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PITAGORICI

Con i Pitagorici ci troviamo per la prima volta di fronte ad un'autentica scuola filosofica, sebbene molto arcaica e rudimentale. Siamo in pieno VI secolo a.C. e la scuola filosofica assume il carattere di scuola mistica: i contenuti si rispecchiano infatti parzialmente nella setta degli Orfici, mentre le pratiche sono assolutamente uguali: basti pensare che per entrare a far parte della scuola bisognava essere sottoposti ad un rito di iniziazione. Tutti i pensatori che lavorarono in questa scuola vengono generalmente chiamati Pitagorici, dal nome del loro maestro Pitagora, simbolo del passaggio di secolo: finisce il sesto ed inizia il quinto. Oltre a segnare il passaggio di secolo, Pitagora e la sua scuola segnano anche il passaggio della filosofia dalla Grecia e dalle zone della Ionia alla Magna Grecia (che possiamo per lo più identificare con il Sud dell'Italia). Cerchiamo di analizzare le vicende di Pitagora: egli nacque.a Samo e vi restò finchè non salì al potere un tiranno, Policrate, sfavorevole all'aristocrazia, nella quale Pitagora si identificava. Quello di Policrate non è un caso isolato: tutto il quinto secolo in Grecia (e non solo) è infatti una fase di passaggio da aristocrazia a democrazia (i tiranni infatti erano appoggiati dal popolo); il concetto di tiranno va depurato parzialmente dalle connotazioni negative che gli attribuiamo oggi: i tiranni per lo più erano personaggi di gran carisma che fecero perfino progredire le città. Così Pitagora si vide costretto a fuggire esule a Crotone, nell'attuale Calabria. Ed è qui che fondò la scuola, che incontrò ben presto successo presso i ceti aristocratici ed i Pitagorici acquisirono un peso determinante nella vita politica di Crotone e delle località a lei vicine: nella scuola l'insegnamento, originariamente, non era affidato allo scritto, ma era

impartito oralmente. Entrare nella scuola era molto difficile e quando si entrava non vi era la libertà di agire a piacimento: per un po' di tempo si era Pitagorici "in prova", acusmatici ossia ascoltatori di precetti che venivano impartiti senza che venisse mostrato il perché: gli acusmatici di loro non dicevano nulla, ma si limitavano ad imparare i precetti dei Pitagorici già maturi. Interessante è il modo di definizione pitagorico: se ad esempio veniva loro chiesto che cosse fosse bello, rispondevano dicendo la cosa più bella. Era come se leggessero la domanda "che cosa è bello?" in questo modo: "Quale è la cosa più bella?". E' interessante notare che Aristotele quando ci parla degli autori lo fa singolarmente, ma nel caso dei Pitagorici descrive collettivamente: la scuola stessa era caratterizzata da una vita collettiva (con tanto di comunione dei

Formattazione del testo

beni), religiosa e politica, in cui i legami interni erano fortissimi. A Pitagora fu attribuita la valenza di profeta e la sua figura sfumò presto nella leggenda. Le dottrine della scuola erano segrete e anche dopo la morte di Pitagora continuarono ad essere a lui attribuite le variazioni e le evoluzioni, immaginando che parlasse tramite la divinità: da qui nacque la famosa espressione "ipse dixit" (l'ha detto lui in persona), con la quale si indicava che ogni elaborazione non era altro che uno sviluppo delle dottrine del maestro Pitagora. Proprio per questo non sappiamo se il celebre teorema di Pitagora sia effettivamente suo o di qualcun altro. La scuola ebbe anche grande influsso sulle altre colonie greche. La scuola però ebbe fine quando nel 510 circa vi fu una rivolta democratica a Crotone che portò alla distruzione della scuola, che era di schieramento aristocratico. La tradizione narra che l'opposizione democratica crotoniate,

guidata da un certo Cilone, assalì i Pitagorici nella loro sede e ne fece morire un gran numero nelle fiamme. Sembra poi che il Pitagorismo abbia perfino influenzato le civiltà "barbare" e che il re Numa Pompilio sia stato un pitagorico, ma molto probabilmente si tratta semplicemente di leggende. Si dice spesso che i Pitagorici fossero anti-femministi, aspetto che per altro era caratteristico dell'intera società greca, ma probabilmente non è corretto: basti pensare che nella scuola le donne erano accettate. Entriamo ora nell'ambito delle dottrine pitagoriche: due risultano essere le più importanti. 1) Quella della TRASMIGRAZIONE DELLE ANIME, di forte derivazione orfica: l'Orfismo trovò fertile terreno di sviluppo nell'Italia Meridionale e senz'altro sostenne la dottrina della trasmigrazione delle anime prima dei Pitagorici. Sembra quindi che Pitagorismo e Orfismo siano la

stessa cosa, ma non è così. L'HYPERLINK "orfismo.html"Orfismo è di carattere maggiormente religioso, il Pitagorismo è più filosofico. Ma vi è poi un'altra grande differenza, che consiste nei mezzi con cui si può raggiungere il fine (la purificazione): per gli HYPERLINK "orfismo.html"Orfici occorreva compiere riti e vivere in modo giusto, per i Pitagorici bisognava sì vivere in modo giusto e compiere riti, ma anche (e soprattutto) conoscere i numeri, che stanno alla base della dottrina pitagorica.

2) Quella dei NUMERI, che è legata, come abbiamo visto, alla precedente. I Pitagorici furono i primi ad occuparsi in maniera sistematica della matematica. Ritenevano che i principi della matematica fossero anche i principi dell'intera realtà. Notarono che la matematica aveva tutti i principi adatti per essere presa come principio dell'intera realtà. Essa non è

Un'opinione (ancora oggi si dice che la matematica non è un'opinione) e Aristotele stesso dirà che gli oggetti di studio della matematica sono permanenti ed immutabili. Se ad esempio prendiamo la musica, gli accordi non sono nient'altro che rapporti matematici. Proprio partendo da questo esempio, che è il più evidente, estesero le loro dottrine all'intera realtà, così come aveva fatto Talete con il magnete. Così come Talete aveva notato che tutte (o quasi) le cose sono caratterizzate dall'acqua, i Pitagorici notarono che tutte le cose sono caratterizzate dalla misurabilità, vale a dire che si possono misurare. Chiaramente questo segnò un grandissimo passo avanti verso l'astrazione. Bisogna senz'altro riconoscere un merito ai Pitagorici: per loro infatti la fisica è spiegabile tramite

La matematica. Il loro rapporto con la matematica non è puramente metodologico, come è per noi, ma anche ontologico: non si tratta per loro di studiare solo i numeri, ma anche la realtà, se vendosi dei numeri. Nonostante i Pitagorici abbiano avuto la grande intuizione di applicare la matematica per indagare la realtà, non se ne sono serviti poi molto. Il motivo di questo loro limite è dovuto in gran parte alla mancanza di strumenti concettuali e materiali. Non potendo fare della matematica un uso effettivo, finirono per provare a cogliere delle somiglianze tra le caratteristiche dei numeri e quelle della realtà. Per esempio arrivarono a dire che il numero due corrispondeva al genere femminile, il tre al maschile, il cinque al matrimonio (3+2 = 5). Il quattro ed il nove corrispondevano invece alla giustizia in quanto erano i primi numeri quadrati e suggeriscono l'idea di ordine. Nel tempo stesso va detto che la speculazione numerica

La teoria pitagorica non può non essere stata influenzata dall'osservazione dei fenomeni astronomici: dagli astri essi debbono aver tratto le loro prime idee dei numeri aventi posizione, cioè fissati come punti nello spazio, degli aggruppamenti numerici formanti figure geometriche definite e costanti, della ricorrenza di alcuni numeri nei fenomeni celesti. In altre parole il numero viene elevato a principio universale di interpretazione, via via che è esteso dall'ordine aritmetico a quello geometrico e, finalmente, all'ordine fisico. Così, l'espressione spaziale dell'uno è il punto; della linea, limitata da due punti, il due; della superficie il tre; del solido il quattro. È Aristotele che attribuisce ai Pitagorici la dottrina secondo la quale i numeri costituiscono l'essenza di tutte le cose. Per comprendere meglio il significato di essa è necessario tenere conto del modo in cui erano.

Abitualmente compiute le operazioni di calcolo. I Greci si servivano dei psephoi, ossia di pietruzze mediante le quali i vari numeri erano rappresentati visivamente. Con questi numeri figurati è possibile costruire serie, per esempio quella dei numeri quadrati. Infatti, partendo dal primo numero quadrato, 4 (2x2), essenza della giustizia, raffigurato con quattro punti punti applicando lo gnomone, ossia una specie di squadra, si può ottenere il numero quadrato successivo 9 (3x3), anch'esso essenza della giustizia, in questo modo punti2punti3, ossia 16, il quadrato di quattro e così via con i numeri successivi. Da notare che i Pitagorici non conoscevano lo zero ed è anche facile capire il perché: con le pietruzze è impossibile rappresentarlo. Questo fatto contribuisce a conferire all'uno uno statuto particolare: è

un'entità indivisibile, rispetto alla quale nulla è antecedente. Più che un numero come gli altri, l'uno è la sorgente da cui nascono tutti gli altri numeri. Questi a loro volta si suddividono in pari e dispari, che i Pitagorici identificavano con l'illimitato ed il limite. L'uno veniva chiamato parimpari, in quanto aggiunto ad un dispari genera un pari ed aggiunto ad un pari genera un dispari: ciò significa che l'uno deve contenere in sé sia il pari sia il dispari. Il dispari, a sua volta, diviso in due lascia sempre come resto un'unità che permane come limite, mentre ciò non avviene nel caso del pari, che è pertanto identificato con l'illimitato, l'infinito, che con i Pitagorici diventa un concetto fortemente negativo e così sarà per tantissimo tempo. Mediante il calcolo con i sassolini i Pitagorici dimostrano visivamente a
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Publisher
A.A. 2007-2008
57 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/07 Storia della filosofia antica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia antica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze Storiche Prof.