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I miei professori mi hanno mostrato Hermann e Lachmann ; a entrambi devo molte conoscenze filologiche,
ma venne un momento che mi fece capire che nessuno dei due mi bastava.
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Nessuno mi mostrava nella maniera giusta Böckh e Ottfried Müller . E perciò cominciai a leggerli con più
interesse quando già avevo consolidato il mio intelletto. E perciò a malapena contribuirono alla formazione
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del mio intelletto, sebbene abbia poi imparato a stimarli di più che non Lachmann e Hermann. Ma Reiske
lo amai davvero nel 1878. Mi insegnò cosa sia sapere il greco, e a disprezzare il giudizio dei contemporanei.
Jakob Grimm fra il ’67 e il ’70 suscitò in me molti interessi che avrei potuto desumere più facilmente da O.
Müller. Leggevo in quel periodo molte cose dalla letteratura tedesca antica; di rado, ma ci ritornai in
seguito, e nel 1902 rilessi l’intero Tristano di Gottfried, sedotto dalla grazia ovidiana. Nello stesso periodo
trangugiai fino in fondo l’Edda di Simrock. La preferivo ad Omero.
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L’Aristofane di Droysen nel 1869 fece sì che disprezzassi Curtius , e che non avessi nulla di nuovo da
imparare da Müller Strübing in storia ateniese.
Mommsen, la cui Storia trangugiai da ragazzo, dal 1872 mi catturò completamente, mi insegnò tante cose,
ma non di persona, ma attraverso i suoi libri. Infatti non mi aveva mai potuto aiutare in alcunché: io stesso
ho consumato molta fatica e preoccupazioni per fargli piacere, e si lodano molte e belle cose nella V parte
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della sua Storia che so essere mie . Molto ha anche fatto col suo esempio perché frenassi dentro di me il mio
carattere incontrollato. Infatti mi disgustò in lui l’incapacità di controllare il bere, la lingua e l’ambizione.
Insomma mi ha insegnato ugualmente con un esempio involontario non solo le offese, facendo salvo il
rispetto e l’ammirazione all’intelligenza, ma anzi a ricambiarle con benefici.
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A D. Strauss dal 1866 al ‘72, non venne mai meno la mia stima per quel l'uomo onesto, elegante ed
integro. Ma mi aveva dato quello che poteva dare.
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A Zeller dal 1873 all’’83, per la sua dottrina vasta e ben organizzata, per la correttezza del suo modo di
giudicare, e per la coerenza della sua azione.
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Wellhausen nel 1878 sia di persona sia attraverso i suoi libri, mi conquistò; poi, a partire dal 1882, solo
attraverso i libri. A lui devo il fatto che so che cosa è la religione, infatti, come religione vera e propria io
avevo quella platonica, sebbene in seguito da ragazzo me ne dimenticassi. (Wellhausen) mi mise in mano
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Carlisle che amai molto finché il miele non fu esaurito e a quel punto disprezzai il fiele. Ma Wellhausen
contribuì molto insieme a Mommsen anche alla mia formazione di storico e a disprezzare gli storici.
Circa nel 1885 iniziai a leggere Taine. Ed egli col tempo quasi mi spinse ad una sopravvalutazione del
l'influsso dell'ambiente nella formazione delle persone, della personalità e della cultura. A farmi ricredere
contribuì massimamente Carl Justi (con l’opera su Velasquez), la cui biografia di Winckelmann lessi
completamente da ragazzo.
Più o meno nello stesso periodo e già prima (circa dal 1880) cominciai a leggere i francesi, Voltaire e
Diderot. E lessi molto in molte direzioni, da Rabelais fino a Verlaine, e nel momento in cui riuscii a valutarli
in maniera corretta, i tedeschi antichi ridiscesero nell'oscurità, persino Lessing. Devo ai francesi e in parte
agli italiani il fatto che so che cosa è scrivere, cioè insieme arte e artificiosità. So bene quale è il valore dei
popoli neolatini, disprezzo i fanatici dei teutoni e so anche quanto sono vicini i francesi ai greci dei secoli
dal III a.C. al IV d.C.
Nel corso del ventesimo secolo passai dai neolatini, alle genti germaniche (gli scandinavi). Infatti feci in
modo o di leggere più facilmente o di imparare da zero le loro lingue, dalle quali trassi grandissimo diletto.
Visitai le loro terre e contrassi amicizie personali e perciò cominciai a giudicare in maniera più corretta
della qualità di ciascuna delle loro lingue, delle loro modalità espressive e di quell'arte altissima che non
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sembra arte.
1: F. G. Welkerum, professore a Bonn dal 1820 al ’60, modello per Wilamowitz dato il suo tentativo di
delineare il ciclo epico; fu uno dei massimi esponenti della filologia formale, uno dei due rami della filologia
dell’epoca:
• filologia formale, Wortphilologie, concentrata sui testi, più nel solco dell’Umanesimo;
• filologia monumentale, Realphilologie, diretta verso un allargamento del campo di studi
(archeologia, epigrafia etc.), per una completa ricostruzione del mondo antico; Böckh fu il massimo
esponente.
2: Gottfried Hermann, esponente della filologia formale, fu il più grande esperto di metrica greca tedesco
(p.e. Ponte di Hermann); fu “avversario” di Böckh e soprattutto di Richard Porson, regius professor di
Cambridge; questi pubblicò un epigramma contro Hermann: