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3) IL LIBRO A STAMPA.
La xilografia. La stampa viene introdotta in Germania intorno alla metà del Quattrocento nell’alta
valle del Reno. La xilografia è una tecnica di riproduzione di brevi testi ed immagini basata sull’uso
di matrici in legno duro interamente incise a rilievo o incavo, poi inchiostrate e impresse su carta o
pergamena. Se da un lato questi libri risultano essere un ottimo mezzo di propaganda religiosa e
commerciale, dall’altra però dimostra subito i suoi limiti: gli stampini in legno potevano riprodurre
solo testi brevi, vista la difficoltà a sviluppare lunghe linee di testo incise al contrario e ogni matrice
poteva contenere un solo testo per cui ne andava incisa sempre una nuova per stampare opere
diverse. La vita utile di tali matrici poi era piuttosto breve a causa del materiale ligneo di naturale e
rapida consunzione.
Gutemberg e i caratteri mobili. Gutemberg viene considerato il padre della stampa. L’ars
artificialiter scribendi si fondava sulla invenzione dell’alfabeto di tipi metallici in associazione con
altri utilizzando un torchio e alcune forme metalliche su cui erano disposte serie di caratteri
inchiostrati. Tra il 1452-1455 l’officina di Gutemberg realizzò la grande Bibbia latina in due volumi,
nota come la “Bibbia delle 42 righe”, primo libro apparso a stampa nel mondo occidentale la cui
tiratura fu di circa 180 copie. Morì a Magonza nel 1468 e i suoi collaboratori si sparsero in tutta
Europa avviando diverse officine tipografiche.
Punzoni e caratteri. Esistono tre diverse funzioni nella produzione dei tipi metallici: il progetto
grafico delle lettere, l’incisione dei punzoni che serviranno a produrre le matrici e la fusione dei
caratteri. Il disegno delle lettere era affidato a grafici professionisti che in ambito italiano
tendevano a riprodurre la gotica, il tondo o romano, l’antiqua e il corsivo disegnato da Francesco
Griffo (inventore anche dell’italico). Una volta scelto il disegno si procedeva a incidere il
contropunzone dove veniva trasferito il disegno, quindi si preparava il punzone, lo si riscaldava sul
fuoco e non appena era abbastanza morbido il contropunzone gli dava la forma. Una volta
realizzato il punzone, il fonditore formava le matrici. Dopo la colata si apriva la forma e si estraeva
il carattere che veniva lavorato e modellato per assomigliare al disegno. Questo sistema è detto
fondita a ripetizione.
Il torchio e la forma tipografica. Il compositore si occupava dei caratteri e trascriveva su piombo
il testo da stampare. La composizione del testo poteva essere di due tipi: seriatim ossia in modo
continuo, cioè trasferendo su piombo pagina dopo pagina il testo modello o per forme tipografiche,
in modo non continuo, cioè componendo solo le pagine che avrebbero trovato posto nella stessa
forma tipografica. Per forma s’intende l’insieme delle pagine unite in un telaio metallico inchiostrato
e passato sotto il torchio. Ogni foglio stampato veniva piegato un tot di volte a seconda del
formato prescelto per essere poi inserito nel fascicolo. Questa operazione è detta impostazione o
imposizione della forma.
Il proto, il direttore della tipografia, allestiva la copia del modello usata dal compositore. Esistevano
diverse possibilità, a seconda che il testo fosse scritto per la prima volta e il manoscritto fosse
quindi antigrafo, o se si ristampava un’ edizione già edita così da usare un testo a stampa come
modello. Nel primo caso il manoscritto veniva diviso in tante sezioni per ottimizzare i tempi
dividendolo anche fra più compositori e torchi. Nel secondo caso si procedeva auna
ricomposizione linea per linea. Il compositore doveva disporre le lettere in ordine inverso. I
momenti chiave della sua azione erano: lettura del testo in ordine invertito, memorizzazione,
selezione dei caratteri e trasferimento nel compositorio. Le righe composte venivano poi fissate
con una cordicella, trasferite su una sorta di vassoio in legno (vantaggio) e formavano l’intera
pagina; dopo averle bloccate venivano inserite nella forma.
Il torchio era una struttura in legno formata da due piani paralleli uno con movimento orizzontale,
l’altro verticale. La base conteneva un carrello che si muoveva orizzontalmente recando la forma
tipografica; collocato su rotaie era azionato da un molinello. Il piano portaforma era composto dalla
forma, dal timpano (telaio ricoperto da pergamena su cui veniva fissato il foglio di carta), la
fraschetta (un foglio di pergamena composto da finestre che copriva le parti che non erano da
stampare). Il piano veniva posizionato sotto la platina (la pressa), azionato da una vite collegata ad
un asta che seguendo un movimento rotatorio abbassava la pressa).
Gli addetti alla stampa erano i torcolieri, mentre al torchio stavano i tiratori e i battitori, che si
occupavano dell’inchiostrazione delle forme.
La carta doveva essere morbita ed elastica per ricevere la pressione della pressa senza lacerarsi,
ma al tempo stesso doveva essere densa per non far trasparire l’inchiostro dal lato opposto. Il
costo della carta era quasi sempre addebitato al cliente che commissionava l’edizione, a cui erano
garantite un certo numero di copie.
Il formato di libri a stampa. Almeno per buona parte del XV secolo gli incunamboli (i primi libri a
stampa) seguivano la forma esterna dei manoscritti. Tecnicamente il formato di un libro a stampa
dipende dalla dimensione del foglio di carta, successivamente ripiegato dopo esser stato impresso
nelle due facciate tante volte quante ne richiedevano le dimensioni prescelte. L’indicatore numerico
che identifica i formati rimanda alle pagine che componevano la forma tipografica ed è
inversamente proporzionale alle dimensioni del volume. Quindi i volumi di massimo formato sono
quelli in-folio (2), a seguire quello in-quarto, in-ottavo, in-dodicesimo e così via.
Per cercare di riconoscere il formato del volume è possibile applicare due sistemi: nel primo si
analizza la posizione della filigrana che a seconda delle piegature finirà per assumere una
posizione precisa, mentre nel secondo occorre scoprire l’orientamento dei filoni e delle vergelle del
telaio, rivelatori delle piegature del foglio.
La prima edizione de “Il libro del Cortigiano” di Baldassarre Castiglione venne stampata in formato
in-folio su due tipi di carta per differenziare la tiratura a seconda dei destinatari, una normale e una
reale.
I ritmi di produzione di un’officina tipografica. Un’officina lavorava all’incirca 10-12 ore al
giorno, imprimendo circa 1250 fogli. Per stampare un’opera di media grandezza (circa 150-200
carte con una tiratura di 600 copie) ci volevano all’incirca 3-5 mesi di lavoro.
La textual bibliography è la disciplina che analizza gli effetti prodotti dal procedimento tipografico
sulla trasmissione del testo.
L’introduzione della stampa in Italia.
• Dal manoscritto all’incunambolo. L’invenzione di Gutemberg moltiplicava teoricamente
all’infinito il numero di copie di una singola opera ma si poneva un problema immediato: chi
avrebbe pagato tutto questo lavoro. Occorreva creare una nuova classe di lettori, per cui
occorreva innanzitutto diversificare il prodotto a seconda delle esigenze del pubblico. La
produzione canonica del libro manoscritto era affidato agli scriptoria monastici e laici, a
schiere di stazionari che riproducevano i testi universitari attraverso il sistema della pecia e
copisti professionisti che coprivano la domanda di mercato. I primi vent’anni
dell’introduzione della stampa, videro la pacifica convivenza di questa con i manoscritti, ma
gli incunamboli ne imitavano talmente bene le scelte grafiche, che talvolta non si
riconosceva un manoscritto da un testo a stampa. La situazione cambierà nel XVI secolo
per due ragioni: l’incremento della produzione della carta e il suo consequenziale
deprezzamento; l’aumento delle tirature in ragione di una maggiore richiesta.
• Dalla Germania all’Italia. Molti dei tipografi formatisi nell’officina di Gutemberg giunsero
poi in Italia soprattutto al nord, per cui non abbiamo prime testimonianze dei loro lavori,
come per esempio vicino Ferrara dove è stato impresso un volumetto illustrato di poche
carte dal nome “Meditazioni della Passione di Cristo”. Questo testo è probabilmente
attribuibile a Ulrich Pursmith. Oggi è conservato nella biblioteca universitaria di Princeton.
A Subiaco però spetta il titolo di primo centro tipografico italiano, con un’officina gestita dai
monaci benedettini del monastero di Santa Scolastica. Lì due prototipografi tedeschi,
Sweynheym e Pannarts, stamparono un “Donatus” in 300 copie, una grammatica
elementare latina utilizzata a livello scolastico. Oltre a questo vennero stampati anche un
“De Oratore” di Cicerone e un “De civitate Dei” di S. Agostino. Il trio costituiva il curriculum
di base dell’umanista cristiano.
Col tempo il formato del libro diventerà sempre più pratico e maneggevole per essere
portato ovunque.
A contenderselo da una parte vi erano gli umanisti, dall’altra la Chiesa, che la definì divina
ars, sancta ars, tempestas sanctissima, capace di diffondere l’urbe et orbi cristiano. Lutero
è stato il primo intellettuale moderno a comprendere queste potenzialità, seguito da
Savonarola che ne fece il suo strumento di diffusione della predicazione.
• La produzione di incunamboli in Italia. La stampa si diffuse in Italia dal nord al sud
senza mancare anche i piccoli centri. Emblematico è il caso della stampa della Commedia
di dante in ben tre paesi lo stesso anno (1472). La prima edizione è detta editio princeps ed
è quella di Foligno stampata da Neumeister ed Evangelista Angelini, mentre le altre due
vennero stampate a Mantova e Jesi. Ne abbiamo pochissime tirature che sottolineano che
non erano destinate al commercio su vasta scala, ma alla circolazione all’interno della
comunità. Si parla di offerta ad personam, ossia di una volontà di accrescere il prestigio
della cittadinanza.
Assunse carattere commerciale a Venezia nel 1470. Tra alti picchi si trovano anche periodi
di stagnazione probabilmente dovuti a contagio epidemico, ecc…
L’introduzione del torchio a due colpi poi migliora e velocizza la stampa. Abbiamo la Bibbia
di Borso d’Este, il Polifilo di Aldo Manuzio (1499), cerca l’apoteosi della pagina dipinta nei
colori e nelle figure; poneva la miniatura al centro dell’apparato decorativo, mentre la
stampa era nuda ed essenziale, per non far distrarre il lettore. Le uniche deroghe saranno
concesse ai frontespizi, innovazione del libro, composti da grandi iniziali minate, tralci di
vite e decorazioni varie. Il più famoso si trova nell’edizione del Calendarium di J.
Regiomontanus stampata a Venezia nel 1476. L