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CORO
Iacco, oh, Iacco!
Iacco, oh, Iacco!
X. E’ così, sono loro, padrone: gli iniziati,
sono qui che danzano da qualche parte, quelli di cui ci parlava lui.
Inneggiano per l’appunto a Iacco, quello di Diagora.
D. Sembra anche a me. Meglio restarcene qui fermi,
per vedere bene.
CORO
Oh Iacco, tu che dimori in questi luoghi assai venerati,
Iacco, oh, Iacco,
vieni a danzare su questo prato,
tra le sacre schiere degli iniziati,
scuotendo, ricca di frutti,
fiorente intorno al tuo capo,
la corona di mirto, e battendo con piede ardito
la festa in tuo onore,
sfrenata e giocosa,
che ha tutta la bellezza delle Grazie, la pura, santa
danza per i sacri iniziati.
X. Oh veneranda signora, figlia di Demetra,
che dolce profumo mi giunse di carne di maiale!
D. Fai piano, casomai riuscissi a prenderti anche un po’ di salsiccia.
CORO
Risveglia le fiaccole ardenti scuotendole nelle tue mani,
Iacco, oh Iacco,
astro portatore di luce ai riti della notte.
Il prato riluce della tua fiamma;
trema il ginocchio dei vecchi;
si scrollano via i dolori
e gli anni lenti della vecchiaia,
nella sacra festa.
E tu, splendente con la tua fiaccola,
con i tuoi passi guida al terreno fiorito della palude
la gioventù che danza, o beato.
E’ necessario che faccia silenzio e non prenda parte alle nostre danze
chi, inesperto di questi argomenti, non purifichi la propria mente,
o non ha mai visto né danzato i culti segreti delle Muse,
né sia stato iniziato ai riti bacchici della lingua di Cratino, il divoratore di tori,
o si compiace di parole triviali che fanno un effetto fuori luogo,
o non placa una discordia nemica dello stato e non è benevolo verso i concittadini,
ma la istiga e la fomenta per assecondare i propri interessi personali,
oppure, quando governa una città in crisi, si lascia corrompere con doni
o consegna ai nemici le difese e le navi, oppure esporta le merci proibite
da Egina, se è Toricione, disgraziato di un esattore della ventesima,
che manda foderi per remi, vele e pece a Epidauro
oppure convince qualcuno a offrire denaro per le navi dei nemici,
o imbratta di sterco le edicole votive di Ecate, accompagnando con la voce danze circolari,
oppure, se è un politico, allora divora i guadagni dei poeti
per essere stato deriso in una commedia durante i riti cittadini in onore di Dioniso.
A tutti costoro ordino, e lo riordino ancora una volta, e lo ribadisco una terza,
di allontanarsi dalle danze misteriche; voi invece date forza al canto
e alle nostre veglie notturne, che si addicono a questa festa.
Perciò affrettatevi, nessuno escluso, coraggio!,
alle valli fiorite
dei prati, a ritmo di danza
e con battute scherzose
e con scherzi e beffe:
si è pranzato a sufficienza.
Ma su, avanti!, e preoccupatevi di lodare
la Salvatrice, nobilmente
cantando con la voce,
lei che promette
che salverà la nostra terra per sempre,
anche se Toricione non vuole.
Su, forza, celebrando con canti divini la regina portatrice di frutti,
la dea Demetra, fate risuonare un nuovo genere di inni.
Demetra, signora dei sacri
misteri, aiutaci,
e salva il tuo coro;
e che io possa scherzare e danzare
senza pericolo per tutto il giorno.
E che possa dire molte cose
ridicole, e molte serie,
e che dopo aver scherzato e motteggiato come si conviene
per la tua festa,
io sia incoronato vincitore.
Avanti, allora,
adesso chiamate qui con i canti il dio nel fiore
della giovinezza, compagno di questa danza.
Iacco dai molti onori, inventore
del canto dolcissimo della festa, seguici qui,
al cospetto della dea,
e mostraci come, senza fatica,
percorri un lungo cammino.
Iacco amante della danza, accompagnami.
Tu hai fatto a brandelli, per il riso
e per semplicità, questo sandaletto
e questo straccio,
e hai trovato il modo per scherzare
e danzare liberamente.
Iacco amante della danza, accompagnami.
E infatti, sbirciando, proprio adesso
ho visto spuntare da uno strappo
della veste
il piccolo seno di una ragazza dall’aspetto assai bello,
nostra compagna di giochi.
Iacco amante della danza, accompagnami.
D. Io sono sempre amante dei corteggi
e voglio danzare,
scherzando, insieme a lei. X. E io anche.
CORO Volete dunque che insieme
deridiamo Archedemo,
a cui all’età di sette anni non erano ancora spuntati i fratelli?
Adesso però fa il demagogo
tra i morti che abitano sulla terra
ed è un delinquente di prima categoria, lassù.
Sento, nella tomba,
Clistene strapparsi i peli del culo
e graffiarsi le guance;
e si percuoteva, curvo,
e piangeva e strepitava
per Sebino, quello del demo di Anaflisto.
E dicono che in effetti Callia
questo qui, il figlio di Ippobino,
combattesse per mare vestito con peli di figa di leonessa.
D. Sapreste dunque indicarci
dove abita Plutone, quaggiù?
Siamo due forestieri, arrivati da poco.
CORO Non devi fare molta strada,
e non chiedermelo ancora,
ma sappi che sei giunto proprio sulla sua porta.
D. Tira di nuovo su quella roba, ragazzo.
X. Ma allora qui si tratta soltanto
di Corinto figlio di Zeus, tra le coperte?
CORO
Affrettatevi,
ora, nel sacro girotondo della dea, giocando
nel bosco fiorito, voi che partecipate alla sacra festa.
Io invece andrò con le ragazze e le donne,
là dove vegliano tutta la notte in onore della dea, a portare la sacra torcia.
Affrettiamoci ai prati
fioriti di rose,
divertendoci nel nostro modo,
quello con le danze più belle,
che le beate Moire
guidano.
Per noi soli, infatti, sono sacri
il sole e la luce,
quanti siamo iniziati ai misteri
e vivevamo in modo
rispettoso nei confronti degli stranieri
e dei nostri concittadini.
D. E adesso, come devo bussare alla porta, come?
Come bussa quaggiù la gente del posto?
X. Non perdere tempo, ma assaggia la porta,
dato che hai aspetto e coraggio come quelli di Eracle.
D. Servo, servo! EACO: chi è? D. Eracle il valoroso.
EACO
Tu, schifoso svergognato impudente,
maledetto, mille volte maledetto, maledettissimo!
Che hai fatto scappare il nostro cane Cerbero
saltandogli addosso, soffocandolo e scappando via tenendolo per il collo,
e io gli facevo la guardia. Ma adesso ti tengo per la cintola:
e così la roccia dello Stige dal cuore di tenebra
e la rupe dell’Acheronte che gronda sangue
ti faranno la guardia, e anche le cagne vagabonde del Cocito
e l’echidna dalle cento teste, che sbranerà
le tue viscere; e ti si attaccherà ai polmoni
una murena di Tartesso, e i tuoi reni
insanguinati dal tuo stesso intestino
li dilanieranno le Gorgoni Titrasie,
dalle quali io mi precipiterò di corsa.
X. Ma tu, che hai combinato? D. Me la sono fatta addosso. Invoca il dio.
X. Ridicolo che non sei altro, alzati velocemente,
prima che ti veda qualche sconosciuto! D. Ma se mi sento svenire!
Avanti, portami una spugna da mettere sul cuore!
X. Ecco, prendila: mettila. Ma dov’è? Oh auree divinità...
è lì che hai il cuore?! D. Sì... dato che si è spaventato
mi si è rintanato giù nel basso ventre.
X. Sei il più schifoso tra gli dei e tra gli uomini. D. Io??
Come, schifoso, io che ti ho chiesto una spugna?
Un altro uomo non l’avrebbe fatto di sicuro. X. E cosa avrebbe fatto allora?
D. Starsene fermo ad annusare, se davvero era uno schifoso;
io invece mi sono alzato e mi sono pure pulito.
X. Davvero un gesto eroico, per Poseidone! D. Lo è, per Zeus!
E tu, non hai avuto paura del rumore di quelle parole
e delle minacce? X. No, per Zeus, non me sono minimamente preoccupato.
D. E allora vai, dato che sei così risoluto e coraggioso,
diventa me, prendendo tu questa clava
e la pelle di leone, se davvero le tue viscere non sentono paura:
io in cambio sarò il tuo facchino.
X. Allora porta questa roba, presto; non posso che obbedire.
E guarda il tuo Eraclexantia,
se sarò un codardo anche assumendo il tuo atteggiamento.
D. A dire il vero, per Zeus, non sei altro che il furfante di Melite.
Coraggio, prendiamo ‘sti bagagli.
SERVO
Carissimo Eracle, sei arrivato? Entra dentro!
La dea, infatti, quando ha saputo che eri in arrivo, subito
ha infornato le pagnotte, ha messo su due o tre pentole di minestra
di verdure passate, ha arrostito un bue intero,
ha cotto focacce, piadine. Su, entra!
X. Che meraviglia, complimenti! S. Per Apollo, di certo
non ti lascerò andare via, dato che ha messo a lessare
anche carni di uccello, e ha tostato
i dolcetti, e ha mescolato un vino dolcissimo.
Su, dai, vieni dentro con me. X. Che bellezza! S. Continui a scherzare:
non ti lascerò andare. E per di più c’è già per te, in casa,
una flautista bellissima e altre due o tre
danzatrici. X. Che stai dicendo? Danzatrici?
S. Sì, giovanissime e appena depilate.
Su, entra, ché il cuoco ormai sta per togliere dal fuoco
i tranci di pesce, e la tavola è apparecchiata.
X. Allora vai, di’ subito alle danzatrici
che sono in casa che adesso arrivo di persona.
Tu, servo, seguimi in casa con i bagagli.
D. Ehi tu, fermati. Non ci avrai messo il cuore sopra,
visto che ti ho travestito da Eracle per scherzo?
Scordati di continuare a fare lo scemo, Xantia,
piuttosto prendi di nuovo i bagagli e portali.
X. Cosa?! Non starai pensando di togliermi
ciò che tu stesso mi hai dato?! D. Sì, e non tra un po’ ma adesso.
Togliti quella pelle. X. Protesto per questo trattamento
e mi rivolgo agli dei come testimoni. D. A quali dei?
Non è forse una sciocchezza, una speranza vana, aspettarti
di diventare il figlio di Alcmena, tu che sei schiavo e mortale?
X. D’accordo, lasciamo perdere. Tieni. Forse, dopotutto,
potresti avere bisogno di me, se un dio lo volesse.
CORO
Questo si conviene a un uomo
dotato di senno e intelligenza
e molto navigato,
gravitare sempre
verso il baluardo sicuro
piuttosto che stare fermo
come un’immagine dipinta, assumendo
una sola posa: volgersi
verso il lato più morbido
è ciò che si addice a un uomo capace
e con l’indole di Teramene.
D. Non ci sarebbe forse da ridere, se
Xantia, che è uno schiavo,
stravaccato su coperte
milesie e baciando
una danzatrice poi venisse a chiedere un pitale,
e io guardando verso di lui
me lo prendessi in mano
e lui, dato che è un delinquente,
mi vedesse e allora prendendomi a pugni
mi facesse cascare dalla mascella
i denti davanti?
OSTESSA
Platane, Platane, vieni qui! C’è quel disgraziat