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Estratto del documento

UNITÀ DIDATTICA

20/4/2015

Questione da accennare è quella del riconoscere i manoscritti derivati: il problema di

riconoscimento dei descripti è una condizione vantaggiosa per chi lavora, anche se costituisce un

problema in quanto non è facile trovare criteri certi; si tratta di manoscritti che potrebbero dipendere

l’uno dall’altro ma ciò non è detto. sono pacificamente accettati; l’ipotesi, una volta

Il caso del De bello gallico è esemplare: i descripti

accertata, la si dà per buona finché non si propone qualcosa di diverso: il descriptus di Cesare è

notevolmente importante perché il codice-padre è incompleto.

Cesare è uno scrittore abbastanza noto nel Medioevo, non uno dei più diffusi ma viene letto

alquanto: il corpus cesariano (spesso tutte le sue opere sono unite nello stesso manoscritto o in due)

presenta un caso notevole con il De bello gallico, che spesso stava anche da solo rispetto a tutto il

corpus in quanto più semplice ed avventuroso rispetto agli altri e quindi andava di più incontro ai

gusti del pubblico rispetto agli altri (il De bello civili invece presentava una realtà completamente

diversa e meno nota al Medioevo); era la parte del corpus che aveva più probabilità di

sopravvivenza rispetto agli altri testi.

C’è un manoscritto del risalente all’epoca

De bello gallico carolingia (Laur. plut. 68, 8), siglato M,

nel cui foglio inziale compare una subscriptio tardoantica in cui si nomina Giulio Celso Costantino,

l’aristocratico che ha lavorato su Cesare allo stesso modo dei Nicomachi su Livio; la scrittura del

primo foglio è in minuscola umanistica (in pergamena bianca), mentre dal secondo si nota la

anche l’inchiostro cambia notevolmente, e poi la

minuscola carolina (in pergamena giallastra):

minuscola carolina effettivamente è compatibile con una datazione al IX Sec. (si può notare anche

un fungo sul secondo foglio); è molto probabile che il codice cominciasse mutilo, e questo può

voler dire che in Età umanistica qualcuno ha capito che questo manoscritto era incompleto: costui

quindi ha pensato d’integrare il manoscritto aggiungendo un figlio iniziale, e quindi così molto

probabilmente si è formata l’integrazione umanistica del codice carolingio; non si sa dunque che

valore abbia questo primo foglio né da dove provenga.

Questo manoscritto è stato oggetto di una notevole attività filologica: chi è intervenuto

successivamente ha utilizzato un inchiostro diverso, ed è quindi molto facile capire le fasi di

scrittura e correzione del testo stesso; il punto aveva un valore forte come pausa, mentre il punto

con la “virgola” sopra indica un’intonazione meno forte. C’è chi ha pensato a correzioni

umanistiche su calco della minuscola carolina, ma data la precisione della scrittura è un’ipotesi

molto improbabile. 42

Appunti di Alberto Longhi, Matr. 861497 d’inserire le iniziali;

Lo spazio bianco veniva lasciato perché arrivasse un miniatore in grado i

fascicoli del codice sono generalmente composti da otto fogli ciascuno: si può notare nel f. 16 che si

era alla fine del secondo fascicolo; nel f. 17 riprende poi la scrittura umanistica, e va avanti

vuol dire che il terzo fascicolo non c’era più in epoca umanistica, e

parecchio fino al f. 24: questo

quindi il restauratore umanista ha ritenuto opportuno integrarlo, ed è interessante notare come il

lavoro d’impaginazione sia fatto molto bene.

Ci si trova di fronte ad un manoscritto ch’è stato integrato in Età umanistica: non si capisce bene

che valore abbiano queste aggiunte, mentre la parte carolingia è molto importante perché antica; chi

si occupa della tradizione di Cesare (in particolare Virginia Brown) sostiene che questo sia il

manoscritto fondamentale per la tradizione di Cesare, ma non si può assumerlo in toto perché le

parti reintegrate sono inaffidabili: in un caso di questo genere ci si deve domandare come fare,

quale sia l’obiettivo della ricerca; bisogna capire se ci sono manoscritti copie di questo, perché se si

trovasse una copia diretta di M questo discendente diventerebbe una fonte unica con affidabilità

leggermente inferiore (seppur potentissimo strumento di controllo): il descriptus, così, non è più un

deterior ma una risorsa molto importante.

Tale descriptus si trova proprio di fianco, nello stesso scaffale (Laur. plut. 68, 6), siglato m: è un

manoscritto in beneventana originario di Montecassino (la beneventana è una scrittura delle zone tra

Frosinone e Pescara -più di tanto non si scende: in Calabria ed in Sicilia si scriveva in Greco- o in

Dalmazia, dove c’erano contatti molto stretti con questa zona dell’Italia; ci sono sì tipi diversi a

seconda del luogo, ma le caratteristiche di base sono sempre le stesse); le caratteristiche di

produzione fanno pensare che questo manoscritto provenga da un ambiente povero. Il testo di M

quando è diverso è peggiore: di solito si trattava di un errore del copista rispetto al testo; quindi

quando la Brown studiò questa situazione la dovette solo verificare: m non serve a niente quando si

possiede il testo di M, mentre è utilissimo quando M manca di alcune parti.

Esaminati tutti i manoscritti di Cesare, la Brown ha individuato un passaggio intermedio: m deriva

sì da M, ma attraverso un altro manoscritto conservato (siglato Va), che quindi rappresenterà meglio

ch’è stato annotato molto

le parti di testo perdute; si tratta sempre di un testo in minuscola carolina,

accuratamente con varie mani (si può notare anche una nota a margine che schematizza le

descrizioni di Cesare): ha tutte le condizioni per essere un codice intermedio anche per motivi

si trovava nell’Italia meridionale, e quindi potrebbe andare

esterni, in quanto si sa che questo codice

bene come padre di un codice in beneventana e in secondo luogo questa carolina ogni tanto presenta

delle lettere che ricordano la beneventana, come se il copista scrivesse in carolina ma avesse più

dimestichezza con la scrittura dell’Italia meridionale. Secondo la Brown questa catena di descripti è

dimostrabile da elementi di carattere esterno (l’origine italiana, soprattutto meridionale); in secondo

43

Appunti di Alberto Longhi, Matr. 861497

luogo, c’è poi un carattere simile: i manoscritti Va ed m hanno lo stesso numero di fogli, e questo

vuol dire che la copiatura è molto vicina, i due manoscritti sono in qualche modo appaiati perché

una corrispondenza di fogli vuol dire che lo scriptorium dava questa regola: è anche un sistema più

facile quello del copiare foglio per foglio, perché si prevede così quanto spazio serva e quanti fogli

in totale servano; infine, Va presenta una serie di note marginali che risalgono al momento iniziale,

al primo lettore del testo, e in m si ritrovano le stesse note negli stessi punti (non è che le note siano

un’ultima annotazione è lo scioglimento di

tantissime, e queste corrispondono sempre);

un’abbreviazione: il copista di Va ha saltato alcune parole e rileggendo ha corretto subito con

un’integrazione a margine presenta l’integrazione

(scrivendo però quem al posto di quam), ed m

ancora in margine, senza farla entrare nel testo. La Brown deduce quindi che evidentemente il

copista, quando trovava determinate note, le copiava a margine; il copista di m aveva davanti

proprio il manoscritto Va dopo che erano state inserite le note, cioè in un momento successivo alla

vergatura del testo: tutto questo non è solo un’identità testuale, ma anche fisica, e in quanto tale c’è

un maggior valore alla dipendenza.

21/4/2015

Il problema della trasmissione di Tacito è abbastanza simile a quello della trasmissione di Cesare,

oggetto nel corso del tempo di un dibattito piuttosto interessante e vivace: le opere di Tacito sono

ignote nel Medioevo; degli Annales non sono conservati tutti i libri, mentre delle Historiae fino ad

una parte del quinto.

Vi sono soltanto due manoscritti medievali, uno dei quali era conservato nella biblioteca di un

monastero tedesco in Sassonia, ed oggi è definito Mediceus primus (Laur. plut. 68, 1): questo

manoscritto ha una storia un po’ particolare, perché è stato scoperto all’inizio del Cinquecento, e

siccome si è in un’epoca in cui la stampa era già in uso questo copista decise di mandarlo alle

stampe, e venne stampato a Roma nel 1516; non ci fu quindi una fase di tradizione manoscritta

umanistica, perché si è passati direttamente alla stampa: di fatto, non esistono altri manoscritti che

manoscritto c’è un altro manoscritto di Tacito che

siano copia. Di fianco a questo importantissimo

viene chiamato Mediceus secundus (Laur. plut. 68, 2): si tratta di un manoscritto in beneventana,

proveniente da Cassino, ch’è arrivato a Firenze con Boccaccio alla fine del Trecento; conserva

soltanto i libri 11-6 degli Annales, le Historiae superstiti e le opere di Apuleio (erano due

è l’unico testimone medievale sia delle

manoscritti indipendenti che sono stati poi rilegati assieme:

opere di Tacito sia di quelle di Apuleio); in questo caso, però, ci sono molte copie manoscritte,

44

Appunti di Alberto Longhi, Matr. 861497

all’incirca un centinaio, perché risalgono a molto prima dell’invenzione della stampa (la prima

edizione a stampa di questa sezione tacitiana è del 1471).

notevole importanza: fino agli anni ’50 del Novecento i

Il Mediceus secundus (siglato M) ha una

filologi erano sicuri che tutti i manoscritti tacitiani derivassero da questo capostipite; la radice era

che quindi risultava come l’archetipo e testimone unico: se tutti

sempre questo manoscritto,

discendono da questo, allora per facilità serve solo il capostipite. Intorno al 1950 uno studioso

americano individuò un manoscritto che a suo parere non derivava da questo, un codice degli ultimi

decenni del Quattrocento: lo studio non fu molto accurato, ma si trattava di semplici annotazioni

(BPL, 16B, siglato L); questo manoscritto sarebbe stato indipendente. Nonostante il codice in sé, il

testo conservato era indipendente dal Mediceus: la situazione sarebbe dunque stata quella per cui

nello stemma codicum tale manoscritto fosse indipendente da M ed avesse quindi creato una

tradizione bipartita. Esistono dei punti dove L presenta una lezione migliore rispetto ad M, così

fortemente migliore che non poteva essere inventata da un umanista: quelle forme si possono

giustificare soltanto come le forme originarie arrivate direttamente ad L attraverso un percorso oggi

totalmente s

Dettagli
A.A. 2016-2017
59 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/13 Filologia della letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alberto.longhi55 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filologia umanistica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Chiesa Paolo.