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Travestimento indica la reinterpretazione del testo in chiave differente. Il testo è una vita di San
Pellegrino: il nome Peregrinus è dato a molti santi, ma talvolta non è un nome proprio ma
funzionale, p.e. per eremiti viaggiatori. Comunque, questo Pellegrino è presente in due testi,
collegati ma differenti.
Il primo dei due testi si riferisce ad un Pellegrino venerato ad Ancona: la sua vita, o meglio la sua
passio, in quanto martire, si trova in alcuni manoscritti dell'area romagnola-marchigiana. In uno di
questi si racconta che nel 1213 ad Ancona avvenne un ritrovamento di reliquie, identificate come le
ossa dei martiri Pellegrino, Flaviano ed Ercolano; è un fenomeno molto frequente nel Medioevo, ma
i tre personaggi non sembrano altrimenti noti: probabilmente i cittadini trovarono dei sarcofagi con
delle iscrizioni, e da quel momento esiste un culto dei tre martiri, il cui principale è il primo, anche
oggi, pur essendo un culto minore. I manoscritti sono successivi all'inventio delle reliquie. La
passio è un racconto di martirio, che si conclude, come è abituale, con la formula di datazione e
luogo, la dossografia e il nome del giudice; il testo, come negli Acta martyrum, è un botta e risposta
tra persecutore e martire, ma qui sono abbastanza articolate, il santo fa una “predica” citando la
Bibbia; in questo è divergente dalla normalità, in quanto gli Acta sono generalmente molto semplici
e schematici, il martire non cerca mai di “insegnare” al persecutore, ma afferma solo la propria
cristianità. È dunque un dialogo di carattere ed impostazione didattici.
Il secondo testo è una passio di un Pellegrino di Aquileia: la narrazione e i personaggi sono gli
stessi, come le battute del processo, che però sono molto più brevi, perché nel testo aquileiese
mancano le citazioni bibliche e altre parti didattiche. È logico pensare ad una precedenza della
forma aquileiese, anche perché i manoscritti sono anteriori, ma soprattutto perché è più probabile
che una forma ridotta venga ampliata; in questo caso il testo aquileiese sarebbe anteriore. Tuttavia
quest'ultimo presenta sezioni che quello anconitano non ha: gli acta aquileiesi sono preceduti e
seguiti da altre parti:
• un prologo di una certa lunghezza in cui l'agiografo parla delle persecuzioni in generale, una
specie di introduzione storica sulla Grande persecuzione di Diocleziano, ripresa, anche
letteralmente, dalla versione latina di Rufino dell'Historia ecclesiastica di Eusebio di
Cesarea; è dunque un prologo molto letterario per contestualizzare la vicenda, perché si
conclude con la presentazione del martirio di Peregrinus, non ad Ancona ma in una
sconosciuta civitas Bolitana;
• dopo la parte condivisa con la Passio Anconitana (tuttavia non si trova la civitas Dorica,
antico nome di Ancona, ma nuovamente la civitas Bolitana, che evidentemente non è un
errore del copista) si trova menzione della sepoltura del martire in civitate Bolitana, comune
nelle Vitae di santi ma non negli Acta martyrum;
• seguono gli elementi topici consolatori, ovvero il trionfo del cristianesimo con i miracoli e la
morte dei persecutori, Diocleziano e Massimiano;
• segue una preghiera di lode ed invocazione a Dio e al santo, a cui si chiede protezione;
• un'esortazione ai fedeli a seguire l'esempio di fermezza di Pellegrino;
• un altro elemento comune con la Passio Anconitana, la chiusa dossografica con datazione:
tuttavia la forma è diversa, cambia il giorno e non viene detto il luogo; al posto di proconsul
si trova l'equivalente greco proypathos, e in generale la chiusa è più magniloquente, sembra
un testo liturgico
Il nocciolo dei due testi è dunque il medesimo, ma il testo di Ancona ha un'espansione didattica,
quello di Aquileia strutturale, ovvero una cornice complessa, una struttura letteraria con passio al
centro. Rimane il problema della località, marcata nel primo testo e sconosciuta nel secondo; noi
non conosciamo la civitas Bolitana, ma probabilmente non lo sapeva nemmeno l'autore del testo:
egli dà infatti un'indicazione geografica incomprensibile, una serie di luoghi esotici che non hanno
però luogo preciso, usando anche parole difficili (p.e. il grecismo heumatis, traslitterazione di
kèyma, “corrente”); viene poi detto che il mar Nero è il più dolce, frase che non significa nulla, ma
che veniva fatta imparare come esempio del comparativo. Il redattore sta quindi mettendo
informazioni a casaccio, per passare erudizione e confusione al lettore.
L'ipotesi più probabile è che entrambe le opere siano partire da degli acta più antichi, che hanno
avuto una doppia espansione: in quella aquileiese il testo è rimasto lo stesso ma inserito tra altri, in
quella anconitana è variato il testo in senso didattico, ma è rimasto solo quello. Tale andamento
spiegherebbe anche il problema della localizzazione: sarebbe successa una cosa abbastanza
frequente nei testi agiografici, i fedeli che hanno trovato ad Ancona le reliquie di Peregrinus
trovano una passio riferita ad un martire con lo stesso nome, ma in una città diversa e sconosciuta,
perciò se ne “appropriano”. Civitas Bolitana è infatti una lectio difficilior, quindi nessuno avrebbe
potuto sostituirlo da Anconitana.
Rimane il dubbio su cosa intendesse il testo originario; l'unica indicazione anagrafica del santo,
presente in entrambi i testi, è che viene ex loco Rosoliano. Gli editori del primo avevano trovato nel
sud Italia alcune località possibili, ma poco soddisfacenti.
Bisogna considerare alcuni fatti, partendo dal testo “originale”, aquileiese:
• Anolino è un proconsole, e nel tardo impero la provincia proconsolare per eccellenza,
chiamata proprio Proconsularis, era l'Africa settentrionale, dove la persecuzione fu
sistematica, per ragioni di ordine pubblico; solo qui c'era un proconsul all'epoca di
Diocleziano, gli altri magistrati governatori di provincie avevano altre cariche; al tempo di
Diocleziano il proconsole d'Africa era Gaius Anullinus.
• Altro fatto è che Bol non esiste in Europa, ma in nord Africa è presente la città di Oywl,
citata da Tolomeo e pronunciata probabilmente come Bol: nel IV-V secolo era sede di un
vescovato.
• È difficile trovare in Europa anche il locus Rosolianus, il cui tema pare essere berbero,
nordafricano.
• Noi non conosciamo esattamente come si svolgevano i processi in età romana, molte notizie
ci sono date proprio dagli Acta: scopriamo così che prima dell'interrogatorio se ne svolgeva
uno preliminare, in cui venivano esposti i capi d'accusa; solo alla fine di questa il magistrato
chiedeva le generalità dell'imputato; negli atti aquileiesi si segue questa procedura, assurda
nel Medioevo, e perciò cambiata in quelli anconitani.
• Esiste poi un calendario di una chiesa di Cartagine, conservato fino al 1600, in cui
apprendiamo di una festa ai martyri Bolitani.
• Ad Aquileia è conservato un altro testo agiografico, molto lineare, gli Acta Gallonii, relativi
ad un martire nordafricano.
È perciò probabile che il nostro testo sia un antichissimo testo africano giunto in area adriatica e
sviluppatosi in due versioni, una più letteraria (l'arcivescovo di Aquileia intorno al 1200 si chiama
Pellegrino, quindi qualcuno ha forse cercato di nobilitarlo) e una più didattica (per dare una storia al
santo anconitano).
07/04
5. Critica di attribuzione. La Vita Amphilochii latina
La Vita Amphilochii è un testo agiografico anonimo, ma è un buon esempio per capire come si
attribuisce un testo. Il Medioevo è pieno di testi anonimi o falsamente attribuiti, data la scarsa idea
di proprietà letteraria, che diventa forte dall'età industriale, dove diventa fonte possibile di
guadagno. Non c'è assolutamente l'idea romantica dell'opera letteraria; specialmente nell'ambiente
monastico, dove è forte l'umiltà, l'autore non ha forte intenzione di mettere il proprio nome,
l'importante è il testo, perciò spesso si opta per l'anonimato. Per noi, dunque, non è importante
conoscere l'autore in sé, ma il suo contesto, più facilmente ricostruibile se si conosce l'autore.
Il nostro è un testo anonimo ma di maniera diversa: l'autore probabilmente non tiene all'anonimato,
ma per diversi motivi il nome si è perso. Il professore si è imbattuto in due codici conservati nella
Biblioteca Comunale di Mantova, uno dei quali (il 354) descriptus dall'altro (il 457): entrambi sono
raccolte di vite di santi, simile ma non identica (è difficile, date le esigenze diverse, che due raccolte
siano perfettamente simili, specie se, come in questo caso, passano molti anni). Per le parti che si
sovrappongono, comunque, il codice più recente è copia del 457. Entrambi provengono dal
monastero benedettino di Polirone, soppresso in epoca napoleonica, oggi a San Benedetto Po, nel
punto in cui il fiume Po riceve le acque del Lirone: in epoca napoleonica i manoscritti vennero
portati dove si trovano oggi; tipico del periodo era acquisire i beni ecclesiastici sopprimendo i
monasteri ed incamerandone le ricchezze: i manoscritti, specie in Francia, venivano allocati in
biblioteche pubbliche (p.e. quelli di Clairvaux si trovano a Digione, in Borgogna); in Austria
successe lo stesso, ma dopo il 1815 vennero restituiti ai monasteri.
Nel ms. 457 vi sono, nella seconda unità codicologica:
• sei vitae di monache particolari, che prendono i voti da adulte, come Taide, citata da Dante
nell'Inferno, una prostituta che si converte, Maria Egiziaca ha una storia analoga, così come
Pelagia, Eufrasia ed Eufrosine erano nobildonne che decidono di abbandonare il secolo;
• una seconda parte riservata ai padri del deserto, come Abra e Malco;
• una leggenda di un miracolo avvenuto a Beirut, dove un'icona comincia a sanguinare e
piangere divenendo taumaturgica;
• tre vitae di grandi vescovi orientali, di Iconio, Cesarea e Alessandria, Anfilochio, Basilio e
Giovanni l'Elemosiniere, tradotte dal greco;
• cinque brevissimi exempla, con finalità morale;
• due altri testi agiografici, con la vita di Giovanni Calibita e di Alessio, storie analoghe come
trama, in cui un giovane ricco abbandona la famiglia per vivere in povertà; in più Giovanni
Calibita viene sottoposto ad una prova da Dio, che lo fa andare come mendicante sulla porta
di casa dei genitori; anche queste sono tradotte dal greco;
• infine un testo lungo con autore noto, l'Historia monachorum di Palladio, che racconta vite
di padri del deserto.
Son