono in gran parte norme di principio (oggi si insiste
molto sulla distinzione delle norme giuridiche in regole e principi) o che hanno alla base una
serie di principi, come uguaglianza, libertà, dignità ecc.. sono ordinamenti in cui questo
procedimento descritto da Tommaso è fortemente impiegato, cioè da principi generali
vengono ricavati principi più particolari. Si ritrova anche nel lavoro delle corti
costituzionali]
Una parte del diritto positivo nasce grazie al fatto che da un principio generale si possono
derivare per deduzione, cioè attraverso un procedimento razionale alcuni principi più
particolari.
2. Specificazione
= è basato su una scelta, quindi pesa di più l'elemento della volontà, anche se si tratta di una
volontà condizionata dalla storia, contesto culturale ecc.. Tommaso intende riferirsi a
procedimento di adattamento delle norme a contesti specifici. Esempio: “è vietato
l'omicidio” è già un principio più particolare rispetto alla norma che dice di evitare di fare il
male, quindi attraverso il primo procedimento di deduzioni da principi siamo arrivati a dire
che è vietato uccidere e che è vietato fare violenza su altri soggetti, però, questo tipo di
norma che abbiamo ricavato come la rendiamo efficace? Quindi, ad esempio, chi commette
omicidio, chi usa violenza, commette un furto ecc.. poiché deve essere punito, come deve
essere punito? Qui non entra in gioco il procedimento della deduzione perchè non può
aiutarci, ma dobbiamo determinare, specificare il modo con cui questa norma deve essere
attuata ed è questo che nella sostanza differenzia i diversi ordinamenti giuridici e che
appartiene propriamente al diritto positivo di un popolo e lo differenzia dal diritto positivo di
un altro popolo. Sono i popoli a scegliere di volta in volta il modo di questa
determinazione/specificazione.
Si pone una domanda: Tommaso ha detto che il diritto positivo non è qualcosa di totalmente diverso
dal diritto naturale, anzi la sua concezione vede il diritto positivo un livello della giuridicità
strettamente legato al diritto naturale; e se il diritto positivo viola il diritto naturale? → diritto
positivo può violare il diritto naturale ? Tommaso risponde che è possibile che coloro che pongono
il diritto positivo non rispettino i precetti del diritto naturale o che facciano qualche errore nella
deduzione o nella specificazione, ma sopratutto nella deduzione, e quindi non rispettino i precetti
generali che vengono dal diritto naturale. Diritto positivo che viola il diritto naturale è diritto?
Sembrano discorsi astratti, ma in realtà la tradizione ha continuamente riproposto questa domanda,
cioè quando viene approvata una legge che secondo alcuni viola il diritto naturale, è una vera legge?
Tommaso risponde che in realtà non è una legge; un diritto positivo che viola diritto naturale non è
legge, anzi aggiunge che è corruzione della legge. Quali sono le conseguenze di questa
affermazione forte di Tommaso? La conseguenza dovrebbe forse essere che una legge che non è
legge non è una vera prescrizione, non è qualcosa a cui dobbiamo ubbidire, se non è una legge non
è vincolante ; e invece la rispsota di Tommaso non è questa, cioè non ci dice che una legge che non
è legge bisogna disubbidire necessariamente, ma possiamo dire che aderisce a quello che abbiamo
chiamato “giusnaturalismo moderato” perchè secondo Tommaso bisogna sicuramente disubbidire
alla legge quando mette in pericolo i beni più alti della vita e in particolare la possibilità di
raggiungere la salvezza. Se una legge mi impone dei comportamenti che tenendoli metto a rischio la
possibilità di raggiungere la salvezza, esempio mi impone di rinnegare Dio, bisogna senza dubbio
disubbidire anche attivamente a quella legge. E' una risposta tipica dei testi religiosi, ad esempio si
ritrova anche nel Corano, cioè quando la legge impone comportamenti che rendono impossibile la
salvezza sicuramente non va ubbidita, quindi non è vincolante. Tommaso questo lo dice solo per i
casi estremi e ci sono molti altri casi in cui la legge ingiusta o meglio la legge che non è legge, ma
corruzione di legge, va comunque ubbidita perchè il prezzo che si pagherebbe per la disubbidienza,
non in termini personali, ma in termini sociali, ovvero di disordine, mancanza di armonia, pericolo
per la comunità politica, sarebbe maggiore rispetto a ciò che si perde ubbidendo a questa legge. Si
tratta di fare un vero e proprio calcolo di quali sono le conseguenze maggiormente negative, se
ubbidire a questa legge ingiusta oppure mettere in pericolo l'ordine e disubbidire in nome di valori
diversi. MARSILIO DA PADOVA
Parliamo di Marsilio da Padova e lo facciamo a partire da questa alternativa perchè troviamo un
superamento di questa opposizione legge divina – legge umana in una direzione diversa rispetto a
quella religiosa, ci troviamo la prefigurazione di quello che poi potremmo chiamare lo stato laico
moderno, proprio a partire da una riflessione su queste tipologie di legge e, inoltre, perchè è un
autore importantissimo dal punto di vista dei concetti che elabora, ma, tuttavia, molto spesso è
dimenticato. Marsilio da Padova è un grande pensatore politico e giuridico, molto trascurato rispetto
all'importanza delle riflessioni che presenta forse perchè la sua grande opera pubblicata nel 1324
che si intitola “de pensor pacis” (il difensore della pace) in realtà si presentava come un panflè, cioè
classico libretto politico che vuole fare una polemica su determinate questione, ma in realtà è un
tomo piuttosto voluminoso che era stato scritto da Marsilio per polemizzare contro il papato e, in
particolare, contro le pretese temporali del Papa. Quindi un libro politico in questo senso e non
perchè si occupa di politica e dello stato, cosa che poi in realtà fa, ma un libro politico perchè ha un
obiettivo polemico immediato; Marsilio interviene nella discussione tra papato e impero per
sostenere che il Papa non ha nessun diritto di pretendere autorità temporale. Questa è l'occasione
per la quale Marsilio scrive, ma in realtà Marsilio, che ha un obiettivo polemico politico immediato,
quindi ha l'intenzione di intervenire in un dibattito politico, ma per farlo costruisce un'impalcatura
teorica di enorme importanza perchè per poter sostenere questa tesi semplice parte dall'elaborazione
di concetti rilevanti, quali concetto di legge, di comunità politica, di governo, di ordinamento
terreno contrapposto a ordinamento divino ecc.. Il fatto che Marsilio abbia destinato il suo libro a
questa polemica ne ha ridotto in qualche modo l'importanza concettuale-teorica. Marsilio può essere
legato soprattutto ad Agostino e a Tommaso dicendo che Marsilio fa un lavoro diverso rispetto a
quello fatto dagli altri 2 autori; premessa: Agostino aveva contrapposto radicalmente mondo di Dio
– mondo degli uomini e aveva condizionato tutto alla volontà di Dio, Tommaso aveva cercato di
riconciliare questi due mondi partendo dall'idea della ragione, quindi in qualche modo aveva
conciliato fede e ragione (laddove Agostino aveva radicalmente separato la fede, non tanto dalla
ragione, ma dalla natura umana che non è una natura razionale), Marsilio separa, senza contrapporre
come se si trattasse di due cose differenti, che devono essere tenute separate perchè hanno 2 finalità
diverse e quindi possono camminare parallele senza intralciarsi e intrecciarsi. 20 ottobre
Marsilio vuole mettere a posto il vescovo di Roma, cioè la Chiesa, nel senso che vuole che la
Chiesa come istituzione faccia il compito che le spetta sulla base sia della ragione (che cerca di
dimostrare con vari argomenti) e in basa alle ragioni per cui la chiesa è stata istituita → 2 libro è
dedicato a un'esegesi della Bibbia attraverso cui Marsilio vuole confermare ciò che al ragione già ha
detto e ha spiegato nel1 libro cioè che la chiesa non ha compiti nel governo temporale, quindi dare
quella definizione di sotto vuol dire sottolineare il fatto che ognuno deve svolgere la funzione che è
confacente al ruolo assegnatogli all'interno della comunità. Papa (vescovo di Roma) deve svolgere
l'unico compito assegnatogli cioè quello di consigliare i credenti sul modo migliore per raggiungere
la beatitudine, felicità eterna, salvezza. Consiglia = gli atti che il corpor sacerdotale può svolgere
sono consigli → non sono comandi. Marsilio già elabora una distinzione che il pensiero giuridico
successivo, sopratutto Hobbes, riterrà centrale. Chiesa: funzione di consigliera spirituale e no
comando temporale. Elabora una definizione della pace che si lega in modo esplicito all'obiettivo di
questa opera. A partire dalla definizione della pace, Marsilio sottolinea una distinzione legata alla
separazione fede – ragione. Per Marsilio la pace è distinguibile in una pace ultraterrena e una pace
terrena . E' un modo per poi poter sottolineare ulteriori distinzioni ricondotte sempre a questa
distinzione tra pace ultraterrena e terrena. Hanno 2 finalità diverse;
Pace ultraterrena: perseguita dagli uomini seguendo la elgge di Dio.
• Pace terrena: pace della civitas.
•
Marsilio ha una visione della comunità politica basata su una determinata visione dell'uomo che è
quella aristotelica. La comunità politica in Marsilio è una comunità politica fondata sulla
concezione antropologica aristotelica e concepita come ordine, cioè basata su una netta disitinzione
delle funzioni, concezione delle parti intese come parti che lavorano per il bene comune che è
quindi superiore a quello delle singole parti e che quindi potremmo ancora definire concezione
organicistica. Marsilio in questo è totalmente aderente alla sua epoca che è quella ancora del
Medioevo nel pensiero relativo alla comunità politica che non vede valore nell'individuo
considerandolo nucleo prioritario della comunità politica, ma come parte all'interno di quelle parti
che costituiscono la comunità politica. Marsilio vuole superare il conflitto tra queste parti e
sopratutto tra parte sacerdotale e parte civile (non religiosa, parte che vuole governare la città senza
essere parte sacerdotale). Marsilio è aristotelico anche nella teoria delle forme di governo che si
occupa delle diverse modalità attraverso cui le comunità politiche si governano sia con riguardo alle
differenze tra forme di governo che su base numerica e riprende la distinzione tra forme di governo
buone e cattive utilizzando gli stessi criteri. C'è un solo punto su cui Marsilio corregge Aristotele,
anche se il suo obiettivo è Platone, e riguarda il governo dell'uomo saggio. Marsilio non cita
Aristotele ma dà indirettamente riferimento a Platone e dice che è vero che il governo della legge è
superiore a quello degli uomini per le stesse ragioni di Aristotele ( legge supera le passioni e legge è
un rimedio all'ignoranza), ma rimangono in piedi anche in presenza dell'uomo più saggi. Marsilio
dice che anche l'uomo più saggio può sbagliare perchè non riesce a conoscere tutti gli elementi che
servono per una decisione saggia → non esiste uomo assimilabile a un Dio → non può esistere
uomo così perfetto → non possiamo fare questa ipotesi. Inoltre, questo uomo che pure noi
potremmo considerare tanto perfetto ha il difetto ineliminabile che poi dovrà lasciare il potere a
qualcun altro, probabilmente ai figli dato che è un potere che spesso viene ereditato, quindi , anche
ammesso che esistono queste qualità eccezionali (che per Marsilio non esistono) nons i trasmettono
ai figli → situazione difficile di governarci con le leggi senza essere abituati a essere governati
dalle leggi, proprio per non lasciare la comunità politica orfana di un governo saggio e un governo
saggio sta nel governo delle leggi. A fondamento di ogni forma di governo c'è la legge,
indipendentemente dalla forma di governo, nonostante Marsilio preferisca quelle elettive.
Cos'è la legge per Marsilio?
Marsilio nella parte giuridica del suo pensiero è moderno in senso storico, cioè anticipa tematiche e
soluzioni che saranno sviluppato più avanti.
Il governo delle leggi è così importante → che cos'è la legge per Marsilio?
Marsilio è il primo autore che dice che cos'è una legge, quando un atto è una legge.
Marsilio fa un lavoro analitico, quindi si pone la questione: cosa intendiamo noi quando usiamo la
parola legge ? Marsilio individua 4 diversi significati di legge;
1. legge = inclinazione naturale che un soggetto ha verso qualcosa. Esempio: legge dell'uomo
= vivere in una comunità politica; è naturale per l'uomo vivere in una comunità politica.
2. Legge = forma di una cosa producibile. Esempio: legge di un tavolo = essere costituito da un
piano e un certo numero di gambe.
[ gli altri 2 ci interessano di più perchè da una descrizione si passa a una prescrizione, cioè si
passa a concepire la legge come qualcosa che prescrive e non che descrive il suo oggetto]
3. legge = serie di regole per le azioni umane rivolte alla salvezza oltremondana, quindi
insieme delle regole che l'uomo deve seguire per raggiungere la salvezza che è quella che
poi Marsilio chiamerà la legge divina.
4. Legge = scienza di ciò che è giusto e utile/vantaggioso per la comunità civile.
Elementi comuni alle 2 visioni di legge:
l'idea di una prescrizione, cioè di un comando rivolto a qualcuno per influenzare il suo
• comportamento
se diciamo che la legge è prescrittiva, quando pensiamo a un comando pensiamo anche a
• qualcuno che comanda qualcosa a qualcun altro → chi comanda? Chi pone la legge?
Marsilio ritiene che la risposta non è scontata. Se dico che la legge è un comando e poi mi
chiedo chi la pone è un modo per dire chi è il legislatore ? La legge è sempre frutto della
volontà di qualcuno. La risposta ci fa capire che l'elemento che accomuna le due forme di
legge, cioè la presenza del legislatore diventa anche elemento distintivo quando andiamo a
vedere chi è il legislatore.
Legislatore divino: chi può porre la legge divina se non Dio stesso? → vuole arrivare a
◦ dio che non è il Papa. E' dio che attraverso la rivelazione, le scritture dice quei precetti
per raggiungere la salvezza umana.
Legislatore umano: popolo = universitas civium / universalità dei cittadini.
◦ 2 argomenti
E' bene che sia il popolo a fare le leggi perchè nessuno meglio del popolo conosce
▪ qual è il bene del popolo
proprio in quanto la legge proviene da coloro che dovranno ubbidirle, la migliore
▪ garanzia del fatto che questa legge sarà efficace è che la legge sia fatta dal popolo
perchè in questo modo la legge chiede ai cittadini proprio quello che i cittadini stessi
volevano che la legge chiedesse.
Quando Marsilio dice che la legge umana è fatta dalla universitas civium aggiunge sempre qualcosa
e questo qualcosa è problematico, cioè aggiunge “oppure dalla sua valentior pars” ; quindi: chi fa la
legge ? → Universitas civium o valentior pars.
Valentior pars = parte più valente/importante della città, parte della comunità che emerge, è
rappresentativa della comunità stessa sia sul piano quella qualità che sul piano della quantità.
Marsilio vuole dire che si può dare la possibilità che a fare la legge non siano tutti, ma che sia una
parte della comunità che rappresenta la comunità (come diremo oggi), una specie di organismo che
ci permetta di ricondurre la volontà della legge alla volontà di tutti i cittadini.
Sanzione: (accomuna le due leggi) la legge deve prevedere le sanzioni per coloro che
◦ non rispettano i precetti della legge, ma nello stesso momento in cui le accomuna, le
distingue sulla base del fine che le due leggi hanno (legge divina → pace ultraterrena,
legge terrena → pace terrena);
pene della legge divina possono essere comminate solo nell'aldilà. In questo modo
▪ dice che il Papa non può punire nessuno e se ci sono atti da punire in funzione della
legge divina non possono essere punita sulla terra.
Legge umana viene sanzionata sulla terra, le pene che la legge deve prevedere sono
▪ comminata sulla terra dall'autorità civile che ha posto la legge.
Osservazione: per distinguere quali atti devono essere puniti con pene divine e quali
con pene terrene, Marsilio distingue :
atti immanenti = atti che hanno conseguenze solo sul soggetto che le compie
◦ e la legge umana non se ne occupa
atti transeuni = atti che hanno conseguenze su altri soggetti e sono l'oggetto
◦ della legge terrena che possono essere puniti dalla stessa.
Marsilio rimane legato al pensiero medievale non considerando perfetta una legge solo per il fatto
che sia voluta e sanzionata; una legge è tale perchè p voluta e sanzionata, ma non è perfetta se non
contiene la scienza del giusto. La legge è perfetta se è:
sanzionata
• voluta
• persegue davvero il bene della comunità
• Nel pensiero moderno la legge è perfetta proprio per la presenza della sanzione.
•
Chi dà esecuzione alla legge? E' un problema che Marsilio si pone perchè la sua epoca è un'epoca
particolare che sta conoscendo uno sviluppo, cioè si pone il problema delle funzione esecutive.
Pars principans = distinta dalla valentior pars. Marsilio si pone un problema nuovo del governo non
inteso come forma di governo, quindi non appartiene alla forma di governo, ma relativo
all'organizzazione dello stato. C'è bisogno di una parte che amministra l'attività politica e non è
indifferente il modo in cui si individua questa pars principans. La pars principans è un gruppo di
persone, soggetti ai quali la città, l'universitas civium affida l'amministrazione, cioè la gestione dei
problemi concreti, di tutto ciò che deriva anche dall'applicazione delle leggi. Questi soggetti sono
individuati dalla pars principans e sono legati alla universitas civium che li individua da una specie
di contratto. Marsilio prefigura un vero rapporto di fiudica tra pars principans-universitas civium;
infatti l'universitas civium può revocare il mandato di coloro che fanno parte della pars principans,
così come li nomina. Marsilio dice che nella comunità politica dello stato può esistere una sola pars
principans e tiene molto a questa affermazione perchè è strettamente legata all'idea della pace della
comunità poltiica, ci deve essere una sola entità a cui sono assegnati i poteri di governo. Ci deve
essere solo una pars principans, cioè un solo governo, ma questo non significa che deve governare
uno solo,ma può essere composto di più persone, anzi la pars principans è composta da più persone,
ma deve essere una, non può esistere una comunità politica in cui governano due pars principans,
vuole infatti sottolineare che una comunità non può essere governata da Imperatore e Papa. I
componenti della pars principans non devono essere forniti di mezzi privati per esercitare le loro
funzioni; l'esercizio delle funzioni legate ai singoli membri deve essere svolto con mezzi pubblici,
le risorse per il governo devono essere pubbliche e non private. E' un'affermazione interessante
perchè segnala un passaggio storico interessante; sistema politico e sociale del fedualesimo che può
verrà chiamato patrimonialistico in cui il sistema pubblico e privato quasi coincidono, autorità del
principe si basa sulle proprietà private del principe → natura pubblica delle risorse con cui vengono
esercitate le funzioni all'interno della comunità = concezione moderna dello stato in cui c'è una netta
separazione tra sfera pubblica e sfera privata. Il governo è continuo, non ci può essere interruzioni
nelle funzioni di queste pars principans → la comunità politica deve essere in grado costantemente
di vigilare e nominare le persone che devono occuparsi dell'amministrazione. E' una distinzione
socntatata il fatto che il corpo legislativo deve riunirsi solo quando c'è da fare la legge, ma c'è
invece bisogna di continuità nelle funzioni esecutive. La presenza dello stato nel medioevo non è
come quella che ha nell'epoca moderna; nel Medioevo lo stato non ha una presenza costante nella
vità comune, ma è molto più spostato nella vita pubblica medievale, mentre lo stato come soggetto
che interviene nella quotidianità è un'acquisizione della modernità.
MACHIAVELLI
Marsilio intravede lo stato che sta per affermarsi. Colui che dà il nome allo stato sarà proprio
Machiavelli che è stato il primo ad usare la parola stato nel fenomeno in cui noi lo intendiamo nel
primo capitolo del Principe (opera di Machiavelli). Dà un nome a questa cosa che è lo stato.
Machiavelli viene ricordato a livello universale come fondatore della scienza politica moderna e in
cui possiamo andare a sottolineare molti aspetti che hanno a che fare con il pensiero giuridico e
politico. La novità maggior eè il metodo machiavelliano, il fatto che voglia differenziarsi dagli
autori precedenti a partire dal metodo che inventa e difende. Machiavelli chiama questo metodo “la
verità effettuale della cosa” (cap 15 del Principe); questa forte rivendicazione di un metodo nuovo
vuol dire descriere le cose come sono e non come dovrebbero essere. Perchè è importante andare
dietro alal verità effettuale della cosa ? Machiavelli descrive le cose come stanno e poi dice ch
siccome le cose stanno così dovranno andare così , quindi passa dal piano descrittivo al piano
prescrittivo.
Cap 17 del principe: ne ricava una teoria del potere e una teoria della legge, anzi una filosofia del
potere e una filosofia della legge che ci dicono qual è la visione che Machiavelli ha del potere e
della legge.
Potere = bisogna puntare sul timore e non sull'amore perchè il timore non è volubile come l'amore.
Legge = deve essere una costrizione per gli uomini.
Legge e potere devono essere effettivi → scompare la preoccupazione per la giustizia che
appartiene a un dover essere di cui Machiavelli non si occupa, ciò che conta è che il potere e la
legge raggiungano il loro obiettivo che è l'ubbidienza, quindi che siano effettivi. Legge = strumento
del potere; nella concezione medievale invece era distinto ciò che era giuridico da ciò che
apparteneva alla dimensione politica . Per Machiavelli conta solo effettività del potere e della legge
cioè che si raggiungano gli obiettivi prefissati. Ciò che è bene e ciò che è male possiamo deciderlo a
partire dal successo nell'azione politica → “il fine giustifica i mezzi” è un modo per giustificare a
priori il mio comportamento perchè se dico che il mio fine è buono, tutto quello che farò è buono.
La giustificazione delle azioni e dei modi cattivi in cui a volte bisogna entrare, deve esserci solo
dopo, cioè solo se raggiunto il risultato, perchè;
se non raggiunto il risultato sarò trattato come qualcuno che ha violato norme morali, patti,
• ha fatto cose che non avrebbe dovuto fare agli occhi della legge.
se viene raggiunto il risultato → il risultato giustifica, altrimenti no.
•
I fondamenti dello stato sono dati da tutto ciò che può portare alla conquista e mantenimento del
potere. I fondamenti per il mantenimento del potere sono:
buone armi
• religione
• leggi
•
Le leggi non hanno una forza autonoma, non hanno il potere di farsi ubbidire sulla base di quello
che prescrivono. Machiavelli riconduce questa confusione tra diritto e forza, che per lui non è un
problema diversamente invece da altri autori, a un rapporto originario, cioè quasi l'origine
dell'ordinamento giuridico si ritrova in un atto do forza e di violenza.
Ciò che l'uomo ha fatto e che potrebbe essere condannato per certi versi perchè è un fratricidio,
perchè è un atto grave, ma ciò che questo soggetto ha fatto può essere considerato sotto una luce
diversa, quindi non come un fratricidio, quindi come un delitto particolarmente grave, ma può
essere considerato sotto una luce diversa perchè è grazie a quell'atto che è stata fondata Roma.
Machiavelli dice nei “Discorsi” : “(vedi citazione) conviene bene che..” è vero che il fatto accusa
l'uomo, ma l'effetto lo scusa. Quando le conseguenze sono buone, il fatto va sempre scusato. Ciò
che viene prima acquista una nuova luce grazie a ciò che viene dopo. E' l'effetto che scusa il fatto.
Agostino aveva detto che non c'era effetto possibile che potesse liberarci da quell'origine,
Machiavelli dice che l'effetto scusa il fatto, anzi cambia natura; quell'omicidio (il fratricidio) diventa
un atto fondativo di una comunità gloriosa che ha avuto successo nei secoli. Cambia completamente
la visione che ci viene offerta di quell'episodio e non ci interessa tanto l'operazione esegetica che
Machiavelli fa, ci interessa la conseguenza di questo ragionamento così diverso. Qual è la
conseguenza sul piano della riflessione teorico-giuridica, ma anche giuridica, cioè quale
consapevolezza ci sta dando Machiavelli? Machiavelli sta dicendo che non solo che l'ordinamento
giuridico ha un'origine violenta, che però non influisce più di tanto sulla lettura che noi possiamo
dare dell'ordinamento giuridico, ma ci sta dicendo che l'unica cosa che conta è che
quell'ordinamento si stabilisca, ovvero che quell'ordinamento diventi un ordinamento. Machiavelli
ci offre una chiave di lettura della storia degli ordinamenti giuridici. Nella storia succede che a volte
ci sono delle guerre che magari si concludono con un trattato di pace, un qualcosa che dà origine ad
un nuovo corso, ad esempio alcuni uomini che hanno combattuto danno vita ad un'assemblea
costituente. L'assemblea costituente nasce necessariamente da ciò che è stato prima e gli uomini che
le danno vita creano una costituzione, discutono, ragionano, votano, approvano e alla fine danno
una nuova costituzione e in questo modo creano un nuovo ordinamento giuridico. Machiavelli vuole
dire che la storia è andata in questo modo, guerra → guerra civile → costituente → costituzione,
ovvero questa è la scansione cronologica, ma la verità logica è che noi oggi chiamiamo costituenti
quegli uomini e gli studiamo come membri dell'assemblea costituente o come padri fondatori della
repubblica, solo perchè il dopo gli ha dato ragione, solo perchè c'è stato un insieme di articoli, una
cosa scritta sulla carta che si chiama Costituzione, che ha avuto successo dando vita a un nuovo
ordinamento che si è formato e stabilizzato, è stato sostenuto dai cittadini ed è solo la costituzione
che permette di chiamare costituenti coloro che l'hanno creata. Se non fossero andate così le cose,
ovvero se la Repubblica fosse fallita all'inizio perchè magari prevalevano le passioni ideologiche, la
voglia di rivalsa, la guerra civile continuava in qualche modo, e quindi la Repubblica falliva, noi
oggi forse non chiameremo costituenti coloro che hanno costituito la Repubblica. Il significato di
quello che ci dice Machiavelli è: è il dopo che ci permette di dare una qualificazione al prima.
Quando compiamo delle azioni, è il loro effetto che dà luce all'azione stessa. Dietro un ordinamento
c'è un atto di rottura che ha avuto successo, altrimenti quell'atto non sarebbe stato fondativo.
Quindi, paradossalmente, anche se l'evoluzione storica è un'altra, possiamo chiamare costituenti i
costituenti solo perchè la loro costituzione ha avuto effetto; è vero che storicamente la costituzione
esiste perchè ci sono stati i costituenti, ma dal punto di vista logico Machiavelli dice che noi
chiamiamo costituenti quei soggetti sono perchè la costituzione ha avuto successo → è la
Costituzione che permette di chiamarli costituenti.
E' importante sottolineare l'idea che l'ordinamento giuridico, fin dalla sua origine, è strettamente
legato all'elemento della forza, cioè al fatto che qualcuno impone una nuova legge, un nuovo
ordinamento. Machiavelli, quindi, non teme di dire che la legge è uno strumento, è qualcosa che ha
bisogno della forza, perchè fin dalla sua origine si ritrova questo elemento, l'importante è che
diventi effettiva e serva per raggiungere lo scopo che deve raggiungere, cioè la fondazione dello
stato. 24 ottobre
[Riepilogo lezione precedente]
Machiavelli fa vedere che la legittimità degli ordinamenti giuridici e politici è qualcosa che si
guadagna, non c'è all'origine, ovvero gli ordinamenti non nascono come ordinamenti legittimi, ma è
il fatto che poi diventano legittimi a legittimare il punto di partenza. Non è tanto la costituente che
fa la costituzione, o almeno lo è da un punto di vista cronologico, ma in realtà è proprio il fatto che
quella costituzione poi diventa, viene riconosciuta, accolta, seguita dai cittadini affermandosi come
LA costituzione. Machiavelli parla di Romolo e Roma, ma lo stesso ragionamento può essere
applicato senza nessuna forzatura alle dinamiche degli ordinamenti giuridici. Machiavelli, con
questo passaggio, ci svela il fatto che, secondo lui, gli ordinamenti hanno all'origine spesso un atto
violento che pone l'ordinamento e che poi viene legittimato successivamente come atto fondativo,
ma solo successivamente. Quindi, la legalità, il fatto che un atto sia legale è solo un'acquisizione
successiva di questo processo, non può essere legale fin dall'origine, anzi l'atto di fondazione di un
ordinamento è un atto illegale per definizione perchè l'ordinamento che legittimerà quell'atto viene
solo dopo. Romolo compie un omicidio (atto grave) che però poi, grazie al fatto che quell'atto fonda
qualcosa che durerà nel tempo, che sarà un ordinamento giuridico e politico per secoli e secoli,
rende quell'atto un atto fondativo di uno stato.
[inizio lezione nuova]
Un altro punto fondamentale tipico di autori realisti che Machiavelli sottolinea a proposito della
natura della legge, che si lega a quanto detto precedentemente (violenza, atto fondativo), è
l'ineliminabilità del conflitto dalla dinamica degli ordinamenti giuridici e politici. Vuol dire che
secondo Machiavelli, coerentemente alla tradizione realistica, non si può dare un ordinamento che
faccia a meno del conflitto, che sopprima definitivamente il conflitto. Il conflitto è lo scontro tra le
parti di un ordinamento, tra le parti di una città e per Machiavelli (contro il modello platonico) l'idea
che la città possa essere ridotta a un'armonia piatta e liscia, composta da parti indistinte tra loro e
che quindi non confliggono tra di loro è pura utopia perchè le parti della città si differenziano
necessariamente, dice che hanno diversi umori e pensa soprattutto alla differenziazione delle
ricchezze nello status sociale, ma quello che Machiavelli vede è che il conflitto è positivo per la
città. Se dovessimo classificare gli autori come conflittualisti e anticonflittualisti; Machiavelli
sarebbe il principale teorico del conflittualismo politico perchè condivide entrambe le affermazioni
che possono essere tipiche del conflittualismo
1. Affermazione descrittiva: (descrizione di come stanno le cose) constatazione del conflitto
come elemento costitutivo della città.
Non è possibile eliminare il conflitto dalla dimensione collettiva perchè il conflitto è
ineliminabile, in quanto ci sono sempre umori diversi nella città e questi umori sono
necessariamente portati a scontrarsi perchè le parti tendono ad affermare la propria natura,
interessi, ecc.. → conflitto = ineliminabile. Il conflitto è sempre presenta nella città non si
può immaginare in essa assente.
2. Affermazione valutativa: positività del conflitto.
Non bisogna pensare al conflitto come qualcosa di negativo, cioè come qualcosa che incide
negativamente sugli ordinamenti, anzi incide molto positivamente perchè il conflitto
impedisce che ci possano essere abusi nella città, che una parte possa arbitrariamente
governare ed imporsi sull'altra, ma inoltre il conflitto, proprio perchè è una critica costante
delle cose, aiuta a migliorare gli ordine della città. Machiavelli dice nei “Discorsi”: “(vedi
citazione) coloro che danno..” coloro che dicono che il conflitto continuo tra la plebe e il
senato/aristocratici è la rovina di Roma non hanno capito che quella è stata l'unica vera
causa della libertà di Roma. Il fatto che gli ordinamenti romani abbiano garantito per lungo
tempo un certo grado di libertà e che si sia tradotta poi nella grandezza di Roma, è stata
dovuta, secondo Machiavelli, proprio al fatto che ci sia stato un conflitto continuo tra le parti
della città e che ha impedito a una delle parti di essere arbitrariamente padrone della città.
Nello stesso paragrafo del cap 4 del libro I dei “Discorsi”: “(vedi citazione) i buoni esempi
ecc” conflitto = vera difesa della libertà e fonte delle buone leggi che quindi ci sono non
perchè si lasciano fare a qualcuno, ma perchè sono frutto di contrasti continui e quindi non
bisogna avere paura del conflitto. Conflitto tra le parti della città è fisiologico e non
patologico (fa parte del convivere delle parti nella città), ma è anche positivo, genera cose
positive, quali libertà, buone leggi.. Machiavelli = conflittualista; infatti un autore che si
pone nel contesto di pensiero del giusnaturalismo e del contrattualismo moderno, cioè
Spinoza, valorizzerà al massimo queste indicazioni di Machiavelli e questa idea del
conflittualismo lo porterà ad essere un autore diverso rispetto a tutti gli altri conflittualisti.
Forme di governo
Proprio grazie al conflitto, quel conflitto che alcuni considerano dannoso, le società non si fermano
mai, sono in continuo movimento. La società è soggetta a un continuo mutamento. In un passo delle
istoriae fiorentine: “(vedi citazione) le province, il più delle volte ecc...”; afferma che, poiché la
natura non ha concesso alle cose umane di rimanere ferme, ma solo il continuo ed incessante
movimento, quando esse;
arrivano alla perfezione non possono che riscendere
• arrivano al grado più basso non possono che risalire.
•
Questo movimento continuo, costante delle umane cose che non possono fermarsi mai incide sulle
forme di governo. Machiavelli, su questa tematica, ha portato una semplificazione; è il primo autore
che non prende per buona la tradizione classifica della teoria delle forme di governo, cioè la
distinzione sulla base del numero e la distinzione qualitativa sulla base del modo con cui si governa.
Machiavelli dice che non ci sono più 3 modi o addirittura 6 modi di governarsi, ma ce ne sono solo
2: tutti gli stati e tutti domini sono stati solo;
1. repubbliche
a governare sono in più di 1 e non importa se siano tanti o pochi, non c'è differenza tra
aristocrazia e democrazia.
2. principati
governa uno solo
Ci possono essere molte modalità in cui le repubbliche si governano, ma questo ha a che fare più
con le virtù dei singoli che non con una vera e propria differenza nella forma di governo, e
ugualmente per i principati. La vera distinzione consiste nella forma di governo in cui governa solo
1 e la forma di governo in cui governano più di 1, anche se poi Machiavelli sa che le repubbliche
possono essere repubbliche di ottimati, cioè di aristocratici, oppure repubbliche democratiche, cioè
governi popolari e sa anche che queste diverse forme di governo cambiano continuamente, ovvero
si tramutano l'una nell'altra. Machiavelli descrive nei discorsi il modo con cui una forma di governo
decade e dà vita ad un'altra e dice che questo è il cerchio nel quale, girando, tutte le repubbliche si
sono governate e si governano, quindi un cerchio continuo che porta a dire che non esiste una forma
di governo che è più buona di tutte in assoluta e quindi è buona per tutti, ma esiste uno stato buono
per quel popolo, per quella determinata collettività. E' un'indicazione interessante; per più di un
motivo, Machiavelli anticipa Spinoza, o meglio Spinoza valorizzerà l'elemento conflittualista di
Machiavelli e invece poi ci sarà un altro autore, ovvero Montesquieu, che valorizzerà questo
approccio che possiamo definire sociologico, anche se in realtà sarà un autore che tenterà di
tenersene lontano infatti non lo citerà neanche. L'approccio di Montesquieu è già anticipato da
Machiavelli; l'idea che non ci sia una forma di governo perfetta che vada bene sempre per tutti, ma
che siano i costumi, le condizioni, la storia del popolo a rendere buona o cattiva una forma di
governo. Proprio perchè c'è questo cerchio in cui, girando, tutte le repubbliche si sono governate e
si governano, capisce perchè Roma è stata grande. Perchè ? Machiavelli riprende il motivo da
Cicerone; governo misto: (vedi citazione) Machiavelli individua nel governo misto romano, ovvero
nella costituzione mista romana che è una costituzione la quale non era stata inventata di sana piana,
ma alla quale si era arrivati lentamente attraverso la storia, i conflitti, proprio quei conflitti tra i
nobili e la plebe, il suo principio fondamentale: fatto che l'uno guarda l'altro. Anche qui Machiavelli
anticipa Montesquieu nell'idea che solo il potere frena il potere, come appunto dirà anche
Montesquieu. Questa è l'unica garanzia della libertà dei cittadini perchè quando si affida il potere a
qualcuno, anche fosse la persona più virtuosa di questo mondo, cercherà di approfittarne e
rafforzare il suo potere. Invece, unica garanzia che abbiamo è quella di fare in modo che il potere
guardi il potere (parole di Montesquieu) ovvero che l'uno guardi l'altro (parole di Machiavelli), cioè
bisogna creare dei meccanismi istituzionale ai vertici dello stato che dia vita a un sistema in cui
l'uno guarda l'altro. Non c'è una parte nelle sue opere in cui Machiavelli tratta specificatamente
delle forme di governo, ma ci sono frammenti ricavati dalle sue opere. C'è un punto interessante di
questa trattazione frammentaria e frammentata delle forme di governo in Machiavelli e riguarda il
principato. Machiavelli dice a tal proposito una cosa interessante e anticipatrice di alcuni aspetti
sviluppati successivamente da Montesquieu, mentre Machiavelli non valuta neanche la possibilità di
sviluppare questi temi nel modo in cui li svilupperà Montesquieu, ma di fatto ci dice una cosa
impotante; quando parla dei principati, Machiavelli dice che esistono 2 forme di principati, 2 modi
di governare i principati che li spiega parlando della Francia e della Turchia. Nel 4 capitolo del
Principe; come si possono governare i principati? “O per uno principe e tutti gli altri servi o per uno
principe e baroni, i quali, non per grazie del signore, ma per antiquità di sangue tengano quel
grado”. Ragionamento: Machiavelli dice che ci sono solo due modi di governare, quale principato e
repubblica, ma poi in realtà fa una serie di distinzioni all'interno di questa macro distinzione e, a
proposito del principato dice che 2 sono i modi in cui si può governare, seppur si tratti del governo
di uno, ed uno è il modo della Francia e l'altro è il modo della Turchia.
Modo della Turchia
• Sistema: uno principe e tutti gli altri servi; il principe e i sudditi sotto il principe, tutt'al più
ci può essere una classe di servitori, amministratori che rispondo direttamente al principe,
che sono dipendenti direttamente dal principe.
Modo della Francia
• Sistema: il principe e i baroni; Machiavelli sottolinea una cosa fondamentale, cioè i baroni
non ricevono il loro potere dal principe, ma hanno un potere originario, autonomo che gli
deriva da antichità di sangue. Quindi, ci sono dei soggetti all'interno dello stato che hanno
un potere non derivato da quello del Re; significato; il Re deve continuamente contrattare
con questi baroni le proprie prerogative, i propri poteri, le proprie decisioni.
Riflessione: perchè Machiavelli parla di questa cosa? Machiavelli ne parla per un motivo preciso,
cioè solo perchè gli interessa far capire come si conquista uno stato; per lui questa differenza tra
Francia e Turchia è rilevante perchè comporta enormi differenze sul piano della conquista e del
mantenimento dello stato.
Lo stato turco è più difficile da conquistare, ma è più facile da mantenere perchè è uno stato
• più compatto; quindi è molto più difficile irrompere, ma una volta entrati e conquistato il
potere si ha a che fare con un unico contesto che è abituato all'ubbidienza nei confronti di
colui che ha il potere.
Lo stato francese è molto più facile da conquistare perchè si troverà sempre qualche barone
• che odia il re e che mira a sostituirlo, quindi si troveranno sempre degli alleati in uno stato
così fatto, ma, proprio perchè è uno stato così fatto, sarà molto difficile mantenerlo.
Machiavelli ne parla quindi per il motivo per cui ha scritto il Principe, cioè per spiegare come
conquistare e mantenere uno stato, però l'aspetto che a noi interessa è che Machiavelli, attraverso
questo discorso, sta facendo vedere che ci sono 2 modalità completamente diverse di governare
all'interno di una monarchia soprattutto, ma possiamo dire in generale, e queste due modalità sono:
una nella quale non ci sono poteri intermedi tra sovrano e sudditi → Turchia
• una nella quale tra sovrano (principe) e i sudditi ci sono poteri intermedi (anche se
• Machiavelli parla solo dei baroni), cioè ci sono soggetti che detengono un potere e con i
quali il sovrano deve necessariamente fare i conti e questo impedisce il potere assoluto.
Quello che dice Machiavelli è in un certo modo confermato dalla storia che testimonia tra il
16esimo e 17esimo secolo il tentativo costante, poi ben riuscito, dei governanti francesi di cercare
di togliere il potere ai grandi baroni, nobili, che in qualche modo erano un freno al suo potere. E'
una cosa non nuova, ma ricorrente nella storia e Montesquieu, non a caso, senza nessun riguardo a
Machiavelli, parlerà proprio di questo, ovvero verso la metà del 700 Montesquieu guarderà con
preoccupazione proprio questo, cioè il fatto che la monarchia francese stia cercando di togliere
potere ai poteri intermedi e che si rischi di trasformarsi in una forma di governo dispotica.
Machiavelli non parla mai della giustizia, sembra non preoccuparsene ed in effetti è così; a
Machiavelli interessa l'effettività del potere, della legge. Non è che Machiavelli sia convinto che
non esista un qualcosa che si possa chiamare giustizia, è come se Machiavelli fosse rassegnato
all'idea che la giustizia, come dice lui stesso, abbia lasciato il regno degli uomini e si sia rifugiata
nel cielo, da dove, da lontano, guarda agli uomini. Quindi, la giustizia ha a che fare con le cose
umane raramente, ma non è che Machiavelli non sappia individuare qual è un minimo contenuto
della giustizia; c'è un discorso che Machiavelli ha fatto poco prima della pubblicazione del Principe,
tenuto a Firenze verso dei magistrati nel quale fa un elogio della giustizia e ci dice che la giustizia si
è rifugiata in un luogo inaccessibile agli uomini, eppure la giustizia è necessaria per alcune cose,
esempio: difendere i poveri e gli impotenti, reprimere i ricchi e i potenti, umiliare i superbi e gli
audaci, frenare i rapaci e gli avari, cioè la giustizia deve frenare le prepotenze. Quindi, è come se
Machiavelli ci dicesse che ad un certo punto, proprio quella legge che nasce dalla violenza, da una
forzatura degli ordine, non può non prendere in carico questo, altrimenti l'ordine è l'ordine dei
prepotenti, arroganti, coloro che con la forza continuano ad esercitare il loro potere; la legge, se è
legge, deve fare anche questo. Inoltre c'è un elogio della giustizia intesa come imparzialità; (“vedi
citazione) dovrete per tanto voi (si riferisce ai magistrati)..” i giudici quando giudicano non devono
accettare doni perchè altrimenti il loro giudizio si corrompe. Quindi, Machiavelli almeno una cosa
sulla giustizia la dice; un contenuto minimo di giustizia di cui gli ordinamenti non possono fare a
meno è questo: applicazione delle leggi imparziale, che non si faccia corrompere l'animo dalle
preghiere o doni di coloro che devono essere giudicati. Machiavelli qui ci dà almeno un criterio di
giustizia; applicazione imparziale della legge = criterio minimo di giustizia. Machiavelli, ci ha fatto
vedere un primo momento teorico riguardante l'affermazione dello stato; nel momento in cui gli
stati, come nuovo soggetto istituzionale, ovvero inteso come impresa istituzionale che si afferma in
un vasto territorio e che quindi si organizza su questo territorio attraverso una serie di strutture
amministrative ecc.., viene analizzato per la prima volta attraverso il filtro dell'effettività.
Machiavelli ci mostra una dimensione di questa realtà; per prima cosa vede l'elemento
dell'effettività che sta alla base dello stato. E' un autore che è il primo grande studioso di questa
nuova impresa, che vuol dire anche impresa giuridica perchè l'ordinamento giuridico statale che si
afferma apposta per superare gli ordinamenti precedenti, lo stato si presenta come impresa che deve
sueprare una situazione giuridica molto frammentata, frammentaria, particolaristica, cioè molti
diritti, molti ordinamenti giuridici e molte situazioni giuridiche diverse fra loro. Lo stato nasce
anche per queste ragioni, anzi forse prevalentemente per queste ragioni, oltre che per ragioni di
potere. Lo stato nasce perchè c'è l'esigenza di creare ordinamenti giuridici che abbia una valenza più
generale che siano meno differenziati tra loro. Stato farà esattamente questo; imporrà su un
territorio più o meno vasto un ordinamento giuridico che varrà per tutti allo stesso modo. Il punto
culminante di questo processo sarà poi rappresentato dalla codificazione che si pone intorno alla
fine del 700 e inizio dell' 800. Machiavelli vede questo processo, che vede già abbastanza avanzato
in alcuni stati, e lo legge attraverso l'effettività. Ci saranno autori che faranno un passo avanti in
questa lettura dello stato, cioè aggiungeranno ulteriori elementi.
Un'altra lettura dello stato sotto la stessa lente macchiavelliana è data dalla riforma con cui viene
data una lettura dello stato che conferma l'elemento della forza come centrale di questa vicenda e
soprattutto perchè afferma una certa visione del rapporto tra potere e cittadini. La riforma ha un suo
pensiero politico che viene fortemente e insistentemente sviluppato dai grandi personaggi di questa
vicenda (Lutero, Cantino in particolare) e nel pensiero politico della riforma si insiste sul fatto che
gli uomini non sono ancora pienamente e universalmente pronti per il regno dei cieli. Nella riforma
viene estremizzato un argomento agostiniano, cioè l'argomento della fede che salva alcuni e che
però non è di tutti, viene estremizzato nel senso che qui si elabora, ad esempio, il tema della
predestinazione. Viene estremizzato, quasi sistematizzato, l'argomento agostiniano della città
dell'uomo, della funzione della città dell'uomo; Lutero dice che se tutti gli uomini fossero cristiani,
cioè se tutti fossero predestinati, non ci sarebbe bisogno dello stato, ma non tutti sono buoni
cristiani, anzi solo pochi lo so ed è il motivo per cui c'è bisogno dello stato e c'è bisogno dello stato
sotto la veste presentata da Agostino, cioè dello stato che tiene in pugno la spada che serve per
mantenere l'ordine, per punire i malvagi. Questo vuol dire che la spada è legittimata direttamente da
Dio e non è creata dagli uomini, ma è Dio che vuole che la spada ci sia per mantenere l'ordine.
“(vedi citazione) per questo Dio onora la spada tanto da chiamarla sua istituzione ecc...” il potere
civile è istituito da Dio, non dagli uomini, lo stato si presenta sotto la figura della spada che
legittima, in modo assolutamente convinto, come istituzione di Dio, ovvero è Dio che punisce,
uccide, decapita, pugnala. E' come se lo stato si richiamasse alla figura del boia che punisce, taglia
la testa. Queste parole nascono nel contesto delle lotte sociali e politiche che la riforma ha
innescato, e sono parole che Lutero scrive a proposito della guerra dei contadini, cioè il fatto della
riforme aveva generato una serie di richieste di riforma che si ponevano anche sul piano politico,
sociale e economico. Siccome questi erano sviluppi che Lutero non aveva valutato, ma soprattutto
che erano pericolosi perchè mettevano in crisi il potere di quei principi ai quali Lutero si era
affidato per poter affermare la sua riforma religiosa; Lutero scrive questo scritto contro i contadini
che però affermano un certo valore, l'ipotesi teorica di uno stato che è legittimato da Dio a punire,
uccidere ecc.. L'altra faccia della medaglia che riguarda un tema con cui i grandi scrittori politici del
600/700 faranno costantemente i conti è il seguente: posto che lo stato sia ciò che Lutero sta
dicendo; quale dovere hanno i cittadini nei confronti dello stato ? I cittadini, nei confronti dello
stato, hanno un dovere assoluto di ubbidienza e questo significa (tema con cui faranno conto gli
scrittori successivi) che non è ammissibile nessun diritto di resistenza, di ribellarsi o sottrarsi al
potere. Questo è un tema centrale di tutta la dottrina giuridica e politica del 600/700 perchè coloro
che devono fare i conti con lo stato rifletteranno sullo stato, sul perchè dello stato, su cosa lo
legittima, quali sono i suoi poteri ecc.. Lutero già individua questa questione, mentre Machiavelli
non si era posto questa questione e dava fiducia al fatto che i conflitti interni fossero comunque una
presenza ineliminabile. Dal momento, invece, in cui Lutero parla in questo modo dello stato si
premura di dire che non c'è nessun diritto di resistenza dei cittadini nei confronti del potere perchè
ogni cittadino interpreta la giustizia a partire dalla sua visione. Il cittadino ha un dovere assoluto di
ubbidienza. JEAN BODIN
In particolare, Bodin, aggiunge un elemento che possiamo definire giuridico, anche se si trova al
confine tra politico e giuridico. E' un autore francese, la cui opera principale è del 1576 e si intitola
“i sei libri della Repubblica” (repubblica nel senso di res publica, quindi vuol dire stato). E' un'opera
che si lega a Lutero e a quello che dice Lutero perchè è un'opera che nasce dalla guerra di religione
che sta devastando l'Europa in questo periodo. E' un'opera che ci interessa perchè in essa Bodin fa
un passo avanti rispetto a Machiavelli; Machiavelli presenta lo stato sotto il tema della forza, lo
legge attraverso il filtro dell'effettività, Bodin, invece, si pone un problema nuovo e lo fa criticando
esplicitamente Machiavelli, rifiutando esplicitamente la sua dottrina che secondo lui è all'origine di
molti dei mali che i francesi stanno vivendo in quegli anni(come la lotta tra i cattolici e gli ugolotti).
Bodin introduce un nuovo elemento; nucleo dello stato è costituito dalla sovranità. Bodin è il primo
autore a tematizzare l'elemento della sovranità come elemento cruciale dello stato. Quindi non
elemento che riguarda l'effettività, ma elemento che riguarda la legittimità del potere. Potere
sovrano = elemento tipico dello stato.
Contesto in cui nasce questa riflessione: guerre di religione, lotta tra cattolici e protestanti/ugolotti,
in particolare, pochi anni prima che venisse pubblicata questa opera (e non è un caso che questa
opera venga pubblicata immediatamente dopo), c'era stata il grande e tragico avvenimento della
notte di San Bartolomeo (la strage degli Ugolotti). Perchè Bodin scrive quest'opera? La scrive
perchè vuole trovare un modo teorico, che poi però deve diventare anche pratico, per superare il
conflitto di religione, cioè vuole trovare una soluzione e, quindi anche una definizione dello stato e
del potere, che possa fare a meno di qualsiasi legittimazione religiosa. Siccome lo stato è in preda
alle lotte di religione, bisogna trovare un principio di legittimazione dello stato che prescinda
totalmente dalle appartenenza religiose. Bodin appartiene a un importante gruppo che si
chiamavano “i politic”, ovvero politici, nel senso che guardavano alla politica come soluzione della
guerra di religione. L'elemento della sovranità aiuta proprio a far questo, cioè aiuta Bodin è
individuare un principio nello stato che possa essere slegato dalla religione. E' la sovranità che tiene
insieme lo stato. C'è un problema: Bodin non definisce che cos'è la sovranità, ci dice cosa fa, come
agisce, dove possiamo individuarla, senza mai dare una definizione di sovranità. Ci fa intuire la sua
definizione di sovranità attraverso delle metafore, delle immagini, non diversamente con quanto
aveva fatto Platone per il bene; il bene in Platone compare continuamente, ma non c'è una
definizione di bene. Bodin non ci dà la definizione di sovranità, ci dice che la sovranità è come il
collante che tiene insieme le diverse parti della nave; lo stato è come una nave fatta di molte parti
che sono tenute insieme da un collante che per lo stato è la sovranità. Come Bodin colloca la
sovranità nel contesto della sua visione dello stato? L'opera di Bodin parte con la definizione di
cos'è la res publica, cioè lo stato: lo stato è il governo giusto che si esercita con potere sovrano su un
gruppo di famiglie e su tutto ciò che esse hanno in comune. Analisi della definizione di stato:
Lo stato non è un governo qualsiasi, ma è un governo giusto. E' una definizione
• antimachiavelliana; non qualsiasi potere dà vita ad uno stato, ma uno stato è un governo
giusto. Bodin trae coerentemente alcune conseguenze da questo; cioè non tutto ciò che noi
siamo abituati a considerare stato è uno stato, ma ci sono alcuni stati che assomiglia alle
bande di briganti di Agostino. Quindi, Bodin in un certo senso dà ragione ad Agostino, ma
dal suo punto di vista quelli non sono stati. Lo stato è solo un governo giusto, ma non
sappiamo cosa voglia dire governo giusto, nonostante Bodin dice anche che uno stato giusto
è uno stato che incontra dei limiti e Bodin dice questo seppur sia un teorico del governo
assoluto. Elemento della giustizia come elemento costitutivo dello stato. Lo stato non è
come una banda di briganti che è solo più potente, ma è un'altra cosa.
“che si esercita con potere sovrano”. Cosa vuol dire potere sovrano? Non abbiamo a
• disposizione una definizione di sovranità; Bodin dirà più avanti che l'estrinsecazione
principale del potere sovrano, cioè dove principalmente lo vediamo, è nel fare le leggi.
Sovranità = fare e cassare le leggi. Questo, però si tratta di un tema che Bodin affronterà
successivamente, ma intanto possiamo dire che il potere sovrano è un potere che non
conosce poteri superiori. Potere è sovrano quando al di sopra di lui non ci sono altri poteri.
Tipico dello stato è il fatto che non ci siano poteri superiori. Machiavelli non la poteva dire
una cosa del genere perchè per lui tutti si poneva sul piano della potenza, per cui se
qualcuno riusciva a dimostrare una potenza superiore alla tua significava che allora è più
potente e quindi possiede il dominio meglio di quanto lo possiedi tu e può dominarti. Invece,
per Bodin, il sovrano, che è il sovrano legittimo (colui che in base alle regole detiene la
sovranità) è per definizione il sovrano. Sappiamo chi è il sovrano in base alle regole che
presiedono alla titolarità della sovranità. Non è più posto sul piano dell'effettività. Sovreano
è colui che è individuato come sovrano in base alle leggi, regole che ci dicono chi deve
essere il sovrano → ci sono regole e principi che legittimano il potere. Per Machiavelli
questi principi non esistono ed il potere è legittimato solo in base al fatto che qualcuno
esercita quel potere in modo più efficace ed effettiva rispetto a qualcun altro. Spinoza, a
riguardo, sarà invece molto Machiavelliano, tanto che dirà uno non è sovrano perchè è
sovrano e gli ubbidisco perchè è il sovrano, ma dirà esattamente il contrario (dimostrandosi
molto machiavelliano come impostazione), cioè che lui è il sovrano perchè io gli ubbidisco.
Per Bodin il sovrano è sovrano, non è sovrano perchè di fatto ha il potere, ma è sovrano
perchè è sovrano in base alle leggi che gli hanno attribuito la sovranità. Potere sovrano vuol
dire che non ci sono altri poteri al di sopra di lui.
“Su diverse famiglie, su un gruppo di famiglie”, quindi non solo su 2 famiglie, ma su un
• certo numero di famiglie. E' un punto interessante che tornerà nella questione dei limtiit del
ptoere, ma intanto se dico che lo stato è costituito da un gruppo di famiglie, troviamo un
elemento fortemente aristotelico. Lo stato non è un'entità politica che ha a che fare con gli
individui, che nasce dagli individui, ma nasce a partire da un gruppo di famiglie, cioè a
partire da gruppi sociali che lo precedono e lo costituiscono. Lo stato c'è grazie al fatto che
ci sono delle famiglie prima nello stato, le quali, attraverso determinate modalità,
costituiscono lo stato. Lo stato governa su gruppi di famiglie, non su individui. Bodin,
autore della piena modernità, anche se modernità ancora non totalmente dispiegata (fino a
Hobbes), teorico dello stato inteso come stato assoluto, ci dice che lo stato è costituito da
famiglie e il governo si esercita su diverse famiglie. Bodin, alla fine del 500, riprende in
parte il modello aristotelico.
“su ciò che esse hanno in comune”; Bodin vuole sottolineare che lo stato esercita un potere
• che è un potere sovrano e non un potere qualsiasi, e lo esercita non su tutta la società e tutto
ciò che esiste, ma solo sulle cose che le famiglie hanno in comune, cioè sulla proprietà
comune. Ed è un modo per dire che non si esercita sulla proprietà privata delle famiglie. Se
c'è una proprietà comune vuol dire che c'è anche una proprietà privata. Bodin è un autore
che, in questo caso, a differenza di Aristotele è convinto che il governante, il sovrano debba
governare come un padre di famiglia, cioè che ci sia una perfetta somiglia tra il governo del
padre ed il governo del sovrano nello stato. L'unica vera differenza sta nel fatto che il potere
di uno si esercita sulle proprietà privato e quello dell'altro sulle proprietà comuni.
Tema della sovranità.
Il potere del sovrano, certamente (ed infatti Bodin viene presentato come teorico dello stato
assoluto) è un potere legibus solutus, cioè sciolto dalle legge. Prima caratteristica del potere
sovrano: potere assoluto. Cosa intende Bodin per potere assoluto? Bodin si riferisce,
fondamentalmente, al potere di fare e cassare le leggi. Se c'è un elemento che ci permette di
descrivere in cosa consiste il potere sovrano è questo: il sovrano può fare la legge. E' un fatto
rivoluzionario nel contesto in cui Bodin scrive perchè la legge, forse per la prima volta nel nuovo
contesto dello stato (Marsilio quando parlava della universitas civium pensava ai comuni, alle
comunità cittadine prevalentemente quindi si riferiva a un contesto diverso da quello di Bodin) dice
che il diritto si esprime attraverso la legge e che la legge la fa il sovrano. Potere assoluto qui vuol
dire che non ci sono e non ci devono essere altri poteri normativi al di sopra del sovrano, cioè la
legge la detta il sovrano in uno stato. Questo è rivoluzionario perchè il contesto normativo e
giuridico è quello in cui il diritto è ancora frutto di mille gruppi, ordinamenti vari, quindi è un diritto
frammentato,particolaristico e frutto di molte istanze e molti produttori di diritto ed invece si vuole
affermare l'idea della generalità del diritto = diritto che vale per tutti allo stesso modo. Quindi, non
più le consuetudini come fonte principale del diritto, ma la legge. Dire che il sovrano è legibus
solutus vuol dire che non c'è niente che lo vincola, anche se in realtà non è vero che niente lo
vincola, ma non c'è niente che vincoli il diritto positivo. Il sovrano è sovrano assoluto con questa
accezione: non c'è nessun altro potere giuridico che possa vincolare il sovrano nella sua potestà di
fare la legge. 25 ottobre
(continuo di Bodin)
[Riepilogo lezione precedente]
Sovranità = nuovo criterio costitutivo dello stato individuato da Bodin per sfuggire all'idea che lo
stato sia semplicemente una manifestazione della forza, un qualcosa che ha a che fare
esclusivamente con la forza. Bodin si preoccupa invece di un elemento che non ha a che fare con la
forza, ma di diritto, infatti il potere legittimo è il potere sovrano, e non il potere di chi si impossessa
del potere e lo mantiene, ma è un potere che ha titolo di legittimità che lo precedono rispetto alla
forza che riesce a imporsi. La sovranità è intesa come attributo fondamentale dello stato. Governo
giusto che si esercita con il potere sovrano, quindi un governo giusto e non un potere qualsiasi.
[inizio lezione nuova]
La prima caratteristica di questa sovranità è l'assolutezza, però assolutezza non vuol dire
illimitatezza del potere, ma vuol dire di fatto non riconoscere altre autorità giuridiche diverse
rispetto allo stato. Assolutezza del potere, in questo caso, è da intendere come unicità dello stato in
quanto produttore di diritto, cioè non riconoscere ad altre entità, che pure Bodin individua e ne
accetta l'esistenza (esempio: famiglie e tutto ciò che le famiglie possono creare aggregandosi, come
le associazioni) autorità giuridica, o quantomeno autorità giuridica sovrana, perchè Bodin non
spoglia del tutto le associazioni e corporazioni di ogni potere giuridico, ma il potere giuridico
sovrano è solo quello dello stato. Si afferma lo statualismo = idea che l'ordinamento giuridico è
l'ordinamento dello stato.
In cosa si estrinseca questo potere sovrano assoluto che si presenta come sciolto dalle leggi? Si
presenta fondamentalmente e principalmente come potere di fare la legge; se il potere assoluto è il
potere sovrano relativo al diritto, questo potere si concretizza principalmente e fondamentalmente
nel potere di fare la legge. Bodin dice che il punto più alto della maestà sovrana sta nel dare la legge
ai sudditi, in generale e in particolare, senza bisogno del loro consenso; quindi la legge diventa
vincolante per i sudditi a prescindere dal fatto che i cittadini approvino questa legge. Bodin
aggiunge che, a parte ciò che avviene in altri regni, qui nel nostro abbiamo spesso visto certe
consuetudini generali aboliti dai Re senza consultare in proposito; Bodin dice che si sta verificando
nella realtà che le consuetudini degli stati, corpi intermedi, corporazioni e così via vengono superati
dagli editti dei Re, cioè dalle leggi → da questo momento si afferma un nesso molto stretto, che
caratterizzerà tutti i secoli successivi, tra diritto e sovranità, tra diritto che si esprime attraverso la
legge e potere sovrano. Per la prima volta, in modo teoricamente consapevole, diritto e legge
vengono attratti nella sfera della sovranità, di una sovranità che in questo momento non è
necessariamente fondata sul consenso del popolo. Il sovrano ha potere di fare e cassare la legge. Il
sovrano è colui che è assoluto in quanto è sciolto dalle leggi, quindi il sovrano può fare la legge e
questo vuol dire che il sovrano non è sottoposto alla legge.
Il diritto che si presenta come legge viene attratta nella sfera del sovrano. Dire che la sovranità si
esprima attraverso la legge vuol dire superare tutte le altre fonti del diritto, cioè che le altre fonti del
diritto arretrano rispetto alla legge; legge come volontà del sovrano diventa LA fonte del diritto, e
non una fonte di diritto tra le altre. Le altre fonti del diritto arretrano, e arretra in particolare la
consuetudine che fino a questo momento è ancora la fonte più diffusa del diritto. Si tratta di 2 fonti
del diritto estremamente diverse che esprimono 2 logiche del diritto profondamente alternative e
Bodin lo vede bene, è consapevole che parlando del potere sovrano come potere di fare la legge sta
demolendo un intero panorama giuridico che è quello governato dalla consuetudine. Bodin
mettendo al centro dell'ordinamento giuridico la legge (prodotta dal sovrano) è consapevole che sta
ribaltando un paesaggio. Il discorso di Bodin si mantiene in bilico tra descrizione e prescrizione;
cioè da un lato dice che “questo è quello che sta già avvenendo”, ovvero è in atto un processo il cui
contenuto fondamentale è la sostituzione della legge alla consuetudine, presentandosi, per questo
lato, come osservatore di ciò che avviene, ma dall'altro lato Bodin ha anche un atteggiamento
normativo, cioè valutativo, perchè è convinto che questo sia/debba essere/non possa non essere
l'esito di quel processo di centralizzazione che è costituito dallo stato. La centralizzazione che si
manifesta della formazione dello stato ha bisogno della legge.
Caratteristiche principali che descrivono la legge e la consuetudine;
Consuetudine:
“si forma gradualmente e nello spazio di molti anni”. La consuetudine è quella tipica fonte
• del diritto che si forma grazie alla ripetizione nel tempo di un determinato comportamento.
Ha bisogno del consenso di coloro ai quali si rivolge, si forma cioè per consenso comune
• Entra nelle abitudini delle persone quasi dolcemente, senza forza, e questo è abbastanza
• evidente perchè se la consuetudine si forma perchè tutti o quasi tutti tengono un determinato
comportamento, è chiaro che la consuetudine è una fonte del diritto che non ha bisogno della
forza, coazione per poter essere seguita da coloro che proprio seguendola l'hanno formata.
Non può derogare alla legge.
•
Legge: “esce d'un colpo”. La legge viene approvata in un determinato momento e non ha bisogno di
• molti anni alle spalle. Il suo vantaggio, in questo caso, è la rapidità dell'approvazione.
Non ha bisogno del consenso comune, ma ha bisogno soltanto dell'approvazione del
• sovrano. Non serve il consenso di coloro ai quali si rivolge, ma solo il consenso di cui che la
pone.
Ha bisogno della coazione. Proprio quella legge che, per nascere, ha bisogno
• dell'imposizione del sovrano, necessita della coazione. La legge è un atto di potere che si
esercita anche contro il consenso dei sudditi.
La legge può derogare alla consuetudine → natura di petizione di principio di questa
• affermazione la possiamo derivare che prima le cose non stavano così; nel Medioevo, nel
diritto precedente a quello moderno, la consuetudine aveva un rango ben diverso rispetto a
quello che gli viene assegnato in questa nuova era che poi verrà certificata definitivamente d
Hobbes, e solo agli inizi dell'800 un grande giuristi cercherà di dimostrare che solo la
consuetudine è la vera e unica fonte del diritto.
D'ora in avanti verrà data per scontata la superiorità della legge rispetto alla consuetudine. Questo
non vuol dire che la legge, viste queste differenze strutturali, non debba far tesoro di ciò che la
consuetudine può insegnare in termini soprattutto di effettività del diritto. Alcune caratteristiche
della consuetudine sono tali che anche la legge dovrebbe farne tesoro; ferme le caratteristiche
attribuite alla legge e la sua superiorità rispetto alla consuetudine, la legge farebbe bene a far tesoro
di alcune cose che vengono dalla consuetudine, ad esempio la forza che viene dalla durata = quanto
più una legge dura nel tempo, tanto più è forte e viene ubbidita, quindi c'è bisogno di imporla meno.
Anche la legge, nonostante queste caratteristiche richiamate, deve cercare di adattarsi al ritmo della
natura che fa le cose lentamente, cercare il meno possibile di fare le cose repentinamente e
violentemente, ma cercare di seguire il ritmo della natura. [ fine tema: fonti del diritto]
Tema: legge e limiti della legge.
La legge è l'espressione massima della volontà del sovrano; il sovrano può creare e cassare la legge
(=potere sovrano) e se il sovrano è colui che può fare e cassare la legge vuol dire che non ci
possono essere limiti alla sua possibilità di fare le leggi, infatti il sovrano è sciolto dalle leggi.
Questione: se il sovrano è sciolto dalle leggi può fare quello che vuole ? E' vero che il sovrano è
sciolto dalle leggi e che il suo potere è il potere i fare e cassare la legge, ma Bodin si domanda: la
legge che il sovrano può creare e cassare esaurisce tutte le leggi possibili? Il tema della legge
coincide totalmente con le leggi che possono essere fatte dal sovrano ? = NO → il potere del
sovrano non è un potere illimitato. Il potere del sovrano può fare e cassare le leggi, ma può fare e
cassare la legge, ma solo quella legge che può fare e cassare → il sovrano può fare la legge, ma può
fare solo quella legge che lui può fare → ci sono altre leggi che il sovrano non può fare, che non
dipendono dalla sua volontà. Quindi, è vero che il sovrano è sovrano in quanto può fare la legge e
che da lì si vede la sua sovranità, ma è anche vero che ci sono alcune leggi che non dipendono dalla
volontà del sovrano e sulle quali il sovrano non ha autorità. Ci sono una serie di norme che sono
vincolanti per il sovrano → il sovrano è assoluto e può fare e cassare le leggi, ma lo può fare solo
con riguardo a quelle leggi che sono nel suo potere e non con riguardo a quelle leggi che non sono
nel suo potere.
Leggi che non sono nel potere del sovrano (limiti espliciti al potere del sovrano):
leggi divine
• intese a partire dai 10 comandamenti; il sovrano non può annullare con le sue leggi, cioè le
leggi riconducibili alla sua volontà, le leggi poste da Dio. Qui comincia a concretizzarsi il
tema del governo giusto: un governo giusto è un governo che non può violare i precetti
divini
leggi naturali
• Bodin è un autore che riconosce l'esistenza di alcuni principi naturali. Qui Bodin, così come
in altri aspetti si dimostra perfettamente aristotelico. Per Bodin, le leggi naturali sono quelle
leggi che sono comuni a tutti i popoli, chiamate da alcuni ius gentium. Ad esempio, per
Bodin, è tipica nozione di diritto naturale, la regola in base alla quale bisogna rispettare i
patti; è una legge che per Bodin non può essere violata perchè altrimenti non potrebbe
esistere alcuna società, diversamente da quanto sostenuto da Machiavelli che su questo
aspetto critica. Qualsiasi società si basa sul rispetto dei patti e innanzitutto sul patto sociale
originario.
Leggi costitutive del regno, dette leges imperii, cioè le leggi che stanno alla base del regno,
• dello stato. Ad esempio: legge in base alla quale viene deciso chi deve essere il successore
del monarca. Proprio quella legge che è alla base del potere del sovrano non può essere
cambiata da sovrano stesso. Bodin si riferisce alle principali consuetudini costituzionali, e la
principale a cui Bodin si riferisce, nel caso della monarchia, è la legge riguardante la
successione al trono.
E' una considerazione apparentemente banale, ma in realtà piena di pensiero giuridico e
costituzionale perchè Bodin, con questa affermazione, sta dicendo il sovrano po' fare la
legge ordinaria e non può cambiare le leggi in base alle quali esercita il suo potere. E' vero
che il sovrano ha un potere enorme sulla legge e lo esercita attraverso la legge, ma c'è una
legge più alta, cioè le legis imperii, ovvero una serie di regole che sono consuetudini
costituzionali, che magari non sono neanche scritte, ma che rappresentano quelle
consuetudini del regno in base alle quali il sovrano ha il suo potere. Il sovrano non può
cambiare quelle regole grazie alle quali lui è il sovrano. E' come se Bodin dicesse, in termini
attuali, che sopra la legge ordinaria, c'è un insieme di principi costituzionali che non
possono essere derogati dal sovrano. Il sovrano esercita la sua sovranità soltanto quelle
legge che derivano dalla sua volontà o dei suoi predecessori, perchè le altre non sono frutto
della volontà di qualcuno e quindi costituiscono un limite al potere di fare la legge.
Proprietà
• Dalla definizione dello stato: la sovranità si esercita in un gruppo di famiglie su ciò che le
famiglie hanno in comune. Un limite alla volontà del sovrano è la proprietà privata, quella
proprietà che è precedente perchè appartiene alle famiglie e in cui il potere sovrano incontra
un limite concreto. Questo significa concretamente che la proprietà privata non può essere
presa dal sovrano; ciò che appartiene privatamente alla famiglie non può essere presa dal
sovrano, se non dietro un giusto indennizzo, ovvero Bodin è consapevole che lo stato può
aver bisogno di espropriare una parte appartenente ad un privato ma non al può prendere in
modo arbitrario, ma lo può fare solo dietro un congruo indennizzo.
Questi sono i limiti espliciti che Bodin individua e sottolinea con riguardo al potere sovrano, ma c'è
una questo più generale da affrontare che riguarda il modo in cui è formato lo stato. [tenere presente
la definizione] Bodin insiste molto sul fatto che le famiglie sono parte costitutiva dello stato, usa la
parola famiglia (a volte anche altre), ma ci fa anche capire che si riferisce ai gruppi, le comunità che
formano lo stato. Bodin, insieme a Machiavelli, è uno dei primi grandi teorici dello stato moderno,
ma non è ancora un autore della modernità radicale. Bodin è un autore moderno che analizza lo
stato moderno, è un teorico dello stato moderno, ma questo stato moderno non è ancora così
moderno come invece sarà in autori come Hobbes, perchè per Bodin lo stato è ancora non una
società fatta da individui, non è una struttura composta da individui, ma, così come era nella
tradizione aristotelica e nel medioevo, è concepito come una comunità di comunità, o società di
società. Su questo aspetto Bodin insiste moltissimo; la vera origine dello stato è la famiglia che
costituisce la parte fondamentale e riconosce alle famiglie una capacità normativa, cioè l'esistenza
dello ius familiare. Significa che per Bodin c'è un diritto sottordinato rispetto alla legge, quindi
riconosce alle famiglia una potestà normativa per regolare al suo interno rapporti, che sono rapporti
sociali, economici ecc.. Bodin si augura che lo stato sappia tutelare le sue parti costitutive → si
tratta di un altro limite, che Bodin non pone tra i limiti espliciti quando li elenca, ma di fatto è un
limite strutturale alla volontà dello stato, cioè lo stati non deve stritolare quelle parti di cui è
costituito. Lo stato deve preservare questi corpi intermedi e non distruggerli perchè se con le sue
politiche li distrugge essicca la linfa vitale che gli dà vita. Questa convinzione ha alla base
l'elemento della valorizzazione dell'amicizia come elemento politico, cioè il fatto che la vita sociale,
pltiica, civile e economica dello stato ha bisogno di relazioni sociali stabili, che non deperiscano per
colpa dello stato. Lo stato non deve sostituirsi ai corpi sociali, non deve sottrarli la loro funzione.
(significato aristotelico dell'amicizia).
Vedi cit: (fai confronto con Hobbes che si esprime 50 anni dopo circa) i greci e i romani sapevano
che l'amicizia ecc... La giustizia, il diritto il dover applicare le regole spesso rende nemici gli amici,
mentre l'amicizia che è disposta anche a rinunciare a ciò che è di suo diritto ristabilisce la vera
giustizia naturale. Alla base ha un'opzione teorica; Bodin è fortemente convinto che l'ordine sociale
si mantiene principalmente sul fatto che ci sia amicizia intesa in senso lato. Lo stato non può non
tener conto di tutto ciò, non può stritolarli.
Vedi cit “gli stati non hanno fondamento più sicuro ecc.. “(fai confronto con Hobbes).
Bodin possiamo considerarlo l'ultimo autore di un'epoca che è quella della formazione dello stato
moderno, e gli autori successivi che si occupano di queste questioni lo faranno all'interno di un
nuovo paradigma, di una nuova concezione, struttura teorica che sarà quella dei secoli successivi.
Bodin è l'ultimo dei grandi autori che possiamo analizzare senza la struttura teorica del
giusnaturalismo moderno.
Dopo Bodin il panorama teorico-politico cambia radicalmente e si tratta di capire perchè cambia e
come cambia. Troveremo autori trattati all'interno di uno schema concettuali che è quello del
giusnaturalismo moderno, tra cui Hobbes, Locke, Spinoza, Rousseau e Kant. Sono autori
giusnaturalisti che ragionano di giustizia, stato, diritto, legge (stesse tematiche) e lo faranno sempre
in riferimento allo schema teorico del giusnaturalismo moderno.
Perchè si afferma lo schema del giusnaturalismo teorico? Quali sono le preoccupazioni che portano
all'affermazione di questo nuovo schema teorico?
Punto di partenza: affermazione dello stato; Machiavelli, Bodin hanno già fatto i conti con questa
materia, e gli autori successivi faranno i conti con una realtà più matura rispetto a quella vista da
Machiavelli e Bodin, lo stato è infatti un'autorità che si è affermata, si sono formati grandi stati
nazionali, altri sono passati attraverso le tribolazioni delle guerre di religioni ed alcuni sono ancora
immersi in queste guerre (esempio Inghilterra → riflessione di Hobbes e Locke). C'è da fare i conti
con la realtà dello stato moderno come realtà ormai afferma definitivamente. La prima cosa che
questi autori cercano è di capire quali sono i titoli di legittimità del potere statale. Bodin aveva
inserito l'elemento della sovranità come elemento che cerca di svincolare il potere sovrano dalla
forza, il potere è sovrano perchè ha titoli di legittimità; questi autori nuovi danno una risposta a
questa questione, cioè si chiedono quali sono i titoli di legittimità statale? In base a cosa lo stato può
imporre leggi, chiedere ubbidienza ai suoi ordini, fare in modo che i cittadini facciano ciò che lo
stato decida? Qual è il titolo di legittimità? E' la prima questione affrontata da questi autori: titolo di
legittimità del potere. La seconda questione a cui questi autori risponderanno è quali sono i modi di
esercizio di questa autorità sovrana, quindi le forme attraverso le quali questa autorità sovrana verrà
esercitata.
La risposta a queste domande è fortemente condizionata da quella che possiamo chiamare “grande
rivoluzione” nell'ambito del pensiero, della concezione antropologica, che non a caso arriva in
questo momento, cioè in momento in cui ci sono grandi rivolgimenti sul piano economico, sociale.
Lo stato nasce anche per il nuovo panorama che si pone, e così anche la rivoluzione del pensiero.
Elementi di questa rivoluzione che poi ritroviamo e sono necessari per capire la novità del pensiero
giusnaturalistico moderno:
Razionalismo
• Proprio le guerre di religione da cui siamo passati ci permettono di capire perchè si afferma
la necessità di un modello razionale di pensiero, un modello che non faccia più riferimento a
Dio per fondare i suoi concetti. Ricerca di spiegazioni ai fenomeni di tipo razionale. Infatti
non è un caso che questa sia l'epoca dell'affermazione della grande rivoluzione scientifica
(Galileo), e ci saranno autori che nell'ambito delle scienze giuridiche e morali si presenterà
esplicitamente come il “Galileo delle scienze morali”, cioè dobbiamo fare nel diritto, nella
morale e nella politica la stessa rivoluzione che è stata fatta nelle scienze della natura, cioè
applicare una serie di concetti logici-razionali.
(legato al 1 elemento) Secolarizzazione intesa come un mettere da parte l'intervento degli
• elementi religiosi, della chiesa.
Individualismo inteso come concetto teorico, filosofico, non come concetto morale.
• Questo è il vero punto che permette di differenziare il pensiero moderno da quello antico.
Quando parliamo di individualismo a questo proposito, dobbiamo parlare della nascita del
soggetto moderno, inteso come un tutto, un universo in sé compiuto. “Da dove veniamo?”
domanda posta dal punto di vista del pensiero; gli autori precedenti, compreso Bodin,
consideravano l'individuo = soggetto parte di un tutto, per cui ciò che diceva Tommaso può
essere attribuito a tutto il pensiero precedente e diceva che l'individuo è imperfetto perchè
soggetto mancavelo in quanto è solo una parte che può svolgere le sue funzioni o trovare la
sua pienenzza solo nel tutto, solo legandosi all'interno di un universo con gli altri individui e
la comunità è imperfetta, così come Aristotele riteneva la polis unità imperfetta in cui la
natura socievole dell'uomo trova la sua massima espressione. L'individuo di per sé non
completo e infatti l'organicismo è quella concezione in cui la parte si spiega a partire dal
tutto, l'uomo ha un ruolo in quanto inserito nel tutto. E' proprio questo che viene rifiutato,
viene rifiutata l'idea dell'uomo che fa dell'uomo un essere imperfetto, incompleto, anzi si
afferma un'idea dell'uomo che è anche un'idea della dignità dell'uomo che insiste su elementi
(autonomia, razionalità) che fanno dell'uomo un essere perfetto, completo, che ha in se
stesso la sua dignità. Non è un caso che in questa epoca si afferma definitivamente l'idea dei
diritti del soggetto. L'uomo, in quanto individuo, cioè in quanto soggetto singolo ha la sua
autonomia, razionalità, pienezza, non ha bisgono di qualcosa che sta fuori di lui per essere
un soggetto pieno. Passaggio fondamentale dal punto di vista del pensiero con enormi
conseguenze sul pensiero politico e giuridico: epoca in cui l'uomo è parte di un tutto →
epoca in cui l'uomo è di per sé un tutto, è un universo completo; uomo = parte di universo
più grande di lui → uomo = universo concluso in se stesso = soggetto moderno, soggetto
pienamente autonomo, razionale, con alcune capacità che sono proprie del soggetto, con
alcuni attributi che sono propri del soggetto (es diritti naturali), quindi il soggetto non è per
natura un soggetto legato ad altri. Ci troviamo difronte ad un problema centra nel pensiero:
se l'uomo è già autonomo, se è un universo concluso ins e stesso, perchè deve esistere la
società? Come possiamo spiegare la società? In Aristotele, e in tutta la tradizione aristotelica
fino a Bodin era facile rispondere a questa domanda: la società esiste perchè l'uomo è un
essere socievole → società ha una spiegazione abbastanza logica a partire da quella visione
dell'uomo. Se ribalto la visione dell'uomo, quale diventa l'elemento che può spiegare
l'esistenza della società ? E' una domanda importante in questi autori a cui ognuno
risponderà diversamente. L'individualismo, che si lega al razionalismo, è l'elemento sul
quale possiamo osservare questa notazione.
Mentre prima si speigava la parte a partire dal tutto: posso capire un soggetto nel momento in cui lo
inserisco in un quadro, in un tutto → adesso la situazione è esattamente ribaltata: si spiega il tutto a
partire dalle parti. Troveremo la spiegazione di che cosa è lo stato, di che cosa deve fare lo stato e
del modo in cui agisce lo stato a partire dagli individui. Non è più il tutto che spiega la parte, ma è
la parte che spiega il tutto perchè il tutto non sarà più qualcosa che è superiore alla somma delle sue
parti, il tutto è qualcosa pari alla sommatoria delle sue parti e sarà molto evidente nel pensiero di
quasi tutti gli autori, in modo particolare in alcuni.
[premesse di carattere filosofico-antropologico]
Schema di pensiero all'interno del quale i diversi autori collocano il loro pensiero che si affermerà
come schema del giusnaturalismo moderno.
Se prendo l'individuo come essere completo come punto di partenza, e quindi non più l'individuo
animale sociale che fa parte delle famiglie e che poi arriva fino allo stato come conclusione naturale
della sua socievolezza,ma dall'individuo come essere naturale che è ben diverso dall'uomo
aristotelico, cioè un individuo che non ha per natura la socievolezza → ho bisogno di spiegare
l'origine dello stato che non è più naturale, ma è qualcosa che devo cercare di spiegare a partire
dall'ipotesi dell'individuo. Per poter spiegare lo stato devo partire da un'ipotesi in cui lo stato non
c'è. Il primo momento del modello giusnaturalistico: “stato di natura” = condizione in cui gli
uomini, gli individui si trovano quando ancora non esiste lo stato (stato non inteso come stato
istituzionale, ma condizione). Devo fare questa ipotesi perchè se non considero lo stato come
qualcosa di naturale, e quindi se sono costretto a spiegare come nasce, devo partire da un'ipotesi in
cui lo stato non c'è, quindi un'ipotesi in cui ci sono solo individui che nella maggior parte dei casi
non hanno questa disposizione a stare con gli altri, e allora dovrò spiegare come nasce lo stato a
partire da questa ipotesi. Quindi, stato di natura = ipotesi (non sappiamo se è mai esistita e il
problema della sua effettiva esistenza non è posto particolarmente dagli autori) che ci aiuta a capire
perchè e come nasce lo stato, quindi anche i suoi compiti, infatti sono temi tra loro strettamente
connessi. Stato di natura = condizione senza stato: non c'è un'organizzazione collettiva in cui
possiamo dire di essere riuniti. Lo stato di natura, cioè la condizione in cui vivono gli individui
prima che sia formato lo stato, è una concezione che vale per tutti gli autori, però può essere molto
diverso in base al modo in cui è concepita la natura degli individui. Posto che gli individui sono
soggetti completi, bisogna ammettere la possibilità di attribuire agli individui caratteristiche diverse
in base a come penso che siano fatti gli individui; le grandi differenze tra i vari autori saranno
dovute alle caratteristiche che ognuno degli autori attribuisce agli individui. Le caratteristiche
riconosciute agli uomini sono molto importanti perchè è da lì che hanno origine tutte le
conseguenze che ci riguardano anche dal punto di vista istituzionale e giuridico, perchè molte delle
soluzioni proposte da queste autori, ci riguardano da vicino, in quanto alla base c'è sempre una
determinata visione antropologica, e quindi, ad esempio, ci saranno autori che nello stato di natura
daranno per scontata l'esistenza di una certa legge naturale e altri che interpreteranno questo in
modo del tutto differente. Lo stato di natura è un momento fondamentale per tutti i giusnaturalisti,
altrimenti non potrebbero fare poi le ipotesi che fanno.
Bisogna spiegare il tutto a partire dalle parti; nello stato di natura ci sono solo individui che
convivono e ci saranno dei motivi, diversi nei vari autori, per cui non si può rimanere nello stato di
natura e questo è un momento significativo perchè capire il perchè si deve uscire dallo stato di
natura vuol dire capire perchè deve nascere lo stato e quali sono le risposte che lo stato dovrà dare e
le soluzioni che chiediamo allo stato. Quindi è importante capire sia com'è fatto lo stato di natura e
perchè se ne deve uscire, e quindi perchè si deve creare quello che noi chiamiamo stato (diversa
denominazione negli autori giusnaturalisti).
Dobbiamo uscire dallo stato di natura e quale problema si pone? L'obiettivo è formale quella che
loro chiamano società civile, cioè lo stato. Lo chiamano società civile perchè è contrapposta alla
società naturale (società naturale = società dello stato di natura/società civile = società in cui si entra
lasciandosi alle spalle la società di natura).
Come si arriva dallo società civile allo stato? La risposta per questi autori non è difficile; premessa,
punto di partenza: ci troviamo nello stato di natura e abbiamo a che fare con individui, soggetti che
sono tutti razionali, autonomi, con una loro volontà, che non sono sottomessi gli uni agli altri, ma
sono soggetti uguali tra di loro, naturali che la natura ha dotato più o meno tutti delle stesse
caratteristiche. Nello stato di natura ci sono solo individui razionali, autonomi, liberi, uguali, non ci
sono le famiglie. Strumento attraverso cui posso creare, muovendo da questi individui, una società
civile? Cioè strumento attraverso cui le volontà libere e autonome si vincolano per un fine? Questo
strumento è il contratto. Questi autori ragionano giuridicamente e non possono che concepire il
passaggio dallo stato di natura alla società civile attraverso il contratto = patto tra soggetti che si
vincolano volontariamente in vista di un fine. Quindi il contratto è lo strumento attraverso cui
questo passaggio avviene ed è il motivo per cui questo modello è chiamato modello contrattualistico
che è il modello centrale del giusnaturalismo moderno, è il modello su cui i giusnaturalisti
imperniano il loro pensiero giuridico e politico. Notiamo un ulteriore differenza rispetto al modello
aristotelico: lo stato non è più qualcosa di naturale, ma è una creazione artificiale degli individui, è
frutto di un patto tra i soggetti che decidono ad un certo momento di dar vita a questa società civile.
Lo stato è un qualcosa di artificiale, non è iscritto nella natura, anzi è qualcosa che gli uomini
decidono di creare volontariamente per un fine, perchè devono risolvere un problema. Il momento
del contratto include in sé 2 fasi diverse, logicamente connesse. Non tutti gli autori li
distingueranno, ma sono sempre presenti come due momenti concettualmente separati:
contratto di unione/pactum unionis
• il momento in cui decidiamo di uscire dallo stato di natura e non possiamo che farlo se non
con il contratto, c'è un primo momento logicamente o cronologicamente da realizzare ed è il
momento dell'unione dei soggetti, cioè stabiliamo che da questo momento in poi non siamo
più individui slegati gli uni dagli altri, ma diamo vita a una società. Stabiliamo un patto che
possiamo riempire di molti contenuti, ma quantomento di un contenuto minimo, ovvero un
patto di non aggressione, un patto in cui diciamo che non siamo più individui slegati gli uni
dagli altri, ma siamo una società, e quindi siamo usciti dallo stato di natura. Questo però non
basta a fondare una società politica, come sarà evidente in alcuni autori, soprattutto questo
patto non garantisce la fuoriuscita totale dallo stato di natura, ma abbiamo bisogno di un
passo in più, concettualmente distinto, che lo realizziamo con un secondo contratto.
Pactum subiaectionis/patto di soggezione
• = patto con cui, dopo essersi riuniti e aver stabilito di essere una società, quindi dopo il patto
di unione, facciamo un patto di governo. Il patto di soggezione è il patto con cui decidiamo
chi deve essere il governante o qual è la forma di governo che dobbiamo darci, cioè
stabiliamo che in questa società che abbiamo creato, alcuni devono essere i governanti e altri
i governati. Quindi è il patto attraverso il quale viene a stabilirsi la differenza tra governati e
governanti, patto con cui i governati di sottomettono ai governanti (e qui rileva il come e il
perchè).
Ci sono autori che non fanno questa distinzione, ma proprio il fatto che non la facciano è
estremamente significativo perchè i due patti si confondono.
Una volta stipulato il contratto abbiamo creato la società civile. Troveremo società civili molto
diverse tra di loro (imperniate su potere assoluto, potere di governo moderato ecc), ma ad ora è
importante sottolineare, visto che parliamo del modello contrattualistico, il fatto che è una società
civile che si basa sempre per definizione sul consenso dei consociati. Lo stato è uno stato che ha
alla base un consenso democratico e questo sottolinea il fatto che ora la società civile ha sempre una
base consensuale e quanto detto precedentemente da Bodin è qualcosa che non potrebbe mai essere
sostenuto da un giusnaturalista, cioè il fatto che il sovrano pone qualcosa contro la volontà dei
sudditi. Nel giusnaturalismo moderno, per definizione, poiché abbiamo creato la società civile con il
consenso dei consociati → la volontà della società civile = volontà dei sudditi, consenso = nuovo
principio di legittimazione del potere. Anche autori che consideriamo assolutisti, quale Hobbes, in
realtà il potere ha un solo fondamento, cioè il consenso dei consociati. Il modello del
contrattualismo porta nel pensiero politico e giuridico l'idea che l'unico fondamento legittimo del
potere è il consenso dei consociati e questo modello ha quindi una rilevante importanza storica.
27 ottobre
I giusnaturalisti sono autori che si pongono una serie dei problemi relativi ai fondamenti dello stato
perchè lo stato ormai è una struttura particolarmente evidente, quindi è una presenza reale e
concreta su cui bisogna interrogarsi, ad esempio bisogna interrogarsi sulla legittimità dello stato, in
base a quali titoli lo stato impone ubbidienza. E' venuta meno la legittimazione divina del potere →
bisogna trovare nuovo fondamento = consenso; potere dello stato,la società civile, la comunità
politica è fondata sul consenso. Troviamo un fondamento consensualistico del potere. Il titolo di
legittimità del potere politico e quindi anche del potere giuridico, sta nel consenso dei consociati =
essenza del contrattualismo. Contrattualismo = teoria politica in base alla quale lo stato, la società
civile si fondano sul contratto e quindi sul libero consenso dei cittadini. Contrattualismo è una teoria
sulla natura convenzionale del potere, sulla natura pattizia delle istituzioni politiche; stato e società
civile non hanno niente di naturale, ma sono la costruzione artificiale che gli uomini fanno per
soddisfare alcune esigenze, per rispondere a alcuni bisogni che sono originari nello stato di natura. I
vari momenti del modello contrattualistico si sono visti nella precedente lezione. Ricorda: modello
contrattualistico è una schema formale, è una forma, contenitore che dovrà essere riempito di
contenuto e questo contenuto sarà molto diverso da autore a autore, e sarà diverso perchè le
premesse, ciò che si immagina in riferimento allo stato di natura, varierà molto da autore e autore.
Qui potremmo dire che l'organizzazione del potere che troviamo in questi autori è diversa perchè è
diverso il punto di partenza, è diverso il modo in cui viene concepito lo stato di natura, che a sua
volta dipende dal mondo in cui viene concepito l'uomo. In realtà le cose stanno diversamente: ciò
che noi troviamo nello stato di natura lo troviamo proprio perchè sono diverse le risposte che questi
autori vogliono dare in tema di società civile. Se Locke e Hobbes concepiscono in modo diverso lo
stato di natura è perchè concepiscono in modo diverso lo stato; Hobbes vuole arrivare allo stato
assoluto, vuole affermare un fondamento forte del potere. La prima preoccupazione di questi autori
è una preoccupazione politica, cioè vogliono che si affermi quel determinato stato, quella
determinata forma di potere. Non sono le premesse che portano a una conclusione, ma proprio
perchè voglio arrivare a quella conclusione scelgo determinate premesse, strade per arrivarci. Lo
stato di natura è diverso perchè diversa sarà la soluzione da dare al potere, quindi al problema dei
rapporti cittadini-potere. UGO GROZIO
Riconosciuto come fondatore di diritto internazionale perchè è il primo che scrive un trattato di
diritto applicato alle relazione internazionale e spesso viene ricordato come fondatore del
giusnaturalismo moderno. La sua opera importante è del 1625 “de iure belli ac pacis” (il diritto
della guerra e della pace). perchè viene ricordato il fondatore del giusnaturalismo moderno, anche
se non lo è realmente? Per 2 motivi:
1. Grozio applica la nozione di diritto, in particolare quella di diritto naturale, a tutte le
relazioni umane; è convinto che ogni relazione, persino le relazioni governate dalla guerra,
siano soggette al diritto naturale. Afferma idea dell'universalità del diritto naturale razionale.
2. (aspetto più importante) riguarda la laicizzazione della nozione di diritto naturale; Grozio
nel difendere l'idea razionalistica del diritto naturale, scrive che le nozioni di cui parla nel
suo libero sono valide e derivano dalla ragione e, grazie a questo fondamento razionale,
sono così valide che sarebbero valide anche se dio non ci fosse. In realtà è un affermazione
fatta da autori cristiani, ma ciò che rileva è che Grozio la scrive in un momento particolare,
cioè delle guerre, ed ha una risonanza particolare. Grozio scrive questa tesi che apre la
strada al diritto = serie di principi non perchè sono riconducibili a Dio, ma che sarebbero
valide anche nell'ipotesi in cui Dio non ci fosse. E' un diritto naturale fondato sulla ragione,
razionalità di questi principi. Unico vero motivo per cui a Grozio viene riconosciuta la
paternità del diritto naturale.
In realtà non si può dire che Grozio sia un autore moderno nel senso in cui si parla di modernità
politica e giuridica perchè Grozio vincola il suo pensiero a premesse antropologiche aristoteliche,
cioè è convinto che ci sia una socievolezza naturale egli uomini e questo lo porta a cercare nello
stato un qualcosa ancora di naturale, non esisto della contrattazione di un patto tra gli individui.
Grozio non è un autore del tutto moderno perchè gli mancano i presupposti antropologici.
Il primo vero autore moderno dello stato moderno è Hobbes.
HOBBES
Un autore che scriverà dopo poco e che però ci presenta un panorama radicalmente diverso.
“(vedi citazione) la maggior parte degli scrittori politici ecc” l'uomo è amico solo di alcuni perchè
cerca solo qualcuno che gli garantisce una certa reputazione o ci sono utili per una qualche ragione.
Punto di partenza del giusnaturalismo moderno : rifiuto dell'aristotelismo.
Hobbes ha alle spalle una grande tradizione di pensiero alla quale si rifa esplicitamente, quale
Tucidide dell'Inghilterra del suo tempo. Ci sono anche condizioni storiche determinate alle quali
Hobbes si ricollega e da cui fa derivare in qualche modo il suo pensiero, quali le guerre di religione
e non solo. C'è quindi una storia alle spalle delle concezioni di Hobbes. Ragione filosofica a cui
Hobbes si rifa sta nel modo in cui Hobbes considera l'uomo. Concezione meccanicista dell'uomo ;
uomo = macchina, insieme di congegni che vanno studiati e capiti e in base alka funzione di questi
congegni possiamo capire la funzione dell'uomo. Hobbes porta queste premesse a conclusioni
radicali dal punto di vista politico. Se andiamo a studiare l'uomo, ci troviamo a che fare con una
macchina che ripone tante altre cose che esistono e risponde a stimoli esterni. Le funzioni che
questa macchina svogle sono frutto deterministicamente determinato/meccanicisticamente
determinato di stimoli che vengono dall'esterno. La macchina risponde a ciò che l'ambiente in cui la
macchina si muova stimola, la risposta dell'uomo è una risposta meccanica a ciò che l'ambiente
esterno produce sul di lui. L'uomo risponde istintivamente a questi stimoli. Questa macchina cerca
la propria sopravvivenza, sussistenza. Hobbes studia l'uomo perchè ha bisogno di fare un'ipotesi
dello stato di natura che ci servirà per capire che cos'è la società civile e quali sono i suoi poteri.
Troviamo uno stato di natura abitato dagli uomini, cioè uomini che verso l'esterno agiscono alla
ricerca della propria autoconservazione = istinto meccanicistamente determinato; uomo è portato
dalla sua natura, insieme di meccanismi che devono funzionare, ad agire verso l'esterno in modo da
preservare la propria conservazione. Uomini sono liberi nello stato di natura in quanto non hanno
impedimenti, possono fare tutto ciò che ritengono di dover fare per garantire la propria
sopravvivenza. Gli uomini sono liberi, lo stato di natura è uno stato di totale libertà in cui non ci
sono impedimenti che non siano quelli che derivano dalla natura stessa. Libertà = mancanza di
impedimenti. Nell'esercizio di questa libertà gli uomini sono uguali. Nello stato di natura; uomini =
liberi e uguali.
“(vedi citazione) la natura ha fatto gli uomini così uguali ecc..” Tutti hanno lo stesso diritto su tutto.
Sembra una situazione in cui non c'è molto da preoccuparsi; se tutti hanno diritto a tutto,
probabilmente tutti riusciranno a soddisfare le proprie necessità → problema: le risorse spesso sono
scarse, non c'è la possibilità di soddisfare tutti i desideri di tutti e, soprattutto, non c'è la capacità di
organizzarsi nello stato di natura in modo da garantire una distribuzione delle risorse, infatti, per
definizione, siamo nello stato di natura e quindi, per definizione, manca un principio per distribuire
le risorse. Conseguenza: inevitabilmente gli individui, mossi dai propri bisogni, saranno portati a
scontrarsi tra di loro, a vedere nell'altro un ostacolo al raggiungimento dei proprio obiettivo, alla
propria libertà o ancora peggio una minaccia. Stato di natura inizia ad avere connotazione più cupe
e soprattutto di un sentimento, fondamentale per Hobbes, cioè il sentimento della paura = paura nei
confronti dell'altro, che l'altro possa prendermi quello che ho già preso o impedirmi di prendere
quello che vorrei prendere, che possa farmi del male o addirittura uccidermi. Questo è il cuore del
pensiero di Hobbes su cui si basa tutta la costruzione politica successiva. Ciò che domina le
relazioni umane è la paura di essere uccisi ed è una paura che si ha perchè sappiamo che è possibile
essere uccisi. Proprio perchè siamo liberi e uguali siamo uccidibili, proprio perchè siamo nella
condizione in cui tutti siamo liberi di perseguire la propria autoconservazione e siamo liberi nel
farlo, ci rende uccidibili. L'uccidibilità dell'uomo derivqa dalla condizione di libertà e uguaglianza
ed è una condizione che riguarda tutti, non c'è nessuno che possa sentirsi libero da questa paura
perchè lo stato di natura non c'è nessuno che possa dominare sugli altri e che quindi possa creare un
ordine a lui favorevole. Hobbes fa questa ipotesi: anche colui che si sente più forte degli altri non
può mai stare sicuro perchè gli altri possono, approfittando di un momento di riposo o debolezza,
magari coalizzarsi per ucciderlo → tutti sono uccidibili nello stato di natura. Paura = sentimento
dominante e diventerà un sentimento politico, cioè politicamente rilevante. Significato di questa
operazione: ha sostituito il principio della fiducia (= base aristotelica) con il principio della paura →
motivo per cui Hobbes è considerato il vero fondatore del giusnaturalismo moderno perchè ha
sostitutio il principio.
“(vedi citazione) ..” Stato di natura = stato di continua e persistente potenziale guerra tra i soggetti.
Hobbes nin descrive una guerra in atto, ma una condizione in cui gli uomini sono continuamente
disposti nella guerra contro gli altri. Diritto di natura = “vedi citazione” libertà che ciascuno ha di
usare il proprio potere a suo arbitrio per la conservazione della sua natura, cioè della sua vita. Gli
uomini in quanto liberi hanno questo diritto e questo diritto non è altro che questa libertà che
consiste nel diritto di fare tutto ciò che si ha il ptoere di fare per la propria conservazione. Uomo,
per diritto di natura, può fare tutto ciò che è in suo potere per poter conservare la propria vita.
Diritto naturale non è più oggettivo, cioè fatto di principi, ma diventa un diritto soggettivo, cioè un
diritto del soggetto attribuito agli individui e consiste nella libertà di fare tutto ciò che si ha il potere
di fare per la propria autoconservazione. La legge di natura che esiste ed è al legge che impedisce di
fare tutto ciò che è nocivo per la propria conservazione in realtà si traduce nel diritto soggettivo;
esiste la legge di natura per Hobbes, ma questo dovere di ubbidire a questa legge in realtà si traduce
nel diritto di fare tutto ciò che ho potere di fare per la mia autoconservazione. E' l'unico precetto
dello stato di natura per Hobbes, cioè cercare la propria conservazione e mettere in atto tutto ciò che
serve a questo fine. Esiste un criterio di giustizia che va al di là di questo diritto ? Hobbes dice in
questa condizione niente può essere ingiusto; se lo stato di natura è così concepito e l'unico diritto in
esso esistente è quello che porta tutti i soggetti a cercare la propria autoconservazione, non c'è
giustizia o ingiustizia. Da questa guerra di ogni uomo contro ogni altri uomo consegue che niente
può essere ingiusto (vedi citazione). Dal momento in cui le due pretese confliggono l'unica
possibilità è la guerra. Legge naturale in realtà non è una vera legge. In una situazione di questo tipo
non può esistere la proprietà privata; è mio tutto ciò di cui riesco a impossessarmi, ma sarà mio
finchè riesco a trattenerlo e se qualcuno riesce a sottrarlo, quella cosa diventa sua. Non c'è titolo di
proprietà, ma esiste solo la possibilità di detenere qualcosa. E' una costruzione che Hobbes compie
perchè vuole uscire da questa situazione. A quali condizioni, per quali vie si può uscire da questa
condizione? E' chiaro che l'uomo non può continuare ad esistere in questa condizione, non può
considerare lo stato di natura come condizione accettabile o addirittura ideale perchè è
continuamente in pericolo, la sua ricerca della sopravvivenza è continuamente insidiata e bisogna
trovare il modo di uscirne, di garantire la propria senza aver continuamente paura di perderla.
Soluzione data proprio da due strumenti:
passione
• = paura; vogliamo uscire da questa condizione perchè ci fa paura.
Ragione
• ci dice come uscire da questa situazione
Questo uomo macchina dotato di ingranaggi è dotato di una ragione molto particolare; non è una
ragione che ci indica leggi morali o che di questo tipo, ma è uno strumento anche questo, potremmo
considerarla una macchina di calcolo che ci indicherà qual è la strada migliore per uscire da questa
condizione. Dobbiamo mettere all'opera alla ragione che ci darà le soluzione tecniche a partire dal
fine che noi vogliamo raggiungere che ci viene dato dalla natura stessa e si tratta di un fine così
forte che Hobbes lo considera alla stregua di una legge naturale, dice che è dettato da una legge
naturale, cioè il divieto di mettere in atto tutto ciò che porterebbe all'autodistruzione. Primo precetto
che possiamo elaborare da questa legge naturale: bisogna cercare la pace; ciascuno deve cercare la
pace per quanto ha speranza di ottenerla; quindi non in assoluto, ma ognuno di noi deve cercare la
pace in funzione della speranza che nutre di ottenerla e che, se non in grado di ottenerla, gli deve
essere lecito mettere in atto tutti gli strumenti che sono tipici della guerra. Ne derivano precetti
subordinati; bisogna essere disposti quando anche altri lo siano a rinunciare al diritto su tutto e ci si
accontenti da avere tanta libertà nei confronti degli altri, quanta se ne concede agli altri nei
confronti di se stessi. Cercare la pace; se vogliamo cercare la pace dobbiamo essere disposti a
cedere, almeno in parte quel qualcosa che generava la guerra, ovvero il diritto su tutto. Questo vuol
dire che concediamo agli altri tanta libertà quanta ne pretendiamo per noi stessi. Ci si accontenta di
quel tanto di libertà che siamo disposti a riconoscere agli altri, quindi non più libertà assoluta. Come
possiamo cedere reciprocamente a questo potere ? Lo possiamo fare con un patto; poiché non c'è
nessuno che può imporre a qualcun altro, l'unica cosa che si può fare è stipulare un patto in modo da
rinunciare reciprocamente all'esercizio di un diritto su tutto. Problema: questi precetti trovati nella
legge di natura per cui si deve evitare le cose che portano alla propria distruzione, quindi cercare la
pace ; che forza hanno? Quanto sono vincolanti? Non hanno nessuna forza. Queste leggi di natura
sono chiamate leggi solo impropriamente, esse non sono altro che conclusioni o teoremi, ma la
legge è un'altra cosa, perchè ci sia davvero una legge che ci obbliga davvero c'è bisogno di altro,
cioè è la parola di colui che detiene l'impero sugli altri. Qui non c'è nessuno che detiene l'impero
sugli altri → questi precetti non sono leggi, ma potremmo definirli precetti morali che non hanno
forza sugli altri. “(vedi citazione)”. Queste leggi sono contrarie alle passioni naturali perchè non o
nessun motivo per fidarmi degli altri; poiché non c'è nessun potere che garantisce il rispetto di
queste leggi e del patto, non posso fidarmi → Hobbes ricade di nuovo nell'ipotesi iniziale. Come
stipulare un patto con un altro se non mi fido di lui ? Come fidarmi del fatto che lui rinunci al suo
diritto ? = ulteriore motivo per non fidarsi. Sfiducia alla base del meccanismo delle relazione nello
stato di natura si ripropone → soluzione del Leviatano. 7 novembre
L'unico modo per superare la paura dell'aggressione è promettersi reciprocamente di non aggredirsi.
Bisogna promettersi di non aggredirsi = soluzione per stabilire la pace. Hobbes è consapevole, però,
che un patto di questo tipo non è possibile perchè non è possibile fidarsi dell'altro. L'uomo di
Hobbes non può stipulare un patto di non aggressione perchè non è possibile fidarsi dell'altro. Cosa
garantisce che l'altro sia in grado (ancora prima che volere) di rispettare questo patto? Questo patto,
che non è altro che è un patto di unione (= primo momento in ci gli individui si legano tra di loro,
stipulano un patto di società per superare l'individualità in cui si trovano nello stato di natura) che
non è possibile a causa della sfiducia, diffidenza, paura che è tipica delle relazioni sociali tra gli
uomini, che non sono isolati gli uni dagli altri, ma hanno relazioni conflittuali, basate sulla sfiducia,
paura. Sfiducia, paura e timore sono i sentimenti che non rendono possibile il patto di unione, anzi e
qui Hobbes, seppur non ama Machiavelli perchè Machiavelli è un teorico del conflitto e perchè
aveva fatto l'elogio delle passioni negative non neutralizzandole, rifiutandole, mentre Hobbes cerca
di rifiutare le passioni negative ma in questo caso,in merito al motivo per cui il patto di unione non
è possibile, dà ragione a Machiavelli. Quale meccanismo mentale instaura nel momento in cui si
pensa di concludere un patto di unione? Esattamente quello a cui pensava Machiavelli; quando
stipuli un patto, poiché non sai che l'altro lo rispetterà, la cosa migliore per tutelare i tuoi interessi è
non rispettarlo per primo, cioè il modo migliore per tutelarti è fare tu il primo passo per rompere il
patto perchè se aspetti che sia l'altro a rompere il patto può essere già troppo tardi. Siccome il tuo
obiettivo è tutelare la tua vita, se vuoi mantenere fermo il tuo obiettivo e essere efficace nel
perseguirlo, devi non rispettare tu per primo. Allora è un patto che nasce già morto perchè nelle
condizioni in cui nasce dà già ai sottoscrittori di questo patto le ragioni per violarlo, quindi è un
patto che non esiste in realtà. E' una situazione ricorrente nella storia degli uomini (non del
pensiero, ma nella storia reale degli uomini); tutte le volte che ci sono potenze più o meno
equivalenti che devono mettersi d'accordo, ma che non sono obbligate a mettersi d'accordo tra di
loro da qualcuno che sta sopra di loro, e basano i loro rapporti sulla sfiducia succede quello che
Hobbes sostiene. Tema tornato in attualità ad oggi è il tema della armi nucleari perchè c'è stata una
mozione alle nazioni unite in merito, ma quando tale questione era un'urgenza perchè c'erano le due
potenze Usa e Unione Sovietica in primo piano, si scoprì esattamente quello che Hobbes si sta
dicendo, cioè che facevano un patto di non proliferazione delle armi nucleari e si scoprì che nel
momento esattamente successivo entrambe le potenze avevano violato questo patto, perchè la logica
è questa: quando si basa i rapporti sulla sfiducia non si può che violare per primi il patto. Debolezza
del patto = patto che nessuno è costretto a rispettare → “i patti senza spada non sono che parole
(cit.)”; il patto di unione, che è il patto attraverso cui ci associamo all'altro (in questo caso è un patto
di non aggressione), è un patto senza forza perchè non c'è nessuna è spada che costringa i soggetti
del patto a rispettarlo. Come superare la situazione di stallo in cui la sfiducia nega qualsiasi
possibilità di uscita da queste condizione? Se ne esce con uno stratagemma che è la soluzione
Hobbesiana, ovvero il paradigma hobbesiano: creare, attraverso il patto, una figura terza, cioè una
figura che stia al di sopra di coloro che contraggono, la quale abbia la forza di costringere le parti a
rispettare il patto. Quindi non un semplice patto di unione, ma un patto da cui nasca un terzo = una
figura che stia sopra le parti che contraggono il patto e che le costringa a rispettare il patto stesso.
Quindi bisogna trovare qualcuno che sia allo stesso tempo il risultato del patto (perchè nasce dal
patto) e colui che dà garanzia, efficacia al patto, dà la possibilità di rispettare, anzi costringe a
rispettare questo patto. Come è possibile fare questo? Hobbes lo dice nel capitolo 17esimo del
Leviatano → vedi cit.”l'unico modo ecc.. “: i soggetti si accordano, ma non si accordano
semplicemente di non aggredirsi, ma in realtà si accordano di trasferire tutto il loro potere e tutta la
loro forza a una persona o a un gruppo di persone che saranno coloro che li tuteleranno dalle
aggressioni straniere e reciproche → vedi fine cit. “il patto di ciascuno ecc..”: contenuti del patto: io
cedo a questo uomo o a questa assemblea di uomini tutta la mia forza o potere a condizione che tu
faccia lo stesso → nasce, in questo modo, quel Dio mortale che Hobbes chiama Leviatano, cioè da
un patto di trasferimento del potere attraverso cui tutti gli individui trasferiscono il loro potere che
hanno nello stato di natura a un uomo o assemblea di uomini, purchè lo facciano tutti. Quale
miracolo si realizza con questa operazione? → vedi cit (centro citazione) il che è quanto dire che si
incarica ecc..: da questo momento in poi, una volta che il patto è stipulato, quel soggetto è colui
checi rappresenta, dà corpo alla nostra persona e questo implica che ciascuno riconosce e ammette
di essere l'autore di ogni azione compiuta o fatta compiere relativamente alle cose che concernono
la pace e la sicurezza comune da colui che da corpo alla loro persona. Significa che d'ora in avanti
tutte le azioni tutte le azioni che quel soggetto compirà, ai fini del raggiungimento della pace e
raggiungimento della sicurezza, sono le azioni che noi abbiamo voluto e la nostra volontà non sarà
altro che la volontà del soggetto sovrano.
→ cit “la generazione ecc..”: d'ora in avanti la nostra sicurezza, vita e pace sono affidati a questo
soggetto che è il Leviatano.
Riflessioni:
Modalità del patto
• Il patto di unione per Hobbes è impossibile. Alla domanda c'è un patto di unione in Hobbes?
La risposta è no. In Hobbes non è possibile un patto di unione inteso come patto separato dal
patto si soggezione perchè è un patto reso impossibile dalla sfiducia reciproca. → Come
fanno a unirsi questi soggetti? Cioè come possono passare dallo stato di natura alla società
civile? La società civile nasce dal patto di unione confluisce nel patto di soggezione.
Significa che per Hobbes l'unione tra i soggetti è possibile solo in quanto gli stessi soggetti
si sottomettono ad un potere comune; tra i soggetti non è possibile alcuna unione diretta, la
società civile nasce dal fatto che i soggetti si sottomettono tutti contemporaneamente allo
stesso potere. Non c'è unione diretta, ma i soggetti si uniscono tra loro attraverso la
mediazione del Leviatano, quindi non c'è “società orizzontale”, ma c'è una società che è resa
possibile solo dalla mediazione del terzo, solo dall'esistenza del terzo, cioè del Leviatano, al
quale tutti guardano. Nell'immagine del frontespizio del Leviatano: Leviatano ha in mano la
spada e ha dei simboli di potere religioso, il cui corpo è composto da tanti piccoli uomini
che hanno la caratteristica di non guardarsi tra di loro, ma sono relazionati esclusivamente
con il Leviatano → Lo stato è fatto di tanti piccoli uomini che hanno una relazione diretta ed
esclusiva con il Leviatano, il quale diventa, da ora in avanti, il garante della pace, sicurezza,
ordine ecc.. Hobbes assorbe il patto di unione nel patto di soggezione; significa che il patto
di unione è possibile solo in quanto i soggetti si sottomettono a un potere, altrimenti non c'è
unione possibile, ma c'è solo conflitto e guerra ed Hobbes è un autore non conflittualista, ma
anzi che ha paura del conflitto; ovvero Hobbes parte dall'ipotesi del conflitto, perchè lo stato
di natura è costitutivamente e necessariamente conflittuale, ma lo scopo del contratto è
quello di superareil conflitto, impedire che i soggetti possano confliggere tra di loro.
La volontà quel soggetto, di quel Dio mortale è la nostra volontà. Non significa che le due
• volontà coincidono perchè il sovrano farà quello che noi vogliamo, ma è esattamente
l'opposto, cioè saremo noi che dovremmo acquisire la volontà del sovrano come nostra
volontà, altrimenti non c'è pace, non c'è ordine, non c'è salvezza; poiché il Leviatano ci
rappresenta e sarà lui a dare corpo alla nostra persona, la sua volontà dovrà essere la nostra
volontà. La volontà del sovrano diventa la nostra volontà. Noi dobbiamo assumere la
volontà del sovrano come ciò che noi vogliamo → vedi cit. (parte centrale citazione
precedente) “questo è più che consenso o concordia..”; si realizza una reale unità, quindi
molto più di un consenso al sovrano, noi siamo il sovrano e siamo il sovrano perchè il patto
è stato concepito in questo modo, cioè il contratto non è stato stipulato con il sovrano, quidi
il sovrano non è parte del patto, dunque il Leviatano (uomo o gruppo di uomini a cui
affidiamo il potere) non è parte del patto perchè non abbiamo stipulato il patto con lui, ma
noi abbiamo stipulato il patto con gli altri soggetti, come se ci fossero tanti contratti perchè è
come se ognuno di noi contrae con gli altri, e, attraverso questo patto, stipula quella
condizione, ovvero trasferisce il proprio potere al sovrano. Questo è importante per capire i
rapporti sovrano-cittadini; sovrano non è controparte dei cittadini, non c'è sinallagma tra
cittadini e sovrano, quindi non potremo rivendicare nei con fronti del sovrano alcune cose.
Hobbes concepisce questo patto in modo molto singolare perchè ha l'obiettivo di rendere
potere sovrano il più possibile unitario e compatto, non attraversato dai conflitti, slegato
dalle possibili rivendicazioni dei cittadini. Il potere sovrano si fa rappresentanza, o
addirittura rappresentazione, cioè quasi rappresentazione scenica dei patti tra i soggetti e
l'obiettivo fondamentale del potere sovrano è la pace, sicurezza. Il fatto cheassumiamo la
volontà del sovrano come nostra volontà è garanzia della tenuta del patto; se mettiamo in
dubbio la volontà del sovrano facciamo venire meno la possibilità della pace → garanzia di
ordine, pace, ordine sono date dalla presenza di un potere enorme superiore a tutti perchè
nasce dalla somma di tutti i poteri che lo garantisce.
Perchè Hobbes usa la figura del Leviatano?
• Leviatano = figura biblica presente in un libro dell'Antico Testamento, in particolare nel
libro di Giobbe che è un libro molto particolare all'interno della Bibbia, in cui è presenta la
figura di questo personaggio che è l'uomo più giusto di tutti gli uomini a cui succedono
tantissime disgrazie e non si capisce perchè accadano proprio a l'uomo più giusto, come dire
che quello che succede sfugge alla logica degli uomini, Giobbe vuole dire che non tutto ciò
che avviene agli uomini avviene sulla base di ciò che si è meritato o demeritato. Alla fine del
libro, Dio che vuole affermare una logica completamente diversa da quella degli uomini,
anche una potenza superiore a tutte le forze umane e ragionamenti degli uomini, si
manifestano alcuni mostri che sono rappresentazioni della violenza divina tra cui questo
mostro marino che è il Leviatano = mostro più forte di tutti gli altri mostri. Hobbes riprende
questa figura come rappresentazione mortale,terrestre di questa potenza che è superiore a
tutte le altrre potenze. Non casualmente Hobbes usa questa figura; leviatano è la potenza più
forte di tutte, ma non significa che è potenza imbattibile, ma anzi Hobbes conosce bene i
suoi punti deboli, infatti li metterà in luce quando spiegherà le cose che possono mettere in
pericolo il Leviatano.
Leviatano è una creazione artificiale degli uomini. E' immagine della sovranità. Dopo Bodin
• è stata creata una figura nuova che è quella del potere sovrano = potere che non conosce
superiori (punto su cui Hobbes insisterà sempre). Potere del Leviatano = potere sovrano,
cioè un potere che non ha superiori.
Hobbes è interessato alla sovranità del potere, mentre è poco interessato al tema delle forme
• di governo, infatti nella citazione letta si dice “un uomo o un'assemblea di uomini” e questo
dimostra che è irrilevante il fatto che si tratti del governo di uno, pochi o molti. Questo può
avere un rilievo per la gestione del potere, ma la cosa fondamentale per Hobbes è che si
tratti di un potere sovrano ed il potere sovrano è sempre il potere di qualcuno. Da questo
punto di vista Hobbes (come Bodin, anche se per ragioni diverse) rifiuta completamente
l'idea del governo misto perchè il governo misto, cioè l'idea della ripartizione del potere, è
un governo debole, pericoloso, è un governo che mette in questione l'esistenza del potere
sovrano. Governo misto significa mettere in pericolo la sovranità del potere. Governo misto
= teoria pericolosa che dobbiamo cercare di evitare di sostenere.
Abbiamo superato lo stato di natura, visto cos'è e come si realizza il momento contrattuale e siamo
entrati nella società civile che si chiama Leviatano. Si tratta di capire che tipo di rapporti si
instaurano tra Leviatano-cittadini, stato-cittadini, potere sovrano-cittadini. In questo ambito
troveremo le ragioni per cui Hobbes è partito da quelle promesse. Nel modello contrattualistico
generale, infatti, non è tanto il momento successivo che si spiega con il momento iniziale, ma è
esattamente l'opposto, ad Hobbes è proprio perchè voleva giungere a determinate conclusione che
ha posto determinate premesse. Hobbes voleva arrivare a stabilire, definire certi tipi di rapporti e
proprio per questo è partito da certe premesse. Quale tipo di rapporto si viene a determinare tra
cittadino e sovrano? Rapporto cittadino- sovrano = rapporto di assoluta ubbidienza; Hobbes ha
l'obiettivo di stabilire la necessità dell'obbedienza come rapporto fondamentale del rapporto
politico, cioè tra cittadini e stato. E' l'altra faccia della medaglia rispetto alla prestazione del potere
che dà ai soggetti la sicureza, la vita, l'ordine. La medaglia fondamentale che descrive il rapporto
giuridico e politico nel pensiero di Hobbes vede da una parte la protezione, la vita, la sicurezza e
dall'altra parte l'assoluta ubbidienza al potere. Ci sono ragioni politiche per cui Hobbes fa questo;
vive in un periodo di grandi turbolenze, lotte tra Re e parlamento, guerra civile inglese, Re che
viene messo a morte (rivoluzione inglese); sono cose che Hobbes teme molto, per Hobbes la cosa
più negativa che possa capitare agli uomini è la guerra civile perchè in essa si perde quell'umanità,
quella condizione che è tipica delle società umane e allora bisogna trovare il modo per evitare
questo; potere stabile, e un potere è stabile in quanto viene ubbidito. Il potere nasce dal patto tra i
soggetti e diventa potere sovrano grazie al fatto che c'è l'ubbidienza dei soggetti ed Hobbes era
interessato a questo, cioè stabilire un potere che potremmo chiamare assoluto, anche se assoluto non
vuol dire necessariamente arbitrario, ma potere che non ha superiori ed è sciolto da una serie di
legami e anche dalle leggi, è un potere concentrato al quale si deve ubbidienza. Se questo è
l'obiettivo di Hobbes e lo realizza soprattutto grazie al fatto che pone certe premesse, possiamo
vedere quali sono le conseguenze di aver posto le cose in un certo modo. Il potere assoluto richiede
ubbidienza perchè senza questa ubbidienza si torna allo stato di natura. Se si mette in questione il
potere assoluto, se si interrompono questi fili che legano i soggetti al potere, il potere crolla, il
Leviatano muore e di conseguenza si ritorna allo stato di natura. Questo spiega le altre cose che dirà
Hobbes. Se muore il Leviatano si torna allo stato di natura, e siccome lo stato di natura era formato
da individui assoluttizzati, per uscirne dobbiamo fare affidamento ad un potere assoluto. C'è una
perfetta corrispondenza tra i due muoventi; il fatto che il potere del sovrano sia assoluto, cioè un
potere così stringente a cui gli individui devono ubbidienza senza cercare di sottrarsi a questo
potere, deriva dalla condizione dello stato di natura in cui c'erano individui che possiamo definire
assoluti, cioè non avevano limiti se non nel potere degli altri soggetti perchè non c'erano leggi o
regole particolari che li limitavano. L'assolutezza del potere sovrano è lo specchio dell'assolutezza
degli individui nello stato di natura. Proprio perchè non possiamo porre limiti all'uomo nello stato di
natura, non possiamo porre limiti al potere del Leviatano. In altri autori, come Locke, troveremo
esattamente questa corrispondenza; Locke parla di un potere limitato perchè sono gli individui che
sono limitati nello stato di natura. Quindi, questi soggetti, così assoluti e incapaci di porsi limiti
perchè la natura stessa li porta a non porsi dei limiti, hanno bisogno, per essere limitati, di un potere
assoluto, cioè un potere forte che sia in grado di tenere a freno la loro propensione ad aggredire gli
altri. Il discorso di Hobbes si dimostra coerente.
Ci sono teorie che Hobbes chiama teorie sediziose; idee particolari che è vietato diffondere perchè
diffondere queste idee vuol dire indebolire il potere sovrano e, conseguentemente si rischia di
tornare allo stato di natura.
1. Il fatto che si possa privatamente giudicare ciò che è giusto, cioè che ognuno possa
giudicare, ciò che è giusto e ciò che non è giusto.
E' una teoria sediziosa perchè se si affermasse questa idea verrebbe meno il riconoscimento
che solo il sovrano può dire ciò che è giusto. Nello stato di natura non c'è giusto o ingiusto,
non c'è torto o ragione, e ciò che è giusto lo sapremo solo dopo che avremo stipulato il patto
e lo sapremo grazie al sovrano che, con la legge, ci dirà qual è la sua volontà sulle singole
questioni. Ciò che è giusto e ciò è ingiusto possono derivare solo dalla legge che è la
manifestazione della volontà del sovrano. Se ogni cittadino pretende di giudicare ciò che è
giusto e ciò che non è giusto, si arriverà all'idea di poter ubbidire o disubbidire sulla base di
quello che ciascuno ritiene giusto o ingiusto, mentre invece questo non è possibile.
2. Libertà di coscienza
Si lega alla prima, ma ha a che fare più con il tema della religione.
La libertà ci coscienza, che con Spinoza diventerà tema rilevante, Hobbes la pone come
teoria sediziosa perchè le guerre di quel tempo sono soprattutto guerre di religione.
3. Idea che il sovrano è sottomesso alla legge.
Idea che noi conosciamo come governo della legge (il sovrano è sottomesso alla elgge); è un
teoria sediziosa ed il sovrano non può essere sottomesso alla legge perchè il sovrano è colui
che fa la legge e se fa la legge vuol dire che non può essere sottomesso ad una legge che lui
stesso fa, ma soprattutto perchè dire che si è sottomessi alla legge significa necessariamente
che si è sottomessi alla punizione che la legge prevede se violata. Se sono sottomesso a una
legge vuol dire che devo essere punito se violo quella legge → se il sovrano è sottomesso
ala legge, vuol dire che può essere punito e se può essere punito il sovrano non è il sovrano,
ma il vero sovrano sarebbe allora chi può punire il sovrano. Il sovrano è, per definizione
colui che non può punito da nessuno e quindi il sovrano non può essere sottomesso alla
legge. Dire che il sovrano è sottomesso alla legge vuol dire affermare una teoria sediziosa.
Questo non vuol dire che Hobbes stia pensando a un sovrano arbitrario, infatti dice alcune
cose con riguardo alla legge, soprattutto dice che il sovrano non è sottomesso alla legge in
quanto sovrano, quando agisce da sovrano e per definzione non può sottomesso alla legge
perhè come l'ha fatta può cambiarla, ma il sovrano non agisce sempre da sovrano ed il
sovrano singolo è sottomesso alla legge come tutti gli altri cittadini. Se il sovrano compie
degli atti che sono atti comuni non agisce da sovrano,ma da comune cittadino e sarà
sottomesso alle leggi.
4. Idea secondo cui si può uccidere il tiranno, idea della legittimità del tirannicidio.
Era un'idea che il pensiero politico, soprattutto medievale, aveva sostenuto con forza, come
ad esempio Tommaso d'aquino aveva sostenuto la liceità del tirannicidio perchè il tiranno è
un soggetto che porta molto male alla comunità politica. Per Hobbes non è possibile
sostenere una teoria di questo tipo perchè in realtà per Hobbes non esiste il tiranno, ma
“tiranno” è il nome che diamo al sovrano che non ci piace, non è possibile distinguere tra
tiranno e sovrano. Quindi, quando sosteniamo l'idea che sia lecito uccidere il tiranno, in
realtà sosteniamo l'idea che sia lecito uccidere il sovrano. Quindi non è mai lecito uccidere il
sovrano.
5. Idea secondo cui la proprietà privata sia un diritto naturale. Per Hobbes non c'è proprietà
privata nello stato di natura che quindi è un'istituzione della società civile e non ha una
derivazione naturale, ma un istituto di diritto positivo, una creazione del sovrano. Senza
società civile non c'è proprietà privata. Dire che la proprietà privata è un limite al potere
sovrano vuol dire sostenere una teoria sediziosa, cioè una teoria che vuole porre un limite a
un potere che in realtà non dovrebbe porgli perchè la proprietà privata è frutto
dell'istituzione del potere.
Ci sono anche altre teorie sediziose.
La teoria delle teorie sediziose, cioè il fatto che Hobbes ci parli di queste teorie sediziose ci
conferma che il potere del sovrano non può essere messo in pericolo dagli atteggiamenti dei
cittadini; se i cittadini cercano di sottrarsi all'obbedienza o sostengono teorie che indeboliscono il
potere sovrano incombente è quello di cadere nello stato di natura. E' il motivo per cui Hobbes
rifiuta un'altra idea che non inserisce nelle teorie sediziose, ma è implicita in tutta la sua opera, ed è
l'idea del diritto di resistenza, cioè che il soggetto, il cittadino possa resistere al potere sovrano.
Diritto di resistenza = diritto di resistere, disubbidire al potere sovrano. Non è tanto una teoria, ma
un atteggiamento che è radicalmente rifiutato, l'idea cioè che si possa disubbidire al potere, non si
può mai disubbidire al potere perchè non c'è ragione lecita in base alla quale un cittadino si può
sottrarre all'ubbidienza nei confronti del potere, tantomeno organizzare una resistenza per gruppi.
Però possiamo individuare un punto in cui si può capire molto di tutto ciò che Hobbes ha detto fino
a ora, cioè un punto in cui il discorso di Hobbes incontra un limite. E' vero che è potere assoluto e
non c'è diritto di resistenza, ma c'è un punto in cui il discorso di Hobbes incontra un limite ed è
rappresentato da quello che oggi chiameremmo il diritto alla vita. Perchè siamo entrati nella società
civile ? = perchè volevamo tutelare la nostra vita ed è il motivo per cui abbiamo creato il Leviatano.
Se il sovrano mette in pericolo la nostra vita e la nostra sicurezza viene meno il motivo per cui noi
dobbiamo ubbidirgli? Dobbiamo ubbidire sempre al sovrano, ma c'è una clausola implicita nel
contratto secondo cui non potremmo mai dare il consenso ad una cosa. Hobbes dice che ad esempio
se ho compiuto un omicidio, la legge del sovrano prevede che io venga messo a morte e vengo
condotto sul patibolo; bisogna fare una distinzione:
il sovrano ha tutto il diritto di mettermi a morte perchè quando ho firmato il patto è come se
• avessi firmato anche questa clausola e avessi detto al sovrano che può fare tutto ciò che le
leggi implicano
il cittadino non potrà mai firmare una clausola che dica che io non devo far niente per
• sottrarmi in quel caso alla messa a morte.
Il sovrano ha il diritto di mettermi a morte, l'uomo non ha il dovere di sottomettersi. Non potrò mai
firmare questa clausola perchè la ritroviamo nel diritto di natura → vedi cit (letto lezione
precedente) “la legge di natura è un precetto e regola generale ecc” la legge di natura vieta all'uomo
di fare ciò che distruggerebbe la sua vita → non posso sottomettermi ad un ordine ubbidendo al
quale distruggerei la mia vita. Ragionamento: Hobbes dice questo perchè nel momento in cui il
sovrano vuole prendersi la mia vita, cioè esattamente ciò che lui aveva promesso di tutelare, tra me
e lui siamo tornati allo stato di natura e lui per me non è più il sovrano, siccome non c'è più
protezione da parte sua, non c'è più dovere di obbedienza da parte mia. Unico vero limite del potere
sovrano = diritto alla vita. Troviamo in Hobbes un aspetto molto interessante; è teorico dello stato
assoluto, ma attraverso questa considerazione, si rivela il primo autore che ci permette di
intravedere un limite invalicabile per il potere, cioè dice che c'è un nucleo che appartiene agli
uomini, in questo caso è quello della vita, qualcosa che è radicalmente precedente al potere,
originario e quindi non può mai essere messo in questione dal potere e non può essere mai fonte di
appropriazione del potere. C'è un nucleo di cui il potere non si potrà mai impossessare
completamente. E' il motivo per cui è sbagliato pensare che Hobbes sia il teorico dello stato
totalitario perchè in Hobbes c'è il rifiuto di un potere totalitario. Il potere non può mai appropriarsi
di tutto, anzi il potere che è funzionale alla vita degli uomini incontra un limite invalicabile in
questo. Nonostante sia un potere assoluto, quando mette il pericolo la vita degli uomini, gli uomini
sono sciolti dal dovere di ubbidienza. Infatti, è vero che potere implica l'idea dell'ubbidienza
assoluta, ma quando il potere non riesce a fare ciò che deve fare, quando il Leviatano si dimostra
incapace di tutelare la vita degli uomini, non è più fonte di obbligazione. Se il Leviatano non è in
grado di tutelare la nostra sicurezza è come se fossimo tornato allo stato di natura. In quel caso ci
riappropriamo del nostro diritto di natura. L'esistenza del Leviatano è fortemente legata alla sua
capacità di tutelare la vita, di garantire la sicurezza dei soggetti. Questo Leviatano è
rappresentazione di un potere assoluto, ma con questi limiti importanti. 8 novembre
Hobbes concepisce lo stato di natura in modo funzionale alla possibilità di definire i poteri dello
stato in modo assolutistico, però, proprio nel pensiero di Hobbes troviamo per la prima volta in un
modo così evidente la definizione di un nucleo intangibile da parte del potere e dello stato. Hobbes
ce lo ha dimostrato quando, pur negando il diritto di resistenza e negando la possibilità che si possa
in qualche modo giustificare la disubbidienza nei confronti del sovrano, c'è qualcosa che il soggetto
(inteso come persona e come soggetto al poter) non può cedere al potere, non può mai accettare →
vedi cit: “un patto con cui io rinunci a difendermi dalla violenza è sempre nullo..” : un patto in cui
rinuncio a difendermi per salvare la mia vita è un patto nullo. Anche se è possibile fare la seguente
stipulazione “se non faccio questo o quello uccidimi”, nessuno può stipulare “ se non faccio questo
o quello non ti resisterò quando verrai ad uccidermi”. Non potrò mai stipulare un patto che contiene
la clausola secondo la quale io, davanti a chi vuole uccidermi, fosse pure il sovrano, non devo
resistere. Questa è una prima definizione di u diritto intangibile, inalienabile che oggi chiameremo
diritto fondamentale ed è diritto fondamentale in quanto indisponibile. E' un diritto inalienabile che
non è nella disponibilità del soggetto. Hobbes assolutista e teorico dello stato forte, è anche il primo
teorico dello stato liberale, cioè dello stato in cui, pur accentrando tutti i poteri, pur legittimando un
potere forte,c'è però qualcosa che non può mai essere ceduto al potere, cioè una sfera intangibile.
Hobbes concepisce i rapporti cittadino sovrano come improntanti sull'ubbidienza; l'argomento
cruciale che Hobbes utilizza per parlare dei rapporti tra cittadini e sovrano è quello dell'ubbidienza.
Ubbidienza al sovrano, ma soprattutto ai modi di espressione del sovrano, cioè come il sovrano fa
conoscere la sua volontà, che è quella volontà a cui si deve ubbidienza? Il modo principale
attraverso cui il sovrano parla ai sudditi è quello della legge. Qui troviamo la prima concezione
davvero positivistica della legge; legge è un tema in cui ci sono 2 elementi che spesso convergono,
si stringono cioè la volontà e la ragione (esempio Tommaso d'Aquino, Marsilio) ed in Hobbes
troviamo una definizione della legge che è ricondotta esclusivamente alla volontà di chi la pone. La
definizione della legge è contenuta nel capitolo 26esimo del Leviatano; legge (civile, cioè positiva,
della città) = (vedi cit) è per ogni suddito l'insieme delle norme che oralmente, per scritto, o con
altro segno sufficiente a manifestare la volontà [quindi una qualsiasi manifestazione di questa
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti completi, ordinati e ben strutturati,facilmente comprensibili, anche grazie alle esemplificazioni menzionate durante le lezioni. Negli appunti sono trattati tutti gli argomenti esplicati nel corso delle lezioni: 3 tipologie di questioni di cui si occupa la filosofia del diritto, giusnaturalismo, giuspositivismo, i sofisti, Platone, Aristotele, epicureismo, Cicerone, avvento del cristianesimo, Agostino, Tommaso d'Aquino, Marsilio da Padova, Machiavelli, Jean Bodin, Ugo Grozio, Hobbes, Locke, Spinoza, Rousseau, Kant, giusrazionalismo, Montesquieu, Hegel, Bentham, Austin, Kelsen, realismo giuridico (+ cenni: Lundested, Olivercrona, Ross).
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